il cortile che fornisce utilità al fabbricato, anche se non è condominiale, è indivisibile

Un cortile posto a servizio di un edificio è di proprietà di più soggetti (non di tutti i condomini) ma viene utilizzato dai partecipanti al condominio per trarne utilità comuni, distinte ed ulteriori da quelle proprie del cortile (dare aria e luce all’edificio), ovvero per il transito, la sosta, la manovra.

 I comproprietari agiscono per ottenere la divisione del bene e l’attribuzione in via esclusiva (ove il bene risultasse indivisibile),  domanda respinta dal Tribunale di Napoli, con sentenza confermata in appello.

 La vicenda giunge in cassazione (Cass. civ. sez. II, 18 febbraio 2020 n.4012) ove vede il terzo esito negativo per i comproprietari del cortile che intendevano dividerlo, posto che il bene non è divisibile ove – procedendo a tale incombente – cesserebbe di servire l’uso cui è destinato.

la vicenda processuale:  – “il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 18 febbraio 2015, con cui D.M.S. chiedeva la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli, meglio indicata in epigrafe, che aveva rigettato la sua domanda di divisione di un cortile interno ad uno stabile sito in (omissis) ;
– afferma il D.M. di essere, insieme ai coniugi P. e D.R. (odierni controricorrenti) unico comproprietario del soprammenzionato cortile interno dello stabile, mentre gli altri condomini vanterebbero solamente una servitù di passaggio sullo stesso;
– in primo grado il D.M. aveva convenuto in giudizio P.A. e D.R. Carola, innanzi al Tribunale di Santa Maria C.V., chiedendo che si disponesse, con ordinanza ex art. 785 c.p.c., lo scioglimento della comunione sul cortile e l’assegnazione del bene in suo favore, ove questo risultasse non comodamente divisibile, ai sensi dell’art. 720 c.c., con la determinazione dei dovuti conguagli in denaro;
i convenuti si costituirono, contestando la divisione e deducendo l’indivisibilità del cortile, poiché esso era da considerarsi privo di autonoma funzione, essendo utilizzato per vari tipi di attività, dai diversi condomini, attività che lo rendevano incompatibile alla destinazione d’uso esclusivo di uno dei comproprietari;
– con sentenza n. 2036 del 14/11/2006 il Tribunale di Santa Maria C.V. ha rigettato la domanda formulata dal D.M. , condannandolo alle spese di giudizio;
– il tribunale ritenne che si dovesse applicare non l’art. 720 c.c., ma l’art. 1119 c.c., che dispone che la divisibilità delle parti comuni del condominio è ammessa solo ove ciò non renda più incomodo a ciascun condomino l’uso della proprietà singola, servita dalla parte comune e vi sia l’assenso di tutti i condomini alla divisione”

La Suprema  Corte ritiene che alla fattispecie non sia applicabile la norma in tema di condominio che prevede l’indivisibilità delle parti comuni (art 1119 c.c.), ed osserva tuttavia che non tutti i beni in comunione Devono ritenersi, per converso, divisibili.

