una corposa pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 21.6.2022 n. 20007 rel. Scarpa) riconosce al condominio la qualità di consumatore e afferma che la clausola del regolamento contrattuale e che esonera il costruttore dalle spese condominiali va valutata alla luce delle nullità di protezione previste dall’art. 33 cod. consumo.
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Anche per il Tribunale di Napoli il condominio è un consumatore
Il giudice partenopeo (Trib. Napoli 18 maggio 2022 n. 4905) ha ritenuto che il condominio – nei rapporti con operatori professionali – rivesta la qualifica di consumatore e alle controversie con costoro debba essere applicato il relativo foro.
Il giudice ha richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale ai contratti conclusi dall’amministratore con operatori professionali, si applica la disciplina del codice del consumo, agendo l’amministratore quale mandatario con rappresentanza dei singoli condòmini, che devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale dagli stessi eventualmente svolta
© massimo ginesi 15 giugno 2022
vizi delle parti comuni e annullamento del contratto di vendita
un condomino vende la propria unità immobiliare, tacendo all’acquirente che sussistono significativi problemi alle parti comuni (nella specie legati alla presenza di una falda idrica che costringe a interventi di consolidamento dei pilastri).
l’acquirente, una volta stipulato l’atto e divenuto proprietario e residente nel fabbricato, si avvede del grave problema e agisce per l’annullamento del contratto, proponendo domanda dinanzi al Tribunale di Torino; il venditore si costituisce chiamando in garanzia il Condominio, a suo avviso responsabile di non aver eliminato detti vizi.
Il giudice (Trib. Torino 14.1.2022 n. 133) annulla il contratto ma respinge la domanda nei confornti del condominio, ritenendo che il motivo della risoluzione del vincolo vada identificato unicamente nella condotta fraudolenta del venditore; il provvedimento, parziale, è interessante e merita integrale lettura.
© Massimo Ginesi 21.1.2022
consumi anomali di acqua in condominio: i doveri dell’utente
Ove si verifichino consumi anomali di acqua, grava sull’utente l’onere di contestare le fatture e chiedere un accertamento sul corretto funzionamento del contatore, mentre all’azienda erogatrice incombe l’onere di provare la correttezza della misurazione.
E’ quanto ha stabilito la Corte di legittimità (Cass.civ. sez. III ord. 19 gennaio 2021 n. 836): “spetta all’utente contestare il malfunzionamento del contatore – richiedendone la verifica – e dimostrare l’entità dei consumi effettuati nel periodo”, con riferimento al “dato statistico di consumo normalmente rilevato in precedenti bollette e corrispondente agi ordinari impieghi del bene somministrato”.
Afferma ancora la Corte che “la rilevazione dei consumi mediante contatore è assistita da una mera presunzione semplice di veridicità sicché, in caso di contestazione, grava sul somministrante, anche se convenuto in giudizio con azione di accertamento negativo del credito, l’onere di provare che il contatore era perfettamente funzionante, mentre il fruitore deve dimostrare che l’eccessività dei consumi è dovuta a fattori esterni al suo controllo e che non avrebbe potuto evitare con un’attenta custodia dell’impianto, ovvero di aver diligentemente vigilato affinché eventuali intrusioni di terzi non potessero alterare il normale funzionamento del misuratore o determinare un incremento dei consumi”.
© massimo ginesi 20 gennaio 2021
Decreto ingiuntivo e mediazione, nubi all’orizzonte: aumenteranno le opposizioni meramente dilatorie?
La recente pronuncia delle sezioni unite chiarisce che l’onere di dare impulso al procedimento di mediazione nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo incombe al creditore e, ove questi non vi provveda, il giudice dovrà dichiarare improcedibile la domanda e revocare il decreto.
Una recente ordinanza del giudice di legittimità ha inoltre statuito che nel condominio l’amministratore deve essere sempre autorizzato dall’assemblea a partecipare (o a dare impulso) a procedimento di mediazione, non avendo poteri autonomi ai fini dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ.
E’ evidente che l’effetto congiunto di tale due statuizioni comporta che i decreti ingiuntivi ottenuti dal condominio ex art 63 disp.att. cod.civ. nei confronti dei condomini morosi vedranno fiorire opposizioni fantasiose da parte di coloro che accampano mere pretese dilatorie, posto che a quel punto sarà onere del condominio promuovere la mediazione (a pena di revoca del decreto) e, come è noto, non sempre è semplice raggiungere la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 comma II c.c., così come richiesta dall’art. 71 quater disp.att. cod.civ. per autorizzare l’amministratore a partecipare al procedimento di ADR.
Ove il condominio non riesca deliberare in tal senso, al giudice non resterà che revocare il decreto e plausibilmente condannare pure il condominio alle spese della fase di opposizione.
