quando il condomino richiede copie di documenti all’amministratore: modalità e costi.

Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II ord. 28.2.2018 n. 4686 rel. Scarpa) affronta due temi interessanti, consolidando  principi che riprendono orientamenti più volte espressi.

La pronuncia ha il pregio di statuire puntualmente, più di altre, su aspetti di sicuro rilevo pratico e di quotidiana incidenza sulla vita del condominio e dei soggetti  che con esso si interfacciano, sia sotto il profilo sostanziale che processuale.

Quanto alla richiesta di copie di documenti, la suprema corte sottolinea alcuni principi cardine (e spesso disattesi dagli interessati condomini o amministratore): l’attività di verifica, controllo e richiesta copie può svolgersi in qualunque momento e non solo in vista della assemblea, non può tuttavia costituire aggravio per l’attività dell’amministratore, chi la richiede deve sopportare i costi delle copie mentre l’attività in tal senso prestata dall’amministratore è compresa nel suo mandato e non può essere oggetto di ulteriore compenso se non espressamente pattuito al momento del conferimento dell’incarico.

Ove ciò sia avvenuto, non è consentito al giudice sindacare la misura di tale compenso, salvo che per entità non finisca per ostacolare in maniera significativa il diritto del singolo, circostanza che potrebbe tradursi in un vizio di legittimità per violazione di legge della delibera che lo ha approvato.

L’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012 (nella specie inapplicabile, ratione temporis), prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, su preventiva richiesta, possa, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata.

E’ quindi vieppiù meritevole tuttora di conferma l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579; Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19/09/2014, n. 19799).

 l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non deve risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159), e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596).

Quanto poi al profilo di doglianza secondo cui il compenso deciso per il rilascio di copia degli atti fosse di “elevatisimo ed oscillante importo”, e rivelasse perciò un “carattere dissuasivo e deterrente” rispetto all’esercizio dello stesso diritto di controllo sulla gestione attribuito al singolo partecipante, viene così di fatto sollecitato un controllo non sulla legittimità della scelta operata dall’assemblea, ma sulla congruenza economica della stessa, e quindi sul merito, controllo esulante dai limiti consentiti al sindacato giudiziale ex art. 1137 c.c., se non quando l’eccesso di potere dell’organo collegiale arrechi grave pregiudizio alla cosa comune ed ai servizi che ne costituiscono parte integrante (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135).”

La corte affronta anche la questione relativa al contenuto della domanda di annullamento della delibera laddove connota il petitum e la causa petendi.

“E’ nota la ripartizione tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali autorevolmente operata da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.

Va aggiunto che l’assemblea dei condomini, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera.

Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo collegiale per un motivo di contrarietà alla legge o alle regole statutarie distinto da quello indicato dalla parte (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1378 del 18/02/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5101 del 20/08/1986).

Ne consegue che la prospettazione in domanda e poi come motivo di appello di una ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del compenso riconosciuto all’amministratore per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza”

azione contrattuale contro l’appaltatore: i poteri dell’amministratore e dei singoli condomini.

Ove sia stato stipulato contratto di appalto per opere di sistemazione delle aree verdi condominiali, l’amministratore è legittimato ad agire per far valere l’inadempimento dell’appaltatore mentre i singoli condomini possono intervenire, iure proprio, nello stesso giudizio per far valere il danno subito individualmente a causa di tale inadempimento.

E’ principio espresso da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30038, che -nel decidere una vicenda nata in terra savonese e poi vagliata dalla Corte di appello di Genova – affronta anche il tema del potere del giudice di qualificazione della domanda in forza  delle difese svolte dalle parti: il condominio che aveva inizialmente svolto domanda di adempimento, si è visto riconoscere il diritto al pagamento per equivalente, ad avviso della corte di legittimità in maniera perfettamente legittima.

La sentenza – seppur sintetica -merita lettura integrale.

30038_appalto_legittimazione

© massimo ginesi 15 dicembre 2017 

diligenza dell’amministratore: una sentenza anacronistica…

Accade con frequenza che, dati i tempi della giustizia italiana, alcune pronunce di legittimità che affermano principi peculiari riguardino situazioni che, sotto il profilo normativo, non sono più attuali.