si deve premettere che è da condividere la valutazione del ricorrente sulla non applicabilità dell’art. 1119 c.c., infatti, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la condominialità di un bene è esclusa dal titolo che disponga diversamente, ma ciò non vuoi dire che il bene sia divisibile;
infatti detto cortile, pur non condominiale, è comunque, posseduto in comunione (originariamente dal D.M. e dai coniugi P. -D.R. ) ai sensi delle norme del titolo VII, capo I c.c.;
l’art. 1111 c.c., afferma che ciascuno dei comproprietari può sempre chiedere la divisione della comunione, ma questa norma va letta in connessione con quella immediatamente successiva dell’art. 1112 c.c., la quale esclude che tale divisione possa essere chiesta nel caso di beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinati;
dunque la divisione del bene in comunione non è automaticamente conseguente alla domanda, dovendosi valutare i suoi effetti sulla destinazione d’uso;
a differenza di quanto afferma il ricorrente la destinazione d’uso di un cortile non è solamente quella principale, oggettiva, di fornire aria e luce, ben potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo prevedendo delle funzioni accessorie che vanno ad integrare la destinazione d’uso (cfr. Cass. n. 13879 del 2010; n. 621 1977);
al riguardo la corte d’appello ritiene correttamente (pag. 4 e 5 della sentenza impugnata) che tale destinazione d’uso poteva consistere in varie attività materiali, ulteriori rispetto a quelle consentite dalla servitù di passaggio, come l’apposizione di fioriere, il posteggio del veicolo, lo scarico di merci… che sarebbero divenute impossibili, per gli altri compartecipi, se si fosse proceduto a divisione, con attribuzione della proprietà esclusiva al D.M. ;
al riguardo questa Corte ha la affermato che lo scioglimento della cosa comune può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d’uso, solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione (cfr. Cass. n. 5261/2011; id. n. 7274/2006, n. 4176/1983; n. 937/1982);
conseguentemente, se anche si esclude la natura condominiale del bene, esso non è comunque da ritenersi divisibile ex art. 1112 c.c. (cfr. Cass. n. 989/1967; n. 708/1970);
d’altronde la stessa sentenza d’appello riconosce una possibile applicabilità dell’art. 1112. c.c. (pagg. 10 e 11), pur in subordine rispetto a quella dell’art. 1119 c.c.;
in ultimo non è condivisibile la tesi del ricorrente, secondo la quale una lettura in questo senso dell’art. 1112 c.c., finirebbe per privare questa norma di significato, appiattendola sul contenuto dell’art. 1119 c.c.;
le due norme, infatti hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele;
infatti l’art. 1119 c.c., contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale, ed è per questo che esso contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva;
– invece l’art. 1112 c.c., che costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale della divisione della comunione, disposta dall’art. 1111 c.c., ha come ratio la tutela della destinazione d’uso del bene, e per questo esso ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso a cui è stato destinato (cfr. Cass. n. 867/2012; id. 7667/1995);

nel giudizio di divisione è ammissibile l’eccezione di attribuzione esclusiva, presentata in grado di appello, in quanto questa costituisce una mera modalità di attuazione della divisione e quindi non integra una nuova domanda ex art. 345 c.p.c., ma solo un specificazione della domanda originaria, non assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni nuove proposte in appello (cfr. Cass. n. 4938 del 1981 n. 626 1971; n. 4391 del 1985; n. 9689 del 2000);
la possibilità per le parti originarie di presentare la richiesta di attribuzione esclusiva porta a concludere che questa non dovesse essere presentata, per forza, dal loro avente causa, in quanto il giudizio era idoneo a proseguire tra le parti originarie, essendo il possibile, ma non obbligatorio, intervento del successore particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18937 del 2006; n. 17151 del 2008; n. 23936 del 2007″

© massimo ginesi 21 febbraio 2020 

spese personali da addebitare ai singoli ai sensi dell’art. 1123 comma II c.c. ?

Una assai poco convincente  pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  10 maggio 2019 n. 12573) sembra  ricondurre le spese postali, necessarie  per soddisfare richieste individuali dei singoli condomini e rivolte all’amministratore, all’ipotesi di servizio destinato a servire i condomini in misura diversa e quindi da addebitare ai  singoli secondo il disposto di cui all’art 1123 comma II c.c.

Un condomino si duole  che a consuntivo gli siano state imputate spese personali “argomentando che non rientrava nelle attribuzioni della assemblea il potere di addebitare unilateralmente a loro carico spese definite personali quali, in concreto, gli oneri (per complessivi Euro 302,10) per spese postali e “compensi amministratore” dovuti in dipendenza di comunicazioni e chiarimenti su comunicazioni ordinarie e su problematiche straordinarie condominiali.”

La corte di legittimità ritiene tuttavia che, in astratto,  tale potere invece  possa sussistere in alcune ipotesi  “La possibilità di ripartizione delle spese personali di ciascun condomino “in funzione delle utilità che in concreto” lo stesso gode e ricava sostanzia un criterio che – a ben vedere- si riferisce all’uso di cose comuni e non ad altro.

