impianti sul lastrico solare: la questione va alle sezioni unite

La concessione del lastrico solare condominiale per l’installazione da parte di terzi di impianti tecnologici è fenomeno di sempre più ampia diffusione e pone problemi di qualificazione giuridica che hanno indotto la seconda sezione civile del Supremo Collegio (Cass.Civ.  sez.II ord. 29 marzo 2019 n. 8943 rel. Scarpa)  a rimettere la valutazione alle sezioni unite.

La fattispecie è relativa alla concessione in uso dello spazio comune per l’installazione di ripetitori telefonici (fenomeno che dovrebbe essere attentamente valutato non solo sotto il profilo dei diritti reali ma anche sotto quello più ampio del diritto alla salute, posto che l’effettiva influenza di tali strumenti sulla salute umana è a tutt’oggi ignoto ma certamente non irrilevante ), ma ben può attagliarsi anche alla diffusa installazione di pannelli fotovoltaici o di altri impianti tecnologici.

La Corte si sofferma a lungo sulla qualificazione giuridica del contratto con cui si formalizza tale concessione, con una ordinanza interlocutoria che merita integrale lettura, attesa la grande acutezza e finezza  del relatore.

Alle sezioni unite viene rimessa la seguente valutazione: “la questione che si pone è se è necessario il consenso di tutti i partecipanti, ai sensi dell’art. 1108 c.c., comma 3, per l’approvazione del contratto col quale un condominio conceda in godimento ad un terzo, dietro il pagamento di un corrispettivo, il lastrico solare, o altra idonea superficie comune, allo scopo precipuo di consentirgli l’installazione di infrastrutture ed impianti (nella specie, necessari per l’esercizio del servizio di telefonia mobile), che comportino la trasformazione dell’area, riservando comunque al detentore del lastrico di acquisire e mantenere la proprietà dei manufatti nel corso del rapporto come alla fine dello stesso. Attesa la particolare importanza della questione di massima, il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.”

(Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza interlocutoria n. 8943:19; depositata il 29 marzo) – LOCAZIONI e CONDOMINIO | Diritto e Giustizia

© massimo ginesi 4 aprile 2019 

locazione commerciale: non alla prelazione in caso di vendita di quote del bene locato.

 

una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 12 novembre 2018 n. 796) affronta un caso peculiare: un imprenditore svolge la propria attività ricettiva (campeggio) su un fondo che appartiene a tre diversi proprietari, uno dei quali vende la propria quota ad un terzo soggetto, dopo averla offerta senza successo al conduttore.

La vendita avviene decorso qualche mese rispetto a quanto era stato  indicato nell’offerta al conduttore, sì che costui da corso ad azione giudiziale volta all’esercizio del diritto di riscatto.

Diverse sono le eccezioni svolte dai convenuti, sia con riguardo all’esercizio del diritto di riscatto esercitato dal difensore sia con riguardo agli aspetti sostanziali della vicenda.

 “Va osservato che può anche a ritenersi sussistente – adottando lettura decisamente ampia e flessibile –  il potere sostanziale di esercitare il relativo diritto,  conferito al difensore con una procura alle liti separata e che reca data diversa rispetto all’atto di citazione e che, tuttavia, menziona la causa volta all’esercizio del riscatto  nei confronti degli odierni convenuti, sì che – pur in assenza della espressa indicazione e individuazione catastale del bene nel corpo della procura – possa ritenersi conferito al difensore anche il potere sostanziale di esercitare il relativo diritto (arg. da Cass 9.4.2014 n. 8264);

