regolamento contrattuale: quando non vincola tutti i condomini

Il regolamento di condominio, di natura contrattuale, che stabilisca limitazioni e vincoli al godimento delle parti comuni o individuali non vincola coloro che abbiano acquistato prima della sua predisposizione e allegazione ai singoli atti di acquisto.

E’ quanto statuisce Cass. civ. II, 4 maggio 2022 n. 141230

14130

© massimo ginesi 11 maggio 2022 

la locazione a prezzo vile non è opponibile all’acquirente all’asta

E’ quanto statuito dal Tribunale di Massa (Trib. Massa 11 ottobre 2019 n. 606) con riferimento alla locazione ultra novennale stipulata dall’esecutato prima della vendita all’asta dell’immobile.

L’aggiudicatario, rilevato che la locazione era stata stipulata per 12 anni senza essere stata trascritta e sull’assunto che la stessa dovesse quindi ricondursi alle previsioni ordinarie,   agiva con sfratto per finita locazione, essendo già decorsi sette anni dalla stipulazione del contratto.

Proposta opposizione da parte del conduttore, che riteneva che la locazione fosse ancora in corso, l’attore mutava la domanda in sede di memorie integrative, adducendo  anche l’inopponibilità del contratto per essere stata la locazione stipulata a canone vile.

Il Tribunale ha ritenuto che – quanto alla durata, la locazione fosse astrattamente opponibile all’aggiudicatario nei limiti novennali previsti dall’art. 2923 c.c. e che pertanto non fosse ancora scaduta, che non avesse rilevanza la circostanza che gli organi della procedura avessero comunque proseguito il rapporto, non potendo la trascrizione ammettere equipollenti ai fini della opponibilità; ha  ritenendo, tuttavia, che la stessa violasse il disposto di cui all’art. 2923 n. 3 c.c.

Ha dunque  ritenuto legittima la domanda avanzata per la prima volta in sede di memorie integrative.

Premesso che è facoltà della parte proporre domande nuove nelle memorie integrative, a mente di consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass.8336/2004, Cass.21242/2006, Cass.25399/2010, Cass.12247/2013), di talché appare legittima la richiesta declaratoria di inopponibilità avanzata dall’attore nella memoria ex art 426 c.p.c.  

Alla luce del tenore delle pronunce di legittimità e dell’apparato di garanzia istituito dallo scambio differito di memorie, previsto con l’ordinanza di mutamento rito in data  21.11.2018, si deve ritenere che alle parti sia consentito delineare compiutamente petitum e causa petendi – anche con nuove istanze (tanto che è ammessa sino a quella fase anche la domanda riconvenzionale)   –  dovendosi ritenere che il deposito degli atti integrativi costituisca fase genetica e delimitativa del thema decidendum del procedimento di merito.

Ne consegue che  non può accogliersi la domanda per finita locazione, per le ragioni già evidenziate nella ordinanza sopra richiamata, che devono essere qui confermate, non avendo fornito l’attore ulteriori e diversi elementi di valutazione: la locazione non sarebbe ancora scaduta, dovendosi ritenere la mancata trascrizione inidonea ad opporre locazione ultra novennale ma senza che si possa ritenere che il contratto che eccede tale limite debba ricondursi – per tale sola circostanza – alla durata ordinaria di sei anni, e ciò a mente del dettato letterale di cui all’art. 2923 comma II c.c.”

nel merito a rilevato che “Viceversa, appare fondata la eccepita inopponibilità ex art. 2923 comma III c.c., posto che il canone di locazione convenuto dall’esecutato  e dal conduttore appare manifestamente sproporzionato al valore del bene, così come risultante dalla perizia di stima svolta in sede esecutiva, richiamata in atti e non contestata,  e dal conseguente valore locativo di mercato di immobili posti nel territorio cittadino in quella posizione e di quel valore.

