regolamento contrattuale, modifiche apportate dal singolo e sindacato dell’autorità giudiziaria.

E’ noto che il singolo condomino, ai sensi dell’art. 1102 c.c., può apportare alla cosa comune ogni modifica che renda più comodo o proficuo il suo utilizzo, purché non alteri la destinazione e non impedisca l’altrui pari uso.

Ove l’intervento rimanga entro tali parametri, il condomino può intervenire in autonomia e l’assemblea non ha alcun titolo ha rilasciare autorizzazioni, previsione che invece può essere contenuta in un regolamento di natura contrattuale.

Ove il regolamento negoziale preveda la preventiva autorizzazione dell’assemblea all’intervento del singolo, è consentito al Giudice (che per costante orientamento non può intervenire sulle valutazioni discrezionali dell’organo collegiale) sindacare la sussistenza della violazione del decoro opposto dall’assemblea per negare il consenso.

E’ quanto emerge da una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  28.12.2022 n. 37852 rel. Scarpa) che, per ampiezza e accuratezza dell’analisi, merita integrale lettura e che giunge ad affermare il seguente principio di diritto: “allorché una clausola del regolamento di condominio, di natura convenzionale, obblighi i condomini a richiedere il parere vincolante della assemblea per l’esecuzione di opere che possano pregiudicare il decoro architettonico dell’edificio, la deliberazione che deneghi al singolo partecipante il consenso all’intervento progettato, ritenendo lo stesso lesivo della estetica del complesso, può essere oggetto del sindacato dell’autorità giudiziaria, agli effetti dell’art. 1137 c.c., soltanto al fine di accertare la situazione di fatto che è alla base della determinazione collegiale, costituendo tale accertamento il presupposto indefettibile per controllare la legittimità della delibera.”

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© Massimo Ginesi 9.1.2023

legittimazione processuale dell’amministratore: ancora una conferma dalla Cassazione.

La Cassazione conferma un orientamento consolidato ed espresso  dalle Sezioni Unite con la nota pronuncia 18331/2010.

Un avvocato che aveva assistito il Condominio promuove decreto ingiuntivo per le propri competenze, l’amministratore – senza alcuna delibera sottostante – propone opposizione a detto decreto e l’avvocato eccepisce il difetto di jus postulanti dell’amministratore per non essere stato autorizzato dalla assemblea.

Cass.civ. sez. II  1 agosto 2017 n. 19151 chiarisce che “Secondo il più recente indirizzo di questa Corte, inaugurato dalla pronuncia delle Ss.UU. 18331/2010, non può ritenersi che l’amministratore del condominio sia titolare di una legittimazione processuale illimitata: l’amministratore può, in via generale, costituirsi in giudizio ed impugnare la sentenza sfavorevole senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, ma in tale ipotesi, onde evitare una pronuncia di inammissibilità, deve ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte della assemblea stessa.

Si è peraltro precisato che giusto il disposto dell’articolo 1131 commi 2 e 3 cod.civ., autorizzazione  e ratifica sono necessarie nelle sole cause che esorbitano dalle attribuzioni dell’amministratore (cass. 1451/2014), mentre esse non sono necessarie per quelle controversie che hanno ad oggetto parti o servizi condominiali e comunque riconducibili alle attribuzioni di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 10865/2016).

Da ciò consegue che l’amministratore può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ed altresì impugnare la decisione di primo grado, senza necessità di autorizzazione alla ratifica dell’assemblea, nella controversia avente ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento dell’obbligazione assunta dall’amministratore, nell’esercizio delle sue funzioni, in rappresentanza dei partecipanti al condominio, ovvero dando esecuzione a delibere dell’assemblea per l’esercizio dei servizi condominiali, e dunque limiti di cui all’articolo 1130 c.c. (Cass. 16260/2016).

Orbene, nel caso di specie, il credito fatto valere in giudizio si riferiva a prestazioni professionali per l’assistenza legale svolta nell’interesse del condominio, come risulta dallo stesso contenuto del ricorso, in cui gli avvocati ingiungenti hanno evidenziato che l’attività da essi  posta in essere è consistita nell’aver  curato per conto del condominio diverse procedure giudiziarie.

