L’amministratore non risponde della raccolta differenziata

è quanto ha stabilito la Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  24.10.2023 n. 29427) con riguardo al regolamento comunale di Roma, osservando che la norma sanzionatoria non può essere contenuta in testo regolamentare:

“L’amministratore condominiale non è responsabile, in via solidale con i singoli condomini, della violazione del regolamento comunale concernente l’irregolare conferimento dei rifiuti all’interno dei contenitori destinati alla raccolta differenziata collocati all’interno di luoghi di proprietà condominiale, potendo egli essere chiamato a rispondere verso terzi esclusivamente per gli atti propri, omissivi e commissivi, non potendosi fondare tale responsabilità neanche sul disposto di cui alla l. n. 689 del 1981, art. 6 avendo egli la mera gestione dei beni comuni, ma non anche la relativa disponibilità in senso materiale.”

l’ampia disamina effettuata dai giudici di legittimità ne consiglia lettura integrale
© MG 7.11.2023

l’amministratore che mente all’assemblea deve essere revocato, anche se si tratta di condotta episodica e dalla quale non deriva danno

E’ quanto è stabilito la Corte d’Appello di Torino in data 17.11.2022, confermando la decisione del Tribunale sabaudo, decisione che dunque assumere carattere di definitività non essendo ammesso – in tale procedimento – il ricorso in cassazione per i profili di merito 

Nel caso in questione l’amministratore ha falsamente riferito all’assemblea dell’esistenza di un’ordinanza sindacale che imponeva lavori urgenti di manutenzione alla facciata, provvedimento poi rivelatosi inesistente. La decisone della Corte piemontese è interessante, laddove si sofferma sulla rilevanza della condotta dell’amministratore, anche se la stessa non ha inciso sulle decisioni dell’assemblea, non ha cagionato danno e quell’amministratore fosse stato comunque confermato.

Osserva la Corte piemontese  che “Tuttavia, se per un verso può in effetti ritenersi non irrilevante che con tale diversa pronuncia sia stato escluso che la condotta de quo abbia avuto concreta incidenza sul deliberato assembleare, per altro verso deve notarsi che si tratta di questioni comunque diverse, e che la condotta dell’amministratore deve essere valutata, come già indicato, in relazione anche alle sue potenziali incidenze sulle decisioni da assumere, nonché sui doveri dell’amministratore nel rapporto fiduciario con i condomini.

Analoghe considerazioni valgono per l’assenza di danno: il fatto che, in concreto, non vi sia stata lesione di diritti o interessi dei condomini, non esclude che detta condotta potesse potenzialmente cagionare danni.

Così circoscritte le circostanze di fatto e in specie la condotta addebitata all’amministratore, che può ritenersi accertata nei termini di cui si è detto, occorre valutare se la stessa abbia integrato o meno una “grave irregolarità”, sia pur ulteriore e diversa rispetto a quelle tipicizzate, con un‘elencazione pacificamente da ritenersi non tassativa, dall’art. 1129 c.c., e se le decisioni della maggioranza dei condomini possano o meno avere rilievo in tale valutazione.

Il fatto che la maggioranza dei condomini non l’abbia ritenuta una condotta costituente ragione di revoca dell’amministratore, respingendo la domandaavanzata in questo senso da alcuni condomini e anzi poi rinnovando il mandato allo stesso amministratore, sia a immediato seguito dei fatti in causa, sia ulteriormente nel 2021, mentre, per converso, questa sarebbe la “terza causa nell’arco di un anno” instaurata contro l’amministratore da parte dei Ricorrenti (le due precedenti conclusesi con reiezione delle domande dagli stessi presentati), non può essere considerato di rilievo sul punto: la revoca giudiziaria è strumento che consente a ciascun condomino, anche se in minoranza o del tutto isolato rispetto alla diversa volontà degli altri condomini, di sottoporre a giudizio la ritenuta sussistenza di irregolarità di gestione.

