vizi delle parti comuni e annullamento del contratto di vendita

un condomino vende la propria unità immobiliare, tacendo all’acquirente che sussistono significativi problemi alle parti comuni (nella specie legati alla presenza di una falda idrica che costringe a interventi di consolidamento dei pilastri).

l’acquirente, una volta stipulato l’atto e divenuto proprietario e residente nel fabbricato, si avvede del grave problema e agisce per l’annullamento del contratto, proponendo domanda dinanzi al Tribunale di Torino; il venditore si costituisce chiamando in garanzia il Condominio, a suo avviso responsabile di non aver eliminato detti vizi.

Il giudice (Trib. Torino 14.1.2022 n. 133) annulla il contratto ma respinge la domanda nei confornti del condominio, ritenendo che il motivo della risoluzione del vincolo vada identificato unicamente nella condotta fraudolenta del venditore; il provvedimento, parziale, è interessante e merita integrale lettura.

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© Massimo Ginesi 21.1.2022

vizi della delibera e gravi irregolarità non sempre coincidono

Una recente e corposa ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  5 novembre 2020 n. 24761 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare e di significativo interesse: non sempre ciò che da luogo a gravi irregolarità comporta necessariamente anche vizio della delibera che approvi i rendiconti, poiché taluni profili hanno rilevanza ex art 1129 c.c. per l’eventuale richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore ed altri possono invece essere censurati ex art 1137 c.c. come vizio della delibera.

La pronuncia coglie anche lo spunto per ribadire alcuni orientamenti, ormai consolidati, in tema di redazione del bilancio, di diritto di accesso ai documenti da parte dei condomini, poteri del giudice in ordine alla valutazione di legittimità della delibera.

Nel caso in esame  il condomino ricorrente (che già si sera visto respingere la domanda in appello e condannare per lite temeraria ex art 96 c.p.c.), sostiene in cassazione “ la violazione dell’art. 1129 c.c., comma 7, dell’art. 263 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c. gli artt. 112 e 345 c.p.c. e dell’art. 1136 c.c. Con la censura si contesta la regolarità contabile del bilancio condominiale approvato con la Delib. 12 aprile 2012, richiamando le critiche svolte in primo grado ed in appello dal ricorrente (gestione del conto corrente, ammontare del saldo di cassa, mancata consegna della documentazione).
Il terzo motivo di ricorso deduce la “sparizione della portineria condominiale, dell’alloggio del portiere nonché della indebita proprietà dei locali ad uso della società dell’amministratore condominiale R.W. , OPE.RA. s.r.l.”, quali violazioni dell’art. 1129 c.c., art. 1130 c.c., comma 6, in riferimento agli artt. 832, 2621 e 2622 c.c.”.

La Corte preliminarmente osserva un difetto di applicabilità delle norme ratione temporis, poiché gli artt. 1129 e 1130 c.c. nella formulazione attuale sono entrati in vigore nel 2013 e non possono essere fatti valere per censurare una deliberazione assunta nel 2012.

Nel merito la corte osserva che “Le censure introdotte col secondo motivo sono anche contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise (avendosi riguardo, in relazione alla data di approvazione dell’impugnata delibera, alla disciplina condominiale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012), senza offrire elementi che inducano a mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, 27 gennaio 1988, n. 731).
È poi certo nell’interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea), senza neppure l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l’esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all’attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).

È altrettanto consolidato l’orientamento giurisprudenziale che precisa come per la validità della deliberazione  di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società; è invero sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747).

Il ricorrente, col secondo motivo, auspica che la Corte di cassazione tragga dalle risultanze istruttorie un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le stesse nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.”

La Corte osserva inoltre  che, una volta che il condomino abbia impugnato la delibera deducendo un determinato vizio, non è consentito al giudice discostarsi dalla domanda e pervenire all’annullamento epr motivi diversi da quelli espressamente dedotti dalla parte: “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione nè, tantomeno, l’annullamento, sia pure per la stessa ragione esplicitata con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata, delle altre delibere adottate nella stessa adunanza ma non ritualmente opposte in quanto, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, l’assemblea pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione, con la conseguente astratta configurabilità di separate ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2018, n. 16675). Un conto è allora domandare l’invalidità della deliberazione assembleare che non abbia individuato e riprodotto nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali, come il M. assume di aver prospettato in primo grado, altro conto è denunciare l’annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. con riferimento all’elemento reale ed all’elemento personale (domanda che correttamente, perciò, la Corte d’appello di Torino afferma non proposta tempestivamente dal ricorrente).”

© massimo ginesi 11 novembre 2020

 

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quando il condomino richiede copie di documenti all’amministratore: modalità e costi.

Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II ord. 28.2.2018 n. 4686 rel. Scarpa) affronta due temi interessanti, consolidando  principi che riprendono orientamenti più volte espressi.

La pronuncia ha il pregio di statuire puntualmente, più di altre, su aspetti di sicuro rilevo pratico e di quotidiana incidenza sulla vita del condominio e dei soggetti  che con esso si interfacciano, sia sotto il profilo sostanziale che processuale.

Quanto alla richiesta di copie di documenti, la suprema corte sottolinea alcuni principi cardine (e spesso disattesi dagli interessati condomini o amministratore): l’attività di verifica, controllo e richiesta copie può svolgersi in qualunque momento e non solo in vista della assemblea, non può tuttavia costituire aggravio per l’attività dell’amministratore, chi la richiede deve sopportare i costi delle copie mentre l’attività in tal senso prestata dall’amministratore è compresa nel suo mandato e non può essere oggetto di ulteriore compenso se non espressamente pattuito al momento del conferimento dell’incarico.

Ove ciò sia avvenuto, non è consentito al giudice sindacare la misura di tale compenso, salvo che per entità non finisca per ostacolare in maniera significativa il diritto del singolo, circostanza che potrebbe tradursi in un vizio di legittimità per violazione di legge della delibera che lo ha approvato.

L’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012 (nella specie inapplicabile, ratione temporis), prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, su preventiva richiesta, possa, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata.

E’ quindi vieppiù meritevole tuttora di conferma l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579; Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19/09/2014, n. 19799).

 l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non deve risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159), e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596).

Quanto poi al profilo di doglianza secondo cui il compenso deciso per il rilascio di copia degli atti fosse di “elevatisimo ed oscillante importo”, e rivelasse perciò un “carattere dissuasivo e deterrente” rispetto all’esercizio dello stesso diritto di controllo sulla gestione attribuito al singolo partecipante, viene così di fatto sollecitato un controllo non sulla legittimità della scelta operata dall’assemblea, ma sulla congruenza economica della stessa, e quindi sul merito, controllo esulante dai limiti consentiti al sindacato giudiziale ex art. 1137 c.c., se non quando l’eccesso di potere dell’organo collegiale arrechi grave pregiudizio alla cosa comune ed ai servizi che ne costituiscono parte integrante (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135).”

La corte affronta anche la questione relativa al contenuto della domanda di annullamento della delibera laddove connota il petitum e la causa petendi.

“E’ nota la ripartizione tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali autorevolmente operata da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.

Va aggiunto che l’assemblea dei condomini, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera.

Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo collegiale per un motivo di contrarietà alla legge o alle regole statutarie distinto da quello indicato dalla parte (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1378 del 18/02/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5101 del 20/08/1986).

Ne consegue che la prospettazione in domanda e poi come motivo di appello di una ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del compenso riconosciuto all’amministratore per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza”