vedute, cortile e comunione

Un articolato provvedimento della Corte di legittimità affronta un caso invero peculiare, ma di non infrequente verificazione

“Ove sia accertata la comunione di un cortile sito fra edifici appartenenti a proprietari diversi ed allorché fra il cortile e le singole unità immobiliari di proprietà esclusiva non sussista quel collegamento strutturale, materiale o funzionale, ovvero quella relazione di accessorio a principale (che costituisce il fondamento della condominialità dell’area scoperta, ai sensi dell’art. 1117 c.c.), l’apertura di una veduta da una parete di proprietà individuale verso lo spazio comune rimane soggetta alle prescrizioni contenute nell’art. 905 c.c.”

Cassazione civile, sez. II, sentenza 11 marzo 2022, n. 7971

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E’ legittima la delibera che prevede l’installazione di dissuasori di parcheggio nel cortile

E’ quanto ha statuito la recente Cass.civ. sez. VI ord. 3 febbraio 2022 n. 3440.

La Corte di legittimità ha respinto il ricorso di un condomino che lamentava l’illegittimità della delibera che aveva stabilito di installare dei dissuasori di parcheggio per impedire tale uso del cortile comune, vietato dal regolamento, osservando che :” la sentenza impugnata ha rilevato che, in base al  regolamento condominiale di natura contrattale, e secondo  l’interpretazione offertane dal Tribunale e condivisa dal giudice di  appello, risultava inibito l’utilizzo della piazzetta comune a scopo di parcheggio, dovendosi quindi escludere che la sua destinazione  (a prescindere dall’utilizzo in fatto che possa esserne avvenuto  per alcuni periodi, in contrasto con il vincolo scaturente dal regolamento) fosse quella di sosta e parcheggio dei veicoli.

A tal fine va quindi richiamato il principio secondo cui (Cass. n.  20712/2017) in tema di condominio negli edifici, le innovazioni di  cui all’art. 1120 c.c. si distinguono dalle modificazioni disciplinate  dall’art. 1102 c.c., sia dal punto di vista oggettivo, che da quello  soggettivo: sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere  di trasformazione, che incidono sull’essenza della cosa comune,  alterandone l’originaria funzione e destinazione, mentre le  seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la  migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa; per  quanto concerne, poi, l’aspetto soggettivo, nelle innovazioni  rileva l’interesse collettivo di una maggioranza qualificata,  espresso con una deliberazione dell’assemblea, elemento che  invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un  interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui  perseguimento sono rivolte ( Cass. n. 18052/2012).
Inoltre, è stato altresì ribadito che (Cass. n. 12805/2019) nel  condominio sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso e al godimento anche di un  solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell’utilità, secondo l’originaria costituzione della comunione, ma che l’indagine volta a stabilire se, in concreto, un’innovazione determini una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino ritraeva dalla parte comune, secondo l’originaria costituzione della comunione, ovvero se la stessa, recando utilità ai restanti condomini, comporti soltanto per uno o alcuni di loro un pregiudizio limitato, che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità, è demandata al giudice del merito, il cui  apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c..
La necessità di dare puntuale attuazione al vincolo derivante dal regolamento di condominio ed assicurare, quindi, proprio quella destinazione che era stata assegnata alla piazzetta condominiale, consente di escludere che le opere approvate possano rientrare nella nozione di innovazione (peraltro non potendosi riscontrare l’esistenza di un diritto del singolo condomino a trarre utilità sotto forma di parcheggio dal bene comune, suscettibile di essere menomato dalla collocazione dei cubi di cemento), avendo altresì la sentenza dato atto che le installazioni non alterano il decoro del bene né impediscono il pur limitato uso della piazzetta come consentito dal regolamento, avendo riscontrato in concreto la permanente possibilità di accesso di veicoli per l’attività di carico e scarico.
La conclusione secondo cui deve escludersi che possa  concretamente ritenersi approvata un’innovazione, dà anche  contezza dell’impossibilità di invocare la disciplina in tema di innovazioni voluttuarie, potendosi in ogni caso rilevare come in concreto il giudice, sottolineando l’esigenza a mezzo delle installazioni di dare effettiva attuazione al limite dettato dal regolamento di condominio, abbia implicitamente disatteso la tesi del carattere voluttuario delle opere in esame”

