il procedimento per la nomina giudiziale di amministratore ha natura di volontaria giurisdizione e pertanto non è soggetto all’applicazione del principio di soccombenza, con conseguente condanna alle spese, neanche ove la domanda sia respinta.
E’ quanto ha di recente statuito la suprema corte (Cass.civ. sez. VI ord. 20 gennaio 2022 n. 1799): “il procedimento per la nomina giudiziale dell’amministratore di condominio si caratterizza, pur in presenza di situazioni di contrasto tra i condomini, per essere finalizzato esclusivamente alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio, con l’effetto che con riguardo ad esso non trovano applicazione le regole di cui agli artt. 91 e seguenti cod. proc. civ., che postulano l’identificazione di una parte vittoriosa e di una soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo effettivamente contenzioso (Cass. n. 25336 del 2018; Cass. n. 5194 del 2002).”
Una recente ordinanza del Tribunale Apuano (Trib. Massa 28 dicembre 2020), resa in sede di volontaria giurisdizione, respinge l’istanza di revoca dell’amministratore che non avrebbe indicato il compenso, sottolineando come tale aspetto attenga ad un vizio della nomina che richiede accertamento in sede sede contenziosa, riprendendo un recente dictum della Corte di legittimità. .
L’ordinanza contiene anche alcune indicazioni sulla gravità delle irregolarità commesse dall’amministratore e sulla loro idoneità a determinarne la revoca giudiziale, posto che le tipizzazioni previste dall’art. 1129 c.c. non sono né tassative ne vincolanti, richiedendo sempre apprezzamento di fatto da parte del giudice.
Una recente e corposa ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II 5 novembre 2020 n. 24761 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare e di significativo interesse: non sempre ciò che da luogo a gravi irregolarità comporta necessariamente anche vizio della delibera che approvi i rendiconti, poiché taluni profili hanno rilevanza ex art 1129 c.c. per l’eventuale richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore ed altri possono invece essere censurati ex art 1137 c.c. come vizio della delibera.
La pronuncia coglie anche lo spunto per ribadire alcuni orientamenti, ormai consolidati, in tema di redazione del bilancio, di diritto di accesso ai documenti da parte dei condomini, poteri del giudice in ordine alla valutazione di legittimità della delibera.
Nel caso in esame il condomino ricorrente (che già si sera visto respingere la domanda in appello e condannare per lite temeraria ex art 96 c.p.c.), sostiene in cassazione “ la violazione dell’art. 1129 c.c., comma 7, dell’art. 263 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c. gli artt. 112 e 345 c.p.c. e dell’art. 1136 c.c. Con la censura si contesta la regolarità contabile del bilancio condominiale approvato con la Delib. 12 aprile 2012, richiamando le critiche svolte in primo grado ed in appello dal ricorrente (gestione del conto corrente, ammontare del saldo di cassa, mancata consegna della documentazione). Il terzo motivo di ricorso deduce la “sparizione della portineria condominiale, dell’alloggio del portiere nonché della indebita proprietà dei locali ad uso della società dell’amministratore condominiale R.W. , OPE.RA. s.r.l.”, quali violazioni dell’art. 1129 c.c., art. 1130 c.c., comma 6, in riferimento agli artt. 832, 2621 e 2622 c.c.”.
La Corte preliminarmente osserva un difetto di applicabilità delle norme ratione temporis, poiché gli artt. 1129 e 1130 c.c. nella formulazione attuale sono entrati in vigore nel 2013 e non possono essere fatti valere per censurare una deliberazione assunta nel 2012.
Nel merito la corte osserva che “Le censure introdotte col secondo motivo sono anche contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise (avendosi riguardo, in relazione alla data di approvazione dell’impugnata delibera, alla disciplina condominiale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012), senza offrire elementi che inducano a mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, 27 gennaio 1988, n. 731). È poi certo nell’interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea), senza neppure l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l’esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all’attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).
È altrettanto consolidato l’orientamento giurisprudenziale che precisa come per la validità della deliberazione di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società; è invero sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747).
