L’amministratore non risponde della raccolta differenziata

è quanto ha stabilito la Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  24.10.2023 n. 29427) con riguardo al regolamento comunale di Roma, osservando che la norma sanzionatoria non può essere contenuta in testo regolamentare:

“L’amministratore condominiale non è responsabile, in via solidale con i singoli condomini, della violazione del regolamento comunale concernente l’irregolare conferimento dei rifiuti all’interno dei contenitori destinati alla raccolta differenziata collocati all’interno di luoghi di proprietà condominiale, potendo egli essere chiamato a rispondere verso terzi esclusivamente per gli atti propri, omissivi e commissivi, non potendosi fondare tale responsabilità neanche sul disposto di cui alla l. n. 689 del 1981, art. 6 avendo egli la mera gestione dei beni comuni, ma non anche la relativa disponibilità in senso materiale.”

l’ampia disamina effettuata dai giudici di legittimità ne consiglia lettura integrale
© MG 7.11.2023

i metodi di convocazione dell’assemblea sono tassativi e inderogabili

E’ quanto ribadisce una recente sentenza capitolina (Trib. Roma 9.10.2023 n.  14299), che ha dichiaro nulla la delibera che, in deroga al regolamento condominiale contrattuale e all’art. 66 disp. att. c.c., aveva stabilito che le assemblee future potessero essere convocate via email.

“Al riguardo, l’art. 72 disp. att. c.c. prevede l’inderogabilità, da parte del regolamento di condominio, dell’art. 66 disp. att. c.c., il quale, al terzo comma, indica in via tassativa le modalità di invio dell’avviso di convocazione (posta raccomandata, PEC, fax o consegna a mano), non ricomprendendo tra le stesse la convocazione via e-mail.

Nel caso di specie, la delibera di convocazione delle future assemblee tramite e-mail ordinaria (punto 2 o.d.g.) risulta non solo essere contraria a norma dichiarata espressamente inderogabile (ossia l’art. 66 disp. att. c.c.) ma anche allo stesso regolamento di condominio (la cui natura contrattuale è stata riconosciuta dallo stesso convenuto), il quale, per le ragioni sopra esposte, non potrebbe essere modificato dai condomini, neppure in via convenzionale, con il risultato di derogare a tale norma di legge.”

© MG 2.11.2023

tettoia da demolire se il regolamento contrattuale vieta modifiche

è quanto statuisce Cass.civ. sez. II  13.9.2023 n. 26424, censurando la Corte di Appello di Catanzaro  che aveva invece ritenuto il manufatto legittimo in quanto inidoneo ad arrecare nocumento al decoro dell’edificio.

Osserva la suprema corte che La Corte d’appello ha infatti affermato che l’art. 13 del regolamento condominiale non ha limitato le facoltà riconosciute al singolo condomino, così che, non avendo l’installazione recato nocumento al decoro architettonico dello stabile, andava confermato il rigetto della domanda del Condominio.

L’affermazione della Corte si pone in contrasto con la lettera dell’art. 13 del regolamento condominiale che non … dispone “ogni condomino è obbligato a non apportare modifiche di alcun genere alle unità immobiliari di sua proprietà e alle relative pertinenze interne ed esterne”

© MG 10.10.2023

Il divieto di nomina dell’amministratore revocato vale solo per l’esercizio successivo

Lo afferma una pronuncia toscana (Trib. Prato 7.9.2023 n. 599) che, con condivisibili argomenti, chiarisce anche che il mero richiamo al compenso degli anni precedenti – dichiarato noto ma non espresso –  non vale ad evitare la nullità della nomina dell’amministratore (interessante anche il rilievo sulla procedibilità dell’accertamento della nullità, pur non dedotta in mediazione, e volta a respingere una bizzarra eccezione delle parti) .

si deve rilevare che, secondo il costante orientamento interpretativo della Corte di Cassazione, il divieto posto dal richiamato art. 1129, c. 13 c.c. a che l’assemblea dei condomini nomini nuovamente l’amministratore revocato giudizialmente è solo temporaneo (non comprimendo definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico) in quanto riguarda soltanto la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione (cfr. tra le tante Cass. 02/02/2023, n. 3198).