© massimo ginesi 8 febbraio 2022

 

 

 

nulla la delibera che approvi costruzioni nella colonna d’aria sovrastante il cortile comune

Un condomino costruisce una tettoia in aggetto sul cortile comune, costruzione approvata dall’assemblea condominiale a maggioranza: il Giudice (Tribunale Terni 22 settembre 2021 n. 762), in linea con la costante giurisprudenza di legittimità (Cass. 3098/2005; Cass. 3942/1991) ritiene che il deliberato sia affetto da nullità assoluta, rilevabile d’ufficio.

Negli edifici in condominio la funzione del cortile è quella di fornire aria e luce alle unità abitative che vi prospettano; pertanto lo spazio aereo ad essi sovrastante non può essere occupato dai singoli condomini con costruzioni proprie in aggetto, “non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi dell’art. 840 c.c., comma 3, l’utilizzazione ancorchè parziale a proprio vantaggio della colonna d’aria sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale, pertanto, è consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d’aria sovrastante ed utilizzazione della stessa a fini esclusivi”

© massimo ginesi 5 ottobre 2021 

abuso della cosa comune e negatoria servitutis

Una recente pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. II  19 marzo 2021 n. 7884 rel. Scarpa)  ripercorre con grande chiarezza taluni dei principi fondamentali in tema di uso della cosa comune ex art 1102 c.c. e di legittimazione dell’amministratore per le azioni a tutela della cosa comune.

La vicenda riguarda l’azione volta alla chiusura di un varco aperto da una condomina nella ringhiera del proprio terrazzo per accedere al cortile comune: la corte di legittimità osserva come tale azione rientri nei poteri dell’amministratore ex art 1130 c.c., quale azione conservativa, e debba essere qualificata quale azione volta ad accertare abusi ex art 1102 c.c. e non già quale actio negatoria servitutis.

La pronuncia, che per la grande chiarezza espositiva e l’ampiezza di spunti interpretativi merita lettura integrale, fa riflettere su come, talvolta, si agisca in giudizio omettendo di considerare orientamenti più che consolidati ed esponendo la parte a conseguenze negative ampiamente prevedibili.

Cass. civ. _7884_2021

© Massimo Ginesi 23 marzo 2021

 

il condomino che vende l’unità immobiliare non può riservarsi la proprietà delle parti comuni

colui che vende una unità immobiliare posta in condominio non può escludere dal trasferimento, riservandosene la proprietà, le parti comuni che ex art. 1117 c.c. sono indissolubilmente comuni per natura, funzione e destinazione, risultando strumentali al godimento delle proprietà esclusive (nella fattispecie si trattava della quota di cortile interno al condominio).

E’ quanto ha statuito Cass.civ. sez. II  26 gennaio 2021 n. 1610, cassando con rinvio la sentenza della Corte di appello di Trieste: “ In effetti, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale viene esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni è nulla poiché, mediante la stessa, s’intende attuare la rinuncia di un condomino alle predette parti che è, invece, vietata dal capoverso dell’art. 1118 c.c. (Cass. n. 20216 del 2017; Cass. n. 1680 del 2015; Cass. n. 6036 del 1995; Cass. n. 3309 del 1977).

D’altra parte, la cessione della proprietà esclusiva non può essere separata dal diritto sui beni comuni soltanto quando le cose comuni e i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva siano, per effetto di incorporazione fisica, indissolubilmente legate le une alle altre oppure nel caso in cui, pur essendo suscettibili di separazione senza pregiudizio reciproco, esista tra di essi un vincolo di destinazione che sia caratterizzato da indivisibilità per essere i beni condominiali essenziali per l’esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive: solo se i primi siano semplicemente funzionali all’uso e al godimento delle singole unità, queste ultime possono essere cedute separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni (Cass. n. 12128 del 2004).