allo stesso modo può ritenersi che le diverse modalità di vendita a terzi, anche solo sotto il profilo temporale, costituiscano condizioni di maggior favore, sì che risulta sussistente diversità fra le modalità in forza del quale è stata effettuata denuntiatio a fini dell’esercizio della prelazione (arg. da Cass. 6. 6. 1992,  n. 6999  “Il conduttore di un immobile urbano per uso non abitativo ha diritto di esercitare il riscatto di cui all’art. 39 l. 27 luglio 1978 n. 392 non solo nei casi in cui il locatore che ha alienato a terzi l’immobile abbia omesso di comunicargli tempestivamente il suo proposito di alienazione, ma anche quando nella comunicazione sia stato omesso o erroneamente indicato il prezzo e le condizioni che, anche indirettamente, influiscono sui termini e le modalità del suo pagamento, come nel caso in cui la stipulazione dell’atto di vendita con il terzo sia stata effettuata in data successiva e diversa da quella indicata nella “denuntiatio”, comportando uno spostamento delladata di pagamento del prezzo rispetto a quella che il conduttore, a norma del comma 4 dell’art. 38 della detta legge, avrebbe dovuto osservare in base alla “denuntiatio””).

Tuttavia risulta dirimente la circostanza che non spetti il diritto di prelazione laddove la cessione a terzi abbia ad oggetto una sola quota indivisa del bene, così come ampiamente argomentato da Cass. SS. UU.  14/06/2007,  n. 13886: la corte di legittimità, nel dirimere il contrasto sussistente fra diverse sezioni, analizza ampiamente i confliggenti indirizzi giurisprudenziali all’epoca sussistenti ed in buona parte riconducibili ad ipotesi del tutto sovrapponibili alla vicenda per cui è causa, giungendo ad affermare l’insussistenza del diritto di prelazione sulla scorta di argomentazioni che, mutatis mutandis, paiono del tutto applicabili anche al caso di specie, sì che – in virtù della c.d. ragione più liquida – diventa ininfluente estendere la disamina anche alle altre ragioni eccepite dai convenuti.

Le Sezioni Unite sottolineano come le principali ragioni che inducono ad accedere alla tesi della inconfigurabilità di un diritto di prelazione ex art 38 L. 392/1978, laddove sia alienata solo una quota ideale del bene ove si esercita l’attività imprenditoriale o commerciale, vada ravvisata nella ferma volontà del legislatore di evitare che nello stesso soggetto si cumulino la qualità di comproprietario e conduttore; in tal senso lo scopo della norma, ossia favorire il consolidamento in capo al conduttore della proprietà del bene ove esercita la propria attività, laddove tale bene sia venduto per quote frazionate, risulterebbe comunque del tutto eventuale  anche se  si consentisse la prelazione, poiché potrebbe conseguire solo ad una serie del tutto ipotetica e congiunturale di evenienze,  quali la successiva determinazione dei diversi comproprietari a cedere le proprie quote nella vigenza del contratto e la contemporanea perdurante determinazione del conduttore ad avvalersi del relativo diritto di prelazione.

Non vi è dubbio che si tratti di principi che trovano totale applicazione al caso in esame, posto che risulta incontroverso che l’attività imprenditoriale dell’attore si eserciti sul terreno distinto al foglio 87 mapp. 305, la cui proprietà appartiene per 1/3 ciascuno a tre diversi soggetti (H. srl, M. G. e A., che ha poi ceduto il proprio terzio – per 1/6 ciascuno ad A. e S.).

Non pare idoneo a superare la censura di fondo evidenziata delle Sezioni Unite l’unico argomento speso sul punto dalla difesa dell’attore, ossia che nel caso di specie si tratterebbe dell’alienazione dell’intero bene oggetto del contratto di locazione, poiché la sussistenza di tre diversi contratti di locazione, uno per ciascuna delle quote ideali pari ad un terzo dell’intero, non muta la circostanza che nel caso di specie sia comunque alienata una quota ideale del bene unico su cui viene esercitata l’attività; riconoscere, in tal caso, il diritto di prelazione comporterebbe gli stessi inconvenienti ed urterebbe contro gli stessi principi che la pronuncia delle Sezioni Unite 13886/2007 pone in evidenza; non pare, infatti, doversi aver riguardo esclusivamente alla identità fra cosa locata e cosa venduta – come sottolinea parte attrice – quanto piuttosto alla sussistenza di una cessione di quota indivisa dell’unico e unitario bene su cui si esercita l’attività del conduttore.