L’attore ha quindi censurato la nullità della deliberazione in quanto asseritamente in violazione del disposto dell’art. 1129, c. 14 c.c. poiché non specifica l’importo dovuto a titolo di compenso. ..

L’art. 1129, c. 14 c.c. (ai sensi della quale “l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta”) prevede un’ipotesi di nullità testuale della delibera di nomina dell’amministratore condominiale che non rechi (con le precisazioni che saranno di seguito effettuate) la specifica indicazione del suo compenso. Proprio perché la sanzione prevista è quella della nullità (e non dell’annullamento) la contestazione di tale profilo di censura non soggiace al termine decadenziale di 30 giorni, che l’art. 1137, c. 2 c.c. impone esclusivamente per la proposizione dell’azione di annullamento.

Orbene, né la disciplina del codice di procedura civile né tanto meno quella relativa alla mediazione prevede che il giudice che abbia sollevato d’ufficio un’eccezione in una controversia avente ad oggetto una materia per cui la mediazione è condizione di procedibilità, sia tenuto (a pena di improcedibilità del giudizio stesso) a far esperire alle parti un nuovo procedimento di mediazione, dovendo limitarsi ad assicurare che le parti possano prendere posizione su detto rilievo nel pieno rispetto del contraddittorio.

Ma se in caso di rilievo d’ufficio non sussiste alcun obbligo di esperire un nuovo ed ulteriore tentativo di mediazione, la previsione di una imposizione contraria ove il medesimo rilievo sia stato effettuato dalla parti non appare giustificato né giustificabile. Passando quindi al merito della censura, si rileva che a seguito della riforma introdotta con la L. n. 220/2012, la costituzione di un valido rapporto di amministrazione condominiale richiede la sussistenza di un documento, approvato dall’assemblea, che rechi l’importo dovuto a titolo di compenso; la Corte di Cassazione ha evidenziato che detto requisito formale può ritenersi soddisfatto anche in presenza di un richiamo ad un preventivo espressamente indicato come parte integrante del contenuto di esso (cfr. Cass. 22/04/2022, n. 12927). Tale previsione mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, è tassativa e non ammette equipollenti.

Nel caso di specie al punto 2 della delibera del febbraio 2022 si legge che “i condomini presenti all’unanimità respingono le dimissioni e riconfermano l’attuale amministratore confermando anche il preventivo di spese annuali di loro conoscenza”. Lo scrivente Tribunale non ritiene che detta dizione soddisfi i requisiti imposti dalla citata previsione legislativa in ragione della sua genericità; né tanto meno nella nomina del febbraio 2022 può leggersi alcun rinvio al preventivo allegato sub lett. A) alla delibera del 17/05/2021, posto che il dato testuale della delibera impugnata non offre alcun indizio della coincidenza tra il “preventivo di spese annuale” dalla stessa richiamato e il preventivo allegato alla delibera del maggio 2021.

Il fatto, poi, che l’importo richiesto dall’amministratore a titolo di compenso fosse uguale a quello degli anni precedenti non permette di ritenere sanata l’omessa indicazione dello stesso nella delibera di nomina.

l’amministratore che mente all’assemblea deve essere revocato, anche se si tratta di condotta episodica e dalla quale non deriva danno

E’ quanto è stabilito la Corte d’Appello di Torino in data 17.11.2022, confermando la decisione del Tribunale sabaudo, decisione che dunque assumere carattere di definitività non essendo ammesso – in tale procedimento – il ricorso in cassazione per i profili di merito 

Nel caso in questione l’amministratore ha falsamente riferito all’assemblea dell’esistenza di un’ordinanza sindacale che imponeva lavori urgenti di manutenzione alla facciata, provvedimento poi rivelatosi inesistente. La decisone della Corte piemontese è interessante, laddove si sofferma sulla rilevanza della condotta dell’amministratore, anche se la stessa non ha inciso sulle decisioni dell’assemblea, non ha cagionato danno e quell’amministratore fosse stato comunque confermato.

