anche il locatore risponde dell’intasamento della fognatura condominiale

E’ quanto ha di recente statuito il Tribunale di Roma (Trib. Roma sez.VII 6.9.2021 n. 14115), a fronte di reiterati intasamenti della condotta di scarico condominiale, dovuti allo smaltimento di reflui significativi risultati – in sede di CTU – ascrivibili unicamente all’attività commerciale posta nei locali locati a terzi.

Il giudice romano ha osservato che “Gli scarichi intasanti sono, invero, dovuti allo svolgimento dell’attività commerciale per la quale la locazione è stata concessa (attività di ristorazione con somministrazione, v. nellepremesse e nell’art. 2 del contratto di locazione prodotto dal convenuto con il proprio fascicolo diATP, sub all. 2 alla comparsa di costituzione), né il convenuto ha dedotto e comunque non ha dimostrato che si tratti di scarichi dovuti ad un anomalo esercizio dell’attività commercialecontrattualmente autorizzata. Nel contratto, inoltre, la parte locatrice (all’epoca la Sig.a … …) ha riservato a sé il potere di decisione e di attuazione dei lavori e delle manutenzioni importanti e/o straordinari (v. artt. 5 e 8), fra cui debbono ritenersi rientranti gli interventi necessari a modificare il sistema di scarico fognario per renderlo funzionale alla qualità e alla quantità dei refluiderivanti dall’attività svolta nell’immobile sulla base del contratto medesimo, sicché il mancato adeguamento degli impianti alle esigenze di corretto ed efficace smaltimento degli scarichi delinea una responsabilità della parte locatrice.”

Trib. Roma 6.9.2021

© massimo ginesi 13 settembre 2021

le Sezioni Unite sulle antenne telefoniche installate sul lastrico condominiale.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. un. 30 aprile 2020 8434)   si pronuncia in ordine alla concessione a terzi della copertura dell’edificio per l’installazione di ripetitori telefonici, fornendo una soluzione in linea con gli ordinari canoni ermeneutici che la giurisprudenza  ha da tempo elaborato.

Ove il condominio intenda cedere alla compagnia telefonica  il diritto di superficie, si tratta di atto dispositivo di diritto reale, che richiede l’unanimità dei consensi degli aventi titolo, mentre ove si tratti di semplice concessione in godimento (secondo lo schema del comodato, della locazione o di altro diritto personale di godimento atipico), sarà sufficiente delibera assembleare, salvo che si tratti di concessione di durata ultranovennale.

La Corte osserva anche che non può applicarsi la disciplina delle innovazioni di cui all’art. 1120 c.c., pur costituendo l’installazione un intervento innovativo, poiché è iniziativa che non è attuata dal condominio  nel proprio interesse ma da un terzo, cui è stato concesso tale diritto:  ne consegue che  l’elemento qualificante diventa la natura di tale concessione e non già quella dell’intervento effettuato.

La Corte poi si sofferma lungamente sulla natura della installazione di ripetitori quale costruzione, sulla natura del contratto – anche atipico – con cui si perviene alla cessione dell’area, sì che – per l’ampiezza delle argomentazioni e dei riferimenti – merita integrale lettura.

Enuncia infine tre principi di diritto, che appaiono del tutto in linea con la giurisprudenza pregressa:

“I) Il programma negoziale con cui il proprietario di un lastrico solare intenda cedere ad altri, a titolo oneroso, la facoltà di installarvi e mantenervi per un certo tempo un ripetitore, o altro impianto tecnologico, con il diritto per il cessionario di mantenere la disponibilità ed il godimento dell’impianto, ed asportare il medesimo alla fine del rapporto, può astrattamente essere perseguito sia attraverso un contratto ad effetti reali, sia attraverso un contratto ad effetti personali. La riconduzione del contratto concretamente dedotto in giudizio all’una o all’altra delle suddette categorie rappresenta una questione di interpretazione contrattuale, che rientra nei poteri del giudice di merito.

II) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti reali è quello del contratto costitutivo di un diritto di superficie, il quale attribuisce all’acquirente la proprietà superficiaria dell’impianto installato sul lastrico solare, può essere costituito per un tempo determinato e può prevedere una deroga convenzionale alla regola che all’estinzione del diritto per scadenza del termine il proprietario del suolo diventa proprietario della costruzione. Il contratto con cui un condominio costituisca in favore di altri un diritto di superficie, anche temporaneo, sul lastrico solare del fabbricato condominiale, finalizzato alla installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, richiede l’approvazione di tutti i condomini.

III) Lo schema negoziale a cui riferire il contratto con il quale le parti abbiano inteso attribuire al loro accordo effetti obbligatori è quello del contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale, con rinuncia del concedente agli effetti dell’accessione. Con tale contratto il proprietario di un’area concede ad altri il diritto personale di edificare sulla stessa, di godere e disporre dell’opera edificata per l’intera durata del rapporto e di asportare tale opera al termine del rapporto. Detto contratto costituisce, al pari del diritto reale di superficie, titolo idoneo ad impedire l’accessione ai sensi dell’articolo 934, primo comma, c.c. Esso è soggetto alla disciplina dettata, oltre che dai patti negoziali, dalle norme generali contenute nel titolo II del libro IV del codice civile (art. 1323 c.c.), nonché, per quanto non previsto dal titolo, dalle norme sulla locazione, tra cui quelle dettate dagli artt. 1599 c.c. e 2643 n. 8 c.c. II contratto atipico di concessione ad aedificandum di natura personale stipulato da un condominio per consentire ad altri la installazione di un ripetitore, o altro impianto tecnologico, sul lastrico solare del fabbricato condominiale richiede l’approvazione di tutti i condomini solo se la relativa durata sia convenuta per più di nove anni.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 8434/20

© massimo ginesi 5 maggio 2020

Foto di Khusen Rustamov da Pixabay

inadempimento obbligazioni e covid-19: i riflessi dell’art. 91 D.L. 18/2020 in tema di condominio e locazioni

I tempi indubitabilmente eccezionali che stiamo attraversando costituiscono evento straordinario, destinato ad influire anche sulle condotte delle persone e sui rapporti giuridici che le riguardano, con effetti e portata su cui oggi si possono ipotizzare valutazioni ma che vedranno compiuta comprensione solo all’esito dell’ondata di emergenza e a fronte degli orientamenti che la giurisprudenza riterrà di assumere.