Quella possibilità si riferisce, infatti, ad “un servizio comune destinato ad essere fruito in misura diversa” e non già a fattispecie come quella in esame ove, in concreto, ricorre altra situazione non sussumibile nella norma comunque applicata.

La concreta situazione per cui è causa (maggiori spese postali e costo servizio) si riferisce a servizi la cui natura-salva la inapplicabilità del generale criterio di ripartizione ex art. 1123 c.c., comma 1, (cui sembra aver fatto esclusi ovo riferimento la sentenza gravata)- va valutata dal Giudice del fatto.

D’altra parte l’invocata ed automatica applicabilità dell’art. 1123 c.c., comma 2, nel senso proposto col motivo qui in esame, non può essere appieno condivisa ove si prospetti l’addebito delle spese “in funzione delle utilità che in concreto” vengano ricavate dai singoli condomini senza la concreta valutazione della natura dell’attività resa al singolo condomino.

Al riguardo deve in ogni caso rammentarsi come la stessa giurisprudenza citata col motivo qui in esame fa, testualmente, espresso riferimento alle spese “per i servizi comuni” e non ad altro.

E la ancor più pertinente pronuncia di Cass. n. 4403/1999 àncora l’applicabilità del criterio di liquidazione ex art. 1123, comma 2 (non in base a millesimi e non a carico di tutti i condomini) solo alla fattispecie inerenti “cose comuni suscettibili di destinazione al servizio dei condomini”.

E, fatta sempre salva, altra azione recuperatoria nei confronti del singolo condomino in via sussidiaria rispetto al meccanismo previsto ex art. 1123 c.c., comma 2 “al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini” (Cass. n. 9263/1998).

In conclusione la non addebitabilità di spese al singolo condomino, che usufruisca di servizi, può, quindi, essere affermata, ma non col rinvio al generale principio ex art. 1123 c.c., comma 1, della ripartizione proporzionale;
l’addebito alla intera comunità condominiale di spese (quali quelle postali e di attività ulteriore svolta nell’interesse di un singolo condomino) sulla base del generico ed errato riferimento al criterio della ripartizione delle spese sulla proporzione di uso è quindi errato;

alla stregua dei principi giurisprudenziali innanzi richiamati e correttamente ribaditi, la giustificazione del permanere a carico del condominio delle spese comunque effettuate a fini individuali risiede sono nella corretta applicabilità o meno del criterio ex art. 1123 c.c., comma 2, previa valutazione in fatto della natura del servizio e conseguente considerazione della addebitabilità o meno individuale al singolo condomino.

Nel sibillino e non felice  inciso finale la corte di legittimità sembra escludere in buona parte l’applicabilità dell’art. 1123 c.c. alle spese c.d. personali, che potranno essere imputate al singolo solo ove riguardino servizi e beni comuni ai quali non pare peraltro potersi ricondurre l’operato dell’amministratore che, laddove soddisfi richieste e chiarimenti dei singoli, non sta erogando un servizio comune ma sta soddisfacendo una istanza individuale, i cui costi è corretto che non ricadano sulla intera collettività e – sembra di leggere fra le righe – il cui onere non può comunque essere oggetto di deliberazione assemblare, che può avere ad oggetto solo beni e servizi comuni.

Stabilire poi se quelle spese, imputate al singolo, costituiscano posta individuale – da recuperare con ordinari criteri giudiziali – oppure debbano intendersi servizio comune fruito in maniera più intensa – si che appare giustificata l’applicazione dell’art. 1123 comma II c.c. (e la conseguente competenza dell’assemblea a deliberare sul punto)  è valutazione di fatto che compete unicamente al giudice di merito, chiamato a valutare ogni singolo importo e la natura della prestazione a cui si riferisce.

© massimo ginesi 16 maggio 2019 

 

il Condominio parziale, anno 2016 – parte prima

 

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L’ISTITUTO DEL CONDOMINIO PARZIALE AFFRONTATO IN UNA RECENTISSIMA PRONUNCIA DELLA CASSAZIONE

Cassazione civile II sezione civile 17 giugno 2016 n. 12641

La seconda Sezione civile della Cassazione affronta il tema del condominio parziale con una sentenza il cui relatore è un noto ed illustre cultore della materia condominiale.