Osserva la Corte piemontese  che “Tuttavia, se per un verso può in effetti ritenersi non irrilevante che con tale diversa pronuncia sia stato escluso che la condotta de quo abbia avuto concreta incidenza sul deliberato assembleare, per altro verso deve notarsi che si tratta di questioni comunque diverse, e che la condotta dell’amministratore deve essere valutata, come già indicato, in relazione anche alle sue potenziali incidenze sulle decisioni da assumere, nonché sui doveri dell’amministratore nel rapporto fiduciario con i condomini.

Analoghe considerazioni valgono per l’assenza di danno: il fatto che, in concreto, non vi sia stata lesione di diritti o interessi dei condomini, non esclude che detta condotta potesse potenzialmente cagionare danni.

Così circoscritte le circostanze di fatto e in specie la condotta addebitata all’amministratore, che può ritenersi accertata nei termini di cui si è detto, occorre valutare se la stessa abbia integrato o meno una “grave irregolarità”, sia pur ulteriore e diversa rispetto a quelle tipicizzate, con un‘elencazione pacificamente da ritenersi non tassativa, dall’art. 1129 c.c., e se le decisioni della maggioranza dei condomini possano o meno avere rilievo in tale valutazione.

Il fatto che la maggioranza dei condomini non l’abbia ritenuta una condotta costituente ragione di revoca dell’amministratore, respingendo la domandaavanzata in questo senso da alcuni condomini e anzi poi rinnovando il mandato allo stesso amministratore, sia a immediato seguito dei fatti in causa, sia ulteriormente nel 2021, mentre, per converso, questa sarebbe la “terza causa nell’arco di un anno” instaurata contro l’amministratore da parte dei Ricorrenti (le due precedenti conclusesi con reiezione delle domande dagli stessi presentati), non può essere considerato di rilievo sul punto: la revoca giudiziaria è strumento che consente a ciascun condomino, anche se in minoranza o del tutto isolato rispetto alla diversa volontà degli altri condomini, di sottoporre a giudizio la ritenuta sussistenza di irregolarità di gestione.

L’incarico di amministratore di condominio è qualificabile come un mandato con rappresentanza, certo conferito collettivamente dall’assemblea dei condomini, con decisione maggioritaria, ma questo non esclude che ogni condomino mantenga individualmente il diritto, scaturente da tale rapporto di mandato, di cui comunque è parte, a che la gestione dei beni comuni avvenga in maniera pienamente corretta e regolare, sussistendo in capo a ciascun condomino/mandante un potere di controllo sull’esecuzione del mandato gestorio

Né l’antecedenza del fatto in causa rispetto alla successiva rinnovazione del mandato esclude la sua valutabilità, in specie considerando l’espressa previsione legislativa, contenuta nello stesso art. 1129 c.c., secondo la quale, in caso di revoca da parte dell’autorità giudiziaria, l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore revocato, quantomeno in relazione all’esercizio immediatamente successivo alla revoca.

Dalla clausola generale prevista dall’art. 1129 c.c., che contempla la revoca giudiziaria dell’amministratore “in caso di gravi irregolarità”, deriva poi che debbono valutarsi a tal fine, oltre alle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c., tutte quelle condotte, commissive o omissive, che possono costituire inadempimento del mandato conferito all’amministratore di condominio.

Il riferire, nel corso di un’assemblea condominiale, un fatto non corrispondente al vero, in specie l’assunzione, da parte del Comune, di un’ordinanza al cui rispetto il Condominio sarebbe stato tenuto, in riferimento a una questione posta all’ordine del giorno e possibile oggetto di delibera assembleare, è condotta che, anche ove tenuta in una sola occasione e senza che dalla stessa ne siano derivati in concreto dei danni, risulta oggettivamente in contrasto, oltre che con il dovere di diligenza nell’adempimento del mandato, di cui agli artt. 1176 e 1710 c.c., richiamati dal Tribunale, anche con l’obbligo di comportarsi secondo le regole della correttezza, di cui all’art. 1175 c.c., e mina il rapporto fiduciario che deve sussistere fra condomini e amministratore.