La cessione delle singole unità immobiliari separatamente dal diritto sulle cose comuni è, dunque, vietata, ai sensi dell’art. 1118 c.c., solo in caso di condominialità “necessaria” o “strutturale”, per l’incorporazione fisica tra cose comuni e porzioni esclusive ovvero per l’individibilità del legame attesa l’essenzialità dei beni condominiali per l’esistenza delle proprietà esclusive: non anche nelle ipotesi di condominialità solo “funzionale” all’uso e al godimento delle singole unità, che possono essere, quindi, cedute anche separatamente dal diritto di condominio sui beni comuni (Cass. n. 18344 del 2015).

La corte d’appello, lì dove ha implicitamente ma inequivocamente ritenuto la validità della clausola che ha riservato al venditore la quota pari al 50% della proprietà del cortile interno al fabbricato sul mero rilievo che “gli appartamenti hanno un’autonoma consistenza, con accesso al fronte strada” senza specificamente verificare, in fatto, se tale cortile, al momento della costituzione del condomino con l’atto di divisione del 23/12/1975, era divenuto o meno, ai fini previsti dall’art. 1117 c.c., un bene oggetto di proprietà comune tra i proprietari delle singole unità immobiliari dell’edificio, ed, in caso positivo, se tale cortile è indissolubilmente legato alle porzioni di proprietà esclusiva per effetto d’incorporazione fisica ovvero d’essenzialità funzionale, si è, quindi, posta in contrasto con i principi precedentemente esposti e non resiste, pertanto, alle censure svolte sul punto dai ricorrenti.Il ricorso dev’essere, pertanto, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio, per un nuovo esame, alla corte d’appello di Trieste che, in differente composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio.”

© Massimo Ginesi 28 gennaio 2021

sezioni unite: il diritto d’uso esclusivo di una parte comune è inammissibile.

La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. un. 17 dicembre 2020 n. 28972) esclude che il condomini possano dar luogo ad un diritto reale d’uso esclusivo di una parte comune, poiché ciò si risolverebbe nella violazione dei principi delineati dagli artt. 1102 e 1117 c.c. e, soprattutto, violerebbe la tipicità e tassatività dei diritti reali previsti dal codice civile.

La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. diritto reale di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condòmini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi. Restando ovviamente riservata al legislatore la facoltà di dar vita a nuove figure che arricchiscano i tipi reali normativi».

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 28972:20

© massimo ginesi 14 gennaio 2021

nuove aperture nei muri perimetrali: possono violare l’art. 1102 c.c.

E’ quanto statuisce la Suprema Corte in una recentissima pronuncia (Cass.civ. sez. II  ord. 24 novembre 2020 n. 26703 rel. Scarpa), ove è stato  ravvisato un indebito utilizzo del bene comune da parte di un condomino che aveva aperto varchi sul cortile comune e sulla pubblica via per accedere alle proprie autorimesse.

Osserva la Corte che “La Corte d’Appello ha accertato in fatto, con apprezzamento spettante ai giudici del merito e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la condomina N.Y. avesse aperto sul muro perimetrale condominiale due porte carrabili, una verso il cortile comune ed una verso la pubblica via, porte che per le loro dimensioni comportavano una notevole alterazione della funzione di contenimento del muro, e che peraltro cagionavano una riduzione della possibilità di uso del cortile comune a scopo di parcheggio, per la necessità di lasciare uno spazio di manovra alle autovetture che dovessero accedere al garage privato.

Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in tema di uso della cosa comune, in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

La nozione di pari uso della cosa comune, cui fa riferimento l’art. 1102 c.c., seppur non vada intesa nel senso di uso identico e contemporaneo (dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante alla comunione la facoltà di trarre dalla cosa comune la più intensa utilizzazione), implica, tuttavia, la condizione che questa sia compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidarietà, il quale richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.

Il proprietario di vani terranei di un edificio in condominio può, perciò, aprire porte di comunicazione tra tali vani e il contiguo cortile comune, ovvero per accedere ai primi dalla via pubblica, pur se uno o più dei detti vani siano già serviti da autonomo ingresso dalla stessa via, rientrando ciò nella facoltà di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune per il miglior godimento della stessa anche apportandovi opportune modificazioni, sempre che non ne risulti alterata la destinazione e ne sia impedito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. Sez. 2, 18/02/1998, n. 1708; Cass. 14/12/1994, n. 10704; Cass. Sez. 2, 17/07/1962, n. 1899).