@ massimo ginesi 25 settembre 2020
Foto di FelixMittermeier da Pixabay
Assemblee di condominio, D.L. 33/2020 e DPCM 17 maggio 2020: facciamo chiarezza
Questi ultimi due mesi ci hanno abituato ad una pessima prassi normativa, che ha aggravato la già pesante situazione di un paese in cui il legislatore degli ultimi 40 anni non pare dotato di grande efficacia e sintesi (tutti ricorderanno la lievitazione dell’art. 1129 c.c., con la riforma del 2012, da 4 a 16 commi).
La legislazione del periodo covid , con un mix micidiale di decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze e – non ultime – le faq sui siti ministeriali, ha definitivamente cancellato nella percezione comune la differenza fra fonti di legge e la loro gerarchia (decreti legge), atti amministrativi (DM e DPCM e ordinanze), atti di indirizzo a mera valenza interna nella pubblica amministrazione (circolari), senza alcun effetto vincolante per il cittadino, e mere informazioni irrilevanti (e spesso fuorvianti), quali le c.d. FAQ.
A ciò si aggiunga una gazzarra di articoli, commenti interpretazioni che da un lato scontano l’effetto web e social (ognuno è libero di dire ciò che pensa, parificando agli occhi del lettore non smaliziato, lo studioso di lungo corso al giocatore di bocce) e dall’altro pagano l’effetto del lockdown, in cui molti hanno cercato di rimanere visibili e presenti (specie fra i portali informatici e associativi), spesso puntando sul mero sensazionalismo.
Quanto alle assemblee di condominio, dal 6 marzo in poi si sono succedute diverse fonti normative di rango diverso (D.L. e DPCM) che hanno vietato riunioni ed assembramenti, senza tuttavia fare mai espressa menzione delle adunanze condominiali.
Abbiamo da sempre sostenuto che dal punto di vista letterale e sistematico tutte quelle disposizioni si applicavano agli eventi pubblici e non alle riunioni private che, sotto il profilo giuridico, ove si svolgano in locali di metratura idonea a garantire le distanze di sicurezza (o meglio ancora all’aperto, in aree sportive o cortilizie condominiali), non potevano ritenersi ex lege vietate.
Tuttavia pur non potendo ritenersi tout court vietata la riunione dell’organo collegiale condominiale, non può non tenersi conto dei limiti ancora oggi posti alla possibilità di movimento delle persone (si pensi al condomino che abita fuori regione o che sia risultato positivo o in quarantena per contatti con positivo), che rendono di fatto impossibile la partecipazione a taluni aventi diritto, con possibile impugnativa della delibera che venisse presa in loro assenza.
Allo stesso modo in molte realtà, specie quelle numerose, appare impossibile reperire aree in cui svolgere le riunioni nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, sì che ad oggi – appare consigliabile per l’amministratore evitare di convocare adunanze che non siano più che urgenti o celebrabili senza difficoltà per la natura del condominio e l’entità dei partecipanti.
La delicatezza della vicenda è evidente, tanto che la oggettiva difficoltà di convocare assemblee ha indotto il legislatore ad introdurre nel decreto legge c.d. rilancio, ad oggi non ancora pubblicato in G.U., due norme che – seppur con modalità discutibili – prorogano di sei mesi l’incarico dell’amministratore e di un anno il termine per l’approvazione dei rendiconti, così come fissato dall’art. 1130 n. 10 c.c.
Tali principi, così come la possibilità concreta – anche alla luce della legislazione vigente – di poter tenere assemblea con il collegamento da remoto per taluni condomini o a svolgere in modalità virtuale l’intera riunione, non ostando a tale fine l’indicazione del del luogo (non necessariamente oggettivo) previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. paiono trasparire anche dall’interpretazione recente di autorevolissima dottrina. *
A fronte di tali premesse, nessuna modifica di rilievo introducono i D.L. 33/2020 e l’annunciato DPCM sula ripresa delle attività, laddove il primo prescrive , all’art. 1 “ 1. A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all’interno del territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o reiterate, ai sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica.” e prevede che le riunioni possano tenersi con la distanza interpersonale di un metro, poichè si tratta di norme che si riferiscono ad eventi tenuti in luogo pubblico o aperto al pubblico e non alle assemblee di condominio a cui, già in precedenza, non poteva ritenersi applicabile sic et simpliciter la disciplina emergenziale di divieto.
Rimangono invece intatti (per il momento sino al 2 giugno p.v. i limiti di circolazione regionale, con possibilità di deroga restrittiva da parte degli enti territoriali, nonchè gli obblighi e le limitazioni sanitarie per taluni soggetti) sì che restano del tutto identici gli aspetti che consigliano di non celebrare ad oggi assemblee di condominio, se non in quei casi in cui si possa effettivamente garantire la partecipazione in sicurezza dei condomini e, soprattutto, tutti gli aventi diritto possano effettivamente essere in condizioni di intervenire.