E’ ovviamente compito dell’interprete qualificare correttamente la fattispecie e rendersi conto della effettiva portata e residua attualità della sentenza, in forza del principio tempus  regit actum, di tal chè ciò che i giudici di legittimità hanno affermato  per una causa sorta quindici anni fa potrebbe essere principio di diritto non più attuale.

In materia condominiale tale fenomeno è reso ancor più evidente dall’entrata in vigore della L. 220/2012, che radicalmente mutato la disciplina di alcuni istituti, primo fra tutti la figura dell’amministratore di condominio.

Appare allora singolare leggere – nel web e su diverse  pubblicazioni – autori che, a fronte di Cass.Civ.  sez. VI Civile 20 ottobre, n. 24920, affermano che l’amministratore è tenuto ad osservare la diligenza del buon padre di famiglia e non ha l’obbligo ma solo la facoltà di richiedere decreto ingiuntivo.

La sentenza afferma effettivamente tali principi:”l’amministratore ha, nei riguardi dei partecipanti al condominio, una rappresentanza volontaria, in mancanza di un ente giuridico con una rappresentanza organica, talché i poteri di lui sono quelli di un comune mandatario, conferitigli, come stabilito dall’art. 1131 c.c., sia dal regolamento di condominio sia dalla assemblea condominiale (Cass. 9 aprile 2014, n. 8339; Cass. 4 luglio 2011, n. 14589). Nell’esercizio delle funzioni assume le veste del mandatario e pertanto è gravato dall’obbligo di eseguire il mandato conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia a norma dell’art. 1710 c.c.. 

Nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato, con apprezzamento in fatto, che l’amministratore nel periodo 2005/2006 aveva più volte sollecitato, anche per iscritto, i condomini morosi al versamento delle quote condominiali, avendo egli la facoltà e non l’obbligo di ricorrere all’emissione di un decreto ingiuntivo nei riguardi dei condomini morosi.
La deduzione appare corretta perché l’art. 63 disp. att. cc. non prevede un obbligo, ma solo una facoltà di agire in via monitoria contro i condomini morosi (“può ottenere decreto di ingiunzione…”) e pertanto non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell’obbligo di diligenza da parte dell’A. per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l’indagine circa l’osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex articoli 1708 e 1710 c.c. – anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all’esecuzione del mandato – è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità: v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13513 del 16/09/2002 in motivazione).”

Si tratta tuttavia di pronuncia che giudica l’operato di un amministratore che aveva avuto la prima sentenza di merito  nel 2009 e che, quindi, chiaramente agiva sotto la vigenza di norme affatto diverse.

Oggi gli arti. 1129 e 1130 cod.civ. prevedono obblighi ben precisi in ordine alle modalità obbligatorie di attivazione per la richiesta di decreto ingiuntivo (sulla cui richiesta solo l’assemblea può decidere proroghe ex art 11291 comma IX cod.civ. ) e l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., (unitamente al dm 140/2014) prevede una figura di amministratore ancorata a parametri di professionalità, dati che difficilmente consentono – dal 18 giugno 2013 – di ritenere l’amministratore un mero mandatario e non un professionista tenuto a rispondere secondo le regole dell’arte, così come commentare  oggi che la richiesta di decreto ingiuntivo costituisca una facoltà e non un obbligo rappresenta mera disinformazione.

© massimo ginesi 24 ottobre 2017 

il condominio non risponde delle obbligazioni contratte dall’amministratore oltre i suoi poteri.

Lo afferma la Cassazione (Cass.civ. sez. II  ord. 17 agosto 2017 n. 20137 rel. Scarpa) che ribadisce altro rilevante principio correlato: il terzo che abbia trattato con l’amministratore, per vicende che esulano dai poteri previsti dall’art. 1130 cod.civ. e sulle quali la legge riserva la decisione alla assemblea, non ha diritto alla tutela dell’affidamento.

I fatti traggono origine dall’incarico conferito dall’amministratore ad un avvocato per la redazione del contratto di appalto relativo a lavori straordinari, materia riservata ex art. 1135 cod.civ. alla delibera dell’organo collegiale.

