abuso della cosa comune e negatoria servitutis

Una recente pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. II  19 marzo 2021 n. 7884 rel. Scarpa)  ripercorre con grande chiarezza taluni dei principi fondamentali in tema di uso della cosa comune ex art 1102 c.c. e di legittimazione dell’amministratore per le azioni a tutela della cosa comune.

La vicenda riguarda l’azione volta alla chiusura di un varco aperto da una condomina nella ringhiera del proprio terrazzo per accedere al cortile comune: la corte di legittimità osserva come tale azione rientri nei poteri dell’amministratore ex art 1130 c.c., quale azione conservativa, e debba essere qualificata quale azione volta ad accertare abusi ex art 1102 c.c. e non già quale actio negatoria servitutis.

La pronuncia, che per la grande chiarezza espositiva e l’ampiezza di spunti interpretativi merita lettura integrale, fa riflettere su come, talvolta, si agisca in giudizio omettendo di considerare orientamenti più che consolidati ed esponendo la parte a conseguenze negative ampiamente prevedibili.

Cass. civ. _7884_2021

© Massimo Ginesi 23 marzo 2021

 

impugnazione tabella millesimale non convenzionale: è legittimato passivo l’amministratore.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  ord. 4.2.2021 n. 2635 rel. Scarpa) ripercorre l’orientamento interpretativo maturato anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 69 disp.att. cod.civ., così come novellato nel 2012.

In forza di principio di diritto affermato dalle sezioni unite del 2010, la tabella millesimale che rispecchi i valori proporzionali delle singole unità e non deroghi in via contrattuale ai criteri previsti dall’art. 1123 c.c. può essere approvata a maggioranza; la sua impugnativa non comporta  litisconsorzio necessario dei singoli condomini ma vede legittimato passivo unicamente l’amministratore.

La pronuncia giudiziale di revisione ha valenza ex nunc e, dunque, non avendo portata retroattiva, comporta che le delibere precedentemente adottate sula scorta delle tabelle oggetto di revisione mantengano piena   validità.

“Non può trovare applicazione nel presente giudizio, che attiene a domanda di revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale proposta con citazione del 19 maggio 2004, l’art. 69 disp. att. c.c., comma 2 nella riformulazione conseguente alla L. 11 dicembre 2012, n. 220.

Non di meno, la sostanziale fondatezza del primo motivo di ricorso e l’erroneità della decisione della relativa questione di diritto operata dalla Corte d’appello di Cagliari (nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto derivare dalla riqualificazione della domanda attorea come revisione delle tabelle la necessità del litisconsorzio) discendono alla stregua dell’interpretazione offerta da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477.

Tale sentenza chiarì come l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, purchè tale approvazione sia meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, e quindi dell’esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell’uso.

I criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, mediante convenzione, la quale può essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità.

Viene, quindi, imposta, a pena di radicale nullità l’approvazione di tutti i condomini per le sole delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento “contrattuale” (Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126). Rivela dunque natura contrattuale soltanto la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123 c.c., comma 1. Se, invece, sia stata approvata una tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali, e se essa risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni, a tali situazioni può rimediare la maggioranza dell’art. 1136 c.c., comma 2, per ripristinarne la correttezza aritmetica (Cass. Sez. 6 – 2, 25/01/2018, n. 1848; Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27159).

La giurisprudenza ha anche tratto le dovute conseguenze di ordine processuale dall’insegnamento di Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477.

Una volta affermato il fondamento assembleare, e non unanimistico, dell’approvazione delle tabelle, alcuna limitazione può sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell’amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 2, volta alla determinazione giudiziale o alla revisione di una tabella millesimale che consenta la distribuzione proporzionale delle spese in applicazione aritmetica dei criteri legali (tale risultando, nella specie, la domanda proposta da P.L., la quale assume l’erroneità delle tabelle millesimali vigenti in relazione ai valori proporzionali della sua unità immobiliare e di quelle di M.M.M. e di Mo.Al.).

Si tratta, infatti, di controversia rientrante tra le attribuzioni dell’amministratore stabilite dall’art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali dello stesso, senza alcuna necessità del litisconsorzio di tutti i condomini. Riconosciuta, nella sostanza, la competenza gestoria dell’assemblea in ordine all’approvazione ed alla revisione delle tabelle millesimali, non vi può essere resistenza a ravvisare in materia altresì la rappresentanza giudiziale dell’amministratore (come del resto desumibile poi dal già richiamato art. 69, disp. att. c.c., comma 2 nella riformulazione conseguente alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, nella specie non applicabile ratione temporis) (Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651; Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735).

secondo l’orientamento di questa Corte, la portata non retroattiva della pronuncia di formazione o di revisione giudiziale delle tabelle millesimali comporta che non possa affatto affermarsi l’invalidità (o addirittura l’illiceità fonte di danno ex art. 2043 c.c., come ipotizza la ricorrente) di tutte le delibere approvate sulla base delle tabelle precedentemente in vigore, il che provocherebbe, altrimenti, pretese restitutorie correlate alle ripartizioni delle spese medio tempore operate, in applicazione della cosiddetta “teoria del saldo” (Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735; Cass. Sez. 2, 24/02/2017, n. 4844; Cass. Sez. 3, 10/03/2011, n. 5690; Cass. Sez. U, 30/07/2007, n. 16794).”

© massimo ginesi 24 febbraio 2021

 

 

è legittima la clausola che preveda l’arbitrato per l’impugnativa della delibera condominiale

E’ quanto ha statuito Cass.civ. sez. VI-2 ord. 15 dicembre 2020 n. 28508 rel. Scarpa: è legittima la clausola compromissoria prevista nel regolamento contrattuale che imponga di ricorrere ad arbitrato per le controversie fra condomini e fra condomini ed amministratore, trattandosi di materia nella disponibilità delle parti.