Certo è che l’eccezionalità della situazione, anche a voler usare gli attuali strumenti giuridici in tema di inadempimento, dovrà condurre i Giudici a valutazioni assai ponderate, che tengano conto delle peculiarità di ciascuna singola fattispecie, attribuendo la responsabilità secondo parametri graduali che possano arrivare ad escluderla laddove le restrizioni imposte o lo stato di fatto escludano o rendano del tutto impossibile  la possibilità di adempimento,  indipendentemente  dalla volontà (e dalla colpa) del debitore.

Già da queste brevi note si comprende come si tratti in ogni caso di una valutazione di merito da rimettere al giudice, mentre con riguardo alle materie del condominio e della locazione si è già evidenziato come non sussistano allo stato elementi normativi ed interpretativi che possano indurre ad affermare che il condomino o il conduttore siano liberati (anche solo temporaneamente) dai loro obblighi.

In questo quadro complesso, soprattutto dal punto di vista socio economico, è evidente che si impone la necessità di un chiaro e articolato intervento normativo, sorretto da adeguate risorse finanziarie, che tratteggi con chiarezza i casi in cui possa ravvisarsi morosità incolpevole e statuisca i rimedi affinché non vada in corto circuito l’ampio settore della contrattazione fra privati, cui probabilmente lo condurrebbe l’applicazione rigida dei parametri esistenti, con pesanti ricadute economiche sul tessuto sociale.

Le iniziative pubbliche poste in atto in questi giorni non fanno ben sperare in tal senso, né per entità, ne per qualità, né per funzionalità, nè a migliori esiti  conduce  la disamina dei testi normativi, che sono resi in forma eterogenea, con norme di rango primario e secondario che finiscono per disciplinare in maniera confusa materie anche di rilevanza costituzionale (la libertà personale…) e che rendono sempre più difficile comprendere la disciplina vigente.

In materia di inadempimento delle obbligazioni contrattuali va rilevato che il D.L. 18/2020 all’art. 91 comma I ha inserito  all’art 3 del  D.L. 6/2020, convertito  con  L. 13/2020,   il comma 6 bis, che prevede  «Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del Codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».

(il periodo è emergenziale e attuale, ma l’aberrante  costume del nostro legislatore di compilare testi di legge composti di continui rimandi ad altri è invece atavico)

La norma è con ogni evidenza predisposta in maniera quantomeno approssimata: manca financo il soggetto che deve valutare quei parametri, anche se, per la formulazione del periodo, costui non potrà essere che il Giudice chiamato a statuire su una causa per inadempimento contrattuale.

Ebbene tale disposizione appare sostanzialmente pleonastica, poiche afferma ciò che già discendeva dai principi generali in tema di obbligazioni contrattuali (a quelle unicamente fa riferimento, per l’espresso e circoscritto richiamo agli artt. 1218 e 1223 c.c., che disciplinano le conseguenze dell’inadempimento nelle obbligazioni derivanti da contratto).

Ciò che, ai fini di quanto già abbiamo evidenziato in tema di condominio e locazione, va tuttavia rilavato con chiarezza è che tale disposizione non legittima affatto alcuna sospensione dell’obbligazione ma è volta unicamente a valutare a posteriori se il ritardo o il mancato inadempimento siano idonei a provocare la risoluzione del vincolo per colpa del debitore. 

Quanto al condominio, certamente è norma che non trova applicazione alle quote dovute dai singoli per il mantenimento e la gestione dei beni comuni ex art 1117 c.c. poiché  l’obbligo di versamenti delle rate condominiali non ha alcuna connotazione sinallagmatica ma costituisce obligatio propter rem * , che il singolo è tenuto ad adempiere   in quanto comproprietario di quei beni e non in esecuzione  di un  obbligo contrattuale.

La norma potrà invece trovare applicazione per i rapporti che riguardano il condominio e terzi fornitori, in particolar modo per quegli appalti in corso e che abbiano visto i lavori sospesi con il maturare di penali contrattualmente convenute, poiché la norma prevede espressamente che l’eventuale ritardo dovuto al rispetto delle misure obblighi il giudice a valutare tali aspetti anche ai fini del maturare della penale e della decadenza dal beneficio del termine (valutazione che, per converso e con non poche problematiche probatorie, potrebbe applicarsi anche al condominio che si trovi, per le stesse ragioni, a pagare in ritardo).

Si tratta in ogni caso di applicazioni non automatiche e di norma la cui applicazione è demandata  al Giudice, che dovrà valutare se il mancato o ritardato adempimento sia direttamente e causalmente imputabile al rispetto delle norme di salvaguardia emanate ai fini di contenimento virale e tale prova dovrà essere fornita dal debitore.

Va da sé che  in alcune fattispecie contrattuali tale caratteristica può ravvisarsi con facilità ed essere altrettanto facilmente provata (si pensi  all’artigiano che debba rendere una prestazione e venga messo in quarantena domiciliare poiché trovato positivo al covid-19 o per aver avuto contatti inconsapevoli con persona infetta ). In tal caso il vincolo contrattuale, a seconda della fattispecie e dei diversi aspetti su cui il giudice sarà chiamato ad esprimere il proprio apprezzamento di fatto (come tale incensurabile in cassazione ove congruamente motivato), potrebbe mantenersi, oppure potrebbe risolversi per impossibilità sopravvenuta incolpevole, senza che tuttavia al debitore inadempiente possa essere rimproverato alcunché, ergo non possa neanche essere chiamato risarcire il danno che – ex artt. 1218 e 1223 c.c. – può conseguire  all’inadempimento dell’obbligazione.

Con riguardo al contratto di locazione, il mancato pagamento dei canoni pone invece più di un problema alle parti (e al Giudice chiamato a valutare le loro domande)  poiché, trattandosi di prestazione meramente patrimoniale,  sarà onere del conduttore – secondo i generali principi di causalità – dimostrare che il rispetto delle misure ha impedito di poter adempiere l’obbligazione,  faccenda che finisce per allargarsi alla valutazione del suo stato patrimoniale e del suo deterioramento, con ipotesi di prova che possono rivelarsi  diaboliche.