L’incarico di amministratore di condominio è qualificabile come un mandato con rappresentanza, certo conferito collettivamente dall’assemblea dei condomini, con decisione maggioritaria, ma questo non esclude che ogni condomino mantenga individualmente il diritto, scaturente da tale rapporto di mandato, di cui comunque è parte, a che la gestione dei beni comuni avvenga in maniera pienamente corretta e regolare, sussistendo in capo a ciascun condomino/mandante un potere di controllo sull’esecuzione del mandato gestorio

Né l’antecedenza del fatto in causa rispetto alla successiva rinnovazione del mandato esclude la sua valutabilità, in specie considerando l’espressa previsione legislativa, contenuta nello stesso art. 1129 c.c., secondo la quale, in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato, quantomeno in relazione all’esercizio immediatamente successivo alla revoca.

Dalla clausola generale prevista dall’art. 1129 c.c., che contempla la revoca giudiziaria dell’amministratore “in caso di gravi irregolarità”, deriva poi che debbono valutarsi a tal fine, oltre alle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c., tutte quelle condotte, commissive o omissive, che possono costituire inadempimento del mandato conferito all’amministratore di condominio.

Il riferire, nel corso di un’assemblea condominiale, un fatto non corrispondente al vero, in specie l’assunzione, da parte del Comune, di un’ordinanza al cui rispetto il Condominio sarebbe stato tenuto, in riferimento a una questione posta all’ordine del giorno e possibile oggetto di delibera assembleare, è condotta che, anche ove tenuta in una sola occasione e senza che dalla stessa ne siano derivati in concreto dei danni, risulta oggettivamente in contrasto, oltre che con il dovere di diligenza nell’adempimento del mandato, di cui agli artt. 1176 e 1710 c.c., richiamati dal Tribunale, anche con l’obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza, di cui all’art. 1175 c.c., e mina il rapporto fiduciario che deve sussistere fra condomini e amministratore.

Correttamente, pertanto, tale condotta è stata qualificata dal Tribunale come grave irregolarità di rilievo ex art. 1129 c.c.. 

Il presentato reclamo non può pertanto trovare accoglimento”

Decisamente curioso, infine, che destinatario di tale provvedimento sia soggetto che riveste carica apicale in notissima associazione di settore, come è facilmente verificabile con una breve ricerca sul web, ove la notizia ha avuto qualche eco di stampa.

© MG 2.10.2023

 

 

sulla legittimazione processuale del singolo condomino

Una interessante pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  14.7.2023 n. 20282 rel. Scarpa) traccia, con mirabile analisi, i confini della legittimazione del singolo condomino ad agire in giudizio, sia per materia che con riguardo alla successione nella titolarità del rapporto,  riprendendo orientamenti già delineati dalla Corte e chiarendo come per talune ipotesi – ove si discuta del diritto di credito di un terzo azionato contro il condominio – sussista  unicamente legittimazione dell’amministratore senza che concorra con quella la possibilità di attivarsi del singolo.

Nel caso specifico la Corte ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avanzato dal singolo in vicenda processuale azionata contro il condominio dall’ex amministratore per ottenere il pagamento delle proprie competenze .

E’ noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad P.A., quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di (Omissis) S.C. per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c..

Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da P.A., singolo condomino del Condominio di (Omissis), mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio (Omissis).

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129 c.c., commi 14 e 15): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994)..

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131 c.c., comma 2, in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.”

© MG 8.9.2023

è onere dell’amministratore accertare chi sia l’effettivo condomino

E’ quanto statuisce una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  ord. 30.5.2022 n. 16614 rel. Scarpa), riprendendo un consolidato orientamento che esclude la rilevanza dell’apparenza in tema di titolarità di diritti reali.

E’ l’amministratore onerato di accertare, attraverso le opportune indagini sui registri immobiliari, chi sia l’effettivo titolare del bene posto in condominio.

“Alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte, che gli stessi ricorrenti richiamano, in caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare (nella specie, unitariamente imputata nello stato di riparto approvato dall’assemblea), è passivamente legittimato l’effettivo proprietario di detta unità (e non anche chi possa apparire tale), poggiando la responsabilità “pro quota” dei condomini sul collegamento tra il debito e la titolarità del diritto reale condominiale, emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari (Cass. Sez. Unite, 08/04/2002, n. 5035; Cass. Sez. 2, 03/08/2007, n. 17039; Cass. Sez. 2, 25/01/2007, n. 1627; Cass. Sez. 6 – 2, 09/10/2017, n. 23621).

L’amministratore di condominio, pertanto, al fine di ottenere il pagamento della quota per spese comuni, ha l’onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarità della proprietà (fermi, peraltro, l’obbligo del medesimo amministratore di curare la tenuta del registro di anagrafe condominiale, in forza dell’art. 1130 n. 6, c.c., e l’obbligo di chi cede diritti di condominio di trasmettere copia autentica del titolo traslativo, in forza dell’art. 63, comma 5, disp. att. c.c., entrambi introdotti dalla legge n. 220 del 2012).

Ne consegue che, per individuare l’effettivo obbligato al pagamento dei contributi condominiali, è altresì opponibile all’amministratore di condominio la sentenza che, come nella specie, abbia accolto una domanda di simulazione trascritta di un trasferimento immobiliare (rilevando, peraltro, gli artt. 1415 e 2652 n. 4 c.c. soltanto a regolare gli effetti della sentenza nei confronti di coloro che vantino un acquisto dal simulato acquirente), dovendosi considerare che la proprietà del bene sia rimasta sempre in capo al simulato alienante (e poi, nella specie, ai coeredi, subentrati nella posizione della de cuius quali comproprietari dell’unità immobiliare e perciò tenuti in solido, nei confronti del condominio, al pagamento degli oneri condominiali)”

© massimo ginesi 20 giugno 2022 

 

nomina giudiziale amministratore: non può esservi soccombenza

il procedimento per la nomina giudiziale di amministratore ha natura di volontaria giurisdizione e pertanto non è soggetto all’applicazione del principio  di soccombenza, con conseguente condanna alle spese, neanche ove la domanda sia respinta.

E’ quanto ha di recente statuito la suprema corte (Cass.civ. sez. VI ord. 20 gennaio 2022 n. 1799): “il procedimento per la nomina giudiziale dell’amministratore di condominio si caratterizza, pur in presenza di situazioni di contrasto tra i condomini, per essere finalizzato esclusivamente alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio, con l’effetto che con riguardo ad esso non trovano applicazione le regole di cui agli artt. 91 e seguenti cod. proc. civ., che postulano l’identificazione di una parte vittoriosa e di una soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo effettivamente contenzioso (Cass. n. 25336 del 2018; Cass. n. 5194 del 2002).”

© massimo ginesi 28 gennaio 2022

superbonus, detrazioni e compenso amministratore

E’ noto che le circolari non costituiscono fonte normativa e, tuttavia, quelle dell’Agenzia delle Entrate rappresentano certamente un significativo strumento di orientamento su quelli che poi saranno gli esiti applicativi delle normative vigenti.

La grande fiera dei c.d. superbonus ha mosso molti appetiti (talvolta in maniera fin troppo disinvolta), con appalti che con frequenza raggiungono importi rilevanti e che comportano, secondo i parametri usualmente pattuiti dagli amministratori al momento della accettazione dell’incarico (art. 1129 comma XIV c.c.), significativi compensi percentuali .

