cortile comune: l’utilizzo per il transito verso beni individuali è espressione di (com)proprietà e non di servitù.

Una nitida ordinanza di legittimità (Cass.Civ. sez.II 24 luglio 2018 n. 19550 rel. Scarpa)  richiama i principi cardine in tema di (com)proprietà e uso del bene comune, al fine di valutare la correttezza del provvedimento di merito con cui è stata riconosciuta la liceità della condotta di alcuni condomini, che utilizzavano il cortile comune per accedere con autovetture alla propria proprietà esclusiva.

“La Corte d’Appello di Brescia, tenuto conto che G.C ed A. C. B. avevano rinunciato alle loro domande riconvenzionali di confessoria e negatoria servitutis, ha limitato il proprio esame della fattispecie al disposto dell’art. 1102 c.c., per concludere che l’utilizzo del cortile comune a scopo di transito da parte dei medesimi appellanti C. e B. fosse compatibile con l’uso di fatto dello spazio a piazzola di parcheggio degli autoveicoli dei condomini accertato dal CTU.”

Il principio espresso dal giudice di legittimità delinea con  chiarezza il quadro normativo cui deve farsi riferimento nella individuazione dei diritti esercitati da ciascun comproprietario, che in nessun caso possono essere ricondotti allo schema della servitù ove si discuta di utilizzo – anche più intenso e a fini individuali – del bene comune: essendo inclusa nel termine “cortile”, ex art. 1117, n. 1, c.c., ogni area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ivi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate del fabbricato, quali, appunto, gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi (così Cass. Sez. 2, 09/06/2000, n. 7889).

Una volta ritenuto il nesso di condominialità corrente tra l’unità immobiliare di proprietà esclusiva dei signori C. e B. e l’area compresa nel mappale 1…, l’uso di tale bene da parte dei medesimi convenuti ed attuali controricorrenti deve trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro.

Né può quindi astrattamente ipotizzarsi, come fatto a fondamento del secondo e del terzo motivo di ricorso, un’azione negatoria ex art. 949 c.c. per la cessazione delle molestie attribuite ai controricorrenti C. e B., i quali transitano con automezzi nel cortile, in quanto la qualità di condomini riconosciuta in capo a quest’ultimi deve, appunto, essere regolata, come fatto dalla Corte d’Appello di Brescia, sulla base dell’art. 1102 c.c., norma avente per oggetto l’uso legittimo delle cose comuni (cfr. di recente Cass. Sez. 2, 16/01/2018, n. 884).

Ai sensi dell’art. 1102, comma 1, c.c. l’uso della cosa comune da parte del singolo partecipante al condominio è consentito in conformità alla destinazione della cosa stessa, considerata non già in astratto, con esclusivo riguardo alla sua consistenza, bensì con riguardo alla complessiva entità delle singole proprietà individuali cui la cosa comune è funzionalizzata.

Ciascun condomino ha, così, diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi.

In particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene.”

Tale valutazione di fatto, che compete dal giudice di merito, nel caso di specie ha avuto esito positivo e congruamente motivato: ” la Corte d’Appello, in conformità a tali principi, ha  accertato che l’utilizzo dell’area comune a scopo di transito veicolare da parte dei condomini C. e B. fosse compatibile con l’uso ad essa impresso, come risultante dalla CTU, di parcheggio di autoveicoli, esistendo, del resto, l’accesso carrabile dalla proprietà C.-B. sin dal momento di costruzione delcomplesso immobiliare (cfr. Cass. Sez. 2, 01/08/2001, n. 10453; Cass. Sez. 2, 06/06/1988, n. 3819)”.

© massimo ginesi 26 luglio 2018

INTERVENTO SULLE PARTI COMUNI E DIRITTI DEI SINGOLI – L’AMPIEZZA DEL PASSAGGIO.

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La Suprema Corte, (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 luglio – 23 novembre 2016, n. 23889 Presidente Bianchini – Relatore Oricchio) affronta un tema ricorrente e strettamente contiguo ad altra pronuncia commentata ieri in tema di installazione di ascensore, ove l’innovazione rechi pregiudizio ai singoli.

Se la pronuncia sulla installazione dell’ascensore attiene alla lettura ed applicazione dell’art. 1120 cod.civ., la sentenza oggi in commento riguarda invece l’altra norma fondamentale sulntema, ovvero l’art. 1102 cod.civ.

La norma, dettata in tema di comunione e pacificamente applicabile al condominio in virtù del richiamo dell’art. 1139 cod.civ. e della costante giurisprudenza sul punto, disciplina i limiti delle facoltà di intervento del singolo sulle parti comuni (mentre l’art. 1120 cod.civ. disciplina i limiti degli interventi deliberati dalla assemblea).

I fatti: un condomino cita in giudizio, dinanzi al al Tribunale di Bolzano altro condomino: “L’attrice chiedeva la condanna della convenuta alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi relativamente alle parti comuni che erano state inglobate dalla stessa, senza autorizzazione dei condomini, in occasione dei lavori di ristrutturazione del di lei alloggio”.

Domanda accolta sia dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello di Trento. La cassazione cassava la sentenza e rinviava per altro giudizio, che le perviene nuovamente a seguito di nuova decisone della Corte di secondo grado.