La causa in oggetto, trovando il suo fondamento nella gestione di servizi comuni e dell’erogazione delle spese relative a tale gestione (art. 1130 commi 2 e 3), si riferisce certamente ad obbligazioni assunte per l’esercizio di servizi condominiali e dunque nei limiti di cui all’articolo 1130 c.c., onde non era necessaria l’autorizzazione, nella successiva ratifica da parte dell’assemblea condominiale.”

© massimo ginesi 3 agosto 2017 

l’amministratore può agire in giudizio a tutela della parti comuni senza autorizzazione assembleare

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La Corte di Cassazione, sez. II Civile con sentenza  sentenza 7 luglio – 23 novembre 2016, n. 23890 conferma un consolidato orientamento giurisprudenziale.

L’amministratore agisce in giudizio contro un condomino per ottenere nei suoi confronti condanna ala rimozione di alcune opere da costui realizzate nel cavedio condominiale.

Si tratta di azione volta pacificamente alla tutela di beni comuni, competenza prevista espressamente dall’art. 1130 cod.civ. in capo all’amministratore, e che non comporta alcuna domanda di accertamento sulla titolarità dei diritti. La nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ. (introdotta dalla L. 220/2012, ma già interpretata in tal senso dalla giurisprudenza a far data da Cass. SS.UU. 1833172010)  prevede espressamente che l’amministratore debba essere autorizzato dalla assemblea solo per le cause che esulano dalle sue attribuzioni così come delineate dall’art. 1130 cod.civ.

Eppure la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza di primo grado, aveva ritenuto insussistente la legittimazione dell’amministratore in assenza di espressa delibera assembleare di autorizzazione alla promozione della lite.

Il giudice di legittimità cassa la sentenza di secondo grado chiarendo che : “A tanto è pervenuta la Corte territoriale, rifacendosi impropriamente a precedenti decisioni di questa Corte (n.ri 3044/2009, 24764/2005 e 12557/1992) e valutando l’azione posta in essere come azione (reale) non rientrante nel novero delle azioni proponibili direttamente dall’organo rappresentativo condominale.
Senonchè, nella concreta ipotesi per cui è giudizio, l’amministratore del condominio ricorrente …  ha chiesto solo la rimozione della struttura di parte controricorrente, limitante la corretta usufruizione del comune cavedio.
La previa delibera autorizzativa ad litem da parte dell’assemblea condominale non era, pertanto, necessaria. Al riguardo, anche in continuità con il condiviso e consolidato orientamento di questa Corte ( Cass. 1 ° ottobre 2008; n. 24391 e 17 giugno 2010, n. 14626) non può che riaffermarsi il principio – attagliantesi invero alla. fattispecie – secondo cui, ai sensi dell’art. 1130, comma 1, n. 4 e 1131 c.c. l’amministratore del condominio è legittimato, senza la necessità di una specifica deliberazione assembleare, ad instaurare un giudizio per la rimozione di opere in quanto tale atto è diretto alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio”.

© massimo ginesi 25 settembre 2016

il distacco dall’impianto di riscaldamento dopo la L. 220/2012

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Il giudice di legittimità  affronta l’annoso problema del distacco del singolo condomino dall’impianto di riscaldamento centralizzato alla luce  dell’art. 1118 cod.civ. nella nuova formulazione  introdotta dalla L. 220/2012.

La Corte di Cassazione,  VI sez. Civile  con sentenza del  3 novembre 2016, n. 22285 ha deciso una controversia  che aveva visto il singolo condomino vittorioso  in primo grado e poi soccombente in appello. La pronuncia è interessante perchè stabilisce che è onere di colui che intende distaccarsi fornire la prova che la sua iniziativa non comporta squilibri o aggravi di spesa.