L’accertamento del superamento dei limiti imposti dall’art. 1102 c.c. al condomino, che si assuma abbia alterato, nell’uso della cosa comune, la destinazione della stessa (come avvenuto nel caso di specie, quanto al ritenuto pregiudizio arrecato al diritto dei condomini ad utilizzare il cortile quale area di parcheggio, come alla funzione di contenimento del muro comune), ricollegandosi all’entità e alla qualità dell’incidenza del nuovo uso, è comunque riservato al giudice di merito e, come tale, non è censurabile in sede di legittimità. Del resto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta la ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”

© massimo ginesi 27 novembre 2020 

 

il cortile che fornisce utilità al fabbricato, anche se non è condominiale, è indivisibile

Un cortile posto a servizio di un edificio è di proprietà di più soggetti (non di tutti i condomini) ma viene utilizzato dai partecipanti al condominio per trarne utilità comuni, distinte ed ulteriori da quelle proprie del cortile (dare aria e luce all’edificio), ovvero per il transito, la sosta, la manovra.

 I comproprietari agiscono per ottenere la divisione del bene e l’attribuzione in via esclusiva (ove il bene risultasse indivisibile),  domanda respinta dal Tribunale di Napoli, con sentenza confermata in appello.

 La vicenda giunge in cassazione (Cass. civ. sez. II, 18 febbraio 2020 n.4012) ove vede il terzo esito negativo per i comproprietari del cortile che intendevano dividerlo, posto che il bene non è divisibile ove – procedendo a tale incombente – cesserebbe di servire l’uso cui è destinato.

la vicenda processuale:  – “il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 18 febbraio 2015, con cui D.M.S. chiedeva la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli, meglio indicata in epigrafe, che aveva rigettato la sua domanda di divisione di un cortile interno ad uno stabile sito in (omissis) ;
– afferma il D.M. di essere, insieme ai coniugi P. e D.R. (odierni controricorrenti) unico comproprietario del soprammenzionato cortile interno dello stabile, mentre gli altri condomini vanterebbero solamente una servitù di passaggio sullo stesso;
– in primo grado il D.M. aveva convenuto in giudizio P.A. e D.R. Carola, innanzi al Tribunale di Santa Maria C.V., chiedendo che si disponesse, con ordinanza ex art. 785 c.p.c., lo scioglimento della comunione sul cortile e l’assegnazione del bene in suo favore, ove questo risultasse non comodamente divisibile, ai sensi dell’art. 720 c.c., con la determinazione dei dovuti conguagli in denaro;
i convenuti si costituirono, contestando la divisione e deducendo l’indivisibilità del cortile, poiché esso era da considerarsi privo di autonoma funzione, essendo utilizzato per vari tipi di attività, dai diversi condomini, attività che lo rendevano incompatibile alla destinazione d’uso esclusivo di uno dei comproprietari;
– con sentenza n. 2036 del 14/11/2006 il Tribunale di Santa Maria C.V. ha rigettato la domanda formulata dal D.M. , condannandolo alle spese di giudizio;
– il tribunale ritenne che si dovesse applicare non l’art. 720 c.c., ma l’art. 1119 c.c., che dispone che la divisibilità delle parti comuni del condominio è ammessa solo ove ciò non renda più incomodo a ciascun condomino l’uso della proprietà singola, servita dalla parte comune e vi sia l’assenso di tutti i condomini alla divisione”

La Suprema  Corte ritiene che alla fattispecie non sia applicabile la norma in tema di condominio che prevede l’indivisibilità delle parti comuni (art 1119 c.c.), ed osserva tuttavia che non tutti i beni in comunione Devono ritenersi, per converso, divisibili.