Giova tuttavia ribadire che in questo caso, anche ove trovi applicazione la norma in tema  di morosità incolpevole, ciò non esime il conduttore dal pagamento dei canoni dovuti, dovendo essere valutata l’esimente unicamente ai fini di escludere la risoluzione del contratto e la condanna a risarcire eventuali danni al locatore (anche in forma di penale, per espressa previsione della norma).

*In materia di obbligazioni condominiali,  dottrina  e la giurisprudenza da tempo fanno riferimento   alla categoria delle obbligazioni propter rem,  vale a dire le prestazioni consistenti nel versamento delle somme di denaro necessarie alla conservazione delle parti comuni ed all’erogazione dei servizi  derivant dalla contitolarità del diritto reale sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni (A. Scarpa, L’obbligazione propter rem dei condomini per le spese di conservazione delle parti comini, Riv. giur. edilizia 2004, 1, 107). Più di recente si è rilevato come la mera titolarità non definisca l’intero fenomeno e si è fatto ricorso alla figura dell’utilità: “Nè può sottacersi che a mente dei tre distinti i commi dell’articolo 1123 codice civile se pure ha  senso affermare che le spese per la conservazione delle parti comuni attengono alla titolarità e quindi possono rivelare la divisata  natura propter rem, diversa è la situazione quando si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa per le quali il criterio non è quello della proporzionalità fra gli oneri e la quota, ma quello della proporzionalità fra oneri ed uso, o quando si tratta di cose destinate a servire soltanto una parte dell’edificio le cui spese rimangono a carico dei soli condomini che ne traggono utilità, allora connotandosi i rispettivi doveri di contribuzione piuttosto come obblighi propter  utilitatem” (Scarpa “il Condominio, a cura di Celeste/Scarpa, Milano 2017) Quando si parla di obbligazioni propter rem, si individuano la persona del debitore e del creditore per così dire per relationem, nel senso che soggetti del rapporto stesso saranno di volta in volta tutti coloro i quali, successivamente, si troveranno nella situazione di titolare del diritto di proprietà o di titolare del diritto reale di godimento (Gazzoni, Manuale di diritto privato, ESI, 2004). Questa caratteristica è definita ambulatorietà. Ambulatoria non è l’obbligazione, ma la possibilità del suo sorgere, in quanto essa sorge a carico di chiunque sia titolare del diritto nel momento in cui si verifica la circostanza prevista dalla legge per il suo sorgere; sicché, una volta sorta l’obbligazione, cessa ogni sua ambulatorietà (M. Comporti, Diritti reali in generale, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu e F. Messineo, continuato da L. Mengoni, vol. VIII, t. 1, Milano, 1980, 5 da A. Scarpa, 2004, 1, 107).

© massimo ginesi 2 aprile 2020 

 

visto che si parla di distanziamento sociale, la foto di oggi richiama una solitudine positiva  e volontaria  e uno status di serenità a cui l’uomo, dopo questa tempesta, dovrebbe dedicare più tempo e cure, così come al pianeta su cui si trova a vivere 

Foto di Albrecht Fietz da Pixabay – 

 

 

morosità: condominio, locazioni, coronavirus e bufale

 

L’emergenza covid-19 ha, di fatto e per molti, bruscamente interrotto la possibilità di lavorare e, conseguentemente, di incassare i relativi compensi, con una crisi di liquidità generalizzata e più o meno marcata per diverse categorie professionali e commerciali .

D’altro canto gli impegni periodici per coloro che conducono un bene immobile (abitativo o commerciale) o vivono in condominio non sono sospesi e comportano la necessità di effettuare i relativi pagamenti.

Sempre più frequentemente sul web appaiono tesi bizzarre, che possono indurre in errore i soggetti obbligati, facendo ritenere  che la complicata situazione che stiamo vivendo legittimi il differimento o la sospensione dell’adempimento e, ciò che è più grave, è che tali tesi – in maniera suggestiva, quando non radicalmente infondata – vengono veicolate anche da siti specializzati  (o sedicenti tali) che danno luogo a quel fenomeno che Umberto Eco aveva così lucidamente preconizzato alcuni anni addietro (“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.” La Stampa 11.6.2015)

Non mancano peraltro studiosi che, a fronte di una situazione effettivamente eccezionale, si interrogano sugli strumenti giuridici esistenti e che potrebbero consentire un alleggerimento di obblighi che si fanno pressanti e spesso insostenibili: vi è tuttavia da notare che le analisi serie giungono tutte all’univoca conclusione che, allo stato attuale ed in assenza di interventi legislativi che al momento non vi sono stati, gli obblighi condominiali e locativi vanno adempiuti.

Gli unici aspetti che, nella valanga di decreti, circolari, ordinanze et similia, prodotte dal legislatore  in maniera eterogenea e senza alcun decente criterio normativo e sistematico, possono riguardare le materie della locazione e del condominio, sono la possibilità di sgravio fiscale per le locazioni commerciali (beneficio successivo, previsto dall’art. 65 comma 1 D.L. 18/2020, e che non comporta la sospensione dell’obbligo di versare il canone al proprietario) e la sospensione delle bollette, limitata dall’art. 4 D.L. 9/2020 ai soli comuni della Lombardia inizialmente individuati come c.d. zona rossa (circostanza che, solo in quelle zone, potrebbe in via mediata alleggerire temporaneamente le scadenze condominiali).

CONDOMINIO – nessuna disposizione prevede dunque la sospensione del versamento delle rate condominiali, né peraltro è auspicabile o prevedibile un provvedimento normativo simile, posto che si tratta di rapporti fra privati  volti a garantire l’amministrazione e la gestione di beni comuni agli stessi soggetti che quelle somme sono tenute a versare (salvo che lo Stato, assai improbabilmente, possa ritenere di iniettare liquidità anche in tale settore mediante finanziamenti ad hoc), senza che sussista alcun rapporto sinallagmatico – ovvero di prestazioni corrispettive – fra singolo e condominio (arg. da Cass.civ. sez. un. 26/11/1996, n. 10492).

Dunque nessuna situazione di emergenza consente e legittima la sospensione delle rate già approvate, mentre per ciò che attiene all’esercizio futuro si è già indicato come sia opportuno che l’amministratore si conduca per mantenere una adeguata provvista, con la quale attendere alla ordinaria gestione.