Ne deriva che la notizia che dal 18 maggio p.v. il condominio riparta a pieno regime e gli amministratori debbano precipitarsi a convocare assemblee non è solo destituita di fondamento, è semplicemente pericolosa. Certamente vi è, in prospettiva, una necessità di riprendere l’ordinaria vita amministrativa, iniziative tuttavia da effettuare con l’osservanza di tutte le cautele e gradualità che le situazioni concrete e le disposizioni normative di volta in volta emanate consiglieranno.
* Scarpa “Decreto Rilancio: è davvero invalida l’assemblea virtuale di condominio?”, su “il quotidiano giuridico, WK, 15 maggio 2020
© massimo ginesi 17 maggio 2020
aggiornamento – il DPCM reso pubblico in serata non incide su alcuna delle questioni sopra esaminate, costituendo – quanto alle misure di prevenzione e sicurezza – un modesto riassembelaggio delle norme sino ad oggi emanate, salvo l’espressa previsione di cui all’art. 2 comma 2 che prevede l’espresso obbligo di mascherina per i luoghi chiusi e aperti al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza interpersonale, misura che appare ragionevole ritenere applicabile anche al condominio (e che peraltro già derivava da buone prassi sanitarie raccomandate da mesi).
ipotesi di modifiche normative emergenziali in materia condominiale, un rimedio peggiore del virus
Nel gran calderone delle norme, di ogni ordine, grado e tipo – quasi tutte accomunate da una preoccupante inadeguatezza tecnica e pratica – che in questi ormai due mesi hanno flagellato il popolo italiano bene oltre e più del virus, si apprende che – in sede di conversione dei decreti legge promulgati nell’emergenza – si cerca di inserire norme ad hoc in materia condominiale.
Non vi è dubbio che sussista emergenza nel mondo condominiale, sia per il sostanziale impedimento normativo a celebrare facilmente assemblee e ad approvare i relativi bilanci e nominare l’amministratore, sia per la concreta impossibilità di richiedere decreti ingiuntivi e dar corso alle relative azioni esecutive a fronte di una paralisi di fatto dei Tribunali (a cui si accompagna a fronte dell’indiscriminato e protratto lockdown, una sempre più significativa crisi di liquidità in capo ai condomini onerati).
Certo è che se i rimedi che questo legislatore si appresta a varare sono quelli che traspaiono dagli ordini del giorno divulgati non v’è di che stare sereni.
Evidenziamo, a prima lettura, le perplessità immediate, salvo un miglior approfondimento e con l’auspicio che della stesura di un eventuale art. 72 quinquies disp.att. cod.civ. si occupi qualcuno che mostri di avere dimestichezza con la norma giuridica e con il condominio.
Viene peraltro da chiedersi perché questi brillanti propositori intendano introdurre una norma di attuazione del codice civile per far fronte ad una situazione emergenziale e transitoria, che ben potrebbe essere gestita da norma speciale, il cui vigore cesserebbe con il venir meno della c.d. epidemia
Questo è il testo presentato alla seduta pubblica n. 330 del 23 aprile 2020 – alla Camera dei Deputati
“Dopo l’articolo 72-quater, aggiungere il seguente:
Art. 72-quinquies. (Disposizioni in materia condominiale)
1 – Per prevenire la diffusione del COVID-19 a tutela dei condomini e di chi lavora all’interno del condominio, è fatto obbligo all’amministratore in carica alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, di effettuare ogni due settimane fino a cessata emergenza, la sanificazione delle parti comuni e di lavoro del condominio con prodotti specifici.
Si imputa all’amministratore, in un momento di difficoltà economica complessiva e di impossibilità concreta di riscuotere le quote (al momento, anche di agire in giudizio a tale scopo) l’obbligo di procedere ad una attività costosa, per la quale potrebbe non avere la relativa provvista né essere in grado di procurarsela tempestivamente (quanto peraltro previsto al punto 5 relativamente alla riscossione è ancor più inquietante)
2- L’attività di amministratore immobiliare e condominiale, codice ATECO 68.32.00, può svolgersi nel rispetto di tutte le misure di sicurezza previste per la prevenzione della diffusione del COVID-19. La protezione civile e le Autorità competenti sono tenute ad informare l’amministratore di eventuali casi di positività al COVID-19 all’interno del condominio o all’obbligo di quarantena. In tal caso la sanificazione di cui al comma precedente deve essere effettuata settimanalmente.
L’amministratore è un libero professionista non ordinistico, ex L. 4/2013, art 72 bis disp.att. cod.civ. e DM 140/2014. Quindi la sua attività non era comunque sospesa da alcuna disposizione precedente.