si deve premettere che è da condividere la valutazione del ricorrente sulla non applicabilità dell’art. 1119 c.c., infatti, ai sensi dell’art. 1117 c.c., la condominialità di un bene è esclusa dal titolo che disponga diversamente, ma ciò non vuoi dire che il bene sia divisibile;
infatti detto cortile, pur non condominiale, è comunque, posseduto in comunione (originariamente dal D.M. e dai coniugi P. -D.R. ) ai sensi delle norme del titolo VII, capo I c.c.;
l’art. 1111 c.c., afferma che ciascuno dei comproprietari può sempre chiedere la divisione della comunione, ma questa norma va letta in connessione con quella immediatamente successiva dell’art. 1112 c.c., la quale esclude che tale divisione possa essere chiesta nel caso di beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso a cui sono destinati;
dunque la divisione del bene in comunione non è automaticamente conseguente alla domanda, dovendosi valutare i suoi effetti sulla destinazione d’uso;
a differenza di quanto afferma il ricorrente la destinazione d’uso di un cortile non è solamente quella principale, oggettiva, di fornire aria e luce, ben potendo i comproprietari decidere di ampliarne le modalità di utilizzo prevedendo delle funzioni accessorie che vanno ad integrare la destinazione d’uso (cfr. Cass. n. 13879 del 2010; n. 621 1977);
al riguardo la corte d’appello ritiene correttamente (pag. 4 e 5 della sentenza impugnata) che tale destinazione d’uso poteva consistere in varie attività materiali, ulteriori rispetto a quelle consentite dalla servitù di passaggio, come l’apposizione di fioriere, il posteggio del veicolo, lo scarico di merci… che sarebbero divenute impossibili, per gli altri compartecipi, se si fosse proceduto a divisione, con attribuzione della proprietà esclusiva al D.M. ;
al riguardo questa Corte ha la affermato che lo scioglimento della cosa comune può essere escluso dalla volontà dei comunisti di imprimere al bene una determinata caratteristica d’uso, solo quando siffatta volizione trovi attuazione in una situazione materiale che, venendo meno con la divisione, determini la perdita della possibilità di usare ulteriormente la cosa in conformità della sua convenuta destinazione (cfr. Cass. n. 5261/2011; id. n. 7274/2006, n. 4176/1983; n. 937/1982);
conseguentemente, se anche si esclude la natura condominiale del bene, esso non è comunque da ritenersi divisibile ex art. 1112 c.c. (cfr. Cass. n. 989/1967; n. 708/1970);
d’altronde la stessa sentenza d’appello riconosce una possibile applicabilità dell’art. 1112. c.c. (pagg. 10 e 11), pur in subordine rispetto a quella dell’art. 1119 c.c.;
in ultimo non è condivisibile la tesi del ricorrente, secondo la quale una lettura in questo senso dell’art. 1112 c.c., finirebbe per privare questa norma di significato, appiattendola sul contenuto dell’art. 1119 c.c.;
le due norme, infatti hanno una ratio diversa e forniscono differenti tutele;
infatti l’art. 1119 c.c., contempla una forma di protezione rafforzata dei diritti dei condomini, in omaggio al minor favor del legislatore per la divisione condominiale, ed è per questo che esso contiene la prescrizione dell’unanimità e la tutela del mero comodo godimento del bene, in relazione alle parti di proprietà esclusiva;
– invece l’art. 1112 c.c., che costituisce un’eccezione rispetto alla regola generale della divisione della comunione, disposta dall’art. 1111 c.c., ha come ratio la tutela della destinazione d’uso del bene, e per questo esso ammette che la divisione sia richiedibile anche da uno solo dei comproprietari, con la sola subordinazione della stessa alla valutazione giudiziale che il bene, anche se diviso, manterrà l’idoneità all’uso a cui è stato destinato (cfr. Cass. n. 867/2012; id. 7667/1995);

nel giudizio di divisione è ammissibile l’eccezione di attribuzione esclusiva, presentata in grado di appello, in quanto questa costituisce una mera modalità di attuazione della divisione e quindi non integra una nuova domanda ex art. 345 c.p.c., ma solo un specificazione della domanda originaria, non assoggettabile alle preclusioni processuali sulle questioni nuove proposte in appello (cfr. Cass. n. 4938 del 1981 n. 626 1971; n. 4391 del 1985; n. 9689 del 2000);
la possibilità per le parti originarie di presentare la richiesta di attribuzione esclusiva porta a concludere che questa non dovesse essere presentata, per forza, dal loro avente causa, in quanto il giudizio era idoneo a proseguire tra le parti originarie, essendo il possibile, ma non obbligatorio, intervento del successore particolare, ai sensi dell’art. 111 c.p.c. (cfr. Cass. n. 18937 del 2006; n. 17151 del 2008; n. 23936 del 2007″