Il ricorrente, col secondo motivo, auspica che la Corte di cassazione tragga dalle risultanze istruttorie un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le stesse nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.”
La Corte osserva inoltre che, una volta che il condomino abbia impugnato la delibera deducendo un determinato vizio, non è consentito al giudice discostarsi dalla domanda e pervenire all’annullamento epr motivi diversi da quelli espressamente dedotti dalla parte: “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione nè, tantomeno, l’annullamento, sia pure per la stessa ragione esplicitata con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata, delle altre delibere adottate nella stessa adunanza ma non ritualmente opposte in quanto, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, l’assemblea pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione, con la conseguente astratta configurabilità di separate ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2018, n. 16675). Un conto è allora domandare l’invalidità della deliberazione assembleare che non abbia individuato e riprodotto nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali, come il M. assume di aver prospettato in primo grado, altro conto è denunciare l’annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. con riferimento all’elemento reale ed all’elemento personale (domanda che correttamente, perciò, la Corte d’appello di Torino afferma non proposta tempestivamente dal ricorrente).”
L’amministratore che prosegue nell’incarico in regime di prorogatio e che non è stato ritualmente nominato dall’asemblea non è passibile di revoca per gravi irregolarità, posto che in ogni momento l’assembela può provvedere a nominare altro soggetto e ciascun condomino può chiederne la nomina in via giudiziale, ove l’organo collegiale non si attivi.
E’ quanto ha statuito il Tribunale di Massa con provvedimento depositato il 27 luglio 2020.
si conferma fra i giudici di merito l’orientamento che il difetto di formazione periodica non costituisca motivo di nullità della nomina ma, al più, ove ne rivesta i requisiti per continuità e gravità, motivo di revoca.
Parrebbe allontanarsi dunque la lettura rigorista e, al momento, isolata espressa – invero immotivatamente – da un Tribunale veneto a da talune associazioni che hanno veicolato in maniera frettolosa (e fors’anche utilitaristica) un tesi che non pare trovare sostegno nel testo normativo.
la Corte d’appello di Venezia, con decreto 26 ottobre 2018 n. 3399 ha respinto la domanda di taluni condomini, osservando come l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non preveda affatto la cessazione dall’incarico ove vengano meno i requisiti formativi.
si tratta di lettura ancorata al dato letterale e che appare condivisibile, attenderemo di conoscere dalla giurisprudenza di legittimità se la nullità debba ascriversi a principi generali in tema di norme a rilevanza pubblica, anche se parrebbe singolare desumere una simile conseguenza interpretativa a fronte di una norma che, chiaramente e specificamente, indica ben precise ipotesi di cessazione e non connette invece specifica sanzione all’inadempimento riguardo gli obblighi di formazione periodica.
Una recente pronuncia del Tribunale Apuano (Trib. Massa 20 maggio 2019), che ha respinto una domanda di revoca dell’amministratore, si sofferma sulla condizione di procedibilità nel procedimento di volontaria giurisdizione (escludendola) e sulla natura delle gravi irregolarità.
“Va preliminarmente disattesa l’eccezione di improcedibilità avanzata dal convenuto, posto che il procedimento di mediazione obbligatoria di cui all’art. 5 D.lgs 28/2010 non si applica ai procedimenti di volontaria giurisdizione, anche laddove abbiano ad oggetto domanda che, ratione materia, è riconducibile a tale previsione normativa: “l’art. 5 comma 4, lett. f, (come sostituito dal d.l. n. 69/2013, conv. in I.n. 98/2013) del d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28, è inequivoco nel disporre che il meccanismo della condizione di procedibilità, di cui ai commi 1-bis e 2, non si applica nei procedimenti in camera di consiglio, essendo proprio il giudizio di revoca dell’amministratore di condominio un procedimento camerale plurilaterale tipico” (Cass.Civ. sez. VI 18 gennaio 2018 n. 1237, Trib. Milano 28.3.2018 n. 955).
