spese personali da addebitare ai singoli ai sensi dell’art. 1123 comma II c.c. ?

Una assai poco convincente  pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  10 maggio 2019 n. 12573) sembra  ricondurre le spese postali, necessarie  per soddisfare richieste individuali dei singoli condomini e rivolte all’amministratore, all’ipotesi di servizio destinato a servire i condomini in misura diversa e quindi da addebitare ai  singoli secondo il disposto di cui all’art 1123 comma II c.c.

Un condomino si duole  che a consuntivo gli siano state imputate spese personali “argomentando che non rientrava nelle attribuzioni della assemblea il potere di addebitare unilateralmente a loro carico spese definite personali quali, in concreto, gli oneri (per complessivi Euro 302,10) per spese postali e “compensi amministratore” dovuti in dipendenza di comunicazioni e chiarimenti su comunicazioni ordinarie e su problematiche straordinarie condominiali.”

La corte di legittimità ritiene tuttavia che, in astratto,  tale potere invece  possa sussistere in alcune ipotesi  “La possibilità di ripartizione delle spese personali di ciascun condomino “in funzione delle utilità che in concreto” lo stesso gode e ricava sostanzia un criterio che – a ben vedere- si riferisce all’uso di cose comuni e non ad altro.

Quella possibilità si riferisce, infatti, ad “un servizio comune destinato ad essere fruito in misura diversa” e non già a fattispecie come quella in esame ove, in concreto, ricorre altra situazione non sussumibile nella norma comunque applicata.

La concreta situazione per cui è causa (maggiori spese postali e costo servizio) si riferisce a servizi la cui natura-salva la inapplicabilità del generale criterio di ripartizione ex art. 1123 c.c., comma 1, (cui sembra aver fatto esclusi ovo riferimento la sentenza gravata)- va valutata dal Giudice del fatto.

D’altra parte l’invocata ed automatica applicabilità dell’art. 1123 c.c., comma 2, nel senso proposto col motivo qui in esame, non può essere appieno condivisa ove si prospetti l’addebito delle spese “in funzione delle utilità che in concreto” vengano ricavate dai singoli condomini senza la concreta valutazione della natura dell’attività resa al singolo condomino.

Al riguardo deve in ogni caso rammentarsi come la stessa giurisprudenza citata col motivo qui in esame fa, testualmente, espresso riferimento alle spese “per i servizi comuni” e non ad altro.

E la ancor più pertinente pronuncia di Cass. n. 4403/1999 àncora l’applicabilità del criterio di liquidazione ex art. 1123, comma 2 (non in base a millesimi e non a carico di tutti i condomini) solo alla fattispecie inerenti “cose comuni suscettibili di destinazione al servizio dei condomini”.

E, fatta sempre salva, altra azione recuperatoria nei confronti del singolo condomino in via sussidiaria rispetto al meccanismo previsto ex art. 1123 c.c., comma 2 “al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini” (Cass. n. 9263/1998).

In conclusione la non addebitabilità di spese al singolo condomino, che usufruisca di servizi, può, quindi, essere affermata, ma non col rinvio al generale principio ex art. 1123 c.c., comma 1, della ripartizione proporzionale;
l’addebito alla intera comunità condominiale di spese (quali quelle postali e di attività ulteriore svolta nell’interesse di un singolo condomino) sulla base del generico ed errato riferimento al criterio della ripartizione delle spese sulla proporzione di uso è quindi errato;

alla stregua dei principi giurisprudenziali innanzi richiamati e correttamente ribaditi, la giustificazione del permanere a carico del condominio delle spese comunque effettuate a fini individuali risiede sono nella corretta applicabilità o meno del criterio ex art. 1123 c.c., comma 2, previa valutazione in fatto della natura del servizio e conseguente considerazione della addebitabilità o meno individuale al singolo condomino.