La pronuncia rileva anche come il comodatario non sia legittimato ad agire per tale tipo di domanda.

E’ uniforme l’orientamento di questa Corte secondo cui l’art. 1137 c.c., comma 2, nel riconoscere ad ogni condominio assente, dissenziente o astenuto la facoltà di ricorrere all’autorità giudiziaria avverso le deliberazioni dell’assemblea del condominio, non pone una riserva di competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilità in arbitri di tali controversie, le quali, d’altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 c.p.c. (Cass. Sez. 2, 20/06/1983, n. 4218; Cass. Sez. 2, 05/06/1984, n. 3406; Cass. Sez. 1, 10/01/1986, n. 73).

La Corte d’appello di Milano – in presenza di una clausola compromissoria di natura irrituale, come desumibile dalla qualificazione degli arbitri quali “amichevoli compositori”, che prevede il deferimento agli stessi di qualsiasi controversia tra amministratore e singoli condomini comunque riguardante l’uso della comproprietà – ha plausibilmente ricompreso nelle attribuzioni del collegio arbitrale l’impugnazione di una deliberazione assembleare concernente la rimozione di manufatti esistenti su parti comuni.

La dedotta nullità della delibera impugnata, perchè asseritamente in contrasto con precedente accordo transattivo costitutivo di un assetto convenzionale dei diritti dei contendenti sui beni comuni per cui è causa, nonchè l’erroneità dei presupposti di fatto su cui essa poggia, non investono diritti o situazioni sottratte alla disponibilità delle parti, rientrando nella competenza arbitrale la stessa cognizione delle ragioni di invalidità di tale delibera.

Anche il secondo motive di ricorso è del tutto infondato. In tema di condominio, il generale potere ex art. 1137 c.c. di impugnare le deliberazioni condominiali contrarie alla legge o al regolamento compete al proprietario della singola unità immobiliare, mentre non spetta al comodatario di un’unità immobiliare, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori (arg. da Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27162).

A colui che, come il comodatario D.E., terzo rispetto ai rapporti reali che legano i proprietari delle singole unità immobiliari, intenda prospettare la titolarità di una situazione giuridica qualificata da una correlazione agli effetti della deliberazione adottata dall’assemblea, ferma la preclusione all’impugnativa ex art. 1137 c.c., può altrimenti accordarsi eventualmente l’interesse a proporre un’azione di mero accertamento della eventuale nullità della delibera o ad agire in sede risarcitoria.

© Massimo Ginesi 2 febbraio 2021

Foto di Free-Photos da Pixabay

richiesta dati condomini morosi : è legittimato passivo il condominio

Il Tribunale apuano con provvedimento ex art 702 bis c.p.c. (Trib. Massa 29.7.2020) ha ritenuto che legittimato passivo della domanda avanzata dal terzo creditore, e volta a conoscere il nominativo dei condomini morosi, sia il condominio e non l’amministratore personalmente.

Il provvedimento, assai articolato, merita integrale lettura per l’accuratezza e l’analiticità della motivazione e conferma il medesimo orientamento già in precedenza espresso dallo stesso Tribunale.

Trib_Massa_29luglio2020

© massimo ginesi 6 agosto 2020

Foto di Lucia Grzeskiewicz da Pixabay

mediazione, opposizione a decreto ingiuntivo e legittimazione dell’amministratore

Una recente sentenza del tribunale apuano (Trib. Massa 27 luglio 2020 n. 379) affronta il complesso tema della legittimazione processuale dell’amministratore, sia con riguardo all’opposizione a decreto ingiuntivo promossa nei confronti dell’ex amministratore (che agiva per il pagamento di propri corrispettivi e anticipazioni) che al successivo procedimento di mediazione, promosso per ordine del giudice, trattandosi di materia sottoposta a condizione di procedibilità obbligatoria ex art 5 bis D.lgs 28/2010.

La decisione  trae spunto dalla recente pronuncia di legittimità (Cass. civ. III, n. . 6 giugno 2020 n. 10846 rel. Scarpa) che ha affrontato in maniera netta la portata dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ., chiarendo che – per accedere alla mediazione – l’amministratore non si giova di alcuna legittimazione autonoma per le materie previste dall’ art 1130 c.c. ma deve sempre munirsi di delibera assembleare.

Il giudice apuano osserva che  “ il Condominio ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo ottenuto dal precedente amministratore, per il pagamento di pregresse competenze, e – in quella sede – ha avanzato domanda riconvenzionale di restituzione somme e risarcimento danni nei confronti di costui. 

Trattandosi di materia sottoposta a mediazione obbligatoria ex art 5 bis D.Lgs 28/2010 le parti – su ordine del giudice – hanno  dato corso, non appena statuito sulle richieste di provvisoria esecutorietà del decreto, a procedimento di mediazione, concluso con verbale negativo del 25.9.2018. 

Il nuovo difensore dell’convenuto opposto, costituito con comparsa 8.1.2020 ha eccepito che nessuna di queste attività fosse stata assistita da idonea delibera assembleare e che l’amministratore le abbia poste in essere in piena autonomia. 

L’eccezione circa la legittimazione dell’amministratore a partecipare al procedimento di mediazione su disposizione del giudice nelle cause che, per materia, prevedono tale adempimento come condizione di procedibilità  appare ontologicamente diverso dalla eccezione di improcedibilità per mancato esperimento, che si ritiene temporalmente limitata – a pena di decadenza – alla prima udienza di trattazione, sia per il giudice che per le parti (Cass. 32797/2019).