I FATTI: il titolare di un esercizio commerciale in Genova subisce danno dal crollo di un muro che fa parte del vicino caseggiato, composto dal tre distinti numeri civici e cita in giudizio il numero 13, assumendo che a tale porzione si riferisca il manufatto oggetto di danno. Si costituisce l’amministratore di tale numero civico unicamente per far valere il difetto di legittimazione passiva, affermando che il muro crollato è di pertinenza del civico 15.

I giudici di merito di primo e secondo grado (Tribunale e Corte di Appello di Genova) accolgono l’eccezione e respingono la domanda, così che il danneggiato ricorre in Cassazione.

Assai interessante appare già la ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice di legittimità: “E’ pacifico che la domanda di risarcimento dei danni fosse stata portata da G. B. con la citazione del 26 giugno 2001 nei confronti del condominio di via B. I. n. 13″. L’attore esponeva che nell’edificio di tale condominio erano in corso lavori di ristrutturazione, nel corso dei quali si era verificato un crollo che aveva cagionato gravi danni all’esercizio commerciale da lui condotto. Era stato quindi proprio il B. a prospettare in domanda una legittimazione passiva del Condominio di via B. I. n. 13, agendo nei confronti dello stesso a titolo di responsabilità extracontrattuale quale custode e proprietario del muro crollato. Com’è stato autorevolmente chiarito da Cass. sez. un. 16 febbraio 2016, n. 2951, ai fini di valutare la sussistenza della legittimazione a contraddire, ciò che rileva è la prospettazione contenuta nella domanda, la quale individua un soggetto come titolare dell’obbligo o della diversa situazione soggettiva passiva dedotta in giudizio. La legittimazione passiva manca, allora, solo allorchè dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il dovere o l’obbligo azionato non appartiene al convenuto. Nel caso in esame, pertanto, impropriamente si è discusso di difetto di legittimazione passiva del Condominio di via B. I. 13. Questo era il reale destinatario della pretesa risarcitoria intentata dal B., e questo si era costituito davanti al Tribunale di Genova per eccepire che il muro crollato sul Bar S. di proprietà dell’attore appartenesse al vicino edificio ed a diverso condominio edilizio. 61. Il Condominio di via B. I. 13 aveva, quindi, disconosciuto, stricto sensu, non la propria legittimazione passiva quanto la riferibilità ad esso della titolarità della posizione soggettiva passiva dedotta in giudizio a sostegno della richiesta di danni. La relativa questione attiene, pertanto, al merito della causa e non alla legittimazione: ovvero, se il muro crollato nel corso dei lavori di ristrutturazione rientrasse tra i beni comuni ex art. 1117 e.e. appartenenti al Condominio di via B. I. 13. All’esito del giudizio di merito, Tribunale e Corte d’Appello hanno dato per accertato che la parte crollata sull’immobile del B. durante i lavori eseguiti dalla I.G.C. rientrasse nella proprietà del diverso Condominio di via B. I. 15, e quindi che la parte convenuta non fosse titolare dell’obbligo risarcitorio che l’attore aveva prospettato come suo”

La Corte rileva anche il mutamento della domanda avanzata dall’attore: “Mutando la sua iniziale strategia difensiva, l’attore aveva quindi dedotto che, in realtà, la citazione si dovesse intendere rivolta all’unico Condominio di via B. I. 13, 15 e 17, trattandosi di complesso edilizio unitario.”