Nel sibillino e non felice  inciso finale la corte di legittimità sembra escludere in buona parte l’applicabilità dell’art. 1123 c.c. alle spese c.d. personali, che potranno essere imputate al singolo solo ove riguardino servizi e beni comuni ai quali non pare peraltro potersi ricondurre l’operato dell’amministratore che, laddove soddisfi richieste e chiarimenti dei singoli, non sta erogando un servizio comune ma sta soddisfacendo una istanza individuale, i cui costi è corretto che non ricadano sulla intera collettività e – sembra di leggere fra le righe – il cui onere non può comunque essere oggetto di deliberazione assemblare, che può avere ad oggetto solo beni e servizi comuni.

Stabilire poi se quelle spese, imputate al singolo, costituiscano posta individuale – da recuperare con ordinari criteri giudiziali – oppure debbano intendersi servizio comune fruito in maniera più intensa – si che appare giustificata l’applicazione dell’art. 1123 comma II c.c. (e la conseguente competenza dell’assemblea a deliberare sul punto)  è valutazione di fatto che compete unicamente al giudice di merito, chiamato a valutare ogni singolo importo e la natura della prestazione a cui si riferisce.

© massimo ginesi 16 maggio 2019 

 

impugnazione delibera e competenza per valore: la cassazione ribadisce il proprio orientamento.

Se il condomino impugna la delibera condominiale, facendo valere profili di illegittimità che lo riguardano, il valore della causa si determina in funzione della quota che lo stesso sarebbe chiamato a pagare, sì che – ove la stessa non superi i cinquemila euro – la causa sarà di competenza del giudice di pace.

E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, confermato da una recente ordinanza della Cassazione (Cass.Civ. sez.VI-2 28 agosto 2018, n. 21227).

“È affermazione condivisa nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6363 del 2010) che, ai fini della determinazione della competenza per valore in relazione ad una controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata dall’assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, bisogna far riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione e non all’intero ammontare risultante dal riparto approvato dall’assemblea, poiché, in generale, allo scopo dell’individuazione della competenza, occorre porre riguardo al “thema decidendum”, invece, che al “quid disputandum”, per cui l’accertamento di un rapporto che costituisce la “causa petendi” della domanda, in quanto attiene a questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull’interpretazione e qualificazione dell’oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa (conf. Cass. 16898/13 e 18283/15).”

Ora, nel caso in esame, come risulta dall’atto di citazione, pur considerando la parte dell’atto di citazione riportato dallo stesso ricorrente, il tema specifico introdotto dall’attore, come correttamente ha rilevato, anche, il Tribunale di Imperia, attiene alla contestazione della debenza degli importi deliberati in relazione alla spiaggia, al giardino ed alla tubazione da sostituire.

D’altra parte, come è riconosciuto anche da questa giurisprudenza, non sussiste in capo al singolo condomino alcun interesse a verificare in termini generali ed astratti l’esattezza dei principi e delle spese indicate dall’amministratore. Piuttosto, va qui evidenziato, ed in termini generali, che in caso di violazione di vizi formali (incompletezza dell’ordine del giorno, violazione di norme sul procedimento di convocazione o insufficienza delle maggioranze) la legittimazione ad agire non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse ad agire, atteso che il suddetto interesse è costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali (Cass. n. 2999/10, Cass.4270/11), mentre nelle ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che, la parte che intende impugnare, sia portatrice di un interesse concreto diretto ad un vantaggio effettivo e non solo astratto (Cass.15377/00).

Sicché, nel caso in cui il singolo condomino censura la legittimità della ripartizione delle spese, il suo interesse ad agire per far accertare l’eventuale illegittimità della ripartizione è correlato all’importo che lo stesso sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della ripartizione deliberata.
Ciò detto e, considerato che il Tribunale di Imperia ha accertato che l’importo dovuto da S. , in ragione della ripartizione delle spese approvate, non superava l’importo di C. 5000,00, la competenza per valore era del Giudice di Pace di Sanremo, come correttamente è stato affermato dallo stesso Tribunale di Imperia”

 © massimo ginesi 3 settembre 2018 

art. 1102 cod.civ. e aiuole condominiali: una sentenza floreale…

 

Una vicenda che arriva dalla Sardegna, per approdare in cassazione, e che riguarda un uso poetico e inusuale del bene comune e delle facoltà concesse al singolo ai sensi dell’art. 1102 cod.civ.