Il professionista ha richiesto ed ottenuto decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, revocato dal giudice di merito a seguito della opposizione del condominio che lamentava l’attività ultra vires dell’amministratore.

Osserva la Corte di legittimità che “È pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’articolo 1135, comma I, numero 4 cod. civ., e con la maggioranza prescritta dall’articolo 1136, comma IV, cod. civ, per l’approvazione di un appalto relativo a lavori straordinari dell’edificio condominiale (si vedano indicativamente Cass.civ. sez. II  21.2.2017 n. 4430, Cass.civ. sez. II 25.5.2016 n. 10865).

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione  straordinaria deve determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera , ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. 

Non rientra fra i compiti dell’amministratore di condominio neppure il conferimento ad un professionista legale dell’incarico di assistenza nella redazione del contratto di appalto per la manutenzione straordinaria dell’edificio, dovendosi intendere tale facoltà riservata all’assemblea dei condomini, organo cui è demandato dall’art. 1135, comma 1, n. 4, cod.civ. il potere di disporre le spese necessarie ad assumere obbligazioni in materia.

Ove siano mancate la preventiva approvazione o la successiva ratifica della spesa inerente tale incarico professionale da parte dell’assemblea, a norma degli artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, cod.civ., l’iniziativa contrattuale dello stesso amministratore non è sufficiente a fondare l’obbligo di contribuzione dei singoli condomini, salvo che non ricorra il presupposto dell’urgenza nella fattispecie considerata dall’art. 1135, ult. comma, cod.civ. (arg. da Cass. Sez. 2, 02/02/2017, n. 2807).

Peraltro, il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull’operato e sui poteri dello stesso, non trova applicazione in materia di condominio di edifici con riguardo a prestazioni relative ad opere di manutenzione straordinaria eseguite da terzi su disposizione dell’amministratore senza previa delibera della assemblea di condominio,  atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore e dell’assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1135 cod.civ., limitando le attribuzioni dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservando all’assemblea dei condomini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria (Cass. Sez. 2, 07/05/1987, n. 4232).

Né il terzo, che abbia operato su incarico dell’amministratore, può dedurre che la prestazione da lui adempiuta rivestisse carattere di urgenza, valendo tale presupposto a fondare, in base all’art. 1135, ultimo comma, e.e., il diritto dell’amministratore a conseguire dai condomini il rimborso delle spese nell’ambito interno al rapporto di mandato. 

Infine, il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione, rimessi all’iniziativa dell’amministratore nell’esercizio delle proprie funzioni e vincolanti per tutti i condomini ex art. 1133 cod.civ., ed atti di amministrazione straordinaria, al contrario bisognosi di autorizzazione assembleare per produrre detto effetto, salvo quanto previsto dall’art. 1135 comma 2 cod.civ., riposa sulla normalità dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass.civ. sez. II  25.5.2016 n. 10865). “

© massimo ginesi 18 agosto 2017

legittimazione processuale dell’amministratore: ancora una conferma dalla Cassazione.

La Cassazione conferma un orientamento consolidato ed espresso  dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia 18331/2010.

Un avvocato che aveva assistito il Condominio promuove decreto ingiuntivo per le propri competenze, l’amministratore – senza alcuna delibera sottostante – propone opposizione a detto decreto e l’avvocato eccepisce il difetto di jus postulanti dell’amministratore per non essere stato autorizzato dalla assemblea.

Cass.civ. sez. II  1 agosto 2017 n. 19151 chiarisce che “Secondo il più recente indirizzo di questa Corte, inaugurato dalla pronuncia delle Ss.UU. 18331/2010, non può ritenersi che l’amministratore del condominio sia titolare di una legittimazione processuale illimitata: l’amministratore può, in via generale, costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma in tale ipotesi, onde evitare una pronuncia di inammissibilità, deve ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa.