Questo il principio di diritto affermato, con  un interessante inciso – anche in questo caso – sulla ampiezza minima del passaggio: “In ogni caso il nucleo della svolta censura attiene alla pretesa erroneità della gravata decisione in punto di indagine sulla “esistenza o meno di pregiudizio…. in relazione all’esercizio del diritto di transito sulle cose comuni”, anche alla stregua di quanto statuito da questa Corte con la precedete sentenza n. 28025/2011 e di quanto risultante dalle risultanze peritali.
La censura, quanto a tale precipuo punto, non può essere accolta. La citata pregressa decisione di questa Corte non aveva escluso in toto il pregiudizio conseguente alle opere realizzate dalla parte odierna parte ricorrente, ma si era limitata al rinvio alla Corte territoriale al fine dell’accertamento del carattere pregiudizievole delle stesse.
Legittimamente e correttamente la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte ha svolto adeguata valutazione del detto carattere pregiudizievole.
Tanto a mezzo della propria valutazione delle risultanze di causa, costituenti elemento proprio del giudizio di merito, nonché considerando anche la normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche.
Invero appare corretto, quanto alla inammissibile e comunque infondata la svolta censura che attinge al merito, in considerazione dei due già accennati elementi e profili.
Innanzitutto il restringimento (attraverso l’utilizzo di una parte del bene comune) ha comportato una impossibilità di uso del ballatoio secondo la naturale destinazione dello stesso.
In secondo luogo (ed anche in senso contrario alla relazione peritale) il restringimento ad 80 cm. della larghezza dell’accesso al detto ballatoio sarebbe comunque inferiore a quanto normativamente previsto e quindi inidoneo per il passaggio di persone diversamente abili (DD.LL.PP. 16 giugno 1989, n. 236).

© massimo ginesi 1 dicembre 2016

gennaio 2016 – le servitù in condominio e il diritto di parcheggio

il diritto reale di servitù può essere costituito anche nel condominio a carico di beni comuni ed a favore di beni individuali, non applicandosi in tale contesto il principio “nemini in res sua servit”.

Il diritto di parcheggio non costituisce diritto autonomo ma semplice facoltà di godimento del proprietario. (massima non ufficiale)

Tribunale di Massa 20 gennaio 2016

La vicenda all’esame del Tribunale è davvero peculiare. Un condomino si duole che altri condomini parcheggino nel cortile antistante il fabbricato, comune anche a soggetti terzi estranei al condominio e sul quale è costituita per titolo servitù di passo a favore della sua unità; a tal proposito sostiene che l’esistenza di servitù a carico del cortile è incompatibile con l’uso a parcheggio in assoluto – anche laddove non intralci il passaggio – e deve essere dichiarata l’inesistenza di tale diritto in capo ai comproprietari del fondo servente.

Il fatto è così delineato nella sentenza: “La complessa e non sempre lineare qualificazione giuridica che l’attore ha inteso dare alla propria istanza – così come anche risulta dalle conclusioni rassegnate all’udienza del 25 novembre 2015 – sembra volta a richiedere una pronuncia dichiarativa circa l’inesistenza di un diritto di parcheggio sull’intero mappale 3.. f. 1.. poiché, a suo dire, la mera attività del parcheggiare non sarebbe consentita ai comproprietari del fondo servente (fra i quali peraltro figura lo stesso attore) e sarebbe, in re ipsa, lesiva del diritto di servitù di passo pedonale e carraio, costituito su tale mappale con atto Notaio M. 15.9.53, in forza del quale veniva gravata di detto peso “una striscia di terreno della larghezza di metri 3,50 che partendo dalla via M. raggiunge con andamento rettilineo perpendicolare alla facciata del predetto edificio lì avancorpo della fabbrica stessa ove si apre la porta principale di ingresso”

Il Tribunale respinge la domanda ed osserva che “ l’attore non deduce specifiche condotte ostative nell’atto introduttivo né le lamenta e offre di provarle nelle memorie ex art. 183 c.p.c., ove si limita a dedurre prove circa l’appartenenza delle auto rappresentate nelle foto; immagini, da lui stesso prodotte, che peraltro mostrano tutte veicoli che sono parcheggiati in maniera tale da consentire pacificamente e ampiamente il transito veicolare nella striscia che costituisce proiezione del cancello di ingresso all’area”.

Richiamato un orientamento giurisprudenziale, che appare consolidato, in ordine all’esistenza della servitù in condominio (“ Premesso che può sussistere servitù ove il proprietario del fondo dominante sia anche comproprietario del fondo servente (Cassazione civile, sez. II, 17/07/1998, n. 6994”), il Giudice osserva che il diritto di parcheggio non costituisce un autonomo genere di posizione soggettiva ma è semplicemente una delle modalità con le quali, nell’ambito dei limiti previsti dall’art. 1102 cod.civ., il proprietario esercita il proprio diritto e che – ove tale esercizio non leda il pacifico godimento degli altri diritti sul bene – deve ritenersi perfettamente legittimo: “i comproprietari del fondo servente (fra i quali risulta lo stesso attore), esercitano la facoltà di parcheggio come una delle possibili manifestazioni della (com)proprietà di cui sono titolari (cass. 23708/2014). Non esiste un genus autonomo di diritto riconducibile al parcheggio di autoveicoli, che costituisce invece mera facoltà del titolare del diritto dominicale, che dovrà esercitarsi nei limiti dell’art. 1102 cod.civ. e nel rispetto di eventuali diritti di terzi. Tutti i comproprietari, per pacifica giurisprudenza, hanno diritto di trarre dal bene le utilità che lo stesso può dare, con l’unico limite di rispettarne la destinazione e di non impedirne agli altri di farne parimenti uso. L’attore non ha dedotto che a lui venga impedito di parcheggiare, mentre non è sostenibile che l’intero mappale sia destinato al passaggio e transito, essendo tale vincolo impresso solo alla striscia gravata di servitù che, peraltro, non risulta lesa nella sua funzione dalle condotte denunciate dall’attore. “

© massimo ginesi

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