Non appare cogliere nel segno neanche l’eccezione, sollevata dal convenuto, che la grave irregolarità lamentata dall’attore non rientrerebbe nelle ipotesi previste dall’art. 1129 c.c, poiché la norma, così come novellata dalla L. 220/2012, prevede una tipizzazione delle irregolarità amministrative che costituisce mera indicazione esemplificativa, non tassativa né esaustiva, delle condotte illecite e lascia impregiudicata la facoltà del giudice di apprezzare, ai fini della revoca, qualunque irregolarità che risulti di gravità tale da incidere in maniera esiziale sul vincolo di mandato fra i condomini e l’amministratore.
Il ricorso appare tuttavia infondato nel merito, poiché non può essere ascritta a grave irregolarità, idonea alla revoca ex art 1129 c.c., la condotta dell’amministratore che erroneamente abbia imputato – in maniera chiara e trasparente – ad un singolo condomino una spesa non dovuta, specie ove tale condotta sia avallata dalla assemblea che abbia approvato quel rendiconto.
Non ogni errore contabile, infatti, costituisce di per sé grave irregolarità, specie ove allo stesso si poteva opporre ordinaria azione giudiziale volta a contestare la relativa delibera di approvazione, come certamente è possibile nel caso di specie, ove l’amministratore imputa al singolo, peraltro in maniera assolutamente chiara, identificabile e trasparente, seppur erronea, spese quali le competenze del legale che ha predisposto il sollecito di pagamento o il fondo spese, corrisposto allo stesso difensore, per la richiesta di decreto ingiuntivo contro l’attrice, senza che poi il ricorso sia mai stato depositato (arg. da Cass. 12573/2019)
Ancor meno riconducibile alle ipotesi di gravi irregolarità atipiche, previste dell’art. 1129 c.c., la condotta dell’amministratore che veda pieno recepimento in espressioni di volontà dell’organo assembleare: “In materia condominiale, con riferimento alle ipotesi – tipiche ma non tassative – di cui al dodicesimo comma dell’art. 1129 c.c., il fondato sospetto di gravi irregolarità ricorre in presenza di comportamenti gravemente significativi del venir meno del necessario rapporto di fiducia tra amministratore e condomini, e tale situazione – anche nel regime successivo alla novella di cui alla l. n. 220/2012 – è esclusa nel caso di lamentele attinenti a una gestione avallata dalla maggioranza assembleare con delibere non impugnate dai condomini ricorrenti” (Tribunale Modena sez. II, 18/01/2017, n.205)
Nel caso di specie non vi è dubbio che tutte le somme contestate dal ricorrente appaiono specificamente indicate e documentate nei rendiconti e nei documenti contabili giustificativi, approvati dalla assemblea, come espressamente riconosce la stessa B., che afferma di essersi anche recata più volte dall’amministratore e dal legale incaricato dal condominio a versare gli importi richiesti e a chiedere chiarimenti, sicchè si tratterebbe al più di vizi contestabili attraverso ordinaria azione di impugnazione senza che nella condotta dell’amministratore siano ravvisabili particolari motivi di gravità ed oscurità gestionale – tali da pregiudicare il corretto andamento della gestione condominiale e l’osservanza dei doveri specifici previsti dall’art. 1130 c.c. – e che, pertanto, ne giustifichino la revoca giudiziale.
Si deve ritenere, invece, come peraltro emerge dalla stessa analisi delle ipotesi tipizzate dal legislatore del 2012 nell’art. 1129 c.c. e dalla giurisprudenza di merito sul tema (Trib. Messina 22.1.2013, Trib. Mantova 22.10.2015, Trib. Firenze 15.12.2014, Trib. Roma 7.7.2017, App. Firenze 5.12.2018 n.9020), che tale provvedimento presupponga una gestione tale da rendere inintelligibile al mandante il contenuto e le conseguenze dell’operato del mandatario oppure la grave (e, in taluni casi, reiterata) violazione di doveri gestori che comporti la lesione attuale del diritto dei condomini ad una amministrazione legittima e trasparente del condominio, posto che l’art. 1129 c.c. è norma posta a presidio sia della corretta gestione del condominio che del rapporto fiduciario fra organo gestorio ed organo decisionale.”