Correttamente, pertanto, tale condotta è stata qualificata dal Tribunale come grave irregolarità di rilievo ex art. 1129 c.c.. 

Il presentato reclamo non può pertanto trovare accoglimento”

Decisamente curioso, infine, che destinatario di tale provvedimento sia soggetto che riveste carica apicale in notissima associazione di settore, come è facilmente verificabile con una breve ricerca sul web, ove la notizia ha avuto qualche eco di stampa.

© MG 2.10.2023

 

 

condominio: spese straordinarie anche all’ex coniuge comproprietario

E’ quanto ha ribadito, secondo un orientamento ormai costante, il Tribunale di Velletri con sentenza 4.9.2023 n. 1657, resa nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal coniuge separato e non assegnatario dell’immobile:

“Costituisce fatto pacifico che l’immobile sito in M viale dell’A che ha originato le spese straordinarie condominiali richieste con il decreto ingiuntivo opposto, è in comproprietà tra le parti al 50% ciascuno. E’, altresì, pacifico che l’immobile sia stato assegnato alla R con i provvedimenti del divorzio.

Sul punto va ricordato che l’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioé dall’effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare.

Poi, più nello specifico, per quanto riguarda la ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, vanno distinte le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l’immobile (per esempio, servizio di pulizia, riscaldamento) e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell’immobile (per esempio, spese di manutenzione straordinaria) (Cass. civ. 24 luglio 2000, n. 9689).

Dunque, sulla base di tali linee interpretative, é chiaro che le spese condominiali, di cui non è contestata la natura straordinaria, sostenute dalla R in relazione all’immobile debbano gravare nella misura del 50% in capo al S.
Ciò posto appare assolutamente irrilevante la circostanza che il S non possa godere dell’immobile in quanto il medesimo viene legittimamente utilizzato dalla R in forza del dell’assegnazione disposta con i provvedimenti del divorzio (cfr. doc. in atti).
Poi, le doglianze sollevate con riguardo alla mancata partecipazione alle assemblee condominiali risultano inconferenti rispetto all’obbligazione cui il S è tenuto, considerato che esse attengono esclusivamente al rapporto tra il comproprietario S ed il Condominio (nei confronti del quale avrebbe dovute farle valere) e non a quello con l’altro comproprietario.
Anche la circostanza riferita dal S, secondo cui le comunicazioni del Condominio contengono il solo nominativo della R, costituisce un fatto irrilevante in questa sede, che doveva essere tempestivamente rappresentato all’amministratore di condominio ed inidoneo, di per se solo, ad escludere l’obbligazione pecuniaria gravante sul comproprietario.”

@MG 25.9.2023

cappotto termico: quando la delibera è nulla

la decisione assembleare con la quale il Condominio decide di procedere all’installazione del c.d. cappotto termico può incorrere in vizi di nullità ove preveda una significativa incidenza dell’installazione sul decoro dell’edificio o una riduzione dello spazio utile dei balconi individuali.

in tal senso si è espressa di recente una pronuncia di merito (il Tribunale Sulmona 1.8.2023 n. 234) osservando che “nel caso di specie-, dall’analisi della documentazione fotografica e del progetto approvato per i lavo:ri di manutenzione, risuJta che i pannelli per l’istallazione del cappotto te:rmico verranno applicati sulla facciata modificandone completamente l’aspetto esteriore (in particolare eliminando la parete in pietra e quella con mattoni a vista). E’ evidente che l’intervento deliberato altera sensibilmente la fisionomia dell’intero edificio e della facciata stessa, ragion per cui modifica/altera in maniera evidente il decoro architettonico dell’edificio, rendendo la delibera, che lo approva solo a maggioranza dei condomini, nulla perché contraria all’art. 1120 c.c.

Osserva ancora il Tribunale che “anche volendo superare la questione dell’alterazione del decoro architettonico dell’edificio, in ogni caso la delibera, al punto 3 dell’ordine del giorno, è nulla in quanto approva un intervento che incide sulla proprietà esclusiva dei condomini senza che vi sia stato il loro consenso unanime.