La comunicazione dell’esistenza di positivi all’amministratore, in barba a qualunque disposizione sulla privacy, lo obbliga ad una sanificazione settimanale, cosicché da quel momento tutti gli altri condomini sapranno che vi è un positivo nel fabbricato, con buona pace dell’allarme e dell’ordine sociale. Fermo restando che ad oggi, purtroppo (grazie anche ad un bombardamento mediatico dissennato), si attribuisce al significato positivo una accezione drammatica, quando può essere semplicemente soggetto che risulta aver contratto il virus senza alcun sintomo e nei cui confronti l’unica precauzione utile (evidenziata da tutti gli studiosi) è l’isolamento, non la macelleria sociale. Resta poi rafforzato il dubbio circa le risorse patrimoniali per la sanificazione settimanale che l’amministratore dovrà reperire.
3 – Al fine di consentire all’amministratore di riscuotere le quote condominiali per il normale pagamento dei fornitori e delle utenze condominiali, al comma 7 dell’articolo 1129 del codice civile è apportata la seguente modifica relativa alle modalità di pagamento delle rate condominiali: dopo l’ultimo capoverso è inserito il seguente: «È fatto divieto all’amministratore di riscuotere le quote condominiali presso il proprio studio o presso il condominio», sempre al comma 7 sostituire: «far tramite» con «riscuotere e pagare» e «su uno specifico conto corrente» con: «esclusivamente tramite uno specifico conto corrente».
Così formulata la norma parrebbe consentire all’amministratore di ricevere contanti e assegni ai giardini pubblici, piuttosto che nella piazza comunale. Anche l’introduzione dell’avverbio “esclusivamente” vale semplicemente a significare che l’amministratore per le proprie operazioni dovrà utilizzare esclusivamente il conto corrente. Non sarebbe stato sufficiente puntualizzare che, sino al termine dell’emergenza covid, i pagamenti delle quote condominiali potranno avvenire unicamente mediante versamento da parte dei condomini sul conto corrente condominiale mediante bonifico o altra modalità telematica?
4- Nel caso il mandato dell’amministratore fosse scaduto o in scadenza alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, per consentire il prosieguo dell’attività ordinaria e straordinaria necessaria al buon funzionamento del condominio, in deroga all’articolo 1129, commi 8 e 10, del codice civile, questi si intende rinnovato con pieni poteri fino a quando non sarà esplicitamente revocato dall’assemblea e avrà diritto ai compensi approvati all’atto della nomina.
Con tale formulazione si crea l’amministratore perpetuo a compenso fisso. Si pone indubitabilmente il problema della nomina per coloro che vedano terminare il mandato in periodo emergenziale, ma a tal fine è sufficiente stabilire una proprogatio semestrale o trimestrale o sino al termine dell’emergenza. Appare curioso anche il riferimento ai “pieni poteri” (espressione quanto mai infelice), posto che quelli dell’amministratore sono delineati dall’art. 1130 c.c. e attengono all’ordinaria amministrazione, pacificamente riconosciuta anche in regime di proprogatio, mentre quelli di gestione straordinaria competono ex art 1135 c.c. alla assemblea.
5 – In deroga al primo comma, numero 10), dell’articolo 1130, del codice civile, la redazione e la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto consuntivo con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è posticipata a dodici mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile.
Sarebbe decisamente curioso comprendere cosa si intenda con “la redazione dell’assemblea”
6- Per eventuali necessità urgenti e indifferibili l’amministratore è tenuto ad esercitare i poteri conferitigli al momento dell’accettazione del mandato e dall’articolo 1130 e successivi del codice civile, emanando anche regolamenti idonei a garantire le necessarie norme di sicurezza dell’edificio e per consentire un adeguato proseguimento dell’attività condominiale, continuando a disciplinare l’uso delle cose comuni. Può emettere quote condominiali corrispondenti alle rate della gestione ordinaria e riscaldamento relative all’ultimo preventivo di spesa approvato, oltre eventuali e ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, ivi compresi gli oneri per la sanificazione di cui al comma 1, che possono essere riscosse a norma dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile. Il rendiconto delle spese straordinarie sarà reso disponibile nella prima assemblea utile.
Posto che l’amministratore da sempre esercita i poteri (rectius, facoltà) conferite dall’art. 1130 c.c., fra i quali certamente v’è quella di disciplinare l’uso delle cose comuni, non si comprende il senso della disposizione, se non il riferimento ad oscuri regolamenti (qualche direttiva scritta?) per proseguire l’attività condominiale.
geniale la previsione di emissione – a cura dell’amministratore – di quote condominiali relative all’ultimo preventivo di spesa approvato oltre ad ulteriori impegni di spesa ordinari e straordinari, sui quali può ottenere decreto ingiuntivo ex art 63 disp.att. cod.civ. (se tale significato può essere attribuito all’espressione “possono essere riscosse”…). In pratica un amministratore potrebbe decidere spese milionarie per il condominio, in via del tutto unilaterale, ed ottenere sulla sola scorta delle rate da lui predisposte un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, pur in difetto di uno dei presupposti essenziali di quel provvedimento monitorio, ossia il vaglio assembleare sul consuntivo o preventivo di spesa.