Viceversa l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono l’avveramento di quella condizione, ove l’accesso alla mediazione sia stato disposto per ordine giudiziale, attiene alla verifica dei requisiti che consentono la legittima prosecuzione del giudizio, ove le parti abbiano correttamente adempiuto ad instaurare nei termini il procedimento di ADR. 

In particolare, nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, questo Giudice ritiene – in linea con parte della giurisprudenza di legittimità e di merito – che competa all’opponente dar attuazione all’ordine del giudice, instaurando legittimamente il procedimento, a pena di improcedibilità della opposizione (in forza delle ragioni espresse da Cass. 23003/2019 e in attesa che sul punto si pronuncino le Sezioni Unite sulla scorta di Cass. 18741/2019).

Era dunque onere del Condominio opponente procedere alla instaurazione del procedimento, adempimento cui l’amministratore ha dato corso come da produzioni effettuate il 29/8/2018.

A seguito dell’eccezione sollevata dall’opposto, è emerso che l’amministratore abbia agito non sorretto da alcuna delibera in proposito, non potendo rilevare a tal fine (e neanche a quelli successivi di cui si dirà, relativi alla fase giudiziale) la circostanza che costui all’assemblea 13.7.2018  abbia informato i presenti della avvenuta notifica del decreto da parte del precedente amministratore e della proposizione della opposizione, trattandosi di mera informativa cui non è conseguita alcuna delibera dell’organo collegiale.

Con riguardo poi, al procedimento di ADR, non potrà non rilevarsi quanto statuito dall’art. 71 quaterdisp.att.c.c. e assai di recente chiarito dalla suprema Corte: “L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, lettera, porta, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Roma, che la condizione di procedibilità della “controversie in materia di condominio” non possa dirsi realizzata allorchè, come avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso “possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della stessa, come suppone il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8, comma 1. Non rileva nel senso di escludere la necessità della delibera assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si tratti, nella specie, di controversia che altrimenti rientra nell’ambito delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale perciò sussiste la legittimazione processuale di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non può partecipare alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, è altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che sono rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la soluzione della controversia (arg. da Cass. Sez. 3, 27/03/2019, n. 8473). Tale evenienza non corrisponde, dunque, all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 2 bis, il quale dispone che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia è privo di giuridica possibilità. Spetta infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale affidatagli (cfr. Cass. Sez. 2, 16/01/2014, n. 821; Cass. Sez. 2, 25/03/1980, n. 1994).” (Cass. 10846/2020 e, fra le pronunce di merito, Trib. Romasez. V 10.9.2018 n. 17024)

Non potrà non rilevarsi che l’instaurazione del procedimento e la partecipazione al primo incontro di mediazione,  in assenza di espresso mandato assembleare, appare tamquam non esset (ed insuscettibile di ratifica, aldilà del tempo in cui tale ratifica interviene), poiché in quella sede l’amministratore che agisca iure proprio è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali in contesa e, dunque, di introdurre l’istanza e di partecipare all’incontro volto alla transazione su quei diritti.

Né si potrà ritenere quel potere suscettibile di ratifica, una volta concluso il procedimento e venuta meno la condizione di procedibilità (anche non voler considerare, poiché aspetti rilevabili ad istanza di parte, che la delibera 29.1.2020 è stata assunta su argomento non all’ordine del giorno e con maggioranze inidonee), così come – a fronte di erronea introduzione del procedimento per negligenza dell’istante – non si potrà ritenere reiterabile la concessione del termine (Trib. Massa 20 luglio 2018 n. 546).

Il disposto attuativo di cui all’art. 71 quater disp. att. c.c. prevede pertanto la necessità che l’assemblea conferisca all’amministratore il potere di partecipare (e, a maggior ragione, di dar inizio ) al procedimento di mediazione per ogni controversia, anche quelle che ai sensi del combinato disposto dagli artt.  1130  e 1131 c.c. rientrerebbero nella sua sfera di legittimazione autonoma, anche se merita rilevare che  l’odierna controversia , sia per gli aspetti volti a paralizzare la domanda monitoria, sia per quelli azionati in via riconvenzionale (competenze del precedente amministratore e domanda di risarcimento dei danni da costui provocati) non rientrerebbe comunque nelle materie per cui all’amministratore può essere riconosciuto un autonomo potere di gestione della lite (arg. da CAss. 12525/2018).

Da quanto sin qui argomentato, consegue l’improcedibilità dell’opposizione e delle domande riconvenzionali con la stessa avanzate.

Va peraltro rilevato che le ragioni sin qui evidenziate pregiudicherebbero anche l’ammissibilità della domanda giudiziale, posto che si tratta di controversia che esula dai poteri dell’amministratore, che la carenza di legittimazione può essere rilevata d’ufficio o eccepita in qualunque fase e grado, che l’eccezione è stata svolta in comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 8.1.2020, che in data 27.1.2020 si è tenuta udienza di discussione (all’esito della quale la causa è stata rimessa in istruttoria) e che la delibera con cui l’assemblea ratifica l’operato dell’amministratore è stata assunta il 29.1.2020: poiché l’eccezione è stata sollevata dal convenuto era onere della parte produrre immediatamente la delibera di ratifica, sì che quella assunta in data posteriore alla udienza successiva alla sollevata eccezione deve ritenersi tardiva (arg. da Cass. 12525/2018 e CAss. 2179/2011.”