A tal proposito va osservato che è consentito al giudice stimare d’ufficio la viltà del canone (Trib. Rimini 25.1.2017, Trib. Livorno 24.7.2018) ma, soprattutto, che parte convenuta nulla ha eccepito di specifico a tale fatto, dedotto da parte attrice nella memoria integrativa, di talchè la circostanza (nei termini dedotti dall’attore) può ritenersi provata ex art 115 c.p.c.: la difesa del convenuto, nella propria memoria integrativa, non ha preso sul punto specifica posizione, né la contestazione generica o la dichiarazione di mancata accettazione del contradditorio possono essere ritenute idonee ad evitare gli effetti di cui alla norma richiamata: “ogni volta che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto, Cass. n. 8647 del 2016) un onere di allegazione (e/o prova), l’altra ha l’onere di contestare il fatto allegato nella prima difesa utile, dovendo, in mancanza, ritenersi tale fatto pacifico e non più gravata la controparte del relativo onere probatorio, senza che rilevi la natura di tale fatto (Cass. n. 5191 del 2008; cfr. anche Cass. n. 1540 del 2007; Cass. n. 12636 del 2005; Cass. n. 3245 del 2003)” Cass 19490/2018.

Va peraltro osservato che ulteriori elementi che inducono a ritenere provata la pattuizione di un canone del tutto inadeguato ai valori di mercato, anche ex art 116 c.p.c., vanno ravvisati nel fatto che la società conduttrice risulta riconducibile alla moglie e al figlio dell’esecutato e che l’intera condotta – per tempi e modalità –  dell’allora locatore e del conduttore paiono volte ad evitare gli effetti pregiudizievoli della esecuzione, tanto che nell’immobile continua ad essere esercitata la medesima attività e lo stesso locatore, poi esecutato, è comparso – munito di procura del legale rappresentante della convenuta società – nel procedimento di mediazione esperito quale presupposto di procedibilità della presente causa. Si tratta di elementi tutti che rivestono valore fortemente indiziario circa la volontà di garantire il godimento del bene anche oltre l’attuazione dei provvedimenti del giudice della esecuzione, con esborsi minimi per i componenti del medesimo nucleo familiare.”

copyright massimo ginesi 15 ottobre 2018 “

l’opponibilità a terzi della clausola regolamentare che limita i diritti dei singoli

Una recente sentenza del Tribunale di Roma (Trib. Roma 3/9/2018,  n. 167579) richiama in maniera chiara un costante orientamento di legittimità sulla  natura del peso imposto alla proprietà esclusiva (limitazione di uso, ad esempio) e la sua opponibilità al soggetto che acquisti detta unità immobiliare.

In tal caso la limitazione, da ascrivere al genus delle servitù reciproche, deve essere espressamente richiamata nell’atto di acquisto oppure deve risultare trascritta la specifica clausola regolamentare che la prevede, non essendo sufficiente la preventiva generica trascrizione del regolamento contrattuale che l’abbia adottata.

La mancata opponibilità per difetto di trascrizione può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

“Invero le clausole regolamentari -quali quelle invocate dall’attore-, che limitano i diritti dominicali dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, per essere opponibili devono essere approvate da tutti i condomini in quanto hanno valore negoziale.

Le clausole suddette, che restringono i poteri e le facoltà sulle proprietà esclusive o comuni e che sono intese a creare vincoli anche per gli aventi causa delle parti originarie non sono nulle per la violazione del numero chiuso delle obbligazioni reali poiché tali clausole non costituiscono obbligazioni propter rem (che si esauriscono nelle specie espressamente previste dalla legge) ma servitù reciproche atipiche consistenti fra l’altro nell’assoggettare al peso della non modificabilità (della destinazione, nel caso in esame) tutti i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva a vantaggio delle altre proprietà immobiliari. Ed il fatto che dette clausole costituiscano vincoli obbligatori non determina, come detto, la nullità delle stesse trattandosi, appunto, di servitù reciproche come affermato da condivisibile recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 21024/16, Cass. 14898/13, Cass. 6769/18 e Cass. 1064/11).