- Nel caso all’interno del condominio non si possano garantire idonee misure sanitarie per prevenire il contagio del COVID-19, anche nel rispetto del Testo Unico n. 81 del 2008, l’attività di portierato, di sorveglianza e di giardinaggio da parte di dipendenti del condominio viene sospesa fino a cessata emergenza.
8. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Va osservato che da parte di altri firmatari esiste anche ordine del giorno relativo alla possibilità di celebrare assemblee in teleconferenza, ma di quello avremo modo di effettuare più attente valutazione, all’esito delle numerose iniziative di studio che paiono in itinere.
© massimo ginesi 24 aprile 2020
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Corte europea: il condominio italiano può giovarsi della tutela del consumatore
La Corte di Giustizia Europea ha stabilito, con sentenza del 2 aprile 2020 che l’applicazione al condominio della tutela dei consumatori non osta con il diritto dell’unione, pur non essendo il condominio soggetto giuridico che – astrattamente – rientrerebbe in tale previsione.
Il giudice Europeo osserva che “Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la Corte suprema di cassazione ha sviluppato un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare maggiormente il consumatore estendendo l’ambito di applicazione della tutela prevista dalla direttiva 93/13 a un soggetto giuridico, quale il condominio nel diritto italiano, che non è una persona fisica, conformemente al diritto nazionale.
Orbene, un tale orientamento giurisprudenziale s’inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla summenzionata direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643, punto 69).
Ne consegue che, anche se una persona giuridica, quale il condominio nel diritto italiano, non rientra nella nozione di «consumatore» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, gli Stati membri possono applicare disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România, C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 40), a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.
Alla luce di quanto precede, alla questione sollevata occorre rispondere che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.”
La pronuncia legittima le numerose interpretazioni dei giudici italiani, di merito e legittimità (Cass. 22 maggio 2015, n. 10679; conformi, tra le altre, Cass. 12 gennaio 2005, n. 452 e Cass. 24 luglio 2001, n. 10086), che avevano ritenuto applicabile al condominio il c.d. codice del consumo, e tacita talune voci dissonanti in dottrina, che tali erano talvolta in maniera acritica e inutilmente capziosa.
© massimo ginesi 15 aprile 2020
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CONDOMINIO: UTILIZZO DELLE PARTI COMUNI E MISURE DI PREVENZIONE COVID-19
Molto si è scritto in questo periodo in tema di condominio e di contaminazione da coronavirus, anche riguardo a fattispecie che erano ignote prima dell’insorgere dell’emergenza e che richiedono un approccio sistematico e del tutto nuovo.
Molti amministratori lamentano che, a diverse settimane dall’inizio delle restrizioni che hanno confinato nelle case i cittadini, taluni condomini finiscano per utilizzare i lastrici comuni – ovvero le coperture piane dell’edificio – per prendere qualche ora d’aria, sì che alla fine su tali superfici finiscono per assembrarsi diverse persone in misura non conforme alle indicazioni dei diversi (e non sempre univoci e chiari) precetti normativi.
Si è da più parti evidenziato, correttamente, che all’amministratore non competono compiti di polizia, neanche infra condominiale, e che il rispetto delle normative è onere di cui rispondono i singoli condomini, tuttavia è opportuno che l’amministratore provveda (rectius, abbia già provveduto) alle necessarie informative, circa le misure di distanziamento ed igiene che devono essere rispettate anche nelle parti comuni (in special modo per l’utilizzo di impianti promiscui come l’ascensore) e che abbia altresì disposto misure straordinarie e periodiche di sanificazione.
All’amministratore l’art. 1130 n. 2 c.c. attribuisce un potere/dovere specifico riguardo alle parti comuni: “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a ciascuno dei condomini”
Nell’ambito di tale facoltà, dovranno essere declinate in misura diversa le iniziative che, plausibilmente, non possono arrivare a sottrarre al godimento dei singoli le parti comuni ai soli fini del rispetto delle misure di distanziamento sociale (la cui osservanza peraltro non può essere demandata all’amministratore).
Appare difficile sostenere un’interpretazione restrittiva dei DPCM 8 e 22 marzo 2020, laddove vietano la movimentazione delle persone senza motivo, affermando che tali previsioni comportino il divieto di uscire dalla propria abitazione, posto che il termine abitazione deve essere ritenuto comprensivo dei suoi accessori (fra cui rientrano gli spazi comuni ex art 1117 c.c.).