L’amministratore che non adempie al dovere di formazione periodica ex art 71 bis disp.att. cod.civ. e dm 140/2014 è semplicemente revocabile.
La tesi è stata ribadita dai giudici meneghini (Trib. Milano sez. XIII 27 marzo 2019 n. 3145), con una motivazione assai sintetica e che omette di affrontare il vero aspetto della questione.
E’ quanto afferma App. Firenze 5.12.2018, che in sede di reclamo provvede a revocare un amministratore che faceva transitare sul proprio conto corrente i contanti ricevuti per conto del condominio, a nulla rilevando che le movimentazioni fossero comunque poi identificabili dal riscontro con gli altri elementi del rendiconto.
“si deve ritenere grave irregolarità la mancata utilizzazione dello specifico conto corrente intestato al condominio per il trasferimento di contanti ricevuti dall’amministratore. Non è condivisibile che si tratti di somme di esiguo valore, che farebbero a ritenere veniale la mancanza addebitata, trattandosi di vari casi in cui l’amministratore ha ricevuto somme per svariate centinaia di euro…
Ulteriori operazioni di cassa attestano l’emissione di assegni e bonifici che hanno causali “recuperi”, “restituzione anticipo”, “rimborsi” fatto questo che effettivamente genera confusione fra il patrimonio personale dell’amministratore quello del condominio, indipendentemente dall’effettività di un riscontro giustificativo ulteriore che possa essere dato dal registro di cassa, istituito dall’amministratore proprio per far fronte alla gestione del contante
La condotta complessivamente tenuta dall’amministratore deve quindi ritenersi rientri, per più aspetti, nelle ipotesi di gravi irregolarità tipizzate dall’articolo 1129 del codice civile che costituiscono presupposto per la revoca dall’incarico”
La legge 220/2012 ha introdotto l’art. 71 bis disp.att. cod.civ., norma che – fra i requisiti indispensabili per svolgere l’incarico di amministratore – ha indicato una serie di caratteristiche soggettive, fra le quali l’assenza di condanne per alcuni tipi di reati, l’assenza di protesti, il godimento dei diritti civili e politici, la capacità di agire (sic!).
Il legislatore ha ritenuto che il venir meno di uno di tali requisiti (previsti dalle lettere a/e della norma) comportasse la cessazione ipso iure dall’incarico, sì che ciascun condomino avrebbe potuto prendere l’iniziativa per la nomina di un nuovo amministratore.
In tal caso , aldilà della categoria giuridica a cui si vuol ascrivere la conseguenza prevista dalla norma, il precetto è chiaro e comporta una conseguenza non fraintendile.
La norma prevede poi alla lettera F l’obbligo di formazione iniziale e periodica, norma talmente infelice nella sua generica formulazione , che si è dovuto provvedere con un successivo – ancor più infelice – decreto di attuazione (DM 140/2014) per stabilire i parametri obbligatori di formazione dell’amministratore di condominio.
Se da molte parti, anche assai autorevoli, si è a più riprese sostenuto che il legislatore del 2012 non abbia brillato per chiarezza ed efficacia, v’è da dire che con le norme sulla “professionalizzazione ” dell’amministratore ha certamente dato il peggio di sé, a cui è seguito il peggio di taluni lettori interessati.
Talune associazioni, che hanno visto nel fenomeno della formazione obbligatoria più un lucroso business che una vera opportunità di crescita, hanno immediatamente dato della norma una lettura rigidissima (aggiungendovi il bislacco computo dei termini obbligatori dal 9 ottobre di ciascun anno), avvallati in questo da una discutibilissima sentenza (rectius, un postulato) del Tribunale di Padova.
Non è tuttavia mancata autorevole dottrina che ha ritenuto le norme sulla formazione volte a garantire un interesse pubblico e diffuso alla corretta gestione del patrimonio immobiliare, da ascriversi pertanto al rango di norme imperative, sì che la loro violazione darebbe comunque luogo a nullità della nomina del soggetto che non adempie agli obblighi formativi anche se l’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non prevede alcun specifica conseguenza, poiché ciò deriverebbe (con una conclusione che a chi scrive pare poco condivisibile) dai principi generali dell’ordinamento.