Dal rilievo che i limiti negoziali alla destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva devono essere ricompresi nell’ambito delle servitù segue che, per poter utilmente opporre dette clausole ai nuovi titolari del bene ove il regolamento stesso non sia richiamato, con adesione, nell’atto di acquisto (o comunque sia stato espressamente oggetto di approvazione da parte del soggetto al quale è imputata la violazione), non è sufficiente la trascrizione del regolamento come atto unitario ma è necessario che, nella relativa nota, sia fatta specifica menzione della servitù.

Invero in materia di costituzione di servitù, la trascrizione (richiesta dall’art. 2643 n. 4 cc) non adempie ad una funzione costitutiva ma serve a rendere opponibile il diritto ai terzi i quali abbiano acquistato un diritto reale incompatibile con la servitù medesima. E, quindi, perché la trascrizione possa rispondere al suo scopo di dare conoscenza ai terzi dell’avvenuta costituzione della servitù, è necessario che la conoscenza possa essere acquisita attraverso il semplice esame dei registri immobiliari perché soltanto quelle parti della nota che menzionano la servitù sono rese pubbliche ed i terzi solo a queste debbono attenersi: la trascrizione di un atto di trasferimento della proprietà senza che sia fatta in esso menzione delle servitù contestualmente costituite a favore dell’immobile trasferito non conferisce a questa alcuna pubblicità e non la rende opponibile ai terzi successivi acquirenti del fondo servente tranne nel caso in cui la servitù sia stata portata a loro conoscenza nei rispettivi atti di trasferimento (Cass. 5626/85e Cass. 5158/03).

Con la precisazione che, poichè l’art. 17 della legge 52/85 prevede che ciascuna nota di trascrizione non può riguardare più di un negozio giuridico o convenzione oggetto dell’atto di cui si chiede la trascrizione e poiché il successivo art. 18 dispone che il conservatore ‘non può ricevere le note di trascrizione non conformi alle disposizioni del precedente articolo’, affinchè la pubblicità operi è necessario che il negozio fatto valere sia stato autonomamente trascritto (se l’atto ne contenga più di uno) con la specifica indicazione del fondo servente e di quello dominante perché altrimenti dai registri i terzi interessati non sono in condizione di verificarne l’esistenza (Cass. 17491/14).

Orbene nel caso in esame non risulta che il prodotto regolamento e la clausola invocata siano stati espressamente oggetto di accettazione, al momento dell’acquisto, da parte del condomino che utilizzata il proprio immobile a palestra né risulta provata l’esistenza di una nota di trascrizione del regolamento depositato in atti o meglio della clausola ivi contenuto con riguardo alla specifica costituzione della servitù invocata.

Detto regolamento quindi, all’evidenza, è inidoneo ad opporre ai terzi, quale deve essere ritenuto il proprietario dell’appartamento utilizzato a palestra P., la servitù oggetto di causa considerato che non è emerso che il predetto abbia approvato specificamente il regolamento e la clausola oggetto di esame o che ne abbia preso conoscenza perché debitamente trascritta.

Donde non vi è prova che abbia prestato adesione alle clausole invocate dall’attore che non possono essere considerate, quindi, opponibili al predetto al quale nessuna violazione del regolamento può pertanto essere imputata. Mette conto quindi di evidenziare che il difetto di trascrizione di un atto, quale fatto impeditivo dell’opponibilità dello stesso, integra un’eccezione in senso lato non subordinata alla specifica allegazione di parte che può, pertanto, essere rilevata anche d’ufficio (Cass. 6769/18). Con la conseguenza che tale carenza deve essere tenuta in cale al fine della decisione ed irrilevante è la circostanza che il convenuto non abbia specificamente opposto detto fatto.”

© massimo ginesi 12 settembre 2018 

il difetto di trascrizione del regolamento condominiale che impone vincoli alle proprietà esclusive è rilevabile d’ufficio.

Interessantissima e significativa pronuncia della suprema Corte (Cass.Civ.  sez.II  19 marzo 2018 n. 6769 rel. Scarpa) che affronta un tema per molti aspetti inedito e già oggetto di ordinanza interlocutoria.