Si è peraltro precisato che giusto il disposto dell’articolo 1131 commi 2 e 3 cod.civ., autorizzazione  e ratifica sono necessarie nelle sole cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore (cass. 1451/2014), mentre esse non sono necessarie per quelle controversie che hanno ad oggetto parti o servizi condominiali e comunque riconducibili alle attribuzioni di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 10865/2016).

Da ciò consegue che l’amministratore può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ed altresì impugnare la decisione di primo grado, senza necessità di autorizzazione alla ratifica dell’assemblea, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento dell’obbligazione assunta dall’amministratore, nell’esercizio delle sue funzioni, in rappresentanza dei partecipanti al condominio, ovvero dando esecuzione a delibere dell’assemblea per l’esercizio dei servizi condominiali, e dunque limiti di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 16260/2016).

Orbene, nel caso di specie, il credito fatto valere in giudizio si riferiva a prestazioni professionali per l’assistenza legale svolta nell’interesse del condominio, come risulta dallo stesso contenuto del ricorso, in cui gli avvocati ingiungenti hanno evidenziato che l’attività da essi  posta in essere è consistita nell’aver  curato per conto del condominio diverse procedure giudiziarie.

La causa in oggetto, trovando il suo fondamento nella gestione di servizi comuni e dell’erogazione delle spese relative a tale gestione (art. 1130 commi 2 e 3), si riferisce certamente ad obbligazioni assunte per l’esercizio di servizi condominiali e dunque nei limiti di cui all’articolo 1130 c.c., onde non era necessaria l’autorizzazione, nella successiva ratifica da parte dell’assemblea condominiale.”

© massimo ginesi 3 agosto 2017 

l’art. 1130 cod.civ., il fascicolo del fabbricato, l’elefante scomparso ed altri racconti…

“in un giorno d’estate soffocante, un avvocato si mette alla ricerca del suo gatto e in un giardino abbandonato dietro casa incontra una strana ragazza. Una giovane coppia decide di fare uno spuntino notturno e assalta un McDonald’s per avere trenta Big Mac, realizzando così un segreto desiderio adolescenziale del marito. Nel racconto che da il titolo al libro, un uomo è ossessionato dalla incredibile, misteriosa scomparsa di un elefante dallo zoo del paese. E poi ancora una curiosa digressione sui canguri, un uomo che incendia granai per il gusto di vederli bruciare e le introspezioni di una giovane madre afflitta da insonnia.”

Mi è balzato alla mente  Murakami oggi, leggendo di fascicoli del fabbricato, responsabilità nuove e future per l’amministratore ed originali affermazioni di chi gli amministratori dovrebbe rappresentare.

Compare su un quotidiano tecnico nazionale la notizia che l’art. 1130 n. 6 cod.civ., laddove prevede l’istituzione del registro di anagrafe condominiale in cui è annotato, a cura dell’amministratore,  ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio, imporrebbe all’amministratore un ruolo pubblico di sicurezza e garanzia circa la staticità e sicurezza del fabbricato del quale costui risponderebbe quale professionista: “La sicurezza (statica) – prosegue Ferri – deve quindi emergere da elementi descrittivi e apprezzabili dall’amministratore nella loro oggettività direi documentale. Le fonti possono essere: 1) Il fascicolo del fabbricato, laddove esistente; 2) Le certificazioni obbligatorie di conformità di impianti comuni alla legge (caldaia centralizzata; impianti antincendio); 3) Gli aggiornamenti della situazione statica che gravano sull’amministratore per fatti/opere successive all’accettazione del mandato». Proprio quest’ultimo è un punto fondamentale per capire l’importanza della norma, sinora non molto considerata: «Ciò si pone in relazione al passaggio della documentazione, ai sensi della comma 8 dell’articolo 1130, sullo stato tecnico-amministrativo del condominio che secondo la giurisprudenza si estende idealmente alla “nascita” del condominio (Cass. 1085 del 2010)». Una ricostruzione delle vicende edilizie dell’immobile, quindi, fa parte dei doveri dell’amministratore”.

L’affermazione proviene dal sottosegretario alla giustizia che compie una sorta di lettura autentica della norma, che – ad oggi – non ha avuto visto significativi approdi   giurisprudenziali.