i fatti e lo svolgimento processuale: “G.C.B. impugnava la delibera dei Condominio di Via (omissis) in (omissis)con la quale l’assemblea condominiale decideva di non concedere il distacco dall’impianto di riscaldamento condominiale alla proprietà C.B., in quanto avrebbe danneggiato le altre unità immobiliari sia dal lato economico, che di rendimento del riscaldamento. Eccepiva il ricorrente l’inefficacia della delibera in violazione dei diritto individuale del condomino di ottenere quanto richiesto.
Si costituiva il Condominio di Via (omissis), eccependo l’incompetenza del giudice adito e sostenendo la competenza del Giudice di Pace. In subordine, contestava le argomentazioni poste a fondamento dell’impugnazione e sosteneva la piena legittimità della delibera. Esperiva domanda riconvenzionale chiedendo il pagamento, delle spese legali sostenute in un precedente accertamento tecnico preventivo intercorso tra le parti ed avente come oggetto l’impianto di riscaldamento centralizzato ed, in particolare, il suo collegamento con i locali di proprietà dei sig. C.B..
II Tribunale dichiarava la competenza del Giudice di pace. II processo veniva riassunto davanti al Giudice di Pace di Milano e si costituiva il condominio richiamando quanto argomentato in precedenza.
II Giudice di Pace, con sentenza n. 108226 del 2012, accoglieva l’impugnazione, dichiarando la nullità della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento. Dichiarava il diritto di C.B. ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale di Milano pronunciandosi sull’appello proposto dal Condominio di via (omissis), con contraddittorio integro, con sentenza n. 8342 del 2014 accoglieva l’appello e, in riforma della sentenza impugnata rigettava l’impugnazione azionata da G.C.B., in accoglimento della domanda riconvenzionale, condannava G.C.B. al pagamento della somma di €. 4.037,75 oltre interessi legali a titolo di risarcimento danni. Condannava C.B. al pagamento delle spese dei doppio grado del giudizio. Secondo il Tribunale di Milano, C.B. non avrebbe dimostrato la sussistenza dei requisiti necessari per operare il distacco del proprio appartamento dal riscaldamento condominiale e, cioè, che per il distacco dal proprio immobile dall’impianto di riscaldamento condominiale non fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento od aggravi di spesa per gli altri condomini, non avendo il condomino (omissis) prodotto alcuna relazione termotecnica”

il principio di diritto: la questione relativa al distacco di un condominio dall’impianto centralizzato condominiale trova la sua immediata disciplina nella normativa di cui all’art. 1118 cod. civ. come modificata dalla L. n. 220 del 2012, in vigore dal 18 giugno 2013, cc. dd. riforma dei condominio. Tale normativa ha, espressamente, ammesso la possibilità dei singolo condomino di distaccarsi dall’impianto centralizzato di riscaldamento o di raffreddamento ma a condizione che dimostri che dal distacco non derivino notevoli squilibri di funzionamento dell’impianto od aggravi di spesa per gli altri condomini. Il condomino che intende distaccarsi deve, in altri termini, fornire la prova che “dal suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini”, e la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica attraverso la quale egli possa dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno a servirsi dell’impianto condominiale. L’onere della prova in capo al condomino, che intenda esercitare la facoltà del distacco viene meno, come bene ha evidenziato la stessa sentenza impugnata, soltanto nel caso in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente autorizzato il distacco dall’impianto comune sulla base di una propria autonoma valutazione della sussistenza dei presupposti di cui si è detto Con l’ulteriore specificazione che colui che intende distaccarsi dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale e/o “aggravi” per i restanti condòmini, rinunciare dal porre in essere il distacco perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante. Né, ed è bene precisarlo, l’interessato, ai sensi dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco e ritenere di essere tenuto semplicemente a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che dal loro distacco “non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini”.
Il Tribunale di Milano, nel caso concreto, ha ritenuto che la delibera del 29 marzo 2010 con la quale il Condominio di Via (omissis) in (omissis) ha negato a G.C.B. l’autorizzazione ad effettuare il distacco della propria unità immobiliare dall’impianto di riscaldamento centralizzato era immune da censure perché il condomino C.B. non aveva dimostrato, e lo avrebbe dovuto, la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 1118 cod. civ. e cioè la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio e di eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco, e/o, comunque, non ha ritenuto, che la prova dell’insussistenza dei detti pregiudizi fosse presente negli atti dei processo.
Ora, proprio perché il Tribunale ha ritenuto che la prova dell’insussistenza dei pregiudizio di cui si dice non era stata data e/o non era sussistente agli atti del processo, la sentenza non presenta il vizio denunciato di omesso esame di un fatto decisivo. D’altra parte, come chiaramente emerge, dalla sentenza impugnata, le circostanze addotte da C.B.G., che avrebbero dimostrato l’insussistenza dei pregiudizi di cui si dice, sono state valutate e ritenute insufficienti e/o non efficaci al fine che si intendeva raggiungere”