Varrà soprattutto rilevare che le diverse norme che si sono succedute (e da ultimo il DL 19/2020, unica fonte di legge che appare idonea, sotto il profilo gerarchico, ad incidere sulla libertà delle persone) prevedono divieti unicamente per le aree pubbliche o aperte al pubblico, onde vietare assembramenti mentre, per ciò che attiene le aree private (fra cui rientrano le singole abitazioni ma anche gli spazi comuni condominiali ex art 1117 c.c.) sono pochissime le disposizoni precettive:
all’art. 1 del summenzionato decreto (che ricalca le diverse altre declinate dei singoli decreti antecedenti) i luoighi privati sono menzionati unicamente alla lettera G “ g) limitazione o sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni altra forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso”; in maniera più ellittica, alla lettera L “l) sospensione dei congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attivita’ convegnistica o congressuale, salva la possibilita’ di svolgimento a distanza” (quindi anche ove svolti in strutture private) ; alla lettera M “ m) limitazione o sospensione di eventi e competizioni sportive di ogni ordine e disciplina in luoghi pubblici o privati, ivi compresa la possibilita’ di disporre la chiusura temporanea di palestre, centri termali, sportivi, piscine, centri natatori e impianti sportivi, anche se privati, nonche’ di disciplinare le modalita’ di svolgimento degli allenamenti sportivi all’interno degli stessi luoghi”
Certamente in senso restrittivo deve invece ritenersi il divieto, previsto dall’art. 1 comma 1 lett. c dpcm 8 marzo 2020 (poi esteso a tutto il territorio dal successivo DPCM 22 marzo 2020 e ripreso dall’art. 1 Lett. e del DL 19/2020), per coloro che sono risultati positivi al covid-19, posto che anche all’interno della microcompagine sociale del condominio deve essere garantita la separazione da soggetti certamente infettivi; il problema peraltro pone non pochi problemi in ordine alla privacy (l’amministratore non potrà affiggere in bacheca, come è ovvio, il nominativo di cui fosse venuto a conoscenza) e alle misure necessarie a far rispettare tale presupposto: appare corretto non investire l’amministratore di ruoli che travalicano il mero aspetto civilistico, sì che sarà onere dei condomini rivolgersi eventualmente alle autorità pubbliche ove, per conoscenza diretta, assistano a tali violazioni in ambito condominiale, condotte che ove poste in essere da soggetto certamente positivo possono anche avere seri risvolti penali.
Resta invece da escludere che l’amministratore possa vietare tout court l’utilizzo di parti comuni, che rimangono a tutti gli effetti luoghi privati e comuni ai condomini che hanno diritto di utilizzarli secondo i criteri dettati dall’art. 1102 c.c. e con il rispetto delle norme di contenimento che si sono succedute e stratificate nelle ultime settimane.
Ciò vale, ovviamente, per quelle parti che sono legittimamente fruibili: con particolare riguardo ai lastrici, che in questi primi giorni di primavera da reclusi possono essere presi di assalto, l’amministratore dovrà invece rendere inaccessibili quelli non calpestabili o non fruibili in base alle ordinarie norme di sicurezza (ad esempio privi di parapetto o che abbiano protezioni contro la caduta non corrispondenti alle vigenti normative).
Per ciò che attiene alla disciplina di tali parti comuni (lastrici, cortili, giardini), onde consentire una corretta fruizione, ove siano di modesta superficie e non sia possibile il godimento contemporaneo di tutti i condomini senza violare le norme di distanziamento, potrebbe eventualmente essere introdotta una fruizione turnaria, commisurando il numero massimo dei condomini che di volta in volta può accedere alla estensione della superficie, misura che certamente rispetta il disposto di cui all’art. 1102 c.c. e che in giurisprudenza vede da tempo favorevole applicazione (ad esempio con riguardo ai parcheggi, Cassazione civile, sez. III, ordinanza 22/10/2018 n° 26630).
La limitazione con uso turnario, laddove permanente, deve essere disposta dall’assemblea, tuttavia appare ragionevole che – in periodo di emergenza e alla luce dei poteri di disciplina e cautelativi della cosa comune di cui all’art. 1130 c.c. – l’amministratore possa disporre tale indicazione per un periodo di tempo limitato, al fine di evitare gli assembramenti che le recenti disposizioni vietano.
Certo è che, aldilà di indicazioni di condotta e di disposizioni informative, appare difficilmente sostenibile imputare all’amministratore un dovere di vigilanza stretta su tali condotte o – peggio – un dovere di reazione che vada aldilà di richiami, posto che si tratta di norme di rilevanza pubblica cogente, al cui rispetto sono chiamati i singoli cittadini.