La vicenda trae origine dalla controversia promossa da un condominio nei confronti di un proprietario e di un conduttore che avevano mutato l’utilizzo della unità immobiliare posta nel fabbricato, destinandola ad affittacamere,  nonostante  il regolamento di condominio prevedesse divieto in tal senso.

I convenuti eccepiscono solo in sede di precisazione delle conclusioni l’inopponibilità della clausola del regolamento, per difetto di trascrizione. Il Tribunale di Lucera  e poi la Corte d’appello di Bari hanno ritenuto tardiva l’eccezione, qualificandola non come mera difesa ma quale eccezione in senso stretto.

Su tale tema pregiudiziale si focalizza la decisione della Cassazione, che rinvia al giudice di merito per nuova valutazione accogliendo il relativo motivo di ricorso: con ampia disamina la Corte evidenzia la natura della clausola che limiti il godimento del bene individuale posto in condominio, le modalità con cui deve esplicarsi la relativa  pubblicità ai fini della opponibilità a terzi e la rilevabilità del difetto di trascrizione, ai fini della “giusta decisione”.

Va innanzitutto confermato l’orientamento interpretativo cui è pervenuta questa Corte, nel senso che vada ricondotta alla categoria delle servitù atipiche la previsione, contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, comportante limiti alla destinazione delle proprietà esclusive (quale appunto risulta, nella specie, l’invocato art. 5 del regolamento del Condominio P. F.), in modo da incidere non sull’estensione ma sull’esercizio del diritto di ciascun condomino.

Ne consegue che l’opponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti deve essere regolata secondo le norme proprie delle servitù e, dunque, avendo riguardo alla trascrizione del relativo peso, mediante l’indicazione, in apposita nota distinta da quella dell’atto di acquisto (in forza dell’art. 17, comma 3, della legge 27 febbraio 1985, n. 52), delle specifiche clausole limitative, ex artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 e.e., non essendo, invece, sufficiente il generico rinvio al regolamento condominiale (Cass. Sez. 2, 18/10/2016, n. 21024; Cass. Sez. 2, 31/07/2014, n. 17493).

Non è, quindi, atto soggetto alla trascrizione nei registri immobiliari, ai sensi dell’art. 2645 cod.civ., il regolamento di condominio in sé, quanto le eventuali convenzioni costitutive di servitù che siano documentalmente inserite nel testo di esso.

Ove si tratti di clausole limitative inserite nel regolamento predisposto dal costruttore venditore, originario unico proprietario dell’edificio, con le note di trascrizione del primo atto di acquisto di un’unità immobiliare ivi compresa e del vincolo reale reciproco, si determina l’opponibilità di quelle servitù, menzionandovi tutte le distinte unità immobiliari, ovvero ciascuno dei reciproci fondi dominante e servente.

All’atto dell’alienazione delle ulteriori unità immobiliari, il regolamento andrà ogni volta richiamato o allegato e dovrà eseguirsi ulteriore trascrizione per le servitù che man mano vengono all’esistenza, fino all’esaurimento del frazionamento della proprietà originariamente comune.


In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento del regolamento, che stabiliscano i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, valgono altrimenti soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d’acquisto.

In mancanza, cioè, della certezza legale della conoscenza della servitù da parte del terzo acquirente, derivante dalla trascrizione dell’atto costitutivo, occorre verificare la certezza reale della conoscenza di tale vincolo reciproco, certezza reale che si consegue unicamente mediante la precisa indicazione dello ius in re aliena gravante sull’immobile oggetto del contratto.

Il quinto motivo di ricorso comporta, allora, la necessità di verificare come possa entrare nel processo la questione dell’inopponibilità delle servitù reciproche che siano contenute nel regolamento di condominio, ma non indicate in apposita nota di trascrizione.