Si tratta tuttavia di somme che non possono essere poste a carico dello Stato se rappresentano il mero compenso dell’amministratore: è tesi che l’Agenzia aveva già espresso in una circolare di dicembre 2020 e che oggi ribadisce in una specifica risposta ad interpello: “in assenza della nomina di altro responsabile dei lavori, l’amministratore di condominio rivesta contemporaneamente due ruoli, ovvero quello di committente e quello di responsabile dei lavori con gli obblighi e le responsabilità ad esso collegati, il compenso aggiuntivo fatturato separatamente e corrisposto all’amministratore come “responsabile dei lavori” potrà accedere alla detrazione in quanto spesa strettamente collegata alla realizzazione degli interventi agevolabili e riferibile ad una prestazione professionale diversa ed ulteriore rispetto a quella ordinariamente esercitata in qualità di amministratore di condominio».

Quanto poi sia opportuno che l’amministratore si addossi, a tal fine,  ruoli tecnici che comportano gravi responsabilità è faccenda che ogni professionista potrà valutare con adeguata ponderazione…

Interpello n. 911-492/2021

 

AMMINISTRATORE, la nomina da parte dell’assemblea e quella giudiziaria.

Una recente pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. III 5 maggio 2021 n. 1171)  mette in luce i diversi profili della figura di nomina assembleare rispetto a quella di nomina giudiziale:

l’amministratore giudiziario è nominato dal giudice per sopperire all’inerzia dell’assemblea, che non provveda alla nomina dell’amministratore fiduciario (art. 1129 c.c., comma 1), dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea o dal giudice in caso di mancato assolvimento dell’obbligo di dare senza indugio notizia all’assemblea di citazioni o provvedimenti dell’autorità amministrativa aventi un contenuto che esorbita dalle sue attribuzioni (art. 1129 c.c., comma 3, art. 1131 c.c., comma 4), ovvero in caso di inerzia, qualora non abbia reso il conto della gestione (per due anni, secondo la previgente formulazione ratione temporis applicabile) o se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità (art. 1129 c.c., comma 3).

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il decreto emesso ex art. 1129 c.c., comma 1, ha ad oggetto esclusivamente la nomina dell’amministratore da parte del tribunale, in sostituzione dell’assemblea che non vi provvede, senza che muti invero la posizione dell’amministratore stesso, il quale, benché designato dall’autorità giudiziaria, instaura con i condomini un rapporto di mandato e non riveste la qualità di ausiliario del giudice; con la conseguenza che l’amministratore nominato dal tribunale deve rendere conto del suo operato soltanto all’assemblea (v., con riferimento a fattispecie anteriore alle modifiche dell’art. 1129 c.c., introdotte dalla L. n. 220 del 2012, inapplicabile ratione temporis, Cass., 22/7/2014, n. 16698; e, conformemente, Cass., 21/9/2017, n. 21966).
L’amministratore nominato dal tribunale ex art. 1129 c.c., comma 1, non riveste pertanto la qualità di ausiliario del giudice (che deve identificarsi nel privato esperto in una determinata arte o professione ed in generale idoneo al compimento di atti che il giudice non può compiere da solo e ciò in occasione di un processo e in relazione a concrete necessità individuabili di volta e in volta dal giudice al quale il consulente deve dare conto), sicché la determinazione del compenso è regolata dall’art. 1709 c.c., secondo cui ove le parti non abbiano stabilito la misura, lo stesso è stabilito in base alle tariffe o agli usi o, in mancanza, dal giudice (v. Cass., 22/7/2014, n. 16698).