© massimo ginesi 7 novembre 2016

gennaio 2016 – durata dell’incarico e gravi irregolarità

L’incarico all’amministratore ha durata annuale e si rinnova per un altro anno senza necessità di alcuna delibera assembleare, salvo revoca. Al termine del secondo anno l’assemblea dovrà procedere a nomina con le modalità ordinarie. (massima non ufficiale)

 

Tribunale di Cassino 21 gennaio 2016, decreto n. 1186

 

Il Tribunale di Cassino, nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione attinente alla nomina dell’amministratore, ritorna sulla vexata questio della durata dell’incarico e delle attività che l’assemblea deve porre in essere, allineandosi alla lettura già data dai giudici milanesi alcuni mesi or sono e commentata su queste pagine.

Alcuni condomini ricorrono al Tribunale affinché nomini un amministratore giudiziale, attese le gravi irregolarità commesse da quello in carica e, soprattutto, evidenziando che costui “avrebbe omesso di inserire all’ordine del giorno, nemmeno dell’ultima assemblea del 24.8.15, l’argomento relativo alla conferma o revoca del suo incarico, vista la scadenza annuale”

Il Tribunale, con il provvedimento in commento, respinge il ricorso, osservando che : “a norma di quanto disposto dall’art 1129 comma 10° c.c., l’incarico di amministratore ha durata di un anno e si intende rinnovato per eguale durata; pertanto, non v’era necessità alcuna di convocare l’assemblea per decidere se rinnovare o meno l’incarico all’amministratore, salva sempre la facoltà per la medesima di deliberarne la revoca; per altro, l’assemblea del 24.10.15, discutendo sull’istanza della sig.ra V. per la sua revoca, espressamente affermò di riservarsi di esaminare la questione allo scadere del biennio esprimendo ringraziamento nei suoi confronti per il lavoro di ricostruzione contabile delle amministrazioni precedenti ed apprezzamento in toto per il lavoro svolto “

Il provvedimento, infine, merita menzione per l’ampia disamina di merito che svolge delle possibili gravi irregolarità così come delineate oggi dalla nuova formulazione dell’art. 1129 cod.civ. “ Ebbene, come replicato dai convenuto, il Collegio riscontra preliminarmente che nessuna di tali denunziate inadempienze e scorrettezze rientrerebbe in ogni caso nell’analitico elenco delle gravi irregolarità dell’amministratore di cui all’art 1129 comma 12 c.c., nel suo testo riformato dall’art 9 della L n. 220/12. Nello specifico, poi, deve osservarsi: essendo l’amministratore mero esecutore di quanto deliberato in seno all’assemblea, in alcun modo egli può esser ritenuto investito della sua conduzione e della previa verifica della regolarità del suo insediamento e dei suoi deliberati (operazione rimessa agli stessi partecipanti sotto la direzione del presidente); l’amministratore ha fornito prova documentale della spedizione tramite la “Sail Post” delle lettere raccomandate di convocazione della ricorrente a tutte le indicate assemblee: tanto basta a ritener assolto il suo compito, l’eventuale mancata ricezione delle missive dovendo costituire oggetto di riscontro in seno all’assemblea; a fronte della sua nomina avvenuta nell’agosto del 2014, già in occasione dell’assemblea tenutasi il 31.1.15 risultavano pervenuti 7 preventivi a fronte dei quali l’assemblea, e non certo l’amministratore, deliberò di affidare ad una commissione costituita da condomini l’esame dei medesimi; il ricorso ex art 700 c.p.c. venne notificato il 7.1.15 per l’udienza del 16.1.15, sicché legittimamente egli diede immediato incarico a legale di sua fiducia; la Cassazione ha precisato: “Alla luce delle considerazioni svolte va enunciato il seguente principio di diritto: “L’amministratore di condominio, in base al disposto dell’art. 1131 c.c., comma 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare al sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall’assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione ovvero di impugnazione” (ss.uu. n. 18331/10); nel nostro caso, stante l’evidente impossibilità di convocare preventivamente l’assemblea, tale operato dell’amministratore venne ratificato dall’assemblea tenutasi il 31.1.15 (all. 3 parte ricorrente); l’intervento di asfaltatura del viale condominiale ben può esser considerato, per la modestia del suo complessivo ammontare e per la sua incontestata necessità, quale atto di ordinaria manutenzione per la conservazione delle parti comuni

© massimo ginesi

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