Questa Corte, in alcuni precedenti, per lo più remoti, aveva affermato che il difetto di trascrizione di un atto non sarebbe fatto rilevabile d’ufficio, costituendo, piuttosto, materia di eccezione riservata alla parte che dalla mancata trascrizione pretenda di ricavare conseguenze giuridiche a proprio favore (si vedano Cass. Sez. 2, 27/05/2011, n. 11812; Cass. Sez. 2, 18/02/1981, n. 994; Cass. Sez. 2, 11/10/1969, n. 3288).

Nel caso in esame, peraltro, le convenute, ed attuali ricorrenti, M. C. s.a.s. e La B. s.n.c., interessate a far valere la mancata trascrizione della clausola di cui all’art. 5 del regolamento del Condominio P. F., avevano svolto un’eccezione in tal senso, ma soltanto in sede di comparse conclusionali.

La Corte d’Appello di Bari, come già il Tribunale di Lucera, hanno sostenuto che una tale eccezione fosse tardiva, in quanto “eccezione in senso stretto”.

La decisione dei giudici del merito non tiene però conto dell’orientamento, ormai consolidatosi, che questa Corte ha elaborato a seguito di Cass. Sez. U, 27/07/2005, n. 15661, secondo il quale nel nostro sistema processuale le eccezioni in senso stretto, cioè quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi suppone il tramite di una manifestazione di volontà della parte per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico (Cass. Sez. 3, 30/06/2015, n. 13335; Cass. Sez. 3, 05/08/2013, n. 18602; Cass. Sez. 3, 24/11/2009, n. 24680).

Più di recente, Cass. Sez. U, 07/05/2013, n. 10531, dando il giusto rilievo alla distinzione tra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato in ordine alle regole di allegazione e prova, ha poi ulteriormente chiarito che il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è ammissibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati “ex actis”, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, valore che resterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto.

Ha osservato la sentenza n. 10531 del 2013 delle Sezioni Unite che, ove si ritenesse che le eccezioni in senso lato siano pur sempre “da allegare e provare entro il limite delle preclusioni istruttorie”, il regime di esse verrebbe quasi a coincidere con quello delle eccezioni in senso stretto, restando solo la differenza in ordine alla anticipata rilevazione di queste ultime in comparsa di risposta.
Da ultimo, Cass. Sez. U, 03/06/2015, n. 11377, ha concluso che “tutti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, siano essi fatti semplici oppure fatti-diritti che potrebbero essere oggetto di accertamento in un autonomo giudizio, sono rilevabili d’ufficio, e dunque rappresentano eccezioni in senso lato;
l’ambito della rilevabilità a istanza di parte (eccezioni in senso stretto) è confinato ai casi specificamente previsti dalla legge o a quelli in cui l’effetto estintivo, impeditivo o modificativo si ricollega all’esercizio di un diritto potestativo oppure si coordina con una fattispecie che potrebbe dar luogo all’esercizio di un’autonoma azione costitutiva”.

Tali considerazioni inducono ad affermare che il potere-dovere del rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non può dirsi subordinato alla posizione difensiva assunta dal convenuto rispetto alla domanda, ovvero alla verifica della proposizione, ad opera della parte legittimata a contraddire, di contestazioni specifiche, rimanendo altrimenti vanificata, pur in difetto di un esclusivo diritto potestativo dei contendenti in ordine alla definizione del tema di lite, la finalità primaria del processo costituita dalla giustizia della decisione.

Sulla base del richiamato quadro giurisprudenziale, non vi è più ragione, come già si sosteneva da parte della dottrina, per ritenere il difetto di trascrizione di un atto (nella specie, di un regolamento di condominio) quale fatto impeditivo dell’apponibilità di esso, affidato, in quanto tale, unicamente all’espressa e tempestiva eccezione della parte interessata.


Deve quindi enunciarsi il seguente principio di diritto:
“La questione relativa alla mancata trascrizione di una clausola del regolamento di condominio, contenente limiti alla destinazione delle proprietà esclusive, ed alla conseguente inopponibilità di tali limiti ai terzi acquirenti, non costituisce oggetto di un’eccezione in senso stretto, quanto di un’eccezione in senso lato, sicché il suo rilievo non è subordinato alla tempestiva allegazione della parte interessata, ma rimane ammissibile indipendentemente dalla maturazione delle preclusioni assertive o istruttorie”.