Non vi è dunque alcuna equiparazione tra l’amministratore nominato dall’assemblea del Condominio (amministratore che – come sottolineato anche in dottrina – è titolare di un ufficio di diritto privato, esercitando poteri conferitigli sia direttamente dalla legge (cfr. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663. Cfr. altresì Cass., 25/5/2016, n. 10865; Cass., 8/3/2017, n. 5832, e, da ultimo, Cass., 29/1/2021, n. 2127, ove si pone in rilievo che è dall’art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, attribuito all’amministratore di Condominio il potere-dovere di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”, con conseguente attribuzione al medesimo della correlata autonoma legittimazione processuale attiva e passiva, ex art. 1131 c.p.c., in ordine alle controversie in materia di risarcimento dei danni, qualora l’istanza appaia connessa o consequenziale, appunto, alla conservazione delle cose comuni) sia dal mandato collettivo dei condomini (v. Cass., Sez. Un., 18/9/2014, n. 19663. Cfr. altresì Cass., 14/8/2014, n. 17983; Cass., 8/3/2017, n. 5833, e, da ultimo, Cass., 8/6/2020, n. 10846), caratterizzato dall’aspetto fiduciario che impronta l’atto di affidamento dell’incarico e il rapporto che ne scaturisce) e l’amministratore giudiziario, la cui nomina trova ragione nell’esigenza di ovviare all’inerzia del Condominio ed è finalizzata al mero compimento dell’atto o dell’attività non compiuta e necessaria per la corretta gestione del medesimo, la durata del cui ufficio è pertanto ad esso correlata.

L’ufficio dell’amministratore giudiziario cessa pertanto quando vengono meno (es., per la avvenuta nomina dell’amministratore fiduciario) le ragioni presiedenti alla relativa nomina.

Attesa la diversità di natura tra le due figure non si pongono invero nemmeno analoghe esigenze di tutela, sicché all’amministratore giudiziario non si applicano pedissequamente tutte le norme disciplinanti il mandato, ivi ricompreso l’art. 1725 c.c., ma solo se e in quanto compatibili.

L’amministratore giudiziario non può pertanto fare affidamento al termine di un anno previsto all’art. 1129 c.c., come limite minimo di durata del suo incarico, che va viceversa inteso come limite massimo di durata del medesimo, pur se non di decadenza (v. Cass., 12/11/1968, n. 3727), entro il quale deve assolvere alle incombenze che ne hanno funzionalmente giustificato la nomina.

Ne consegue che ove,come nella specie, anteriormente allo spirare del termine annuale dalla nomina dell’amministratore da parte del giudice l’assemblea provveda a deliberare la nomina dell’amministratore fiduciario l’incarico del primo viene a cessare, e per la determinazione del relativo compenso trova applicazione l’art. 1709 c.c., in base al quale, ove le parti non ne abbiano stabilito la misura, esso è quantificato in base alle tariffe o agli usi o, in mancanza, dal giudice.

Atteso che l’art. 1219 c.c., è nella specie ratione temporis applicabile nella previgente formulazione, va al riguardo precisato che il giudice deve determinare l’ammontare del compenso spettante all’amministratore giudiziario in correlazione all’attività dal medesimo effettivamente svolta dal momento della comunicazione all’amministratore uscente di tale nomina fino al momento della comunicazione della nomina da parte dell’assemblea dell’amministratore fiduciario (cfr. Cass., 22/7/2014, n. 16698).””

© Massimo Ginesi 25 maggio 2021 

abuso della cosa comune e negatoria servitutis

Una recente pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. II  19 marzo 2021 n. 7884 rel. Scarpa)  ripercorre con grande chiarezza taluni dei principi fondamentali in tema di uso della cosa comune ex art 1102 c.c. e di legittimazione dell’amministratore per le azioni a tutela della cosa comune.

La vicenda riguarda l’azione volta alla chiusura di un varco aperto da una condomina nella ringhiera del proprio terrazzo per accedere al cortile comune: la corte di legittimità osserva come tale azione rientri nei poteri dell’amministratore ex art 1130 c.c., quale azione conservativa, e debba essere qualificata quale azione volta ad accertare abusi ex art 1102 c.c. e non già quale actio negatoria servitutis.

La pronuncia, che per la grande chiarezza espositiva e l’ampiezza di spunti interpretativi merita lettura integrale, fa riflettere su come, talvolta, si agisca in giudizio omettendo di considerare orientamenti più che consolidati ed esponendo la parte a conseguenze negative ampiamente prevedibili.

Cass. civ. _7884_2021

© Massimo Ginesi 23 marzo 2021

 

il pagamento al fornitore con fondi di altro condominio costituisce indebito oggettivo.