Un condomino utilizza le aiuole condominiali per piantarvi fiori e piante ornamentali, l’assemblea, evidentemente sorda ad ogni richiamo di bellezza e leggerezza, delibera  che tale uso non è gradito né consentito e procede alla loro rimozione e distruzione.

Delibera  quanto mai improvvida, poiché Cass.Civ.  sez. II 7 febbraio 2018 n. 2957 ha confermato la sentenza del Tribunale di Cagliari che – in riforma della sentenza di primo grado del Giudice di Pace della stessa città – aveva ritenuto lecita ai sensi dell’art. 1102 cod.civ.  l’attività di floricoltura compiuta dal singolo e condannato il condominio a pagare 849 euro per le piante rimosse e ben 3.000 euro per lite temeraria.

In realtà la controversia nasce  come impugnazione di delibera, con particolare riguardo a quelle che avevano disposto il divieto di utilizzo delle aiuole da parte dei singoli e la corte di legittimità si limita a statuire che – in astratto – l’uso delle fioriere da parte dei singoli è compatibile con l’art. 1102 cod.civ., mentre la delibera che tout court ne disponga il divieto (che invece ben potrebbe avere natura convenzionale) deve ritenersi illegittima.

Quanto poi l’attività del singolo ed i suoi fiori rispettino il pari diritto d’uso degli altri condomini, che comunque la norma impone, è apprezzamento di merito che rimane confinato al giudizio di merito.

La sentenza, aldilà del caso di costume (più interessante, in realtà, del pacifico principio di diritto affermato) riveste interesse anche per la preliminare questione di competenza che risolve, riguardo alle cause condominiali attribuite alla competenza per materia del giudice di pace (e per tale motivo si riporta in forma integrale qui sotto)

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© massimo ginesi 8 febbraio 2018

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il rendiconto condominiale deve ispirarsi al criterio di cassa

Lo afferma, con una articolata motivazione, il tribunale capitolino  (Trib. Roma sez. V, 2 ottobre 2017) che, in un giudizio relativo all’impugnativa della delibera che ha approvato il consuntivo, è chiamato a giudicare sulla correttezza dell’operato dell’amministratore nel redigere uno degli atti cardine della sua gestione, ovvero il rendiconto.

Il condomino che agisce lamenta che la  delibera di approvazione deve ritenersi  illegittima in quanto viola i principi in tema di rendiconto dettati dall’art. 1130-bis c.c., in particolare perchè nello stato patrimoniale non era stato riportato il saldo del conto corrente alla data del 31-12-2014.

Il giudice richiama principi giurisprudenziali risalenti in tema di rendiconto condominiale e li armonizza con quanto oggi prevede l’art. 1130 bis cod.civ., tracciando un binario molto stretto sul quale l’amministratore è chiamato ad operare.

il rendiconto, predisposto dall’amministratore, risponde all’esigenza di porre i condòmini in grado di sapere come effettivamente sono stati spesi i soldi versati.

Non si ritiene che il bilancio debba essere redatto in forma rigorosa posto che non trovano diretta applicazione, nella materia condominiale, le norme prescritte per i bilanci delle società.

Pur tuttavia, per essere valido, il rendiconto deve essere privo di vizi intrinseci e deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute.

Inoltre deve essere intellegibile onde consentire ai condomini (i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e ‘letto’) di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite atteso che tale ultimo requisito, come si desume dagli artt 263 e 264 c.p.c. che prevedono disposizioni applicabili anche al rendiconto sostanziale, costituisce il presupposto fondamentale perchè possano essere contestate, appunto, le singole partite.