E’ l’autorevole e rispettabile  interpretazione di un componente del governo, che tuttavia è organo esecutivo e non giurisdizionale e che si dovrà verificare se sia in linea con quella dei giudici, che quella norma saranno chiamati ad applicare.

Non sfuggirà che la norma prevede in realtà, in capo all’amministratore, unicamente un obbligo compilativo e di verifica della sussistenza di situazioni di rischio: appare decisamente sovrabbondante, rispetto alla figura  di un mandatario  confinato all’ambito di rapporti privatistici, individuare in capo a colui che esercita un ruolo strettamente delineato dall’art. 1130 cod.civ.  funzioni, obblighi, valutazioni e  responsabilità che lo trasformano in un professionista responsabile della sicurezza e staticità del patrimonio edilizio nazionale.

Non è peraltro nuovo l’orientamento del ministero volto a dare una connotazione pubblicistica alla figura dell’amministratore,  atteso che  già aveva espresso concetti analoghi a proposito della portata e valenza delle norme in tema di formazione del professionista, con la singolare conseguenza che si finisce per attribuire ad una figura di diritto privato – la cui abilitazione professionale e formazione è rimessa a dinamiche  prive di fatto  di alcun controllo concreto dello Stato (se non sotto forma di rispetto ex ante dei criteri astratti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ., dalla L. 4/2013 e dal DM 140/2014) – funzioni di rilievo pubblico sempre più importanti e preoccupanti.

Non vi è dubbio che l’amministratore, che deve essere un professionista rigoroso, possa essere un ottimo strumento per un monitoraggio e una corretta gestione del patrimonio edilizio esistente: tuttavia tale funzione è auspicabile che si raggiunga  attraverso un adeguato sviluppo normativo che identifichi gli strumenti indispensabili, ponendo oneri e conseguenze sui proprietari dei beni e non su coloro che – per loro conto – li amministrano.

In tal senso l’art. 1130 n. 6 cod.civ. è stato, sin dalla sua introduzione nel 2012, una norma lacunosa e di fatto incomprensibile, che non ha mutato significato con l’integrazione del 2015 (che ha limitato gli obblighi alle condizioni delle parti comuni), precisazione  che peraltro non esime l’amministratore da responsabilità anche per impianti privati, ove gli stessi costituiscano fattore  di rischio per il fabbricato, in virtù dei noti principi sulla colpa omissiva più volte espressi anche dalla Suprema Corte (Cass. Pen.  13 ottobre 2009, n. 39959).

La preannunciata introduzione del fascicolo del fabbricato ben potrebbe divenire occasione per creare una disciplina chiara e definitiva che  riveda ed integri anche l’art. 1130 n. 6, con taglio  operativo e non inutilmente penalizzante o, peggio, pericoloso, per colui che  risulta essere un soggetto incaricato da privati di amministrare i loro beni, con nessun potere di spesa e  decisionale limitato alle urgenze e alla ordinaria amministrazione, le cui iniziative  sono comunque sempre soggette a ratifica assembleare.

Curioso poi che chi si onora di presiedere una associazione nazionale di amministratori affermi – nello stesso comunicato – che l’art. 1130 cod.civ. è norma inderogabile (è sufficiente una rapida disamina dell’art. 1138 cod.civ. per rendersi conto del contrario, almeno sotto il profilo letterale) e che la mancata istituzione dei registri costituisca “una delle tre gravi irregolarità che motivano la revoca, anche su ricorso di un solo condomino” (le gravi irregolarità, come è noto, possono essere infinite e apprezzate discrezionalmente dal giudice, l’art. 1129 cod.civ. ne elenca alcune tipiche e il comma XI di tale norma prevede ipotesi di iniziativa singola, nessuna delle quali riguarda i registri suddetti).

Sicurezza statica nei registri condominiali | Quotidiano del Condominio – Il Sole 24 Ore

© massimo ginesi 18 luglio 2017

approvazione dello stato di ripartizione e decreto ingiuntivo.

La mancata approvazione dello stato di ripartizione non attiene né alla sussistenza del credito né alla possibilità di ottenere decreto ingiuntivo, ma condiziona unicamente la concessione della provvisoria esecutorietà ex art. 63 disp.att. cod.civ.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. II Civile,  28 aprile 2017, n. 10621.