Da tale ricostruzione la Corte trae una lunga, articolata e interessante ricostruzione del fenomeno “condominio parziale”, che attiene ad aspetti sostanziali e processuali e  che trascendono il mero aspetto della ripartizione della spesa individuato dall’art. 1123 III comma cod.civ.: “E’ noto come il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 cod.civ., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 cod.civ., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”. Anzi, la “condominialità” si reputa non di meno sussistente pur ove sia verificabile un insieme di edifici “indipendenti”, e cioè manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, ciò ricavandosi dagli artt. 61 e 62 disp. att. cod.civ. , che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui “un gruppo di edifici … si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi”, sempre che “restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dell’articolo 1117 del codice”. Può, pertanto, ravvisarsi un autonomo condominio dei proprietari di uno o alcuni dei beni già comuni dell’originario intero edificio solo nel rispetto della disposizione eccezionale di cui all’art. 61 disp.att. cod.civ., la quale prevede la possibilità di scissione, in base a deliberazione assembleare adottata con la maggioranza ex art. 1136, comma 2, e.e., dell’unico condominio originario in più condomini, mediante atto ricognitivo postulante che le diverse parti del complesso edilizio presentino i connotati di strutture autonome e distinte. La natura eccezionale dell’art. 61 disp.att. cod.civ. discende dalla constatazione che essa deroga al principio secondo il quale la divisione può essere attuata solo con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione. E’ dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto, o l’area di sedime, o i muri maestri, o le scale, o l’ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. 24 novembre 2010, n. 23851).

Mancano i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 cod.civ., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Di per sé, il condominio parziale non esige un fatto o atto costitutivo a sé, ma insorge ope legis, in presenza della condizione materiale o funzionale giuridicamente rilevante, finendo per coesistere nell’edificio con la più vasta organizzazione configurata dal condominio.

Può, tuttavia, ipotizzarsi pure un’apposita clausola del regolamento volta ad attribuire soltanto ad un gruppo di condomini la proprietà di un bene o di un impianto, ovvero ad accertarne la titolarità esclusiva in forza della destinazione oggettiva della cosa stessa, dando conto delle conseguenze gestionali di tale situazione di condominio parziale. Nessuna modifica relativa al regime delle cose comuni può, infatti, derivare da una delibera di istituzione di uno o più condomini parziali nell’ambito del fabbricato: la volontà della maggioranza assembleare non potrebbe validamente modificare le relazioni di comproprietà tra i singoli condomini e le parti comuni dell’edificio, né incidere sulla legittimazione dei partecipanti a decidere in ordine alla loro gestione.

Il fondamento normativo, che limita in tal senso la proprietà di cose, servizi ed impianti dell’edificio, si rinviene nell ‘ art. 1123, comma 3, cod.civ. Il primo comma dello stesso art. 1123 cod.civ. elabora il principio generale secondo cui l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione e per il godimento delle parti comuni si suddivide in proporzione alle quote di ciascuno; il terzo comma consente allora di aggiungere che l’obbligazione di contribuire alle spese per la conservazione ed il godimento grava, invece, soltanto su taluni condomini, come conseguenza della delimitazione della loro appartenenza. A tale parziale attribuzione della titolarità delle parti comuni corrispondono conseguenze di rilievo per quanto attiene alla gestione, nonché all’imputazione delle spese. Relativamente alle cose, di cui non hanno la titolarità per i partecipanti al gruppo non sussiste il diritto di partecipare all’assemblea, dal che deriva che la composizione del collegio e delle maggioranze si modifica in relazione alla titolarità delle specifiche parti oggetto della concreta delibera da adottare. A carico dei medesimi condomini privi di contitolarità con riguardo a quel dato bene, neppure ovviamente si pone un problema di contribuire alle spese. (Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363, peraltro, ha del tutto convincentemente negato una legittimazione processuale del condominio parziale, tale da poter sostituire il condominio dell’intero edificio, dichiarando inammissibile il ricorso proposto dal “Condominio della Scala D” avverso una sentenza pronunciata al culmine di un giudizio di merito del quale era stato in precedenza parte il Condominio globalmente inteso, e altresì specificando l ‘irrilevanza del fatto che l’amministratore del medesimo condominio parziale della singola scala fosse la stessa persona fisica investita di tale ufficio nel condominio dell’intero edificio). La negazione di un’ipotetica legittimazione e capacità processuale autonoma o sostitutiva del condominio parziale rispetto al condomino dell’intero edificio, ovvero della facoltà dello stesso di agire mediante un proprio distinto rappresentante a difesa dei diritti comuni inerenti alle parti oggetto della più limitata contitolarità di cui all’art. 1123, comma 3, cod.civ. , è corroborata dalla considerazione che i criteri di ripartizione delle spese necessarie per provvedere alla manutenzione delle parti comuni, stabiliti dagli artt. 1123, 1124, 1125 e 1126 cod.civ., non possono mai influire sulla legittimazione del condominio nella sua interezza, né sulla rappresentanza del suo amministratore estesa a tutti i condomini.”