© massimo ginesi 21 febbraio 2020 

cortile e art. 1117 c.c.: condominialità del bene

 

La Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  ord. 17 febbraio 2020 n. 3852 rel. Scarpa) si pronuncia sulla natura giuridica del cortile, con un provvedimento simmetrico  a quello depositato nella stessa giornata in tema di sottotetto: ove il bene abbia attitudine a soddisfare esigenze comuni va ritenuto tale ex art 1117 c.c., salva la prova contraria che incombe a colui che se ne rivendichi titolare esclusivo (mentre a colui che ne affermi la condominialità non possono essere addossati gli stringenti parametri probatori di cui all’art. 948 c.c., potendo costui limitarsi  a dar prova della sua qualità di condomino) .

La pronuncia ripercorre, con raffinata argomentazione, orientamenti ormai consolidati in tema di nascita del condominio, identificazione dei beni comuni e parametri identificativi dell’area cortilizia.

La Corte d’appello di Torino, e prima ancora il Tribunale di Alessandria, sezione distaccata di Novi Ligure, hanno fatto risalire la costituzione del Condominio(…) al giugno 1982 ed hanno individuato l’area XXX come parte comune, giacché pertinenza scoperta delle unità immobiliari, in parte successivamente destinata ad autorimesse. I titoli di alienazione da Nuova Bellaria ‘80 s.p.a. facevano, peraltro, espresso riferimento al mappale (…).

Si ha riguardo ad uno spazio esterno adiacente ai cinque fabbricati del Condominio (…), adibito a parco alberato ed ad area di manovra per i veicoli, dunque astrattamente utilizzabile per consentire l’accesso agli stessi edifici, e perciò da qualificare come cortile, ai fini dell’inclusione nelle parti comuni dell’edificio elencate dall’art. 1117 c.c.

L’area esterna di un edificio condominiale, con riguardo alla quale manchi un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, va ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c. (solo tra le più recenti, cfr. Cass. Sez. 2, 14/06/2019, n. 16070; Cass. Sez. 2, 28/02/2018, n. 4687; Cass. Sez. 6 – 2, 08/03/2017, n. 5831; Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612; Cass. Sez. 2, 04/09/2017, n. 20712). Si intende, peraltro, come cortile, agli effetti dell’art. 1117 c.c., qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ma anche comprensiva dei vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate degli edifici – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – sebbene non menzionati espressamente nel medesimo art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/06/2000, n. 7889).

La situazione di condominio, regolata dagli artt. 1117 c.c. e ss., si attua sin dal momento in cui si opera il frazionamento della proprietà di un edificio, a seguito del trasferimento della prima unità immobiliare suscettibile di separata utilizzazione dall’originario unico proprietario ad altro soggetto.

Secondo le emergenze documentali menzionate dai giudici del merito, il Condominio (…) era sorto nel giugno 1982, allorché le unità abitative con i relativi terreni pertinenziali erano state vendute dalla Nuova Bellaria 80 s.p.a. e si era quindi avuto l’atto di frazionamento dell’iniziale unica proprietà. Originatasi a tale epoca la situazione di condominio edilizio, dallo stesso momento doveva intendersi operante la presunzione legale ex art. 1117 c.c. di comunione “pro indiviso” di tutte quelle parti del complesso che, per ubicazione e struttura, fossero – in tale momento costitutivo del condominio – destinate all’uso comune o a soddisfare esigenze generali e fondamentali del condominio (Cass. Sez. 2, 18/12/2014, n. 26766). Mancando nel titolo originario una chiara ed univoca volontà di riservare esclusivamente alla Nuova Bellaria 80 s.p.a. la proprietà dell’area scoperta mappale (…) (secondo interpretazione del contenuto negoziale di esso costituente apprezzamento di fatto, perciò rimesso ai giudici del merito), quest’ultima non poteva poi validamente disporre della stessa area cortilizia come proprietario unico di detto bene in favore della Novedil nel 1997.