© massimo ginesi 20 marzo 2018 

 

decreto ingiuntivo e fallimento

Il decreto ingiuntivo non provvisoriamente esecutivo,  non opposto, la cui esecutorietà sia stata richiesta dopo la dichiarazione di fallimento non è opponibile alla procedura concorsuale.

Lo ha stabilito Cass. civ. sez. VI-1  26/04/2017 n.10208in assenza di opposizione, il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c.

Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall’art. 124 o dall’art. 153 disp. att. cod. proc. civ. e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all’interno del processo d’ingiunzione e a cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo.

Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto ex art. 647 cod proc civ venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito, deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’art. 52 legge fallimentare”

© massimo ginesi 17 maggio 2017

regolamento condominiale e opponibilità: uno strano caso.

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E’ principio consolidato nella giurisprudenza che solo il regolamento di natura contrattuale possa prevedere  limiti alla proprietà individuale, così come è tesi consolidata che la natura contrattuale del regolamento possa essere desunta dalla sua allegazione all’atto di acquisto delle singole unità, anche mediante il richiamo di singole clausole.

Affinché il richiamo del regolamento sia efficace, e divenga opponibile all’acquirente, il testo di tale atto deve essere esistente  e conoscibile al momento dell’acquisto, non potendo ritenersi idoneo a vincolare l’acquirente il generico richiamo ad un futuro regolamento ancora da predisporre.

La Suprema Corte ha tuttavia affrontato un caso peculiare, in cui il regolamento  prevedeva il divieto di installare vasi da fiori sulla terrazza, giunto al suo esame poiché il proprietario dell’unità immobiliare attigua assumeva che tali vasi gli impedissero la visuale.

Tale regolamento non era esistente al momento dell’acquisto delle singole unità, ma l’acquirente nell’atto di compravendita conferiva procura speciale al costruttore per la sua redazione.

Cass. civ. II sez.  14 novembre 2016, n. 2312 così enuclea i fatti “S.F. e P.G.L. , con atto di citazione notificato nel 1998 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Tempio Pausiana, C.G. e sul presupposto di essere proprietari di un appartamento situato in un Condominio (omissis) in località (omissis) confinante con quello del convenuto il quale aveva sistemato sul parapetto del proprio terrazzo un vaso di fiori parzialmente occlusivo della vista mare esercitabile da essi in violazione del regolamento condominiale contrattuale”.

La Corte di legittimità condivide la soluzione cui già era pervenuto il giudice di merito osservando che ” la clausola n. 9 del contratto di compravendita del C. così come riportata dallo stesso ricorrente, posto che afferma che “(…) la parte acquirente rilascia alla società venditrice procura speciale affinché la stessa in nome e per conto di essa parte rappresentata, oltre che in nome proprio, provveda: ad effettuare presso un notaio in modo che possa operarsi anche la relativa trascrizione il deposito del Regolamento di Condominio in corso di predisposizione a cure e spese della società venditrice, regolamento di condominio in cui sono precisate: le tabelle millesimali (….) le limitazioni imposte alle destinazioni delle porzioni immobiliari di proprietà individuali (….) la precisazione di limitazioni ed obblighi da rispettarsi nell’interesse dell’ordine e del godimento come, l’obbligo di coltivare e mantenere decorosamente a giardino le porzioni di aree cedute in proprietà il regolamento circa i divieti (…..), dà la possibilità di intendere, per logica interna e per un significato complessivo della stessa clausola, nonché per il richiamo effettuato al Regolamento di condominio in fase di predisposizione a cura e spese della società e alle materie che lo stesso avrebbe disciplinato, che la procura speciale ricomprendesse il mandato alla società venditrice di predisporre il Regolamento condominiale, anche per conto del C.”