Allo stesso modo è opportuno precisare che non sono affatto sospese le iniziative giudiziarie, posto che l’art. 83 D.L. 18/2020 sospende unicamente i termini e la trattazione dei procedimenti non urgenti, mentre non è affatto inibito il deposito di ricorsi per decreto ingiuntivo (che può avvenire dinanzi al Tribunale in via telematica) anche se è prevedibile ancora una fase di difficoltà in fatto per la richiesta di copie in forma esecutiva (nulla vieta, tuttavia, di estrarre intanto dal fascicolo telematico copia non esecutiva mediante i poteri di certificazione del difensore e provvedere a notifica telematica o a mezzo posta al moroso).

Particolare attenzione deve inoltre essere posta  in questo periodo dall’amministratore nel valutare le richieste di dilazione che avanzano i condomini in difficoltà, poiché certamente la situazione richiede una valutazione attenta ed elastica delle reali possibilità di ciascuno e, tuttavia, la facoltà di concedere dilazioni nei pagamenti della quota non compete all’amministratore ma unicamente all’assemblea (Tribunale di Roma  13.9.2019, Tribunale di Milano 5.5.2017 n. 4000).

Certamente, in tali ipotesi, la sensibilità individuale del professionista e la conoscenza della comunità rappresentata dallo specifico fabbricato in cui opera consentiranno di scegliere gli strumenti più opportuni per pervenire  ad una soluzione di garanzia, soprattutto per il professionista che deve evitare di porsi  in situazioni di responsabilità o, peggio, di revoca.

LOCAZIONI – in tema di locazioni il tema appare più complesso, poiché la gravità e la causa dell’inadempimento rilevano certamente in tema abitativo, mentre nelle locazioni commerciali si è assai riflettuto sull’incidenza della serrata obbligatoria, imposta dai provvedimenti di questo periodo, quale causa di impossibilità sopravvenuta o di eccessiva onerosità.

I commentatori più avveduti concordano tuttavia su un dato inequivocabile, ovvero l’inapplicabilità di tali istituti allo schema della locazione in funzione della sospensione dell’obbligazione in capo al conduttore, sia in ragione di principi generali del diritto, sia per l’incongruenza del rimedio rispetto allo scopo (salvo che il conduttore non intenda pervenire, per quella via, alla risoluzione del vincolo).

Quanto alla impossibilità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c. (“.Quando la prestazione di una parte e’ divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e puo’ anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.”) non può non evidenziarsi come nessuna delle due prestazioni corrispettive del contratto di locazione commerciale (concessione del bene contro versamento del canone) sia resa impossibile dall’emergenza, di talchè il bene rimane nella disponibilità del conduttore che pure lo utilizza per l’allocazione delle risorse e degli strumenti necessari all’esercizio della propria attività, momentaneamente sospesa, quanto è semplicemente divenuta momentaneamente e parzialmente  impossibile l’attività del conduttore, elemento ictu oculi diverso sia dalla sua prestazione nei  confronti del locatore che da quella cui è tenuto il proprietario dell’immobile.

Analoghe riflessioni affliggono il richiamo all’art. 1258 c.c., relativo alla impossibilità parziale della prestazione (“Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”).

Anche riflettere sulla sopravvenuta impossibilità parziale o totale della causa o dell’oggetto, quali elementi essenziali del contratto, conduce comunque a soluzioni che comportano la cessazione del rapporto.

(tali rimedi appaiono invece applicabili a diverse fattispecie contrattuali, ove la prestazione è effettivamente resa impossibile dalle norme intervenute, si pensi all’artista impedito a recarsi in teatro per rendere la propria performance)

Ancor peggiore si rivela il richiamo alla eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui all’art. 1467 c.c., strumento peraltro volto alla risoluzione del vincolo, con esiti diametralmente opposti a quelli invece auspicabili in  questa fase, ovvero il mantenimento del rapporto contrattuale e la temporanea sospensione della prestazione del conduttore.

Nè potrà sfuggire che ricorrere agli ordinari criteri civilistici della forza maggiore o del fatto eccezionale finirebbe  per scaricare su una parte privata, il locatore, gli effetti economici nefasti di una emergenza pubblica.

Quanto ai rimedi processuali, non deve trarre in inganno quanto previsto dall’art 103 comma 6 del D.L. 17 marzo 2020 , n. 18, ove  viene disposto il rinvio degli sfratti al 30 giugno 2020: “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020.

Il differimento riguarda unicamente l’attuazione coattiva dei provvedimenti di rilascio già emessi ma non riguarda la facoltà del locatore di agire in via giudiziale per l’accertamento della morosità e la risoluzione del vincolo, anche se sino al 15 aprile 2020 (e salvo ulteriori proroghe) la trattazione dei procedimenti di sfratto è sospesa, non rientrando tale materia fra quelle ritenute urgenti ex art 83 comma 3 dello stesso testo normativo.

Si è anche opportunamente rilevato che non può ritenersi sospeso il c.d. termine di grazia ex art 55 L. 392/1978, che può essere concesso dal giudice a fronte di comprovate difficoltà del conduttore, poiché “una ulteriore eccezionale dilazione snaturerebbe del tutto la funzione dell’istituto che finirebbe per risultare squilibrato – e, quindi, passibile di rilievi in punto di legittimità costituzionale –  in favore di una sola parte (il conduttore) senza neanche   il “bilanciamento”  costituito dalla valutazione, rimessa al giudice, in ordine alla sussistenza delle documentate, precarie condizioni economiche del richiedente il beneficio.”

Va dunque affermato che, allo stato e in assenza di ulteriori provvedimenti normativi che prevedano un intervento statuale di supporto economico, l’unica modalità che può prevedere  la sospensione o riduzione del canone è l’accordo fra conduttore e locatore.

E’ tuttavia auspicabile che, alla ripresa della attività giudiziaria, quando è prevedibile che i procedimenti di sfratto per morosità possano subire un marcato incremento, i giudici valutino con particolare accortezza e sensibilità sia le istanze ex art 55 L. 392/1978 nelle locazioni abitative, cercando di bilanciare le contrapposte esigenze di chi ha visto la propria situazione economica improvvisamente peggiorata dalla emergenza covid19 ed anela a mantenere una sistemazione abitativa e quelle di chi, titolare di un bene immobile, per le stesse ragioni, vede in quella risorsa una possibile fonte di sostentamento in un periodo economicamente complesso, sia la gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. ai fini della domanda di risoluzione, che alla luce del nuovo contesto emergenziale dovrà necessariamente prevedere parametri più articolati rispetto a quelli ordinariamente stratificati nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

Va tuttavia sottolineato che non potranno essere delegati alla magistratura la soluzione di una situazione eccezionale ed il bilanciamento dei contrapposti interessi, che potranno  vedere adeguato temperamento solo con l’istituzione normativa di specifici fondi volti ad alleviare la morosità incolpevole, che prevedano modalità celeri e semplificate (che non vuol dire indiscriminate…) di accesso.