È consolidato l’orientamento di questa Corte ad avviso del quale spetta al condomino, che pretenda l’appartenenza esclusiva di un bene, quale appunto un cortile, compreso tra quelli elencati espressamente o per relationem dall’art. 1117 c.c., dar prova della sua asserita proprietà esclusiva derivante da titolo contrario (non essendo determinanti, a tal fine, nè le risultanze del regolamento di condominio, nè l’inclusione del bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un singolo condomino, nè i dati catastali); in difetto di tale prova, infatti, deve essere affermata l’appartenenza dei suddetti beni indistintamente a tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 07/05/2010, n. 11195; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633; Cass. Sez. 2, 15/06/2001, n. 8152; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4953). Vanno pertanto enunciati i seguenti principi, che confutano le ragioni esposte nel secondo, terzo, quarto e sesto motivo di ricorso.

L’individuazione delle parti comuni – come, nella specie, i cortili o qualsiasi area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti o sia destinata a spazi verdi, zone di rispetto, parcheggio di autovetture – operata dall’art. 1117 c.c. non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria, potendo essere superata soltanto dalle opposte risultanze di quel determinato titolo che ha dato luogo alla formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali (cfr. Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449).

La comproprietà delle parti comuni dell’edificio indicate nell’art. 1117 c.c. sorge, invero, nel momento in cui più soggetti divengono proprietari esclusivi delle varie unità immobiliari che costituiscono l’edificio, sicché, per effetto della trascrizione dei singoli atti di acquisto di proprietà esclusiva – i quali comprendono pro quota, senza bisogno di specifica indicazione, le parti comuni – la situazione condominiale è opponibile ai terzi dalla data dell’eseguita formalità (Cass. Sez. 2, 09/12/1974, n. 4119). Non ha perciò alcun rilievo il contenuto degli atti traslativi Nuova Bellaria 80 – Novedil e poi Novedil – P. , non potendo essi valere quale titolo contrario ex art. 1117 c.c., nè validamente disporre della proprietà esclusiva dell’area oggetto di lite, ormai compresa fra le proprietà comuni (rimanendo nulla, al contrario, la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un’unità immobiliare di un condominio, con la quale venga esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune delle parti comuni: cfr. Cass. Sez. 2, 29/01/2015, n. 1680). Nè la circostanza che gli atti di vendita tra Nuova Bellaria 80 e i diversi condomini acquirenti delle singole unità immobiliari, come le correlate note di trascrizione, non contenessero espressa menzione del trasferimento della comproprietà dell’area comune segnata dal mappale XXX è in alcun modo sufficiente a superare la presunzione posta dall’art. 1117 c.c., la quale, al contrario, comporta che all’atto stesso consegua l’alienazione, unitamente alla porzione esclusiva, della corrispondente quota di condominio su dette parti comuni.

Stando, infatti, al consolidato orientamento di questa Corte, una volta accertata la sussistenza di una situazione di condominio di edifici, le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di proprietà individuale estendono i loro effetti, secondo il principio “accessorium sequitur principale”, alle parti comuni necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di proprietà solitaria (Cass. Sez. 2, 06/03/2019, n. 6458; Cass. Sez. 6 – 2, 26/10/2011, n. 22361; Cass. Sez. 2, 27/04/1993, n. 4931).

La “presunzione legale” di proprietà comune di parti del complesso immobiliare in condominio, che si sostanzia sia nella destinazione all’uso comune della res, sia nell’attitudine oggettiva al godimento collettivo (sulla base di una valutazione da compiere nel momento in cui ha luogo la formazione del condominio per effetto del frazionamento dell’edificio in più proprietà individuali), dispensa, quindi, il condominio dalla prova del suo diritto, ed in particolare dalla cosiddetta probatio diabolica (come invece erroneamente assumono il secondo ed il terzo motivo di ricorso).