La premessa in diritto consente di risolvere il caso all’esame della Corte, che sottolinea come l’accertamento di merito sulla sussistenza o meno di un unico edificio o di più condominii contigui ma autonomi è accertamento di fato insindacabile – ove adeguatamente motivato – in sede di legittimità.:

“Ove, come egli assume, il muro crollato e causa del danno da risarcire costituisse bene necessario all’uso comune soltanto relativo ad uno degli edifici dell’unico Condominio di via B. I. contraddistinto coi numeri 13, 15 e 17, in situazione di condominio parziale, e quindi inserito in un più ampio complesso condominiale abbracciante i tre numeri civici, comunque la domanda risarcitoria sarebbe risultata inammissibilmente rivolta nei confronti di uno solo di tali edifici (quello numero 13), ovvero di un condominio parziale, contravvenendo a quanto dapprima evidenziato nel richiamo al principio affermato da Cass. 17 febbraio 2012, n. 2363. Peraltro, col dedursi appunto che il muro crollato, e dal quale era disceso il danno all’esercizio commerciale del B., appartenesse, in realtà, all’unico condominio complesso, costituito dai tre fabbricati nn. 13, 15 e 17 di via B. I., in quanto gruppo di edifici che, seppur indipendenti, avessero in comune alcuni dei beni di cui all’art. 1117 e.e., si suppone una valutazione in fatto, sottratta ·al giudizio di legittimità. Spetta, infatti, all’accertamento del giudice di merito, non sindacabile dalla Corte di Cassazione ove, come nella specie, congruamente motivato, verificare l’esistenza di un unico condominio nell’ipotesi di fabbricati adiacenti orizzontalmente, in quanto dotati di strutture portanti o impianti comuni tra quelli indicati dal citato art. 1117 cod.civ. La Corte d’Appello di Genova ha argomentato al riguardo che mancassero elementi per ricavarne che i tre civici potessero essere considerati un unico edificio, essendo essi, anzi, del tutto distinti, con ingressi autonomi, sicchè la domanda risarcitoria andava rivolta al Condominio del civico 15, benché fosse rappresentato dallo stesso amministratore del civico 13 erroneamente evocato in lite. Allorchè il ricorrente censura l’affermazione della sentenza della Corte d’Appello secondo cui si tratterebbe di tre edifici del tutto distinti, perché essa non avrebbe tenuto conto del fatto incontestato della “continuità tra i tre civici”, ciò non equivale alla denuncia di un vizio di motivazione su un punto decisivo, denunziabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto tale doglianza postula che il giudice di merito abbia formulato un apprezzamento, nel senso che, dopo aver percepito un fatto di causa negli esatti termini materiali in cui è stato prospettato dalla parte, abbia omesso di valutarlo, in modo che l’omissione venga a risolversi in un implicito apprezzamento negativo sulla rilevanza del fatto stesso, ovvero lo abbia valutato in modo insufficiente o illogico.”

Una sentenza interessante, che traccia – nell’anno 2016 – i contenuti ed i confini di un istituto peculiare quale il condominio parziale.

Nella seconda parte si esaminerà, con lo stesso criterio (l’evidenziazione dei passi cruciali del provvedimento), una pronuncia assai più risalente che rappresenta una pietra miliare nella disamina dello stesso istituto e che vede la firma – quale relatore – di Rafaele Corona (già presidente della Seconda Sezione della CAssazione), finissimo studioso del diritto condominiale.

Nella sentenza 7885/1994 si tracciano, con grande acutezza, non solo le linee del Condominio parziale, ma si giunge assai vicini all’essenza del diritto di condominio, un concetto che il legislatore ha disciplinato ma mai espresso.

segue…

© massimo ginesi giugno 2016

gennaio 2016 – le servitù in condominio e il diritto di parcheggio

il diritto reale di servitù può essere costituito anche nel condominio a carico di beni comuni ed a favore di beni individuali, non applicandosi in tale contesto il principio “nemini in res sua servit”.