Non paiono conferenti, a tal fine, le letture giurisprudenziali richiamate da C. C. srl in tema di prelazione agraria (Cass. 15/04/1986,  n. 2649), che hanno riguardo a porzioni funzionalmente autonome ed inviduate del fondo condotto, circostanza che appare ontologicamente opposta a quella dedotta in causa, ove sussiste invece pura idealità della quota, sì che in ogni caso il bene oggetto di conduzione (seppur in forza di tre distinti contratti) appare sostanzialmente e  funzionalmente unico.  

La mancata sussistenza del diritto di prelazione comporta che venga meno anche la facoltà di riscatto, oggi esercitata con conseguente reiezione della domanda”

copyright massimo ginesi 20 novembre 2018  

oggetto della mediazione: una lettura bilanciata delle contrapposte esigenze.

L’istituto della mediazione, a mente dell’art. 5 comma 1 bis D.Lgs. 28/2010, costituisce condizione di procedibilità – fra le altre – per le controversie in tema di locazione.

Si tratta di intervento del legislatore volto ad incentivare le A.D.R. (alternative dispute resolution) a tutto vantaggio della deflazione del contenzioso giudiziario,  esperimento che – invero – negli anni di applicazione non ha dato risultati entusiasmanti.

Accade tuttavia che, troppo spesso, tale istituto (e la connessa condizione di procedibilità) finisca per assumere natura meramente dilatoria nelle mani del convenuto che intenda procrastinare l’esame delle pretese dell’attore, complice anche una lettura spesso assai formale della giurisprudenza di merito.

L’auspicabile risoluzione alternativa del contendere, con beneficio per le aule di giustizia, non deve tuttavia entrare in conflitto con i diritti di difesa costituzionalmente garantiti, sì che anche l’interpretazione delle norme sulla procedibilità dovrà attenersi a criteri di garanzia che non dimentichino le norme primarie dell’ordinamento.

In tal senso si pone una recente pronuncia apuana (Trib. Massa 6 luglio 2018 n. 496 ) in tema di locazione, svolta all’esito della fase sommaria di convalida, il cui rito è stato mutato per l’opposizione del conduttore,  laddove ritiene la mediazione svolta come idonea ad avverare la condizione di procedibilità in ordine a tutto il dedotto ed il deducibile sul contratto oggetto di contesa.

Va preliminarmente risolta la questione della procedibilità della domanda riconvenzionale, così come sollevata da parte convenuta.

Ammesso che parte convenuta abbia interesse giuridico a sollevare tale eccezione con riferimento ad una propria domanda, laddove il giudice non ne rilevi d’ufficio la sussistenza, va comunque rilevato che si tratta di eccezione priva di fondamento.

L’avveramento della condizione di procedibilità deve, ad avviso di questo giudice, essere oggi inteso in maniera dinamica e costituzionalmente orientata (Trib.Massa 29.5.2018 n. 398 e Trib. Massa 29 giugno 2018 n. 470), sì che dovrà contemperare le esigenze deflattive sottese al D.Lgs 28/2010 con il diritto ad un giusto e rapido processo, in attuazione del precetto costituzionale di cui alll’art. 24 Cost.

Ne consegue che il giudice dovrà apprezzare se alle parti sia stata concessa l’opportunità di svolgere dinanzi al mediatore ogni aspetto relativo alla materia del contendere che giunge al suo esame, con adeguate garanzie volte a permettere la partecipazione personale delle parti, onde poter appieno sollecitare quei distretti metagiuridici che consentono al mediatore di sondare la volontà conciliativa delle parti.