© massimo ginesi 4 agosto 2020

Foto di Igor Link da Pixabay

costruzioni sopra l’ultimo piano dell’edificio: innovazione e sopraelevazione

Una ponderosa ordinanza della Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  15 giugno 2020 n. 11490 rel. Scarpa) ripercorre – con dettagliata analisi e grande lucidità – la natura degli interventi che possono essere compiuti sulla parte sommitale  dell’edificio, evidenziando come possa trattarsi di innovazione ex art 1120 c.c. ove si intervenga su parti comuni in seguito a delibera assembleare, di intervento ex art 1102 c.c. ove il singolo intervenga in tali termini nell’ambito delle sue facoltà di godimento oppure di sopraelevazione, ove il singolo non modifichi   parti comuni, ma provveda alla edificazione di nuovi corpi di fabbrica nello spazio sovrastante l’edificio, sì che l’intervento si configura come facoltà riconosciuta ai sensi dell’art. 1127 c.c.

Il corretto inquadramento della fattispecie in fatto da parte del giudice di merito è essenziale, poiché ad ogni intervento – e alla conseguente norma applicabile –  conseguono differenti ampiezze delle facoltà e dei correlativi obblighi e limiti.

La pronuncia consente  di ripercorrere, con grande chiarezza e abbondanti richiami, gli orientamenti giurisprudenziali in tema di facoltà di maggior godimento, di innovazioni vietate e – soprattutto – di soprelevazione, concetto cui la più recente giurisprudenza di legittimità ha attribuito  dimensioni decisamente più ampie del significato letterale del termine.

Interessante anche l’aspetto della legittimazione e della successione nel diritto controverso di una delle parti.

E’ provvedimento che richiede integrale lettura, apparendo riduttivo pubblicarne semplicemente stralci.

cassazione_11490_2020

© massimo ginesi 16 giugno 2020 

 

Foto di StockSnap da Pixabay

pluralità di locatori, azione per rilascio e pagamento canoni

una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 10.1.2020 n. 24) affronta un caso peculiare di immobile (albergo) di proprietà  di più soggetti, locato a società di capitali di  cui taluni dei locatori sono amministratori.

Non tutti i locatori erano d’accordo per l’azione giudiziale iniziata con intimazione di licenza per finita locazione. Il Tribunale ha ritenuto che l’assenza di una volontà della comunione, a fronte dell’espresso dissenso di alcuni comproprietari, impedisca di agire per il rilascio ma non per il pagamento dei canoni.

Parte attrice e parte intervenuta sono comproprietari del bene oggetto di  domanda,  di  talchè – secondo un costante orientamento giurisprudenziale (Cass.  1650/2015,  per  i  profili sostanziali Cass. sez.Un. 11134/2012) – ciascuno di essi è legittimato a proporre azione di sfratto, presumendosi pari poteri gestori dei singoli comproprietari.

Ove risulti, invece, contrasto fra gli stessi, tale presunzione non potrà più ritenersi operante e l’azione giudiziale dovrà essere promossa unicamente in forza di ordinaria delibera degli aventi diritto, ai sensi dell’art. 1105 comma II c.c., oppure, ove tale maggioranza non riesca a formarsi, ai sensi di provvedimento reso ex art. 1105  comma IV c.c.

Nel caso di specie le intervenute hanno eccepito l’assenza di tali requisiti e la propria contrarietà all’azione intrapresa dagli attori, sì che “ la legittimazione del singolo comunista deve essere esclusa quando, a seguito dell’intervento in causa degli altri partecipanti alla comunione della cosa locata, si accerti l’esistenza del contrasto tra i compartecipanti” (cass. 480/2009, cass 4291/78)

In assenza di delibera o provvedimento giudiziale ex art 1105 comma IV c.c., essendo pacificamente emerso il contrasto fra i diversi comproprietari e dissenso delle odierne intervenute, non si potrà che pervenire  ad  una  declaratoria  di  inesistenza  di legittimazione processuale degli odierni attori riguardo all’azione di licenza per finita locazione intimata da R…

Se l’azione per il rilascio deve essere esercitata unitariamente (dal singolo o dalla comunione), per evidente infrazionabilità del relativo adempimento riguardo a unitario compendio oggetto di locazione, analoga considerazione non  può  essere  svolta  per  quel che attiene alla domanda  di  pagamento  dei  canoni  /indennità  di  occupazione,  vieppiù  alla luce  di  quanto  disposto  da Cass. Sez. un. 11136/2012 e  tenuto  conto che    nel caso    di specie – l’art. 6 del contratto di locazione (doc. 2 di parte attrice) già prevedeva una prestazione frazionata in capo al conduttore con riguardo al corrispettivo della locazione,    da versare pro quota a ciascun co-locatore; riguardo  alla  concessione  in  locazione effettuata in favore di R.  srl non sussiste inoltre il meccanismo gestorio descritto dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità nella pronuncia  testè  richiamata,  posto che la locazione non è stata  stipulata  da  uno  dei  comproprietari  nell’esercizio  di pari poteri gestori presunti ma consegue a delibera della comunione, con conseguente insussistenza della necessità di integrazione del contradditorio nei confronti degli altri comproprietari indicata dalla Suprema Corte.

Va ancora osservato che parrebbe ingiustamente afflittivo e penalizzante per gli odierni attori ritenere che l’azione per il pagamento dei canoni /indennità segua gli stessi principi dell’azione di rilascio, posto che – anche alla luce degli argomenti resi da Cass. Sez. un. 11136/2012 – il singolo co-locatore ben può agire direttamente per ottenere il pagamento della propria quota di canone e non può riconoscersi agli altri comproprietari un diritto di veto o, comunque, il potere di paralizzare unilateralmente e ad libitum il diritto di ciascun co-locatore di ottenere la prestazione patrimoniale pro-quota dovuta dal conduttore.