“Per il disposto degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., l’amministratore del condominio ha la legittimazione ad agire in giudizio nei confronti del condomino moroso per la riscossione dei contributi, senza necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea, mentre l’esistenza o meno di uno stato di ripartizione delle spese approvato dall’assemblea rileva soltanto in ordine alla fondatezza della domanda, con riferimento all’onere probatorio a suo carico (Cass. 2452/1994; 14665/1999).
Ed invero, l’obbligo del condomino di pagare al condominio, per la sua quota, le spese per la manutenzione e l’esercizio dei servizi comuni dell’edificio deriva dalla gestione stessa e quindi preesiste all’approvazione da parte dell’assemblea dello stato di ripartizione, che non ha valore costitutivo, ma solo dichiarativo del relativo credito del condominio.

Il verbale di assemblea condominiale, contenente l’indicazione delle spese occorrenti per la conservazione o l’uso delle parti comuni, ovvero, come nel caso di specie, la delibera di approvazione del “preventivo” di spese straordinarie, costituisce dunque prova scritta idonea per ottenere decreto ingiuntivo pur in mancanza dello stato di ripartizione delle medesime, necessario al solo fine di ottenere la clausola di provvisoria esecuzione del provvedimento ai sensi dell’art. 63 disp. Att.c.c.(Cass. 15017/2000).

Deve dunque escludersi che la delibera di approvazione assembleare del piano di ripartizione costituisca un presupposto processuale o una condizione dell’azione, posto che la legittimazione ad agire dell’amministratore per il pagamento della quota condominiale trova fondamento direttamente nelle disposizioni di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c..

A seguito dell’opposizione al decreto dunque, si dà luogo ad un giudizio di cognizione ordinaria, con onere, in assenza della delibera di approvazione del piano di riparto, per l’amministratore di provare gli elementi costitutivi del credito nei confronti del condomino anche avuto riguardo ai criteri di ripartizione delle spese relative alle parti comuni dell’edificio e facoltà di quest’ultimo di contestare sussistenza ed ammontare del credito medesimo azionato nei suoi confronti.”

© massimo ginesi 2 maggio 2017

art. 1132 cod.civ.: il dissenso può essere esercitato solo per le liti deliberate dall’assemblea.

Il Condomino può dissociarsi dalla lite, a norma dell’art. 1132 cod.civ., solo ove l’ iniziativa giudiziale venga deliberata dalla assemblea, poiché solo in tal caso la legge consente una eccezionale deroga al principio maggioritario, che informa il mandato collettivo conferito all’amministratore.

Alle liti promosse direttamente dall’amministratore, nell’ambito delle facoltà allo stesso riconosciute dagli artt. 1130 e 1131 cod.civ., non è applicabile il meccanismo dissociativo previsto dall’art. 1132 cod.civ.

E’ la tesi espressa da Corte di Cassazione, sez. II Civile, 20 marzo 2017, n. 7095: “va osservato che l’amministratore può resistere all’impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea, giacché l’esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. n. 1451/14). Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell’assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell’amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell’art. 1131 c.c..

Per contro, non si versa nell’ipotesi dell’art. 1132, primo comma, c.c.

Com’è noto, tale ultima disposizione, tesa a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita del condominio, consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sé le conseguenze dannose di un’eventuale soccombenza.

Dunque, ove non sia stata l’assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all’assemblea contro i provvedimenti dell’amministratore, in base all’art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell’assemblea stessa (nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall’art. 1137 c.c., richiamato dall’art. 1133 c.c.).

E in ogni caso il condomino dissenziente può far valere le proprie doglianze sulla gestione dell’amministratore in sede di rendiconto condominiale, la cui approvazione è, però, anch’essa rimessa all’assemblea e non al singolo condomino.

Se ne deve ricavare che questi, al di fuori dei descritti percorsi legali, non ha la facoltà di agire in proprio contro l’amministratore (salvo il ben diverso caso dell’iniziativa di revoca giudiziale ex art. 1129 c.c.) ogni qual volta ritenga la condotta di lui non consona ai propri interessi, perché ciò contrasta con la natura collettiva del mandato ex lege che compete all’amministratore.”