Dalla domanda di mediazione, prodotta da parte attrice in questo giudizio in data 27.10.2017, appare evidente che è stato sottoposto al mediatore l’intero contenuto della controversia  introdotta con rito sommario e rubricata al n. 761/17 RG, dunque anche le eccezioni del convenuto, già ampiamente svolte in quella sede, anche se non ancora formalizzate in espressa domanda riconvenzionale, poi avanzata dal R. solo nella memoria integrativa.

Si deve dunque ritenere che la mediazione abbia avuto portata estesa alla natura e alla durata della locazione dell’immobile, a prescindere dal contratto espressamente richiamato in sede di intimazione di sfratto, consentendo alle parti – ove lo avessero voluto – di comporre la lite su tutti gli aspetti già ampiamente delineati nella fase sommaria, al momento del mutamento del rito.

Tale lettura consente dunque di ritenere compiutamente svolto – senza successo – il preliminare adempimento deflattivo previsto dall’art. 5 comma 1 bis  D.lgs 28/2010, con piena procedibilità di tutte le domande connesse al rapporto locativo (inteso quale rapporto di godimento e detenzione del bene dietro corrispettivo) dedotto in causa, a prescindere dal titolo formale concretamente dedotto dalle parti.

Opinando diversamente, con una lettura drasticamente formale, si sarebbe raggiunto l’unico scopo di duplicare inutilmente un adempimento cui le parti avevano già mostrato di non voler attendere con animo e soluzione positiva riguardo alla stessa fattispecie concreta, senza alcun vantaggio sotto il profilo di risoluzione alternativa voluto dal legislatore e con, invece, una evidente compressione del diritto dell’attore a vedere esaminata la propria domanda in tempi ragionevoli e senza inutili dilazioni.”

 

TribMassa_6luglio2018

copyright massimo ginesi 16 luglio 2018

locazione e forma scritta: quando la nullità è di protezione.

Una recente sentenza di merito (Trib. Massa 15 dicembre 2017) affronta il problema della forma scritta del contratto di locazione e della facoltà, concessa al conduttore in determinate ipotesi, di ottenere conversione di quel contratto in una forma rispondente alle previsioni di legge.

La vicenda fatto prende le mosse dalla concessione in godimento di alcuni mini appartamenti ad un soggetto per la stagione estiva in una località termale e turistica della Garfagnana, mentre la stipulazione del relativo contratto  di locazione subisce alcuni ritardi per ragioni legate alle certificazioni energetiche: “Risulta pacificamente che la signora M. sia stata immessa nella detenzione dei beni immobili dei convenuti all’inizio dell’estate 2016 e che costei abbia versato tre canoni di euro 750 ciascuno nei mesi di giugno, luglio e agosto, come peraltro pacificamente riconosce anche parte convenuta.
I convenuti negano di aver ricevuto altri pagamenti, mentre i documenti prodotti dalla attrice paiono attestare anche il pagamento di euro 750 per il mese di settembre, posto che fra le (non del tutto decifrabili) produzioni di parte attrice si rinvengono: un ordine di bonifico periodico in data 25 maggio 2016 con primo pagamento al 1.7.2017, documento che appare congruente con l’elenco storico dei versamenti in data 1.7.16, 1.8.16 e 1.9.16, ad un ordine di bonifico separato in data 3.6.2016, peraltro compatibile con il fatto che – come risulta dalla esposizione dei fatti resa da entrambe le parti – l’attrice avrebbe utilizzato il bene sin dal giugno 2016.
Ne deriva che lo schema contrattuale astrattamente posto in essere dalle parti è riconducibile alla fattispecie della locazione, che deve necessariamente rivestire forma scritta a pena di nullità ai sensi del dictum di Cass. SS.UU.18241/2015, principio interpretativo che – a mente dell’art. 1 comma 346 L. 30.12.2004 n. 311 – deve ritenersi valere per le locazioni destinate a soddisfare qualunque esigenza.