© massimo ginesi 1 aprile 2020

 

Foto di Orna Wachman da Pixabay

pluralità di locatori, azione per rilascio e pagamento canoni

una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 10.1.2020 n. 24) affronta un caso peculiare di immobile (albergo) di proprietà  di più soggetti, locato a società di capitali di  cui taluni dei locatori sono amministratori.

Non tutti i locatori erano d’accordo per l’azione giudiziale iniziata con intimazione di licenza per finita locazione. Il Tribunale ha ritenuto che l’assenza di una volontà della comunione, a fronte dell’espresso dissenso di alcuni comproprietari, impedisca di agire per il rilascio ma non per il pagamento dei canoni.

Parte attrice e parte intervenuta sono comproprietari del bene oggetto di  domanda,  di  talchè – secondo un costante orientamento giurisprudenziale (Cass.  1650/2015,  per  i  profili sostanziali Cass. sez.Un. 11134/2012) – ciascuno di essi è legittimato a proporre azione di sfratto, presumendosi pari poteri gestori dei singoli comproprietari.

Ove risulti, invece, contrasto fra gli stessi, tale presunzione non potrà più ritenersi operante e l’azione giudiziale dovrà essere promossa unicamente in forza di ordinaria delibera degli aventi diritto, ai sensi dell’art. 1105 comma II c.c., oppure, ove tale maggioranza non riesca a formarsi, ai sensi di provvedimento reso ex art. 1105  comma IV c.c.

Nel caso di specie le intervenute hanno eccepito l’assenza di tali requisiti e la propria contrarietà all’azione intrapresa dagli attori, sì che “ la legittimazione del singolo comunista deve essere esclusa quando, a seguito dell’intervento in causa degli altri partecipanti alla comunione della cosa locata, si accerti l’esistenza del contrasto tra i compartecipanti” (cass. 480/2009, cass 4291/78)

In assenza di delibera o provvedimento giudiziale ex art 1105 comma IV c.c., essendo pacificamente emerso il contrasto fra i diversi comproprietari e dissenso delle odierne intervenute, non si potrà che pervenire  ad  una  declaratoria  di  inesistenza  di legittimazione processuale degli odierni attori riguardo all’azione di licenza per finita locazione intimata da R…

Se l’azione per il rilascio deve essere esercitata unitariamente (dal singolo o dalla comunione), per evidente infrazionabilità del relativo adempimento riguardo a unitario compendio oggetto di locazione, analoga considerazione non  può  essere  svolta  per  quel che attiene alla domanda  di  pagamento  dei  canoni  /indennità  di  occupazione,  vieppiù  alla luce  di  quanto  disposto  da Cass. Sez. un. 11136/2012 e  tenuto  conto che    nel caso    di specie – l’art. 6 del contratto di locazione (doc. 2 di parte attrice) già prevedeva una prestazione frazionata in capo al conduttore con riguardo al corrispettivo della locazione,    da versare pro quota a ciascun co-locatore; riguardo  alla  concessione  in  locazione effettuata in favore di R.  srl non sussiste inoltre il meccanismo gestorio descritto dalle Sezioni Unite della Corte di legittimità nella pronuncia  testè  richiamata,  posto che la locazione non è stata  stipulata  da  uno  dei  comproprietari  nell’esercizio  di pari poteri gestori presunti ma consegue a delibera della comunione, con conseguente insussistenza della necessità di integrazione del contradditorio nei confronti degli altri comproprietari indicata dalla Suprema Corte.

Va ancora osservato che parrebbe ingiustamente afflittivo e penalizzante per gli odierni attori ritenere che l’azione per il pagamento dei canoni /indennità segua gli stessi principi dell’azione di rilascio, posto che – anche alla luce degli argomenti resi da Cass. Sez. un. 11136/2012 – il singolo co-locatore ben può agire direttamente per ottenere il pagamento della propria quota di canone e non può riconoscersi agli altri comproprietari un diritto di veto o, comunque, il potere di paralizzare unilateralmente e ad libitum il diritto di ciascun co-locatore di ottenere la prestazione patrimoniale pro-quota dovuta dal conduttore.

Tale aspetto appare emblematico ed eclatante nella  vicenda  de  quo,  ove  la  conduttrice  non si è costituita e non si è opposta, tuttavia colei che pretenderebbe di paralizzare anche l’azione volta al pagamento delle indennità dovute pro quota agli attori per la ritardata consegna (eccependo la carenza di legittimazione degli attori) è l’intervenuta R.  che, oltre che comproprietaria, è la legale rappresentante della società conduttrice convenuta.

Ne deriva che la società conduttrice convenuta dovrà essere condannata a versare agli attori, con decorrenza 1.1.2019 e sino all’effettivo rilascio, quota parte dell’importo pari al canone contrattualmente stabilito a mente dell’art. 6 del contratto di locazione: va infatti riconosciuta al locatore un’indennità di occupazione in misura pari al canone contrattualmente convenuto, ai sensi dell’art. 1591 c.c. (Cass. 18486/2014); l’importo dovuto dalla convenuta sarà proporzionale – rispetto all’intero – alla quota del diritto di proprietà di cui costoro sono contitolari.

Posto che le parti, all’art. 8 del contratto, hanno inteso anche predeterminare il maggior danno da ritardata restituzione, dovrà  essere  versata  agli  attori  da  parte  convenuta  anche la relativa quota parte frazionaria e  proporzionata alla quota del diritto di proprietà  di cui sono contitolari”

© massimo ginesi 13 gennaio 2020

 

locazioni: deposito cauzionale illecito e ripetizione dell’indebito

Una recente sentenza del tribunale apuano (Trib. Massa  4 dicembre 2019 n. 753) affronta un caso peculiare in tema di ripetizione dell’indebito: l’ambito di operatività dell’azione ex art 79 L. 392/1978 e quello di cui all’art. 2033 c.c. non devono ritenersi  necessariamente coincidenti, laddove l’azione sia promossa da un terzo.