Tale aspetto appare emblematico ed eclatante nella  vicenda  de  quo,  ove  la  conduttrice  non si è costituita e non si è opposta, tuttavia colei che pretenderebbe di paralizzare anche l’azione volta al pagamento delle indennità dovute pro quota agli attori per la ritardata consegna (eccependo la carenza di legittimazione degli attori) è l’intervenuta R.  che, oltre che comproprietaria, è la legale rappresentante della società conduttrice convenuta.

Ne deriva che la società conduttrice convenuta dovrà essere condannata a versare agli attori, con decorrenza 1.1.2019 e sino all’effettivo rilascio, quota parte dell’importo pari al canone contrattualmente stabilito a mente dell’art. 6 del contratto di locazione: va infatti riconosciuta al locatore un’indennità di occupazione in misura pari al canone contrattualmente convenuto, ai sensi dell’art. 1591 c.c. (Cass. 18486/2014); l’importo dovuto dalla convenuta sarà proporzionale – rispetto all’intero – alla quota del diritto di proprietà di cui costoro sono contitolari.

Posto che le parti, all’art. 8 del contratto, hanno inteso anche predeterminare il maggior danno da ritardata restituzione, dovrà  essere  versata  agli  attori  da  parte  convenuta  anche la relativa quota parte frazionaria e  proporzionata alla quota del diritto di proprietà  di cui sono contitolari”

© massimo ginesi 13 gennaio 2020

 

terrazza a livello e danni: legittimazione, evento meteo eccezionale ed onere della prova

Un esercizio commerciale posto in condominio subisce danni in seguito ad  infiltrazioni, provenienti da una terrazza a livello posta nel condomini; agisce dunque per il risarcimento  nei confronti del condominio e del proprietario  della terrazza.

L’attore è mero conduttore dei fondi e, tuttavia, avanza anche domanda relativa ai danni subito dall’immobile;  il convenuto condominio si difende eccependo carenza di legittimazione passiva mentre il proprietario della terrazza adduce sussistenza di evento meteo eccezionale. 

Il Giudice, alla prima udienza, non dispone la mediazione, nonostante la pronta eccezione del convenuto condominio che, in comparsa conclusionale, ancora eccepisce improcedibilità della domanda.

La vicenda è stata decisa dal Tribunale apuano (Trib. Massa 9 ottobre 2019 n. 595) il quale, quanto alla mediazione, ha rilevato che “Va preliminarmente rigettata anche l’eccezione di improcedibilità della domanda – reiterata dal convenuto condominio e dalla terza chiamata – per mancato esperimento del procedimento di mediazione; anche a voler ritenere la presente controversia ricompresa nell’ambito delineato dall’art. 5 comma 1 bis D.Lgs 28/2010, una volta che la parte abbia tempestivamente sollevato l’eccezione alla prima udienza, ove il giudice non provveda nell’ambito della stessa udienza a concedere termine per instaurare il procedimento di ADR, dando invece impulso al processo,  il processo proseguirà secondo gli ordinari canoni, avuto riguardo ad una interpretazione sistematica delle norme in tema di mediazione, cui questo giudice ritiene di aderire: “ Un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme istitutive della cd. giurisdizione condizionata (quali quelle che prevedono lo svolgimento, in via precontenziosa, di un tentativo obbligatorio di conciliazione) impone di considerare tali oneri preprocessuali in termini tali da non costituire un aggravio eccessivamente oneroso per la parte che intenda far valere il suo diritto in giudizio (pena la violazione del precetto enunciato dall’art. 24 c. 1 della Cost.), così che se la questione sulla procedibilità della domanda giudiziaria (che rimane sottratta alla disponibilità delle parti e rimessa al potere – dovere del giudice del merito, da esercitarsi nella prima udienza) non sia stata rilevata dal giudice entro detto termine (ancorchè segnalata), l’azione giudiziaria prosegue, in ossequio al principio di speditezza di cui agli artt. 24 e 111, secondo comma, Cost.” (Trib. Bari 8/10/2015, n.4237).”

Quanto alla legittimazione processuale del conduttore  il giudice ha osservato cheVa rilevato il difetto di legittimazione attiva dell’attore (eccepito dalle parti, ma rilevabile anche d’ufficio,  Cass. Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951) per i capi della sua domanda che attengono al risarcimento dei danni subiti dall’immobile di cui è conduttrice (ovvero tutti quelli delineati nella perizia B. allegata alla costituzione dell’attore, che evidenzia sostanzialmente danni alle strutture murarie, agli infissi e agli impianti).

Certamente anche il conduttore è legittimato iure proprio ad agire nei confronti di terzi per il risarcimento del danno da loro cagionato: la giurisprudenza di legittimità ha più volte sottolineato che” ai fini della legittimazione attiva è sufficiente provare l’esistenza di questo potere di fatto, in quanto l’ingiustizia del danno non è necessariamente connessa alla proprietà del bene danneggiato nè all’esistenza di un diritto tutelato erga omnes (Cass. n. 12215/03).

Tuttavia, in tali ipotesi, il conduttore potrà far valere danni ad arredi  e rifiniture che dimostri di aver installato in proprio ed ai fini dell’attività esercitata nel locale, oppure derivanti dalla mancata o diminuita disponibilità del bene in conseguenza dell’illecito posto in essere dal terzo. In ipotesi analoga la Corte di legittimità ha ritenuto legittimato il conduttore che “non lamentava un danno attinente alla struttura del locale, ma al pavimento in parquet, che aveva installato per rendere il locale più idoneo all’esposizione di mobilio e arredi, che costituivano l’oggetto dell’attività di esposizione e vendita da lui esercitata” (Cass. Cassazione civile sez. III, 31/08/2011, n.17881).”