© massimo ginesi 22 marzo 2017

nelle cause su materie ex art. 1130 cod.civ. l’amministratore impugna senza necessità di delibera.

Cass. civ. II sez. 16 febbraio 2017 n. 4183. La Corte si trova ad affrontare un caso decisamente interessante, ovvero l’individuazione del criterio di riparto delle spese da adottare per gli esborsi relativi ad una terrazza che in parte svolge funzione di copertura (terrazza a livello)  ed in parte costituisce  terrazza aggettante.

I rari precedenti giurisprudenziali si sono orientati sulla funzione preminente fra le due, che determinerebbe  il criterio applicabile.

Putroppo però la vicenda processuale non consente una statuzione su tale principio, poichè la corte riconosce applicabile la disciplina convenzionale dettata nel regolamento.

Nel pervenire a tali concluioni è però chiamata a statuire su una eccezione di inammissibilità dell’impugnativa per non aver il condominio, a detta del ricorrente, espressamente deliberato sul punto ed avendo l’amministratore agito in via autonoma.

La corte chiarisce che “in base al disposto degli artt. 1130 e 1131 codice civile, l’amministratore del condominio è legittimato ad agire in giudizio per l’esecuzione di una deliberazione assembleare o per resistere alla impugnazione della delibera stessa da parte del condomino senza necessità di una specifica autorizzazione assembleare, trattandosi di una controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni, con la conseguenza che in tali casi egli neppure deve premunirsi di alcuna autorizzazione dell’assembela per proporre le impugnazioni nel caso di soccombenza del condominio (cass. 15.5.1998 n. 4900, CAss. 20.4.2005 n. 8286). A questa conclusione non è di ostacolo il principio, enunciato dalle Sezioni Unite (sentenza 6 agosto 2010 n. 18331) , secondo cui l’amministratore del condominio, potendo essere convenuto nei giudizi relativi alle parti comuni ma essendo tenuto a dare senza indugio notizia alla assemblea della citazione e del provvedimento che esorbiti dai suoi poteri, ai sensi dell’art. 1131 commi 2 e 3, ben può costituirsi in giudizio e impugnare sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzaizone dell’assembela, ma deve, in tale ipotesi, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa, per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione.

L’ambito applicativo del dictum delle Sezioni Unite – con la regola, da esse esplicitata, della necessità dell’autorizzazione assembleare, sia pure in sede di successiva ratifica – si riferisce, espressamente, a quesi giudizi che esorbitano dai poteri dell’amministratore ai sensi dell’art. 1131 commi 2 e 3 cod.civ. Ma non è questo il caso, posto che eseguire le deliberazioni dell’assemblea e difiendere le stesse dalle impugnative giudiziali del singolo condomino rientra nelle attribuzioni proprie dell’amminsitratore.

Il Collegio ricorda che esiste qualche pronuncia di segno contrario anche successiva alle Sezioni Unite del 2010, ma se ne allontana allineandosi ai principi espressi dalla adunanza plenaria .

“Il collegio è invece  dell’avviso che, nella propria sfera di competenza (ordinarie o incrementate dalla assemblea), l’amministratore è munito di poteri di rappresentanza processuale ad agire e resistere senza necessità di alcuna autorizzazione. Sarebbe, infatti, veramente defatigatorio, nell’ottica di un assurdo “iperassembelarismo”, che l’amministratore fosse costretto a convocare ogni volta i condomini al fine di ottenere il nulla osta, ad esempio, per agire o resistere al monitorio sul pagamento degli oneri condominiali, o al giudizio per far osservare il regolamento, o all’impugnativa di una statuizione assembleare, oppure al fine di sperare nella ratifica riguardo ad un procedimento cautelare volto a conservare le parti comuni dello stabile (v. in termini Cass. 23.1.2014 n. 1451). “

© massimo ginesi 20 febbraio 2017

 

in assenza di rendiconto e di corretta tenuta della contabilità l’amministratore non ha diritto a compenso

Un principio importante, del tutto in linea con la disciplina del mandato, quello stabilito da Cass. civ.  II sez. 14 febbraio 2017, n. 3892.