Come evidenziato dai ricorrenti, infatti, l’intervento di istallazione del cappotto termico sopra descritto, oltre a modificare la facciata dell’edificio condominiale, comporta una riduzione considerevole della profondjtà del terrazzino di proprietà esclusiva dei condomini, con w1.a riduzione dello spazio da 62 cm a 46/47 cm oltre che una modifica della ringhiera attualmente presente.”

Nel senso della pronuncia in commento si  pongono diversi recenti arresti (Cass. civ. 17920/2023, Trib. Roma 11708/2023).

© MG 18.9.2023

impianto idrico e responsabilità dell’appaltatore ex art 1669 c.c.

la rottura dell’impianto idrico, che non pregiudichi la somministrazione dell’acqua e non incida sull’immobile, cagionando infiltrazioni ma comporti solo notevoli esborsi per consumi, non rientra nei gravi vizi dell’immobile e non può essere ricondotta alla fattispecie di cui all’art. 1669 c.c.

E’ quarto afferma Cass.civ. sez. II  23.6.2023 n. 18061:

“T.M. convenne in giudizio innanzi al Giudice di pace la s.r.l. (Omissis) e la s.r.l. (Omissis) Espose l’attore ei essere proprietario d’un appartamento facente parte di un complesso condominiale costruito dalla (Omissis), successivamente incorporata nella s.r.l. (Omissis), con appalto alla s.r.l. (Omissis); che a diversi anni di distanza dalla conclusione dei lavori, a causa della rottura di un tubo di adduzione idrica, la ingente dispersione d’acqua protrattasi nel tempo aveva procurato un abnorme consumo idrico, per il quale l’esponente aveva dovuto corrispondere la somma di Euro 3.551,35, oltre ad avere dovuto affrontare il costo per il ripristino del guasto, ammontante a Euro 188,76. Chiese, pertanto, condannarsi le convenute a risarcire il danno patito.

L’adito Giudice rigettò la domanda, avendo escluso che il vizio riscontrato potesse qualificarsi grave difetto ai sensi dell’art. 1669 c.c.

Il Tribunale di Forlì, investito dall’impugnazione del T., sovvertì l’epilogo di primo grado e condannò la (Omissis) a risarcire il danno..

In punto di diritto va richiamato il condiviso principio, secondo il quale in tema di responsabilità extracontrattuale dell’appaltatore, il difetto di costruzione che, ai sensi dell’art. 1669 c.c., legittima il committente alla relativa azione, può consistere in una qualsiasi alterazione, conseguente ad un’insoddisfacente realizzazione dell’opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e perciò non determinandone la “rovina” od il “pericolo di rovina”), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l’impiego duraturo cui è destinata (quali, ad esempio, le condutture di adduzione idrica, i rivestimenti, l’impianto di riscaldamento, la canna fumaria), incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile medesimo (Sez. 2, n. 11740, 01/08/2003, Rv. 565595; conf. Cass. n. 8140/2004).

L’esposto principio presuppone, come si è visto, che il difetto incida negativamente sul godimento dell’immobile.

Nel caso in esame, per vero, non consta esservi stata alcun riflesso negativo sul godimento dell’immobile, il quale ha regolarmente goduto della fruizione dell’acqua potabile, stante che il guasto consistito, in una lesione di un giunto esterno del tubo d’adduzione, sebbene ebbe a procurare dispersione idrica, senza tuttavia causare danni all’immobile (non vengono segnalati fenomeni d’infiltrazioni), allo stesso tempo, non impedì, e neppure limitò, l’afflusso d’acqua per i servizi idrici dell’immobile. Inoltre, si ebbe a trattare di un guasto del tutto marginale, riparato con l’esborso di poche decine di Euro.

Pertanto, enunciato il seguente principio diritto: “il danno alle condutture esterne, ove non incida negativamente ed in modo considerevole sul godimento dell’immobile, non costituisce difetto costruttivo ai sensi dell’art. 1669 c.c.”, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.”

© MG 13.9.2023