© massimo ginesi 6 aprile 2020
inadempimento obbligazioni e covid-19: i riflessi dell’art. 91 D.L. 18/2020 in tema di condominio e locazioni
I tempi indubitabilmente eccezionali che stiamo attraversando costituiscono evento straordinario, destinato ad influire anche sulle condotte delle persone e sui rapporti giuridici che le riguardano, con effetti e portata su cui oggi si possono ipotizzare valutazioni ma che vedranno compiuta comprensione solo all’esito dell’ondata di emergenza e a fronte degli orientamenti che la giurisprudenza riterrà di assumere.
Certo è che l’eccezionalità della situazione, anche a voler usare gli attuali strumenti giuridici in tema di inadempimento, dovrà condurre i Giudici a valutazioni assai ponderate, che tengano conto delle peculiarità di ciascuna singola fattispecie, attribuendo la responsabilità secondo parametri graduali che possano arrivare ad escluderla laddove le restrizioni imposte o lo stato di fatto escludano o rendano del tutto impossibile la possibilità di adempimento, indipendentemente dalla volontà (e dalla colpa) del debitore.
Già da queste brevi note si comprende come si tratti in ogni caso di una valutazione di merito da rimettere al giudice, mentre con riguardo alle materie del condominio e della locazione si è già evidenziato come non sussistano allo stato elementi normativi ed interpretativi che possano indurre ad affermare che il condomino o il conduttore siano liberati (anche solo temporaneamente) dai loro obblighi.
In questo quadro complesso, soprattutto dal punto di vista socio economico, è evidente che si impone la necessità di un chiaro e articolato intervento normativo, sorretto da adeguate risorse finanziarie, che tratteggi con chiarezza i casi in cui possa ravvisarsi morosità incolpevole e statuisca i rimedi affinché non vada in corto circuito l’ampio settore della contrattazione fra privati, cui probabilmente lo condurrebbe l’applicazione rigida dei parametri esistenti, con pesanti ricadute economiche sul tessuto sociale.
Le iniziative pubbliche poste in atto in questi giorni non fanno ben sperare in tal senso, né per entità, ne per qualità, né per funzionalità, nè a migliori esiti conduce la disamina dei testi normativi, che sono resi in forma eterogenea, con norme di rango primario e secondario che finiscono per disciplinare in maniera confusa materie anche di rilevanza costituzionale (la libertà personale…) e che rendono sempre più difficile comprendere la disciplina vigente.
In materia di inadempimento delle obbligazioni contrattuali va rilevato che il D.L. 18/2020 all’art. 91 comma I ha inserito all’art 3 del D.L. 6/2020, convertito con L. 13/2020, il comma 6 bis, che prevede «Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del Codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
(il periodo è emergenziale e attuale, ma l’aberrante costume del nostro legislatore di compilare testi di legge composti di continui rimandi ad altri è invece atavico)
La norma è con ogni evidenza predisposta in maniera quantomeno approssimata: manca financo il soggetto che deve valutare quei parametri, anche se, per la formulazione del periodo, costui non potrà essere che il Giudice chiamato a statuire su una causa per inadempimento contrattuale.
Ebbene tale disposizione appare sostanzialmente pleonastica, poiche afferma ciò che già discendeva dai principi generali in tema di obbligazioni contrattuali (a quelle unicamente fa riferimento, per l’espresso e circoscritto richiamo agli artt. 1218 e 1223 c.c., che disciplinano le conseguenze dell’inadempimento nelle obbligazioni derivanti da contratto).
Ciò che, ai fini di quanto già abbiamo evidenziato in tema di condominio e locazione, va tuttavia rilavato con chiarezza è che tale disposizione non legittima affatto alcuna sospensione dell’obbligazione ma è volta unicamente a valutare a posteriori se il ritardo o il mancato inadempimento siano idonei a provocare la risoluzione del vincolo per colpa del debitore.
Quanto al condominio, certamente è norma che non trova applicazione alle quote dovute dai singoli per il mantenimento e la gestione dei beni comuni ex art 1117 c.c. poiché l’obbligo di versamenti delle rate condominiali non ha alcuna connotazione sinallagmatica ma costituisce obligatio propter rem * , che il singolo è tenuto ad adempiere in quanto comproprietario di quei beni e non in esecuzione di un obbligo contrattuale.
La norma potrà invece trovare applicazione per i rapporti che riguardano il condominio e terzi fornitori, in particolar modo per quegli appalti in corso e che abbiano visto i lavori sospesi con il maturare di penali contrattualmente convenute, poiché la norma prevede espressamente che l’eventuale ritardo dovuto al rispetto delle misure obblighi il giudice a valutare tali aspetti anche ai fini del maturare della penale e della decadenza dal beneficio del termine (valutazione che, per converso e con non poche problematiche probatorie, potrebbe applicarsi anche al condominio che si trovi, per le stesse ragioni, a pagare in ritardo).