Davanti al Giudice di legittimità è censurata una statuizione della Corte di appello di Roma: “La Corte, per quanto qui ancora interessa, avuto riguardo alla reiezione della domanda, avanzata dal ricorrente in qualità di amministratore del condominio su menzionato, di pagamento del proprio compenso, ha affermato che dalla espletata ctu era risultata la mancanza di un giornale di contabilità che avesse registrato cronologicamente le operazioni riguardanti il condominio, consentendo in modo puntuale la verifica dei documenti giustificativi, onde non era possibile ricostruire l’andamento delle uscite e dei pagamenti effettuati, per fatto imputabile all’amministratore, tra i cui doveri rientrava quello di corretta tenuta della contabilità.”

Afferma la Cassazione: “non è controversa la mancanza di una contabilità regolare che registrasse cronologicamente le operazioni riguardanti la vita del condominio e che quindi consentisse la verifica dei documenti e dunque la giustificazione delle entrate ed uscite della gestione dell’ente condominiale, né risulta che sia mai stata adottata, negli anni in contestazione, la delibera di approvazione del rendiconto dell’amministratore da parte dell’assemblea dei condomini ex art. 1130 c.c..
La contabilità presentata dall’amministratore del condominio, seppure non dev’essere redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, deve però essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi dell’entità e causale degli esborsi fatti, e di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito, nonché di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia uniformato a criteri di buona amministrazione (Cass. 9099/2000 e 1405/2007).
In assenza di tale adempimento, il credito dell’amministratore non può ritenersi provato.

Nell’ipotesi di mandato oneroso, infatti, il diritto del mandatario al compenso ed al rimborso delle anticipazioni e spese sostenute è condizionato alla presentazione al mandante del rendiconto del proprio operato, che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale (Cass. 3596/1990).
Ed invero, solo la deliberazione dell’assemblea di condominio che procede all’approvazione del rendiconto consuntivo emesso dall’amministratore ha valore di riconoscimento di debito in relazione alle poste passive specificamente indicate (Cass. 10153/2011), così come dalla delibera dell’assemblea condominiale di approvazione del rendiconto devono risultare le somme anticipate dall’amministratore nell’interesse del condominio (Cass. 1286/1997) non potendo in caso contrario ritenersi provato il relativo credito.
Attesa dunque la situazione di mancanza di una contabilità regolare e della stessa predisposizione ed approvazione del rendiconto annuale di gestione dell’amministratore, la ricostruzione ex post da parte del Ctu, sulla base di una verifica documentale a campione, non appare idonea a fondare la prova del credito del ricorrente, che può essere desunta in modo attendibile dalla sola determinazione dell’ammontare complessivo dei versamenti effettuati dai condomini e dalle uscite per spese condominiali, con relativi documenti giustificativi.

Non è inoltre pertinente il riferimento del ricorrente al principio secondo il quale, in sede di responsabilità contrattuale, il creditore deve soltanto provare la fonte dell’obbligazione, limitandosi ad allegare l’inadempimento della controparte, atteso che in materia di condominio, sulla base della disposizione dell’art. 1130 c.c., il credito dell’amministratore, come del resto ogni posta passiva, deve risultare dal rendiconto (redatto secondo il principio della specificità delle partite ex artt. 263 e 264 cpc) approvato dall’assemblea, sulla base di una regolare tenuta della contabilità, sì da rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di spesa e di valutare in modo consapevole l’operato dell’amministratore.”

Attenzione dunque che il mancato adempimento di quanto previsto dagli art. 1129, 1130 e 1130 bis cod.civ. non solo può dar luogo a responsabilità nei confronti del condominio, con conseguente revoca per gravi irregolarità, ma può  pregiudicare anche il diritto a percepire il compenso (non solo sotto il profilo dell’inadempimento del mandatario ma anche solo sotto il profilo della prova, come afferma la sentenza in commento).

© massimo ginesi 16 febbraio 2017