La tesi che il contratto di locazione, di qualunque natura, richieda forma scritta a pena di nullità è comunque risalente anche nella giurisprudenza di merito, che la  riconduce, ancor prima che alla L. 311/2004, all’art. 1 della L. 431/1998 (Trib. Trani 22.4.2008)

Posto che la forma scritta deve ritenersi requisito imprescindibile di  qualunque contratto di locazione, l’istanza della attrice di veder attuato il rimedio previsto dalla legge – per quelle ipotesi in cui la forma orale sia imposta dal locatore – risulta priva di fondamento.

Va tuttavia rilevato che tale nullità è ascritta alle c.d. nullità di protezione solo nella ipotesi di locazione destinata a soddisfare esigenze abitative ordinarie, come tale sottoposta a regime vincolistico circa durata ed entità del canone, ciò per espressa previsione del combinato disposto dagli artt. 3 comma 2 e 13 commi 6 e 4 L. 431/1998, come eprlatro si ricava agevolmente dalla pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata, che fa riferimento unicamente ai rapporti previsti dall’art. 3 comma 2 del testo normativo del 1998.

In ipotesi di contratto di locazione che non rientri in tale previsione normativa dovrà semplicemente accertarsi – anche d’ufficio – la nullità della pattuizione, senza che sia consentito al conduttore ottenere pronuncia giudiziale che valga in luogo del contratto non perfezionato.

L’onere di dimostrare che sussista la situazione di fatto sottesa al principio dettato dalle Sezioni Unite del 2015, sopra richiamate, incombe all’attore ex art 2697 I comma c.c. e non pare essere stato assolto dall’odierna ricorrente, né in ordine alla natura delle esigenze per cui è stato dato corso alla locazione priva di forma, né riguardo alla sussistenza di coercizione da parte del locatore in tal senso”

L’attrice, secondo il Tribunale, non ha dato prova degli elementi costitutivi della domanda e – in ogni caso – poichè il bene è risultato del tutto fuori legge per ciò che attiene alla parte impiantistica, con ordinanza sindacale che ne vieta l’uso, al domanda apparirebbe comunque non accoglibile anche sotto tale profilo: “la circostanza che l’immobile sia dotato di impianti elettrici e di riscaldamento che ne rendono del tutto impossibile l’uso anche temporaneo (peraltro oggi accertato – e vietato – espressamente da provvedimento pubblico ord. Comune F. 40/2017) rende di fatto impossibile l’oggetto del contratto, con ulteriore motivo di nullità ex art. 1346 c.c., attenendo ad aspetti che non incidono sulla liceità (che consente comunque la locazione, cass. 4228/1999) ma sulla possibilità della prestazione dedotta.

Circostanza che se da un lato costituisce ulteriore motivo di nullità rilevabile anche d’ufficio ex art. 1421 c.c., dall’altro impedisce al Giudice – anche a voler tacere della assenza di prova in ordine alla riconducibilità della fattispecie all’art. 13 L. 431/1998 – qualunque pronunzia in ordine al godimento di detto bene volta a sostituire l’inattività del proprietario”.

© massimo ginesi 3 gennaio 2018

locazione: la registrazione tardiva del contratto sana la nullità.

La giurisprudenza ha anche di recente affermato che la registrazione costituisce presupposto di validità del contratto e che, in sua assenza, la pattuizione è nulla e improduttiva di effetti.

Oggi ritorna sul tema, chiarendo che  se le parti procedono ad un registrazione  tardiva, l’adempimento è idoneo a sanare il vizio.

 Cass.civ. sez. VI 6 settembre 2017 n. 20858 afferma che  “il giudice di primo grado aveva ritenuto nullo il contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti, in quanto non registrato, affermando che la registrazione operata dal conduttore nel 2014 non era ad esso riferibile, ma ad un diverso contratto, a sua volta nullo per difetto di forma scritta.

La corte di appello – in accoglimento peraltro del gravame dello stesso L. – lo ha, al contrario, espressamente considerato valido, dichiarando nulla (in quanto simulata) solo la clausola relativa alla sua transitorietà.