Invero il rendiconto che viene portato all’approvazione dell’assemblea non è un mero documento contabile contenente una serie di addendi ma un atto con il quale l’obbligato giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti si che vi sono delle regole minime che debbono essere rispettate.

Ed il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l’inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione.

La mancata applicazione del criterio di cassa (Cass. 10153/11), contrariamente a quanto affermato dal convenuto, è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio.

In particolare, non rendendo intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non si evidenzia la reale situazione contabile.

Pertanto laddove l’assemblea abbia approvato un consuntivo (che deve essere, come detto, un bilancio di ‘cassa’) che non sia improntato a tali criteri e violi, quindi, i diritti dei condòmini lo stesso ben potrà essere dichiarato illegittimo (Cass. 10153/11).

Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune.

Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste o non trovino riscontro documentale.

Inoltre, con il bilancio, devono sempre essere indicati (con possibilità di facile riscontro documentale) la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l’esistenza e l’ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l’accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall’assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario).

Ovviamente la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di un’eventuale ‘scomparsa’ di somme di danaro. Il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale.

Inoltre, per consentire ai condomini di apprezzare e valutare il bilancio, l’amministratore dovrà indicare ed inviare ad ogni condomino un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell’importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento, ecc), l’indicazione delle quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, l’indicazione delle spese ancora da sostenere, le eventuali rimanenze attive (fondi, combustibile ed altro) ed il piano di riparto che indichi per ogni condomino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico.

Modalità di predisporre il bilancio previste anche dal legislatore con il novellato art. 1130-bis c.c.. Onde la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio, ovvero la presenza di elementi che ne inficino la veridicità quali l’omissione o l’alterazione dei dati (ad esempio sugli interessi dei depositi) determina l’illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l’approvi e che sia oggetto di contestazione.

Ebbene, nel caso in esame, a tali regole l’amministratore non si è attenuto in particolare non avendo riportato, neanche nella situazione patrimoniale, il saldo ed i movimenti del conto corrente, dati essenziali per la verifica della corretta ricostruzione contabile posto che l’esame della movimentazione del conto (che proviene da un terzo, la banca) rappresenta il riscontro di tutte le entrate e le spese in danaro (che l’amministratore ha l’obbligo di rendere tracciabili). Irrilevante che sul conto confluiscano anche le spese per il riscaldamento, circostanza che avrebbe dovuto, anzi, essere più chiaramente portata a conoscenza dei partecipanti.

Ed inoltre, nel caso in esame, la mancata indicazione del dato richiesto appariva collegata con anticipazioni dell’amministratore che sono rimaste sconosciute ai condomini. Emergenza che rende evidente il mancato rispetto dei necessari richiesti criteri contabili suesposti. “

© massimo ginesi 23 ottobre 2017 

riforma della magistratura onoraria e competenza in materia di condominio.

E’ noto che la sciagurata L. 57/2016 che ha delegato al governo l’attuazione della riforma della magistratura onoraria, fra le varie storture, preveda anche l’integrale attribuzione al Giudice onorario della intera materia condominiale, sia in sede contenziosa che di volontaria giurisdizione.

Forse non è altrettanto noto che l’attuazione di quella legge procede per decreti legislativi che di fatto, in spregio anche alle indicazioni della Corte di Giustizia europea, renderanno definitivamente il giudice onorario una figura di operatore della giustizia precario, chiamato a svolgere ruoli delicatissimi e pagato non più di 7/800 euro al mese (con buona pace di tutte le guarentigie costituzionali sulle figure che esercitano la giurisdizione).