Osserva la Corte suprema che va “in particolare definitivamente acquisito il decisivo punto conclusivo dell’iter argomentativo svolto, e cioè che “(…) dall’esame dell’atto di acquisto dell’unità immobiliare si evince che l’appellante ha conferito specifica procura speciale alla società costruttrice per predisporre il Regolamento condominiale in nome e per conto dell’acquirente C. , oltre che nel proprio interesse”, con il conseguente pacifico risultato che l’atto compiuto dal mandatario (ovvero la predisposizione del regolamento contrattuale da parte del costruttore venditore) produce i propri effetti giuridici direttamente nella sfera del mandante (l’acquirente).

Interessante anche la disamina processuale effettuata dalla corte sui motivi di ricorso e, sulla loro ammissibilità : “Il senso attribuito dalla Corte distrettuale alla clausola in esame, pertanto, rientra in una possibilità interpretativa e, come è stato già detto da questa Corte, in altra occasione, per sottrarsi al sindacato di legittimità, quella data del giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni, sì che, quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte, che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 14 novembre 2003, n. 17248). In sostanza la censura svolta dai ricorrenti si risolve nella mera contrapposizione di un’interpretazione ritenuta più confacente alle loro aspettative e asseritamente più persuasiva di quella accolta nella sentenza impugnata, il che, come detto, è tuttavia inammissibile in questa sede di legittimità.”

© massimo ginesi 21 novembre 2016

regolamento condominiale contrattuale e trascrizione

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La Cassazione torna su un tema fonte di grande contrasto nella vita condominiale, ovvero i limiti posti alla proprietà privata dal regolamento condominiale.

La vicenda attiene al divieto di installazione di canne fumarie sui muri perimetrali per determinate unità poste nel condominio, divieto contenuto nel regolamento di natura contrattuale e che – senza dubbio – costituisce un limite al diritto dominicale dei singoli che può avere solo origine convenzionale.

I ricorrenti lamentano che, invece, nel loro atto tale divieto non risultava espressamente e chiaramente menzionato, pur essendo contenuto nel regolamento di natura contrattuale in vigore nel condominio e quindi era a loro inopponibile.

Con la sentenza 22310 del 3 novembre 2016 la seconda sezione civile afferma che “Le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell’atto di acquisto si sia  fatto riferimento regolamento di condominio, regolamento che seppure non inserito materialmente, deve ritenersi conosciuto e accettato in base al richiamo e alla menzione di esso nel contratto”

La decisione è in linea con il prevalente orientamento della Cassazione, da ultimo ribadito dalla stessa seconda sezione civile con sentenza del 28 settembre 2016 n. 19212, con ampi richiami giurisprudenziali (Cass. 3 luglio 2003 n. 10523; Cass. 14 gennaio 1993 n. 395; Cass. 26 maggio 1990 n. 4905) ove – nel riportare il principio di diritto sopra espresso – si afferma che “La trascrizione, salvo i casi in cui le sono attribuite particolari funzioni soltanto notiziali oppure costitutive, e’ destinata normalmente a risolvere i conflitti tra diritti reciprocamente incompatibili, facendo prevalere quello il cui atto di acquisto e’ stato inserito prioritariamente nel registro immobiliare. Presupposto indefettibile dell’operativita’ dell’istituto e’ quindi la concorrenza di situazioni giuridiche soggettive che risultino in concreto inconciliabili, alla stregua dei titoli da cui rispettivamente derivano.

Una tale situazione di conflitto non si verifica pero’ quando una proprieta’ viene espressamente acquistata come limitata da altrui diritti, per i quali una precedente trascrizione non e’ quindi indispensabile, in quanto il bene non e’ stato trasferito come libero, ne’ l’acquirente puo’ pretendere che lo diventi a posteriori, per il meccanismo della “inopponibilita’”. In questo senso e’ univocamente orientata la giurisprudenza di legittimita’ (cfr Cass. n. 17886 del 2009).”

© massimo ginesi 4 novembre 2016