Ai condomini che agiscono in rivendica di parti comuni riconducibili all’art. 1117 c.c. basta dimostrare la rispettiva proprietà esclusiva nell’ambito del condominio per provare anche la comproprietà di quei beni che tale norma contempla.

Ne deriva che quando un condomino pretenda l’appartenenza esclusiva di uno dei beni indicati nell’art. 1117 c.c., è onere dello stesso condomino, onde vincere detta presunzione, dare la prova della sua asserita proprietà esclusiva, senza che a tal fine sia rilevante il proprio titolo di acquisto, o quello del relativo proprio dante causa, ove non si tratti, come nella specie, dell’atto costitutivo del condominio, ma di alienazione compiuta dall’iniziale unico proprietario che non si era riservato l’esclusiva titolarità dell’area (arg. da Cass. Sez. 2, 07/06/1988, n. 3862: Cass. Sez. 2, 05/12/1966, n. 2834).

In tale contesto di ripartizione degli oneri probatori, non riveste chiaramente alcuna decisività la critica che il sesto motivo di ricorso rivolge al rapporto logico deduttivo che la Corte di Torino ha posto tra la mancata “reazione” della Nuova Bellaria s.p.a. alla costruzione dei garages del 1994 e la non appartenenza dei suoli alla società, essendo stata raggiunta la prova della titolarità dell’area in contesa del tutto indipendentemente dal denunciato apprezzamento basato sull’id quod plerumque accidit.”

© massimo ginesi 19 febbraio 2020

uso esclusivo condominiale: quid iuris? la questione avviata alle sezioni unite

Una monumentale ordinanza della Suprema Corte (Cass. civ. Sez. II 2 dicembre 2019 n. 31420 rel. Scarpa) affronta la delicata questione dei beni condominiali  di uso esclusivo, rilevando come tale diritto – laddove involga beni che sarebbero altrimenti comuni ex art. 1117 c.c. – appare difficilmente assimilabile al diritto d’uso, inteso quale diritto reale minore ex art 1021 c.c.

La problematica – nel caso all’esame della Corte – sorge per talune aree, antistanti ad esercizi commerciali, che il titolo costitutivo del condominio qualifica fra le parti comuni “salvo gli usi esclusivi delle porzioni di corte antistanti i negozi”. La Corte di appello di Bologna, giudice di merito di seconda istanza  nella vicenda giunta all’esame dalla Cassazione, ha rilevato  come tale uso esclusivo non dovrebbe essere ricondotto al diritto previsto dall’art. 1021 c.c., “ma costituirebbe comunque un uso delle parti condominiali ex artt. 1102 e 1122 c.c. , ben  potendosi contemplare particolari diritti di utilizzazione esclusivi dei beni comuni”.

La riflessione parrebbe suscettibile di applicazione – mutatis mutandis – anche all’ipotesi paradigmatica di beni comuni destinati ad uso esclusivo, ovvero il lastrico o la terrazza previsti dall’art. 1126 c.c.;  in tale ipotesi, tuttavia,  i diversi ambiti cui ricondurre i diritti del singolo e il diritto degli altri condomini  paiono decisamente più definiti e distinti, sia dalla norma che  dalla interpretazione più diffusa.

La Corte di legittimità, dopo un’ampia ed interessantissima analisi degli istituti sottesi alla fattispecie, rileva come sussista difficoltà interpretativa  nell’inquadrare sistematicamente  l’ipotesi di bene condominiale di uso esclusivo (specie laddove, come nell’ipotesi concreta dell’area antistante gli esercizi, la facoltà del singolo titolare escluderebbe in concreto la possibilità per gli altri condomini di trarne alcuna utilità).

La corte delinea con grande chiarezza e lucidità  la questione di notevole importanza che ha indotto a rimettere il procedimento al primo Presidente, affinchè valuti la rimessione alle Sezioni Unite:

L’ordinanza, per il significativo  excursus e per il notevole rilievo delle argomentazioni, merita comunque lettura integrale.

Cass sez II n 31420 del 2019 (uso esclusivo)-01-unito_compressed

© massimo ginesi 3 dicembre 2019