Nel caso deciso dal Tribunale l’azione è stata promossa dai soci di una ASD sportiva, sub conduttrice di un bene immobile ove l’associazione esercitava la propria attività,  che avevano versato ai proprietari dell’immobile  (e non ai sub locatori) parte del deposito cauzionale, convenuto in misura superiore a dieci volte il canone.

il giudice apuano osserva che ” Va preliminarmente chiarita la portata della norma di garanzia contenuta nell’art. 79 L. 392/1978, che da taluno è stata ritenuta – con condivisibile apprezzamento – dettare una sorta di nullità di protezione ante litteram in favore della parte debole del rapporto, ovvero di colui che potrebbe essere indotto ad accettare condizioni penalizzanti e vessatorie pur di non rinunciare ad un bene primario per l’esercizio della propria attività produttiva o commerciale (avendo la L. 431/1998 radicalmente mutato le tutele di sistema per le locazioni abitative).

Certo è, tuttavia, che delle nullità di protezione quella norma non riveste il carattere di relatività, dovendosi ritenere la norma di cui all’art. 79 L. 392/1978 una sorta di norma cardine nel sistema destinata a garantire il locatario da ogni forma di elusione preventiva ad opera del locatore dei divieti posti a tutela della parte debole del rapporto, volta pertanto a fornire una tutela onnicomprensiva e ad ampio raggio, acutamente definita da avveduta dottrina “una prospettiva di protezione grandangolare del conduttore”, mediante la quale si garantisce l’ammontare massimo della prestazione di quest’ultimo, colpendo con la sanzione della nullità tutte le pattuizioni che si pongano in contrasto con tale ratio e non vedano già una nullità testuale stabilita da apposito precetto normativo.

A tale nullità, che finisce per regolare la materia in maniera rigida  (e per taluni versi discutibile, perché rende lo statuto normativo delle locazioni commerciali poco flessibile alle esigenze del mercato e sottratto sostanzialmente alla autonomia privata) la giurisprudenza (cass. 9545/1997, cass. 5827/1993, cass. 4843/1995) riconosce carattere assoluto, di tal chè la stessa è rilevabile d’ufficio e può essere fatte valere da chiunque vi abbia interesse, estendendo dunque il suo campo di azione oltre la mera protezione del conduttore.

Si è osservato che il legislatore, con il sistema delle nullità previsto dall’art. 79 L. 32/1978, avrebbe inteso allestire uno strumento di controllo che va oltre l’interesse particolare del conduttore e finisce per investire interessi generali attinenti all’intera organizzazione produttiva, in un’ottica di interpretazione costituzionalmente orientata a mente dell’art. 41 della Carta fondamentale.

A fronte di tale statuto, che potrebbe apparire oggi eccessivamente rigido e poco in linea con le necessità del mercato attuale, specie laddove il conduttore paia positivamente orientato a bilanciare determinati diritti – astrattamente garantiti in via assoluta  – con adeguate controprestazioni del locatore, la dottrina e parte della giurisprudenza (cass.415/2006, Cass. 10907/1995) hanno mostrato aperture interpretative volte a valorizzare il concreto bilanciamento degli interessi stabilito dalle parti (ad esempio in tema di rinuncia preventiva all’indennità di avviamento), sottraendo determinate condotte alla scure inflessibile dell’art. 79 L. 392/1978.

Si è ancora osservato in giurisprudenza che l’inosservanza del termine semestrale, previsto dalla norma per l’azione del conduttore, costituisce unicamente dato che impedisce totalmente la prescrittibilità delle somme versate in costanza di rapporto, mentre ove l’azione sia esercitata oltre tale termine l’azione non diviene inammissibile ma il conduttore è esposto alla eccezione di prescrizione per i crediti relativamente ai quali la stessa è già maturata (cass.2829/2014, che propone una interpretazione costituzionalmente orientata secondo quanto previsto da Corte Cost. ord. 3/1990).

Ne deriva che la nullità di cui all’art. 79 L. 392/1978 può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse e dunque anche dai terzi che da tale eccezione traggano  un vantaggio patrimoniale azionabile in giudizio (quale certamente è la domanda ex art 2033 c.c.), così come l’azione prevista dalla stessa norma sarebbe ancora oggi astrattamente configurabile nel caso in esame, pur essendo decorsi i sei mesi dalla riconsegna dell’immobile.

Deve tuttavia, ritenersi che gli attori non abbiano agito a mente dell’art. 79 L. 392/1978, che per costante giurisprudenza (richiamata anche dai convenuti) prevede una fattispecie tipica di ripetizione dell’indebito riservata al conduttore, anche ove le somme siano state materialmente versate da terzi, ma agiscano secondo lo schema astratto delineato dall’art. 2033 c.c., richiamando solo a supporto dell’indebito la nullità del patto che li avrebbe indotti a versare dette somme.

Va rilevato che C. O., proprietaria del bene, non ha contestato espressamente (con ogni conseguenza anche ex art 115 c.p.c.) di aver incamerato tali somme, né che tale versamento sia avvenuto in stretta correlazione funzionale con il contratto di locazione che ha riguardato I. C. srl quale sub locatore e ASD S. quale conduttrice; non ha peraltro neanche fornito alcuna altra causa giustificatrice della prestazione (neanche sotto il profilo di eventuale bilanciamento di altri interessi del conduttore) che pertanto, allo stato, rimane del tutto priva di causa e deve essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 2033 c.c.

In tal senso va recepito quanto di recente statuito anche da questo tribunale: “Va qualificata come ripetizione di indebito, ai sensi dell’art. 2033 c.c., qualunque domanda avente ad oggetto la restituzione di somme pagate sulla base di un titolo inesistente, sia nel caso di inesistenza originaria, che di inesistenza sopravvenuta o di inesistenza parziale (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7897 del 04/04/2014 (Rv. 630410 – 01)). Si tratta, dunque, di una disciplina che ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo di pagamento, qualunque ne sia la causa. (Cass. Sez. L – , Ordinanza n. 18266 del 11/07/2018 (Rv. 649965 – 01))…  In tema di ripetizione di indebito, il regime di prescrizione è quello ordinario decennale (Cass. Sez. L – , Ordinanza n. 18266 del 11/07/2018 (Rv. 649965 – 01)” (Trib. Massa 8.8.2019 n. 519).