Con riguardo a tali danni  il conduttore non ha invece, nel giudizio in esame, fornito alcuna prova.

Relativamente  alla eccepita carenza di legittimazione passiva del condominio il Tribunale  ha rilevato che : “alla luce di Cass. Sez. Un. 9449/2016 – è onere del condominio, che adduca una responsabilità assorbente del proprietario esclusivo del lastrico, fornire la relativa prova: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria; il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821).” Cass. 3239/2017.

Ebbene, né il condominio né la compagnia terza chiamata, pur avendo dedotto prove in tal senso, dimostrandosi dunque consapevoli degli oneri processuali che incombevano loro, hanno poi addotto i relativi testimoni, preferendo dilungarsi su asserite ed inesistenti carenze di legittimazione passiva del condominio, dimostrando una condotta processuale assai poco diligente e costruttiva”

quanto infine alla sussistenza di caso fortuito il Tribunale osserva che la deduzione di un evento atmosferico straordinario sulla provincia non costituisce, di per sé, dimostrazione che si tratti di fatto che abbia avuto autonoma incidenza causale sulla vicenda dedotta in causa, onere probatorio che incombe sul custode che intende vedersi esonerato dalla presunzione di responsabilità stabilità dall’art. 2051 c.c.”

copyright massimo ginesi 14 ottobre 2019 

Tribunale Torino: i poteri gestori dei singoli amministratori, morosità e fondo cassa.

Una pronuncia recente del Tribunale sabaudo (Trib. Torino sez. III, 09/09/2019 n.3980) riprende pacifici principi di legittimità in tema di nascita del condominio, chiarisce opportunamente il margine di azione degli amministratori dei singoli fabbricati che lo compongono e la legittimazione processuale dei singoli ‘supercondomini’, introduce alcune interessanti riflessioni sula costituzione del fondo morosità, pur adottando argomentazioni sul punto che dettano più di una perplessità sotto il profilo del corretto inquadramento sistematico dell’obbligazione condominiale, laddove si fa riferimento ad una solidarietà passiva  tout court di tutti i partecipanti.

sulla nascita del condominio e legittimazione ad agire –  “Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, “Il cd. supercondominio viene in essere “ipso iure et facto”, ove il titolo non disponga altrimenti, in presenza di beni o servizi comuni a più condomìni autonomi, dai quali rimane, tuttavia, distinto; il potere degli amministratori di ciascun condominio di compiere gli atti indicati dagli artt. 1130 e 1131 c.c. è limitato, pertanto, alla facoltà di agire o resistere in giudizio con riferimento ai soli beni comuni all’edificio amministrato e non a quelli facenti parte del complesso immobiliare composto da più condomìni, che deve essere gestito attraverso le deliberazioni e gli atti assunti dai propri organi, quali l’assemblea di tutti i proprietari e l’amministratore del cd. Supercondominio” Cass. 28.1.2019 n. 2279; conf. ex multis 15.11.2017 n.27094).

A ciò consegue che “Nell’ipotesi di supercondominio, ciascun condomino, proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo compongono, è legittimato ad agire per la tutela delle parti comuni degli stessi ed a partecipare alla relativa assemblea, con la conseguenza che le disposizioni dell’art. 1136 cod. civ., in tema di formazione e calcolo delle maggioranze, si applicano considerando gli elementi reale e personale del medesimo supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le porzioni comprese nel complesso e da tutti i rispettivi titolari” (Cass. 21.2.2013 n. 4340).

Nel regolamento del Supercondominio prodotto in atti non emerge alcuna deroga a tale assetto e ne è conferma la partecipazione alle assemblea di appositi delegati rappresentanti dei proprietari dei singoli Condomìnii aventi i servizi in comune.”

sulla legittimazione dei singoli amministratori – Posto ciò, va preso atto che i singoli condòmini dei due Condomìnii attori nelle assemblee suddette hanno deliberato all’unanimità di voler impugnare la delibera assunta dal Supercondominio in data 5.7.2016 (cfr. doc. 5 e 6) dando a ciò specifico mandato all’amministratore dei loro singoli Condomìnii e pertanto non vi è dubbio alcuno sulla legittimazione e titolarità attiva nel presente procedimento di soggetti rappresentanti di tali singoli proprietari facenti parte del Supercondominio (tutti attinti negativamente dalla delibera impugnata).

Non inficia tale delibera il fatto che il punto non fosse stato inserito nell’ordine del giorno della convocazione, posto che tale convocazione era stata inviata in epoca precedente alla delibera del 5.7.2016 assunta dal Supercondominio e, avuto riguardo alla ristrettezza dei tempi per l’impugnazione, i condòmini presenti all’assemblea avevano deliberato all’unanimità la decisione di impugnarla tutti insieme per il tramite del loro amministratore di Condominio. Una simile delibera, quand’anche in ipotesi annullabile da eventuali condòmini assenti, non è mai stata impugnata, così che è ormai divenuta definitiva.

In ordine alla legittimazione passiva, di contro, è pacifico che unico soggetto passivamente legittimato a costituirsi è quello la cui delibera viene impugnata e quindi nel caso in esame il solo Supercondominio a mezzo del proprio amministratore, fermo restando il diritto ad intervenire dei singoli condòmini o dei Condomìnii previa apposita delibera autorizzativa (cfr. Cass. 17.7.2006 n. 16228 ove testualmente: “Ai sensi dell’art.1131, secondo comma, cod. civ., l’amministratore del condominio è passivamente legittimato a stare in giudizio nella controversia promossa dal singolo condomino per l’annullamento di una delibera assembleare di attribuzione dei posti auto su uno spazio comune, senza necessità che, al relativo giudizio, partecipino i condomini, i quali hanno soltanto la facoltà di intervenire”).