Una recentissima e ragionevole pronuncia del Tribunale di Verona si richiama al noto principio dell’ubi lex voluti, dixit: l’amministratore che non adempie agli obblighi formativi, in mancanza di espressa sanzione prevista dalla legge, commettere irregolarità che dovrà essere valutata dal giudice, per importanza e frequenza, ai fini della eventuale revoca.
Con buona pace di tante cassandre e di tanti incalliti formatori seriali, sorti come i prataioli all’indomani di una serata uggiosa, che avevano trovato il proprio manifesto ideologico nella sentenza padovana.
Più attenta riflessione merita invece l’autorevole pensiero che richiama il rilievo pubblicistico della normativa primaria (di cui il decreto attuativo 140/2014 sarebbe norma integrativa), anche se allo stato paiono più pertinenti e preferibili le indicazioni che emergono dalla recente sentenza scaligera; certo è tema che, aldilà delle sterili dispute da associazione, potrà in diritto trovare adeguata stabilità nel momento in cui il tema approderà in sede di legittimità.
Per il momento può tuttavia essere assai interessante leggere le motivazioni di Trib. Verona 11 novembre 2018 n. 2515 Giudice unico dr. Vaccari, il quale osserva che la domanda “va qualificata, più correttamente, come domanda di declaratoria di nullità della sua nomina, per effetto della prospettata invalidità della delibera impugnata atteso che la domanda di revoca dell’amministratore di condominio avrebbe dovuto essere introdotta con un apposito procedimento camerale, di competenza del Tribunale collegiale…
L’assunto attoreo si fonda su un unico precedente di merito che ha ritenuto che la mancata frequentazione da parte dell’amministratore del corso di aggiornamento annuale sia causa di nullità della delibera che lo ha nominato, evidentemente con riguardo al suo oggetto, per contrasto con l’art. 71 bis, lett. g) disp. att. c.c., da considerarsi come norma imperativa.
Tale impostazione però, ad avviso di questo giudice, non è condivisibile perché non tiene conto dell’intera disciplina rilevante nel caso di specie e il cui esame conduce ad una conclusione opposta alla predetta.
E’ opportuno rammentare infatti che l’art.1129, comma 12, c.c. elenca una serie di ipotesi tipiche di gravi irregolarità giustificanti la revoca dell’amministratore condominiale che consistono in condotte omissive del medesimo, successive o contestuali alla sua nomina (queste ultime sono menzionate nel n. 8 della norma sopra citata). Il comma 14 cita poi una ipotesi di nullità della nomina dell’amministratore consistente nella mancata specificazione, al momento di essa o del suo rinnovo, dell’entità del compenso richiesto.
Orbene, da tale previsione può evincersi che, quando il legislatore ha inteso sanzionare con la nullità della delibera di nomina dell’amministratore l’omissione di alcuni adempimenti connessi all’assunzione dell’incarico di amministratore condominiale, lo ha affermato espressamente e quindi che ulteriori ipotesi di nullità, quale conseguenza dell’inadempimento di altri doveri, non possono essere ricavate in via interpretativa.
Tali inadempimenti, specie se protratti nel tempo, possono invece integrare le gravi irregolarità che giustificano la revoca dalla carica oltre che essere fonte di responsabilità per l’amministratore inadempiente. “
Che l’amministratore sia una figura che svolge attività complessa ed eterogenea, che spazia in numerose discipline debba essere un professionista formato e preparato è è oggi fuor di dubbio, che la preparazione non si raggiunga attraverso taluni metodi formativi industriali ove alla cultura si è sostituito tutto quanto passa il convento è oggi altrettanto certo. Ci si forma studiando e seguendo corsi seri con docenti qualificati, non mettendo timbri su libretti che vanno da ottobre ad ottobre nè (in)seguendo giostre da 15 ore…
Pare che vi sia allo studio un progetto di riforma della professione di amministratore. La speranza è che il legislatore attuale sia un pò meno approssimativo di quello del 2012.