Ciò che consente di ritenere pienamente sussistente una fattispecie di indebito ‘ordinario’ ex art 2033 c.c. è, in via primaria, la circostanza che gli attori abbiano versato le somme oggetto di causa alla proprietaria del bene C. O. snc, soggetto del tutto estraneo al rapporto di locazione de quo (la circostanza di essere proprietaria del bene sublocato da I C srl non vale a renderla parte del rapporto locativo intercorso fra quest’ultima e ASD S., né legittimata a ricevere somme per conto del sublocatore, ponendosi il versamento della cauzione – seppur in misura illecita – unicamente in collegamento funzionale con la pattuizione intercorsa fra il sublocatore I C e la conduttrice ASD S.).

Ove poi il terzo che ha ricevuto le somme intendesse supportare causalmente tale versamento con quanto contenuto nel contratto di locazione, che prevedeva l’illecito versamento di un deposito cauzionale oltre i limiti di legge, non può negarsi l’interesse degli odierni  attori a rilevare la nullità di quella pattuizione, non già in via diretta quali parti del contratto di locazione ai fini dell’azione ex art 79 L.392/1978, ma unicamente con lo scopo di rilevarne l’invalidità in sede di azione ordinaria ex art 2033 c.c.

Tale qualificazione della fattispecie fa tuttavia emergere come non possa che considerarsi sussistente unicamente la legittimazione passiva del concreto accipiens delle somme, ovvero C. O. snc, non convincendo la tesi avanzata dagli attori – peraltro priva di alcuna argomentazione – che debba risponderne in via solidale anche I. C. srl, quale soggetto che avrebbe dato luogo alla pattuizione invalida: “Rispetto all’azione di ripetizione di indebito oggettivo è passivamente legittimato solo il soggetto che ha ricevuto la somma che si assume essere non dovuta, come si evince dalla formulazione letterale dell’art. 2033 c.c.“(Cass.25170/2016).”

Massimo Ginesi 20 dicembre 2019

la locazione a prezzo vile non è opponibile all’acquirente all’asta

E’ quanto statuito dal Tribunale di Massa (Trib. Massa 11 ottobre 2019 n. 606) con riferimento alla locazione ultra novennale stipulata dall’esecutato prima della vendita all’asta dell’immobile.

L’aggiudicatario, rilevato che la locazione era stata stipulata per 12 anni senza essere stata trascritta e sull’assunto che la stessa dovesse quindi ricondursi alle previsioni ordinarie,   agiva con sfratto per finita locazione, essendo già decorsi sette anni dalla stipulazione del contratto.

Proposta opposizione da parte del conduttore, che riteneva che la locazione fosse ancora in corso, l’attore mutava la domanda in sede di memorie integrative, adducendo  anche l’inopponibilità del contratto per essere stata la locazione stipulata a canone vile.

Il Tribunale ha ritenuto che – quanto alla durata, la locazione fosse astrattamente opponibile all’aggiudicatario nei limiti novennali previsti dall’art. 2923 c.c. e che pertanto non fosse ancora scaduta, che non avesse rilevanza la circostanza che gli organi della procedura avessero comunque proseguito il rapporto, non potendo la trascrizione ammettere equipollenti ai fini della opponibilità; ha  ritenendo, tuttavia, che la stessa violasse il disposto di cui all’art. 2923 n. 3 c.c.

Ha dunque  ritenuto legittima la domanda avanzata per la prima volta in sede di memorie integrative.

Premesso che è facoltà della parte proporre domande nuove nelle memorie integrative, a mente di consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass.8336/2004, Cass.21242/2006, Cass.25399/2010, Cass.12247/2013), di talché appare legittima la richiesta declaratoria di inopponibilità avanzata dall’attore nella memoria ex art 426 c.p.c.  

Alla luce del tenore delle pronunce di legittimità e dell’apparato di garanzia istituito dallo scambio differito di memorie, previsto con l’ordinanza di mutamento rito in data  21.11.2018, si deve ritenere che alle parti sia consentito delineare compiutamente petitum e causa petendi – anche con nuove istanze (tanto che è ammessa sino a quella fase anche la domanda riconvenzionale)   –  dovendosi ritenere che il deposito degli atti integrativi costituisca fase genetica e delimitativa del thema decidendum del procedimento di merito.

Ne consegue che  non può accogliersi la domanda per finita locazione, per le ragioni già evidenziate nella ordinanza sopra richiamata, che devono essere qui confermate, non avendo fornito l’attore ulteriori e diversi elementi di valutazione: la locazione non sarebbe ancora scaduta, dovendosi ritenere la mancata trascrizione inidonea ad opporre locazione ultra novennale ma senza che si possa ritenere che il contratto che eccede tale limite debba ricondursi – per tale sola circostanza – alla durata ordinaria di sei anni, e ciò a mente del dettato letterale di cui all’art. 2923 comma II c.c.”

nel merito a rilevato che “Viceversa, appare fondata la eccepita inopponibilità ex art. 2923 comma III c.c., posto che il canone di locazione convenuto dall’esecutato  e dal conduttore appare manifestamente sproporzionato al valore del bene, così come risultante dalla perizia di stima svolta in sede esecutiva, richiamata in atti e non contestata,  e dal conseguente valore locativo di mercato di immobili posti nel territorio cittadino in quella posizione e di quel valore.

A tal proposito va osservato che è consentito al giudice stimare d’ufficio la viltà del canone (Trib. Rimini 25.1.2017, Trib. Livorno 24.7.2018) ma, soprattutto, che parte convenuta nulla ha eccepito di specifico a tale fatto, dedotto da parte attrice nella memoria integrativa, di talchè la circostanza (nei termini dedotti dall’attore) può ritenersi provata ex art 115 c.p.c.: la difesa del convenuto, nella propria memoria integrativa, non ha preso sul punto specifica posizione, né la contestazione generica o la dichiarazione di mancata accettazione del contradditorio possono essere ritenute idonee ad evitare gli effetti di cui alla norma richiamata: “ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto, Cass. n. 8647 del 2016) un onere di allegazione (e/o prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto (Cass. n. 5191 del 2008; cfr. anche Cass. n. 1540 del 2007; Cass. n. 12636 del 2005; Cass. n. 3245 del 2003)” Cass 19490/2018.