Fra i doveri che il novellato art. 1129 c.c. ha imposto all’amministratore vi è quello di istituire necessariamente un conto corrente condominiale e di amministrare con modalità tali da non creare consunzione con i patrimoni degli altri stabili amministrati ( tanto che costituisce grave irregolarità che può da luogo a revoca ex art 1129 comma XIII n. 4  “la gestione secondo modalita’ che possono generare possibilita’ di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini).

E’ tuttavia prassi tristemente nota quella posta in essere da alcuni amministratori di utilizzare i conti di altri stabili amministrati per far fronte a mancanze di fondi e a fronte di scadenze imminenti; é prassi che può avere significativi risvolti penali  e che, sotto il profilo civilistico, da luogo ad indebito oggettivo, per il quale il condominio che ha visto indebitamente utilizzati i propri fondi può agire direttamente verso il creditore ex art 2033 c.c. per ottenere ne la restituzione.

Lo afferma Cass.civ. sez. III 9 novembre 2020 n. 24976: Di recente, questa Corte ha avuto modo di statuire che “L’adempimento del debito altrui può avvenire sia direttamente sia per il tramite d’un mandatario; in tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1180 c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8101 del 23/4/2020).

E’ vero, difatti, che l’adempimento dell’obbligo del terzo, così come di qualsiasi altra obbligazione fungibile, può avvenire sia personalmente che per il tramite di un terzo, che può assumere la veste di un mero rappresentante (art. 1387 c.c.) o di un mandatario (art. 1703 c.c.), talchè per mezzo delle due figure menzionate è possibile adempiere sia l’obbligazione propria, sia l’obbligazione altrui. Senonchè, i requisiti consacrati dall’art. 1180 c.c. a elementi costitutivi della fattispecie – id est: esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento – devono essere considerati non rispetto alla persona dell’amministratore, mero mandatario, ma rispetto al Condominio, mandante dell’adempimento. D’altronde, secondo la giurisprudenza di legittimità non può sussistere l’indebito soggettivo ove un soggetto abbia adempiuto un debito altrui con la consapevolezza di non essere debitore, non potendo tale pagamento considerarsi effettuato in situazione di errore (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17120 del 3/12/2002; Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 22/2/1995; Sez. 2, Sentenza n. 6346 del 28/11/1981).

Anche in relazione al secondo dei profili indicati – la situazione di error del solvens che, solo se scusabile, attribuisce a questi il diritto alla ripetizione – deve ritenersi corretta la statuizione della sentenza gravata in base alla quale, nel caso specifico, non possa arguirsi che il Condominio (OMISSIS), versando in errore, si potesse ritenere debitore della Carbotermo, in quanto con essa non aveva mai stretto rapporti commerciali.

In particolare, non coglie nel segno, il rilievo, svolto dall’attuale ricorrente, secondo cui rileverebbe che i pagamenti siano andati ad estinguere debiti altrui effettivamente sussistenti, mediante assegni tratti dal conto corrente del condominio (OMISSIS), a firma dell’amministratore che, a sua volta, gestiva diversi Condomini debitori della accipiens, poichè dal mero pagamento di un debito altrui non può trarsi la volontà del solvens (in questo caso il mandante) di estinguerlo.

 Difatti, nel caso di specie, è stato correttamente ritenuto che non sussistono i presupposti che l’art. 2036 c.c., consacra ad elementi costitutivi della fattispecie di indebito soggettivo, id est: l’esistenza del credito in capo all’accipiens e la situazione di errore non scusabile in cui versa il solvens all’atto del pagamento. La circostanza che i pagamenti fossero andati a estinguere crediti effettivamente sussistenti tra la Carbotermo e altri condomini, amministrati dallo stesso amministratore, non può comunque assurgere essa sola a “causa del pagamento”, posto che non risulta che al momento dei versamenti l’amministratore abbia mai speso tale volontà del Condominio mandante, peraltro, venuto a conoscenza solo a distanza di anni dai pagamenti andati a soluzione di debiti altrui.”