Ha di conseguenza accertato la sussistenza di una ‘locazione abitativa ordinaria’ con decorrenza dal 1 dicembre 2007 (e scadenza al 30 novembre 2015), avendo escluso la stipulazione di un diverso successivo contratto verbale, e avendo ritenuto configurabile un ‘contratto unico, pur non registrato (se non successivamente, nel gennaio 2014, subito dopo l’introduzione del presente giudizio) all’epoca’.

Ha cioè (implicitamente, ma inequivocabilmente) ritenuto che la registrazione tardiva del contratto di locazione originariamente stipulato dalle parti non fosse di ostacolo all’accertamento della sua validità.

Sotto questo aspetto, la decisione è conforme al recente indirizzo di questa Corte (specificamente riferito alle locazioni per uso commerciale, ma in base ad un principio valido anche in relazione a quelle per uso abitativo) secondo cui ‘in tema di locazione immobiliare (nella specie per uso non abitativo), la mancata registrazione del contratto determina, ai sensi dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, una nullità per violazione di norme imperative ex art. 1418 c.c., la quale, in ragione della sua atipicità, desumibile dal complessivo impianto normativo in materia ed in particolare dalla espressa previsione di forme di sanatoria nella legislazione succedutasi nel tempo e dall’istituto del ravvedimento operoso, risulta sanata con effetti ‘ex tunc’ dalla tardiva registrazione del contratto stesso, implicitamente ammessa dalla normativa tributaria, coerentemente con l’esigenza di contrastare l’evasione fiscale e, nel contempo, di mantenere stabili gli effetti negoziali voluti dalle parti, nonché con il superamento del tradizionale principio di non interferenza della normativa tributarla con gli effetti civilistici del contratto, progressivamente affermatosi a partire dal 1998′ (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10498 del 28/04/2017, Rv. 644006 – 01).

È opportuno sottolineare che, secondo quanto espressamente precisato nella decisione appena richiamata, quella della nullità del contratto non registrato costituisce fattispecie differente rispetto a quella (presa in considerazione dalla sentenza di questa Corte a Sezioni Unite n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471 – 01) che si determina in caso di pattuizioni volte a determinare un canone superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato, laddove sussista cioè tra le parti un vero e proprio accordo simulatorio in relazione all’entità del canone, onde ad essa non è comunque applicabile l’art. 13, comma 1, della legge 9 dicembre 1998 n. 431, invocato dal ricorrente, e riguardante esclusivamente tale diversa fattispecie.”

© massimo ginesi 11 settembre 2017 

locazioni: niente recesso anticipato per il conduttore se non ha dato la disdetta.

La Cassazione afferma un principio  di buon senso: il conduttore non potrà rendere per gravi motivi dal contratto ove l’insorgenza di dette problematiche sia intervenuta prima della scadenza del termine per dare utile disdetta.

In tal coas deve preferirsi il mezzo canonico e più veloce per la risoluzione del vincolo che è rappresentato dalla disdetta alla scadenza, se il conduttore non l’ha utilizzata pur essendo già presenti i gravi motivi che richiama nel recesso, deve ripetersi che egli abbia rinunciato ad azionarli successivamente.

“In tema di recesso anticipato del conduttore ad uso diverso da quello abitativo, ai sensi dell’art. 27, comma ottavo, legge n. 392 del 1978, quando i gravi motivi sopravvenuti dedotti dal conduttore si sono verificati prima della scadenza del termine per dare l’utile disdetta alla scadenza naturale del contratto e il conduttore non l’abbia data, tale condotta, interpretata secondo il principio di buona fede, va intesa come rinunzia a far valere in futuro l’incidenza di tali motivi sul sinallagma contrattuale, dei quali può altresì presumersi la non gravità, poiché altrimenti sarebbe stato ragionevole utilizzare il mezzo più rapido per la cessazione del rapporto. E’ quanto si legge nell’ordinanza n. 14623 del 13 giugno 2017.”