Il ricorso di volontaria giurisdizione per la nomina di amministratore (ex art. 1129 comma I cod.civ. ) introduce un procedimento con finalità amministrative che non ha natura contenziosa ed al quale non si applica il principio della soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c.: chi propone la domanda, dunque, si accollerà le relative spese e legittimamente il giudice del merito si asterrà dal disporre sul punto.
il relativo provvedimento non è ricorribile per cassazione: è quanto statuisce con una articolata sentenza Cass.Civ. sez. II 11/10/2018, n. 25336, che richiama le sezioni unite 20957/2004.
“in conformità al principio sancito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20957/2004 (riconfermato, con riguardo al profilo principale, da tutta la giurisprudenza successiva: v. Cass. n. 8085/2005; Cass. n. 25928/2005 e Cass. n. 14524/2011, ord.), relativa al procedimento per la nomina o revoca di amministratore condominiale adottato in sede di reclamo dal giudice della volontaria giurisdizione, deve affermarsi che il ricorso per cassazione è ammissibile solo ove si sia (illegittimamente) provveduto alla regolazione delle spese del procedimento, mentre – nell’ipotesi di non luogo a provvedere sul punto (come ha correttamente disposto il Tribunale di Milano nel caso di specie in cui in virtù della ritenuta natura sostanzialmente amministrativa del procedimento) – non può considerarsi propriamente ammissibile…
Del resto, in altra importante pronuncia (sentenza n. 18730/2005, opportunamente richiamata dal Tribunale ambrosiano), questa Corte ha avuto modo di evidenziare come, proprio ai fini della risoluzione della questione in esame, sia rilevante sottolineare gli elementi caratterizzanti l’attività di giurisdizione volontaria, nel cui ambito il giudice non è chiamato a decidere su controversie sorte tra parti contrapposte per la tutela di diritti, ma alla emissione di provvedimenti finalizzati alla soddisfazione di privati interessi senza contesa tra le parti, concorrendo così alla costituzione di rapporti giuridici nuovi o allo svolgimento di quelli esistenti.
In tale contesto rientra, quindi, anche il provvedimento dell’autorità giudiziaria relativo alla nomina dell’amministratore di condominio (sia esso di accoglimento o di rigetto dell’istanza di uno o di più condomini, che, peraltro, non è qualificato espressamente come reclamabile, a differenza di quello adottato in ordine alla revoca: cfr. Cass. n. 9942/1996), in quanto inidoneo al giudicato e non destinato ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, essendo modificabile e revocabile in ogni tempo anche con efficacia “ex tunc”, cosicchè proprio per tali considerazioni si afferma l’inammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost..
Pertanto il provvedimento camerale relativo alla istanza di nomina o di revoca dell’amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra condomini, si risolve in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo privo dell’attitudine a produrre gli effetti del giudicato su posizioni soggettive in contrasto, essendo finalizzato soltanto alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio ad una sua corretta amministrazione.
Dalle considerazioni esposte consegue che nei procedimenti di volontaria giurisdizione in questione non trovano applicazione le regole di cui all’art. 91 c.p.c. e ss., le quali postulano l’identificazione di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo effettivamente contenzioso.
Di conseguenza, le evidenziate caratteristiche del procedimento ex art. 1129 c.c., comma 1, di nomina dell’amministratore di condominio (quand’anche sia stato inammissibilmente proposto reclamo avverso il relativo decreto, come accaduto nella fattispecie) comportano l’inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 91 c.p.c. e ss., cosicchè le spese del procedimento devono rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate proponendo il ricorso per la nomina dell’amministratore o resistendo a tale iniziativa giudiziaria.
3. In definitiva, avendo il Tribunale di Milano (in composizione collegiale) – sez. Volontaria Giurisdizione legittimamente statuito nel senso del non luogo a provvedere sulle spese all’esito del procedimento di reclamo (dichiarato inammissibile), ne consegue che il proposto ricorso straordinario per cassazione deve essere ritenuto inammissibile (mentre lo sarebbe stato se, al contrario e malgrado le descritte caratteristiche del procedimento in questione, avesse illegittimamente provveduto sulle spese stesse, applicando la disciplina generale del procedimento contenzioso).”