Va peraltro osservato che ulteriori elementi che inducono a ritenere provata la pattuizione di un canone del tutto inadeguato ai valori di mercato, anche ex art 116 c.p.c., vanno ravvisati nel fatto che la società conduttrice risulta riconducibile alla moglie e al figlio dell’esecutato e che l’intera condotta – per tempi e modalità –  dell’allora locatore e del conduttore paiono volte ad evitare gli effetti pregiudizievoli della esecuzione, tanto che nell’immobile continua ad essere esercitata la medesima attività e lo stesso locatore, poi esecutato, è comparso – munito di procura del legale rappresentante della convenuta società – nel procedimento di mediazione esperito quale presupposto di procedibilità della presente causa. Si tratta di elementi tutti che rivestono valore fortemente indiziario circa la volontà di garantire il godimento del bene anche oltre l’attuazione dei provvedimenti del giudice della esecuzione, con esborsi minimi per i componenti del medesimo nucleo familiare.”

copyright massimo ginesi 15 ottobre 2018 “

immobile pignorato: la locazione non abitativa non si rinnova senza ordine del giudice dell’esecuzione

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. III 19 luglio 2019 n. 19522)  chiarisce che, dopo il primo rinnovo che avviene automaticamente laddove non vi ia disdetta motivata da parte del locatore, non può darsi rinnovo tacito del contratto in assenza di disdetta ove nel frattempo alcune quote del bene risultino essere state pignorate.

i fatti: “Con sentenza resa in data 10/10/2016 la Corte d’appello di Milano, in accoglimento dell’impugnazione proposta da P.A. e in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda avanzata da D.A.N.F. per l’accertamento della cessazione del contratto di locazione stipulato tra i comproprietari (il D.A. per la quota del 50%, e M.M. e Mo.Ma. per le quote del 25% ciascuno), quali locatori, e P.A. , quale conduttore.
2. A fondamento della decisione assunta, la corte d’appello ha evidenziato come il contratto in esame fosse stato concluso tra le parti in data 1/6/2003, con previsione di rinnovo quadriennale automatico in assenza di tempestiva disdetta.
3. Nel corso del rapporto, più volte rinnovatosi, le quote di comproprietà spettanti a M.M. e Mo.Ma. erano state sottoposte a pignoramento e, conseguentemente, il D.A. aveva agito in giudizio al fine di far rilevare l’intervenuta automatica cessazione del rapporto per la successiva scadenza del 31/5/2015, non essendo intervenuta l’autorizzazione del giudice dell’esecuzione per la rinnovazione della locazione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c..
4. Peraltro, il D.A. aveva altresì provveduto a manifestare tempestivamente la propria volontà di negare l’automatico rinnovo del contratto alla scadenza del 31/5/2015.”

la disamina di legittimità: “secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, per il mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di diniego di rinnovazione, ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 28 e 29, costituisce un effetto automatico derivante direttamente dalla legge e non da una manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile, tale rinnovazione non necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione, prevista dell’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. U, Sentenza n. 11830 del 16/05/2013, Rv. 626185-01).

In coerenza a tale premessa, si è quindi ritenuto (sempre in tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo) che la rinnovazione tacita del contratto alla seconda scadenza contrattuale, a seguito del mancato esercizio, da parte del locatore, della facoltà di disdetta (non motivata) del rapporto ai sensi della L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 28, comma 1, costituisce una libera manifestazione di volontà negoziale, con la conseguenza che, in caso di pignoramento dell’immobile locato eseguito in data antecedente la scadenza del termine per l’esercizio della menzionata facoltà da parte del locatore, la rinnovazione della locazione necessita dell’autorizzazione del giudice dell’esecuzione prevista dall’art. 560 c.p.c., comma 2 (Sez. 3, Sentenza n. 11168 del 29/05/2015, Rv. 635497-01).

In forza di tali premesse, è agevole concludere che, nel caso di specie, in corrispondenza del terzo rinnovo della locazione – e quindi in situazione di libera disponibilità del termine di scadenza contrattuale -, sopravvenuto il pignoramento delle quote di proprietà dei M. , il mancato intervento di alcuna autorizzazione del giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 560 c.p.c., deve ritenersi tale da aver determinato l’automatica cessazione di efficacia del contratto, poiché la comune volontà dei comproprietari locatori, in ipotesi diretta a consentirne l’eventuale rinnovazione, si sarebbe dovuta necessariamente formare (vieppiù a fronte del dissenso alla rinnovazione dell’unico comunista in bonis) previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione.

In tal senso, nessun rilievo può essere ascritto al mero dissenso manifestato stragiudizialmente dai M. in ordine alla gestione della cosa comune operata dal D.A. , atteso che l’unica modalità possibile per l’(eventuale) impedimento della definitiva scadenza della locazione (voluta dal D.A. ) sarebbe stata quella di adire, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione ex art. 560 c.p.c., il giudice della comunione (ex art. 1105 c.c.) allo scopo di provocare un’eventuale (ma solo possibile) decisione diversa da quella in concreto fatta propria dal D.A. 

Allo stesso modo, nessun rilievo può essere attribuito (al prospettato fine di far rivivere, a seguito dell’intercorsa estinzione della procedura esecutiva, il contratto di locazione nelle more definitivamente cessato) alla previsione dell’art. 632 c.p.c. (che sancisce l’inefficacia degli atti compiuti, là dove l’estinzione del processo esecutivo si verifichi prima dell’aggiudicazione o dell’assegnazione dei beni staggiti), non essendo stato nella specie propriamente compiuto alcun atto della procedura in ipotesi destinato a determinare la cessazione dell’efficacia del contratto di locazione (e di cui predicare l’eventuale inefficacia ai sensi dell’art. 632 c.p.c.) e dovendo in ogni caso ritenersi (in forza di un elementare principio di certezza delle situazioni giuridiche sostanziali) che l’estinzione del procedimento esecutivo non valga a comportare l’inefficacia degli atti ritualmente posti in essere nel corso del processo esecutivo, là dove dal relativo compimento sia eventualmente derivata la legittima attribuzione di diritti in favore di terzi.”

© massimo ginesi 23 luglio 2019