Ciò ovviamente, purché la delibera impugnata non sia tale da incidere sui diritti di proprietà, da cui deriverebbe un litisconsorzio necessario di tutti i condòmini (cfr. Cass. 31.8.2017 n. 20612).

Risulta pertanto corretta la dichiarata contumacia del Supercondominio già dichiarata all’udienza del 5.10.2017 e di ciò se ne è dato atto anche nell’intestazione della presente sentenza.

Va ulteriormente precisato che i due Condomìnii Felce ed Erika devono essere qualificati come intervenuti volontari, alla stregua anche degli altri singoli condomini costituitisi in limine, con la mera differenza che, mentre i Condomìnii Felce ed Erika hanno spiegato intervento autonomo, gli altri singoli condòmini costituiti solo successivamente, hanno dichiarato di aderirvi in modo dipendente.”

obbligazioni e fondo cassa morosità: “E’ principio generale quello che pone le spese condominiali relative a quote personali di condomini morosi e divenute non più recuperabili, a carico dell’intero Condominio; questi potrà poi decidere se costituire un fondo-cassa ad hoc per evitare danni nei confronti di tutti i condòmini esposti dal vincolo di solidarietà passiva (cfr. Cass. 5.11.2001 n. 13631) o la ridistribuzione proporzionale delle stesse in capo a tutti gli altri partecipanti al condominio, con il sorgere in capo ad essi di un’azione d’ingiustificato arricchimento, stante il vantaggio economico ricevuto dai condòmini morosi (cfr. Cass. 20.5.2019 n. 13505).

Laddove, quindi, le quote rimaste impagate attengano a spese effettuate in relazione ai servizi comuni per i quali si è costituito un Supercondominio (riscaldamento e altro), è in capo ad esso nella sua interezza che ricadono le conseguenze di eventuali morosità, indipendentemente dal fatto che questi condòmini morosi appartengano all’uno o all’altro Condominio, i cui stabili sono serviti in maniera unitaria e comune dagli impianti relativi al Supercondominio. I partecipanti del Supercondominio sono, come visto, i singoli proprietari degli alloggi e partecipanti ad esso e non ogni singolo Condominio cui essi pure partecipano per altri beni e spese comuni.”

in realtà la corte di legittimità ha chiarito, anche di recente, l’insussistenza di solidarietà, dovendosi ascrivere la fattispecie. di cui all’art. 63 disp.att. cod.civ. ad una sorta di sussidiarietà dei condomini virtuosi, ove sia acclarata l’insolvenza del moroso. 

© massimo ginesi 26 settembre 2019

azione possessoria: la legittimazione dell’amministratore per beni non condominiali

un condominio installa una sbarra di accesso ad un’area che utilizza come parcheggio e che appartiene ad un terzo soggetto. Il condominio confinante, che pure usava anch’esso tale area come parcheggio e transito per l’accesso al proprio fabbricato, propone azione di reintegrazione nel possesso (e in subordine di manutenzione), evocando in giudizio l’amministratore del condominio che ha installato la sbarra.

Fra le diverse eccezioni sollevate dal convenuto, vi è quella di carenza di legittimazione passiva dell’amministratore (affermando che si dovevano evocare in giudizio tutti i singoli condomini…), respinta – unitamente alle altre – dal Tribunale apuano che ha accolto la domanda in sede di reclamo (Trib. Massa  9 maggio 2019 n. 498).

Il provvedimento affronta sia il tema della legittimazione dell’amministratore per beni che, pur non di proprità del condominio, svolgano comunque funzione comune, sia l’idoneità della installazione di una sbarra a costituire spoglio.

La reintegrazione è stata ordinata mediante consegna del dispositivo di apertura della sbarra ai ricorrenti.

Le parti ricorrenti, condomini del fabbricato antistante il Condominio D., hanno dato prova, tramite le deposizioni rese dai sommari informatori escussi, di aver pacificamente utilizzato (da oltre trenta anni) l’area posta fra i due edifici per accedere alle proprie unità immobiliari e per la sosta dei propri autoveicoli.

Tale situazione di fatto costituisce, per pacifica giurisprudenza, possesso giuridicamente tutelabile, posto che  “a chi invoca la tutela è sufficiente provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile, con la conseguenza che è sufficiente un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purché abbia i caratteri esteriori di un diritto reale” (Cass. 4498/2014, resa in caso del tutto analogo; Cass. 16974/2007 Cass. 10470/1991 n. 10470).

Né può esservi dubbio che l’utilizzo dell’area come passaggio e come parcheggio costituisca esercizio di un potere di fatto corrispondente a diritto reale, posto che il transito è pacificamente riconducibile all’esercizio di servitù e che il parcheggio degli autoveicoli è stato talvolta in giurisprudenza ricondotto alla figura della servitù (Cass. 16698/2017) e in altre occasioni ad una estrinsecazione del diritto di proprietà (Cass. 23708/2014).

Sotto tale profilo, parte attrice ha adempiuto all’onere probatorio che alla stessa incombeva ex art 2697 comma I cod.civ., mentre non paiono fondate le eccezioni di rito e di merito svolte dal convenuto. 