Vero è che il Consiglio di Stato, espressamente interpellato dal Governo, ha espresso parere in data 7.4.2017 in cui ha previsto la possibilità di un corretto impiego e della valorizzazione di una figura di giudice onorario – per coloro che sono già in servizio da decenni – che sia in linea con l’esperienza maturata e le funzioni che gli vengono richieste, sotto il profilo della professionalità, indipendenza, corretta retribuzione e correttezza del trattamento previdenziale e lavorativo, ponendo come unica pregiudiziale la necessità di intervenire con specifico provvedimento di legge e l”impossibilità di attendere a tale razionalizzazione attraverso l’attuazione della legge delega.

Il governo ha tuttavia inteso procedere lungo la strada intrapresa, licenziando un decreto legislativo che tiene in nessun conto le legittime istanze dei giudici onorari già in servizio e che è attualmente in attesa dei pareri, non vincolanti, delle commissioni giustizia della camera e del senato.

A fronte di tale modus operandi si è levato, per il vero, un generale appello delle componenti apicali della magistratura togata, dal nord al sud nonché delle componenti più illuminate della ANM, che vedono nella riforma così come impostata e concepita fortissime criticità per il corretto funzionamento  del sistema giustizia.

Un panorama esaustivo degli accadimenti e delle perplessità  sull’intero impianto della riforma può essere letto qui  .

Lo stesso Governo, chiamato ad attuare la delega, deve avere forti perplessità sulla sensatezza di una riforma siffatta, se fissa  – nella bozza di decreto licenziata – l’entrata in vigore delle norme sulla competenza in tema di diritti reali, comunione e condominio al 2021.

Ancor più deve averne la Commissione parlamentare della Camera, il cui relatore On. Guerini (PD), ha proposto una bozza di parere favorevole che contiene modestissime e marginali osservazioni, fra le quali spicca l’invito ad escludere l’attribuzione della competenza al giudice onorario in tema di diritti reali e comunione e a posticipare l’entrata in vigore di quella in tema di condominio al 30.10.2025.

“ j) All’articolo 27, in merito alle materie civili assegnate direttamente alla competenza del giudice onorario, sia escluso il trasferimento di competenza in materia di diritti reali e comunione, mentre, con riferimento alle cause in materia di condominio negli edifici di cui al comma 1, lettera c), n. 2, sia prevista l’entrata in vigore al 30 ottobre 2025”

Sfugge come possa oggi prevedersi una norma di legge destinata a produrre i propri effetti fra quasi dieci anni.

Sfugge come una commissione parlamentare possa  ritenere  troppo complessi per il giudice onorario i temi dei diritti reali (“In relazione alle materie dei diritti reali e della comunione si rileva che queste comportano di frequente questioni di diritto complesse a prescindere dal valore, si pensi, tra le altre, alle cause in materia di servitù e di usucapione, alle azioni di rivendicazione, alle negatorie“) e poi si ritenga  che il magistrato onorario possa e  debba decidere tutte le controversie in cui quei temi vengono applicati nella più complessa realtà condominiale.

Sfugge come si possano ignorare i richiami degli organi europei e l’invito generalizzato al ripensamento che arriva dall’intero pianeta giustizia.

Sfugge come relatore nella Commissione parlamentare chiamata a rendere parere su materie  così complesse e di rilevante impatto sulla vita sociale possa essere un politico la cui esperienza  sulla materia, almeno dal curriculum vitae, non pare essere propriamente derivante da competenze  scientifiche e professionali specifiche (laurea in scienze politiche con tesi sul pensiero del filosofo partigiano Alessandro Passerin D’Entreves, professione consulente assicurativo, dal 1995 politico a tempo pieno).

© massimo ginesi 7 giugno 2017

 

L’amministratore deve essere un professionista, il suo giudice non più

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“ la lingua italiana – scriveva Flaiano – non è adatta alla protesta, alla rivolta, alla discussione dei valori e delle responsabilità, è una lingua buona per fare le domande in carta da bollo, ricordi d’infanzia, inchieste sul sesso degli angeli e buona, questo sì, per leccare. Lecca, lecca, buona lingua italiana infaticabile fai il tuo lavoro per il partito o per i buoni sentimenti “

In realtà il paradosso di Flajano era il frutto dell’amara delusione e disillusione di fronte ad un paese, non ad un linguaggio, che ha sempre omesso di considerare il bene del gruppo, preferendo quello dei pochi, ammantandolo di parole fuorvianti.