Si tratta in ogni caso di applicazioni non automatiche e di norma la cui applicazione è demandata al Giudice, che dovrà valutare se il mancato o ritardato adempimento sia direttamente e causalmente imputabile al rispetto delle norme di salvaguardia emanate ai fini di contenimento virale e tale prova dovrà essere fornita dal debitore.
Va da sé che in alcune fattispecie contrattuali tale caratteristica può ravvisarsi con facilità ed essere altrettanto facilmente provata (si pensi all’artigiano che debba rendere una prestazione e venga messo in quarantena domiciliare poiché trovato positivo al covid-19 o per aver avuto contatti inconsapevoli con persona infetta ). In tal caso il vincolo contrattuale, a seconda della fattispecie e dei diversi aspetti su cui il giudice sarà chiamato ad esprimere il proprio apprezzamento di fatto (come tale incensurabile in cassazione ove congruamente motivato), potrebbe mantenersi, oppure potrebbe risolversi per impossibilità sopravvenuta incolpevole, senza che tuttavia al debitore inadempiente possa essere rimproverato alcunché, ergo non possa neanche essere chiamato risarcire il danno che – ex artt. 1218 e 1223 c.c. – può conseguire all’inadempimento dell’obbligazione.
Con riguardo al contratto di locazione, il mancato pagamento dei canoni pone invece più di un problema alle parti (e al Giudice chiamato a valutare le loro domande) poiché, trattandosi di prestazione meramente patrimoniale, sarà onere del conduttore – secondo i generali principi di causalità – dimostrare che il rispetto delle misure ha impedito di poter adempiere l’obbligazione, faccenda che finisce per allargarsi alla valutazione del suo stato patrimoniale e del suo deterioramento, con ipotesi di prova che possono rivelarsi diaboliche.
Giova tuttavia ribadire che in questo caso, anche ove trovi applicazione la norma in tema di morosità incolpevole, ciò non esime il conduttore dal pagamento dei canoni dovuti, dovendo essere valutata l’esimente unicamente ai fini di escludere la risoluzione del contratto e la condanna a risarcire eventuali danni al locatore (anche in forma di penale, per espressa previsione della norma).
*In materia di obbligazioni condominiali, dottrina e la giurisprudenza da tempo fanno riferimento alla categoria delle obbligazioni propter rem, vale a dire le prestazioni consistenti nel versamento delle somme di denaro necessarie alla conservazione delle parti comuni ed all’erogazione dei servizi derivant dalla contitolarità del diritto reale sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni (A. Scarpa, L’obbligazione propter rem dei condomini per le spese di conservazione delle parti comini, Riv. giur. edilizia 2004, 1, 107). Più di recente si è rilevato come la mera titolarità non definisca l’intero fenomeno e si è fatto ricorso alla figura dell’utilità: “Nè può sottacersi che a mente dei tre distinti i commi dell’articolo 1123 codice civile se pure ha senso affermare che le spese per la conservazione delle parti comuni attengono alla titolarità e quindi possono rivelare la divisata natura propter rem, diversa è la situazione quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa per le quali il criterio non è quello della proporzionalità fra gli oneri e la quota, ma quello della proporzionalità fra oneri ed uso, o quando si tratta di cose destinate a servire soltanto una parte dell’edificio le cui spese rimangono a carico dei soli condomini che ne traggono utilità, allora connotandosi i rispettivi doveri di contribuzione piuttosto come obblighi propter utilitatem” (Scarpa “il Condominio, a cura di Celeste/Scarpa, Milano 2017) Quando si parla di obbligazioni propter rem, si individuano la persona del debitore e del creditore per così dire per relationem, nel senso che soggetti del rapporto stesso saranno di volta in volta tutti coloro i quali, successivamente, si troveranno nella situazione di titolare del diritto di proprietà o di titolare del diritto reale di godimento (Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2004). Questa caratteristica è definita ambulatorietà. Ambulatoria non è l’obbligazione, ma la possibilità del suo sorgere, in quanto essa sorge a carico di chiunque sia titolare del diritto nel momento in cui si verifica la circostanza prevista dalla legge per il suo sorgere; sicché, una volta sorta l’obbligazione, cessa ogni sua ambulatorietà (M. Comporti, Diritti reali in generale, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. VIII, t. 1, Milano, 1980, 5 da A. Scarpa, 2004, 1, 107).
© massimo ginesi 2 aprile 2020
visto che si parla di distanziamento sociale, la foto di oggi richiama una solitudine positiva e volontaria e uno status di serenità a cui l’uomo, dopo questa tempesta, dovrebbe dedicare più tempo e cure, così come al pianeta su cui si trova a vivere
Foto di Albrecht Fietz da Pixabay –