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 13 giugno 2017, n. 14623

© massimo ginesi 17 giugno 2017

 

locazione: il contratto non registrato è nullo e non produce alcun effetto

Una severissima sentenza in materia di locazioni, depositata ieri dalla Suprema Corte (Cass. civ. III sez. 13 dicembre 2016 n. 25503).

Due i principi di diritto affermati:  a) Il contratto di locazione non registrato è nullo ai sensi dell’articolo 1 uno comma 346 della legge  30/12/2004 n. 311 b) la prestazione compiuta in esecuzione di un contratto nullo costituisce un indebito oggettivo, regolato dall’articolo 2033 cod.civ. e non dall’articolo 1458 cod.civ.; l’ eventuale irripetibilità di quella prestazione potrà attribuire al solvens, ricorrendone i presupposti, diritto a risarcimento del danno ex articolo 2043 cod.civ.  o al pagamento dell’ingiustificato arricchimento ex art.  2041 cod.civ. 

Ne consegue che dal contratto nullo non potrà scaturire alcun effetto ed  il Giudice non potrà statuire sull’indennità di occupazione senza titolo, commisurandola  al canone pattuito dalle parti, in assenza di specifica domanda in tal senso e della relativa prova fornita dalla parte. La sentenza merita lettura integrale per l’importanza delle questioni affrontate e la rigidissima prospettiva che sottende.

© massimo ginesi 14 dicembre 2016

sfratto per morosità: la mancata comparizione del locatore.

 schermata-2016-10-31-alle-19-33-06

nel procedimento di sfratto per morosità, ove il locatore intimante non compaia e il conduttore presente in udienza si costituisca al fine di opporsi allo sfratto ma non chieda espressamente la prosecuzione del giudizio nel merito al fine di ottenere un accertamento negativo del proprio inadempimento, il procedimento necessariamente deve essere dichiarato estinto ai sensi dell’art. 662 c.p.c.

Lo ha affermato la terza sezione civile della Cassazione, con sentenza 19425/2016, ribadendo un orientamento ormai consolidato: ” la mancata comparizione del locatore all’udienza fissata per la convalida fa perdere alla intimazione tutti gli effetti di carattere processuale (salvo quelli sostanziali) e, cioe’, il venir meno della possibilita’ di divenire titolo esecutivo, nonche’ l’effetto della possibile trasformazione del procedimento in un ordinario giudizio di cognizione, non potendo la citazione, contenuta nell’intimazione, conservare in tale caso il carattere di atto autonomo distinto”

@ massimo ginesi 31 ottobre 2016

 

per il mancato godimento da infiltrazioni danno pari al canone di locazione

Lo ha affermato la Cassazione in un recente sentenza   Cass. 10870/2016.

Ove l’uso del bene risulti impossibile a causa delle infiltrazioni, il Condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno conseguente che il giudice, in applicazione di normali principi interpretativi e di giustizia, può commisurare anche al canone di locazione medio per immobile di analoghe caratteristiche, atteso che fra le modalità di godimento del bene rientra anche quella mediata di concederlo in locazione a terzi.

In tal senso non sussiste preciso e vincolante  onere della prova da parte dell’attore, atteso che rientra fra le facoltà del Giudice effettuare tale valutazione a fronte di un proprietario che non si sia palesemente disinteressato delle sorti del proprio bene.

Nel caso di specie per il danno è poi stata ravvisata una responsabilità  dell’appaltatore, ritenuta sussistente la  garanzia relativa alle  opere da cui era emerso il vizio che provocava le infiltrazioni, a fronte della domanda in tal senso  avanzata dal Condominio.

La Corte ha rimesso ad altra sezione della corte d’appello affinché provveda a statuire nei conforti di tutte le parti in ordine all’entità del dovuto risarcimento.

© massimo ginesi giugno 2016