Quanto alla legittimazione passiva dell’amministratore del Condominio D., essendo incontestato che la sbarra che impedisce l’accesso all’area sia stata posta in essere da detto condominio, è sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (a far data da Cass. Sez.un. 18331/2010) in ordine alla sussistenza della legittimazione passiva dell’amministratore per ogni azione relativa a beni comuni che non sia volta ad accertare la titolarità o la misura dei diritti dei singoli condomini, tenuto conto che pur se l’area oggetto di sosta appartiene a terzi e non al condominio convenuto, è fuor di dubbio e contestazione che la sbarra che  impedisce l’accesso sia stato posto in essere dal Condominio D.,  al fine di escludere i terzi (compresi i ricorrenti) e tutelare l’uso che della medesima i condomini di quel fabbricato effettuano, sì che comunque tale manufatto andrebbe ascritto ai beni e servizi comuni ex art 1117 c.c. 

Tale legittimazione, pertanto, sussiste e persiste anche quando il servizio comune sia reso da un bene estraneo al condominio, così come in più occasioni riconosciuto dalla corte di legittimità: in tema di controversie condominiali, la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi dell’art. 1131, 2 co., cod. civ. non incontra limiti e sussiste, anche in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino (trovando ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini) in ordine alle parti comuni dello stabile condominiale, tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purché adibite all’uso comune di tutti i condomini” (Cass. 22911/2018, Cass. 9206/2005).

Quanto alla sussistenza di condotta riconducibile allo spoglio, deve rilevarsi che l’installazione della sbarra costituisce evento che impedisce l’accesso all’area, riservandone l’utilizzo solo a coloro che sono in possesso dello strumento necessario alla sua apertura, con l’evidente intento di impedire di fatto a chiunque altro l’utilizzo effettuato sino a quel momento. 

In tal senso pacificamente si è riconosciuto in giurisprudenza la sussistenza dei requisiti dello spoglio, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo: “la violenza e la clandestinità dell’azione – che implicano l’animus spoliandi – non sono insiti in ogni fatto materiale che determini la privazione dell’altrui possesso, ma conseguono solo alla consapevolezza di contrastare e di violare la posizione soggettiva del terzo” (Cass. 24673/2013, Cass. 1454/1978 n.; Cass. 11453/2000).

In particolare, con specifico riferimento alla installazione di sbarra che impedisca l’accesso ad aree prima utilizzate da una pluralità di soggetti, costituisce orientamento consolidato di legittimità che tale condotta non legittimi tutela (anche in via possessoria) solo ove non incida in maniera significativa sulle modalità di esercizio del potere di fatto preventivamente sussistente: “in tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso (Cass. n. 11036 del 2003; Cass. n. 1743 del 2005) e, in particolare, che l’apposizione di un cancello di agevole apertura, non configura spoglio o molestia ma costituisce un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori” (Cass. 1584/2015, Cass. 154/1994; Cass. 3831 1985).

Nel caso di specie non vi è dubbio che l’installazione della sbarra abbia improvvisamente e cruentemente sottratto l’accesso veicolare all’area  e l’uso della stessa da parte dei ricorrenti, elidendo in buona parte il potere di fatto sino a quel momento esercitato da costoro.

Sotto tale profilo non può trovare accoglimento la tesi difensiva di parte convenuta, laddove eccepisce che l’area sarebbe stata comunque inutilizzabile da lungo tempo per l’effettuazione di lavori straordinari di consolidamento (costituendo copertura di autorimesse sottostanti): va infatti rilevato che gli informatori escussi hanno riferito che – dopo l’effettuazione di tali lavori, disposti a  seguito di procedimento giudiziale iniziato nel lontano 2009 –  l’uso dell’area era ripreso anche da parte dei ricorrenti, così come va evidenziato che  la sospensione dell’esercizio del potere di fatto in conseguenza di necessità evidenti e di forza maggiore non appare idoneo a far cessare il possesso da parte di coloro che lo esercitano (essendo circostanza inidonea d incidere sull’elemento soggettivo dello stesso).

Neanche può dedursi per via implicita, come pretenderebbe parte convenuta, che l’installazione della sbarra nell’agosto 2017 rappresenti l’atto ultimo di un iter unitario volto ad impedire l’accesso di terzi a quell’area: l’indisponibilità dell’area per chiunque, in conseguenza del suo transennamento per l’effettuazione dei lavori straordinari di manutenzione  è vicenda ontologicamente diversa e non assimilabile all’attività unilaterale di una parte dei compossessori, volta ad impedirne l’utilizzo agli altri. 

In tal senso ancor meno rilievo ha il cartello di divieto di accesso, richiamato dal convenuto quale elemento idoneo a dimostrare l’antecedente attrazione dell’area nella sfera esclsuiva del convenuto, poiché si tratta di indicazione che ben può essere diretta a terzi estranei, ma che appare inidoneo ad incidere sulla situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti, specie a fronte del dimostrato permanere dell’esercizio del loro potere di fatto sull’area. 

Quanto testé evidenziato è idoneo anche ad evidenziare l’infondatezza della eccezione di parte convenuta relativa al decorso del termine annuale per l’azione possessoria: l’installazione della sbarra, che per le ragioni sin qui delineate è l’atto idoneo ad interrompere con violenza l’esercizio del possesso da parte dei ricorrenti, è pacificamente avvenuta nell’agosto 2017 ed il ricorso per tutela possessoria è stato depositato in data 10.5.2018 

Deve infine rilevarsi che le ragioni dei ricorrenti possono trovare tutela anche attraverso modalità che consentano l’utilizzo dell’area senza la rimozione della sbarra, idonea comunque ad impedire a terzi l’accesso e a realizzare eprtanto un interesse lecito degli altri compossessori”

© massimo ginesi 15 maggio 2019