Il diritto di parcheggio non costituisce diritto autonomo ma semplice facoltà di godimento del proprietario. (massima non ufficiale)

Tribunale di Massa 20 gennaio 2016

La vicenda all’esame del Tribunale è davvero peculiare. Un condomino si duole che altri condomini parcheggino nel cortile antistante il fabbricato, comune anche a soggetti terzi estranei al condominio e sul quale è costituita per titolo servitù di passo a favore della sua unità; a tal proposito sostiene che l’esistenza di servitù a carico del cortile è incompatibile con l’uso a parcheggio in assoluto – anche laddove non intralci il passaggio – e deve essere dichiarata l’inesistenza di tale diritto in capo ai comproprietari del fondo servente.

Il fatto è così delineato nella sentenza: “La complessa e non sempre lineare qualificazione giuridica che l’attore ha inteso dare alla propria istanza – così come anche risulta dalle conclusioni rassegnate all’udienza del 25 novembre 2015 – sembra volta a richiedere una pronuncia dichiarativa circa l’inesistenza di un diritto di parcheggio sull’intero mappale 3.. f. 1.. poiché, a suo dire, la mera attività del parcheggiare non sarebbe consentita ai comproprietari del fondo servente (fra i quali peraltro figura lo stesso attore) e sarebbe, in re ipsa, lesiva del diritto di servitù di passo pedonale e carraio, costituito su tale mappale con atto Notaio M. 15.9.53, in forza del quale veniva gravata di detto peso “una striscia di terreno della larghezza di metri 3,50 che partendo dalla via M. raggiunge con andamento rettilineo perpendicolare alla facciata del predetto edificio lì avancorpo della fabbrica stessa ove si apre la porta principale di ingresso”

Il Tribunale respinge la domanda ed osserva che “ l’attore non deduce specifiche condotte ostative nell’atto introduttivo né le lamenta e offre di provarle nelle memorie ex art. 183 c.p.c., ove si limita a dedurre prove circa l’appartenenza delle auto rappresentate nelle foto; immagini, da lui stesso prodotte, che peraltro mostrano tutte veicoli che sono parcheggiati in maniera tale da consentire pacificamente e ampiamente il transito veicolare nella striscia che costituisce proiezione del cancello di ingresso all’area”.

Richiamato un orientamento giurisprudenziale, che appare consolidato, in ordine all’esistenza della servitù in condominio (“ Premesso che può sussistere servitù ove il proprietario del fondo dominante sia anche comproprietario del fondo servente (Cassazione civile, sez. II, 17/07/1998, n. 6994”), il Giudice osserva che il diritto di parcheggio non costituisce un autonomo genere di posizione soggettiva ma è semplicemente una delle modalità con le quali, nell’ambito dei limiti previsti dall’art. 1102 cod.civ., il proprietario esercita il proprio diritto e che – ove tale esercizio non leda il pacifico godimento degli altri diritti sul bene – deve ritenersi perfettamente legittimo: “i comproprietari del fondo servente (fra i quali risulta lo stesso attore), esercitano la facoltà di parcheggio come una delle possibili manifestazioni della (com)proprietà di cui sono titolari (cass. 23708/2014). Non esiste un genus autonomo di diritto riconducibile al parcheggio di autoveicoli, che costituisce invece mera facoltà del titolare del diritto dominicale, che dovrà esercitarsi nei limiti dell’art. 1102 cod.civ. e nel rispetto di eventuali diritti di terzi. Tutti i comproprietari, per pacifica giurisprudenza, hanno diritto di trarre dal bene le utilità che lo stesso può dare, con l’unico limite di rispettarne la destinazione e di non impedirne agli altri di farne parimenti uso. L’attore non ha dedotto che a lui venga impedito di parcheggiare, mentre non è sostenibile che l’intero mappale sia destinato al passaggio e transito, essendo tale vincolo impresso solo alla striscia gravata di servitù che, peraltro, non risulta lesa nella sua funzione dalle condotte denunciate dall’attore. “

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