Oggi il legislatore, con quella stessa lingua, ci dice da un lato che l’amministratore deve essere un professionista serio, preparato, rigoroso, soggetto a ben precise caratteristiche di affidabilità personale e sociale (basti vedere i numerosi requisiti previsti dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ.), che risponde a parametri di deontologia, trasparenza e correttezza verso il suo utente consumatore, secondo un modello che – seppure non strutturato in ordini o collegi – è in tutto e per tutto rapportato dalla L. 4/2013 alle caratteristiche delle professioni ordinistiche.

Last but not least, il D.M. 140/2014, come norma attuativa dell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., prevede che l’amministratore deve essere un professionista soggetto a formazione continua e, cosa ancor più singolare, sottoposto obbligatoriamente ad una valutazione annuale, cosa che forse è richiesta oggi solo ai piloti da combattimento e a poche altre professioni.

Tutto ciò, seppure con qualche auspicabile correzione e qualche rigidezza in meno, è stato salutato come il dovuto riconoscimento – trascorsi settanta anni dalla entrata in vigore del codice civile – ad una figura che occupa un ruolo tecnico, complesso, sfaccettato e che richiede competenze eterogenee e non comuni  che vanno dal diritto alla contabilità, alla fiscalità, alla sicurezza sul lavoro. L’amministratore di condominio non deve essere né un avvocato, né un ingegnere né un commercialista ma deve essere un professionista di grande preparazione che – come i medici condotti di una volta – sia in grado di percepire celermente la natura di un problema e di indirizzare il paziente dallo specialista più adatto.

Ciò richiede, indubbiamente, una seria preparazione e un costante aggiornamento, che deve abbinarsi ad una provata affidabilità, ritenuta imprescindibile in un soggetto che – nell’adempimento del proprio dovere professionale – è chiamato anche a gestire ingenti quantità di denaro dei suoi amministrati.

Insomma negli anni dal 2012 al 2014 il legislatore ci ha detto che, finalmente, l’amministratore non era più quel quisque de populo che emergeva dal silenzio del codice del 1942 ma doveva diventare un professionista di grande competenza e attendibilità, in quanto chiamato ad operare in un settore di fra i più complessi e rilevanti nel contesto socioeconomico, ovvero la multiforme realtà degli edifici in condominio; una realtà che rappresenta un laboratorio sperimentale ove si mescolano i profili più delicati del diritto (dai diritti reali alle obbligazioni plurisoggettive, con i relativi articolati processuali) insieme a quelli tecnici degli impianti, degli edifici, della contabilità e della normativa fiscale e tributaria fino alla gestione dei gruppi; un breve sguardo alle materie di aggiornamento obbligatorio previste dall’art. 5 del DM 140/2014 fa impallidire i programmi di diversi corsi universitari: “I corsi di formazione e di aggiornamento contengono moduli didattici attinenti le materie di interesse dell’amministratore, quali:a) l’amministrazione condominiale, con particolare riguardo ai compiti ed ai poteri dell’amministratore; b) la sicurezza degli edifici, con particolare riguardo ai requisiti di staticita’ e di risparmio energetico, ai sistemi di riscaldamento e di condizionamento, agli impianti idrici, elettrici ed agli ascensori e montacarichi, alla verifica della manutenzione delle parti comuni degli edifici ed alla prevenzione incendi; c) le problematiche in tema di spazi comuni, regolamenti condominiali, ripartizione dei costi in relazione alle tabelle millesimali; d) i diritti reali, con particolare riguardo al condominio degli edifici ed alla proprieta’ edilizia; e) la normativa urbanistica, con particolare riguardo ai regolamenti edilizi, alla legislazione speciale delle zone territoriali di interesse per l’esercizio della professione ed alle disposizioni sulle barriere architettoniche; f) i contratti, in particolare quello d’appalto ed il contratto di lavoro subordinato; g) le tecniche di risoluzione dei conflitti; h) l’utilizzo degli strumenti informatici; i) la contabilita’.”

A fronte della conclamata complessità della materia, che il legislatore ha ritenuto motivo essenziale per riqualificare (opportunamente) il ruolo e la figura professionale dell’amministratore di condominio, è stata di recente approvata la Legge, 28/04/2016 n° 57, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29/04/2016, che  delega al Governo la riforma della magistratura onoraria.
Già è singolare che una legge che tocca un settore tanto delicato sia delegata all’esecutivo e non sottoposta ad un serio ed approfondito confronto parlamentare. Peraltro il disegno di legge, oltre ad intervenire in maniera assolutamente discutibile – precarizzandola definitivamente – su una figura che da vent’anni regge un bel pezzo del carico dei Tribunali facendo appello spesso solo alla propria buona volontà – unifica Giudici Onorari di Tribunale e Giudici di Pace in un unico ibrido definito Magistrato Onorario di Pace e introduce una sconcertante previsione: “Nell’esercizio della delega di cui all’articolo 1, comma 1, lettera p), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi,:…“attribuendo alla competenza dell’ufficio del giudice di pace:a) le cause e i procedimenti di volontaria giurisdizione in materia di condominio degli edifici”.

Oggi quella materia che è stata definita di tale complessità da richiedere a chi la pratica quotidianamente come attività professionale parametri stringenti e di grande livello, viene in blocco attribuita alla cognizione di un giudice che la stessa legge definisce come figura minore, transitoria e di mero complemento, destinata a rimanere in servizio un quadriennio (prorogabile una sola volta) e con obbligo di dedicarsi contemporaneamente ad altra professione che gli assicuri da vivere,  con un tetto massimo di tempo settimanale da dediciare allo svolgimento della attività giurisdizionale.

L’intera cognizione sulla materia del Condominio sarà dunque affidata in primo grado ad non professionista, un soggetto che lo stesso legislatore relega a figura minore della giurisdizione.

Tutte le controversie in tema di nomina e revoca dell’amministratore diventeranno di competenza del magistrato onorario che – non dedicandosi professionalmente, perché la legge glielo impedisce – a tale attività le guarderà come e quando potrà; stessa sorte attende le impugnative delle delibere condominiali, qualche che sia il loro valore.

Con l’ulteriore problematica che, essendo la materia cautelare sottratta al magistrato onorario, della eventuale sospensiva della efficacia delle delibere si dovrà forse andare a discutere dinanzi al Tribunale, con inutile duplicazione di fasi e costi.

Con la stessa lingua di Flaiano il legislatore ci ha detto che la materia del Condominio è materia assai tecnica e complessa, e di ciò non ne dubitiamo, essendo diversi i grandi giuristi che hanno dedicato a quel tema molte delle loro energie (da Salis a Corona), dall’altra ci sta per dire che, tuttavia, le liti che scaturiscono da quella materia così complessa è bene che le decida un giudice onorario, precario e non professionista.

Contro tale stranissima visione si è già levata alta la voce di diverse associazioni di amministratori e anche di personalità del mondo dell’avvocatura come Maurizio de Tilla, presidente dell’Associazione Nazionale Avvocati Italiani nonché prolifico e attento studioso della materia del Condominio.

Non resta che confidare nei decreti governativi, che comunque dovranno attenersi ai parametri dettati dalla delega e quindi non potranno certo mutarne l’impianto.

alcuni fra i primi approfondimenti

altalex – r. amoroso, riforma della magistratura onoraria: più ombre che luci

altalex – g. buffone, Magistratura onoraria: tutte le novità della riforma

© massimo ginesi 26 luglio 2016