© massimo ginesi 3 dicembre 2020

 

condominio, procura alle liti e giudizio di appello

La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  ord. 30 novembre 2020 n. 27302) richiama principi consolidati in rodine alla valenza della procura conferita al difensore dall’amministratore di condominio, affrontando tuttavia un caso assai curioso.

L’amministratore conferisce rituale procura alle liti al difensore in primo grado, valida per tutti i gradi del giudizio e – tuttavia – ottenuta sentenza sfavorevole – conferisce nuova procura per l’appello, compiendo tuttavia tale atto alcuni giorni dopo che l’assemblea di condominio aveva nominato un altro soggetto quale amministratore.

LA Corte, tuttavia, rileva che la prima procura era idonea ad esplicare la propria efficacia per tutti i gradi del giudizio e che, nel caso di procura rilasciata dall’amministratore del condominio, la rappresentanza in giudizio non subisce variazioni in caso di mutamento della persona fisica che svolge l’incarico di amministratore:

Va premesso come il difetto di valida procura dell’appellato non incide sulla regolarità del rapporto processuale, ma rileva unicamente ove la non rituale presenza dell’appellato nel processo abbia recato pregiudizio all’appellante (eventualmente per la condanna alle spese che quest’ultimo non avrebbe subito se l’appellato, sprovvisto di valida costituzione, non avesse partecipato al giudizio di gravame; arg. da Cass. Sez. L, 05/12/1998, n. 12363).
Deve comunque ribadirsi il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo cui, nel giudizio in cui sia costituito un condominio, il mutamento della persona dell’amministratore in corso di causa non ha immediata incidenza sul rapporto processuale, che, in ogni caso, sia dal lato attivo che da quello passivo, resta riferito al condominio, il quale opera, nell’interesse comune dei partecipanti, attraverso il proprio organo rappresentativo unitario, senza bisogno del conferimento dei poteri rappresentativi per ogni grado e fase del giudizio. Pertanto, ferma l’inefficacia della procura conferita da chi, alla data di costituzione in giudizio, sia già cessato dalla carica di amministratore di un condominio, perché dimissionario o sostituito con altra persona dall’assemblea, l’eventuale morte o cessazione del potere di rappresentanza dell’amministratore del condominio già costituito in giudizio a mezzo di procuratore possono comportare conseguenze, a norma dell’art. 300 c.p.c., soltanto se e quando l’evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal procuratore costituito, proseguendo altrimenti, il rapporto processuale senza soluzione di continuità (Cass. Sez. 2, 20/04/2006, n. 9282; Cass. Sez. 2, 17/03/1993, n. 3159; Cass. Sez. 2, 10/02/1987, n. 1416; Cass. Sez. 2, 23/12/1987, n. 9628).
A proposito del primo motivo di ricorso, deve perciò ritenersi corretto il ragionamento espresso dalla Corte d’appello di Catanzaro, sulla base del seguente principio.
La nullità della procura conferita per il grado di appello da chi, alla data di costituzione in giudizio, risultava già cessato dalla carica di amministratore del condominio appellato, perché dimissionario e sostituito con altra persona dall’assemblea, non comportava la nullità della costituzione in appello del Condominio (…), avendo la stessa parte comunque rilasciato in primo grado una procura alle liti valida per tutti i gradi del giudizio, e non implicando di per sé il richiamo nella comparsa del procedimento di impugnazione ad una procura invalida una implicita rinuncia ad avvalersi dell’altra, precedentemente conferita, nè altrimenti rilevando il mutamento della persona dell’amministratore avvenuto in corso di causa (cfr. Cass. Sez. 3, 05/03/2020, n. 6162; Cass. Sez. 3, 10/12/2009, n. 25810).”

© massimo ginesi 2 dicembre 2020