art. 1122 cod.civ. : l’azione è imprescrittibile e va proposta nei confronti di tutti i comproprietari

Un condomino costruisce delle pensiline sul proprio terrazzo, propone un’azione di impugnativa di una delibera e il Condominio, in via riconvenzionale, richiede al Tribunale che ordini la rimozione delle pensiline che assume essere lesive del decoro del fabbricato.

La domanda in via riconvenzionale ha successo (non l’impugnativa proposta in via principale) e il Tribunale di Trani, sez. dist. di Andria, nel lontano 2005, ordina la rimozione delle pensiline ritenute pregiudizievoli per il decoro e lesive dell’art. 7 del regolamento e dell’art. 1120 cod.civ.

La Corte di Appello di Bari, nel 2012, rigetta l’impugnativa proposta dal condomino, che ricorre in cassazione lamentando – fra i vari motivi – un difetto di integrità del contraddittorio.

Il motivo di natura processuale risulta  fondato, tuttavia  la motivazione del Giudice di legittimità ( Cass.civ. sez. II  17 febbraio 2017 n. 4193, rel. Scarpa) appare puntuale e di grande interesse anche sotto i profili sostanziali.

Sono occorsi 13 anni di giudizio per arrivare al giudizio di cassazione ove, rilevato un vizio nella rituale costituzione del contraddittorio, viene disposto  rinvio al giudice di primo grado.

1 “L’azione a tutela del decoro architettonico dell’edificio in condominio, nella specie riconducibile, per quanto emerge dagli atti, all’articolo 1122 codice civile, trattandosi di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva (e non, quindi, all’articolo 1120 codice civile, che attiene all’innovazione delle parti comuni) ha natura reale, costituendo estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, ed è perciò imprescrittibile, in applicazione del principio per cui “in facultativis non datur praescriptio (cfr Cass. II sez. 7727/ 2000, CAss. II sez. 1455/1981).

Quando, tuttavia, l’azione diretta alla riduzione in pristino ex articolo 1122 codice civile riguarda un immobile comune a più persone, sussiste causa inscindibile per ragioni sostanziali, comportante litisconsorzio necessario tra tutti comproprietari medesimi, incidendo la condanna sull’abbattimento sull’esistenza dell’oggetto della comproprietà spettante a persone estranee al processo (CAss. II sez  5333/2000).

La mancata citazione di uno dei litisconsorti  necessari costituisce vizio rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, e perciò anche nel giudizio di legittimità, se risultante dagli atti e non preclusa dal giudicato sulla questione. Avendo, peraltro, il ricorrente eccepito la non integrità del contraddittorio per la prima volta in cassazione (mediante denuncia di vizio che, costituendo error in procedendo, il quale importa per legge la nullità della sentenza il procedimento, si traduce motivo di ricorso a norma del numero 4 dell’articolo 36o c.p.c., come fatto con la prima censura) lo stesso ha indicato in AL la comproprietaria che doveva partecipare al giudizio quale litisconsorte  necessaria, ed ha altresì adempiuto all’onere di individuare gli atti del processo di merito dai quali può trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione.”

La corte dunque cassa con rinvio al giudice di primo grado affinché venga nuovamente celebrato il processo con il contraddittorio integro.

massimo ginesi © 17 febbraio 2017 

il vincolo pertinenziale è un legame funzionale e non fisico

La Cassazione (Cass. Civ. II sez. 15 febbraio 2017 n. 3991) riafferma un principio consolidato in tema di beni accessori: il vincolo pertinenziale non presuppone necessariamente contiguità fisica ma funzionale.

LA vicenda nasce a Massa, ove un soggetto che ha acquistato un unità immobiliare chiede di vedersi riconosciuto anche la proprietà di un ripostiglio posizionato nel cortile retrostante – ove era posizionato l’impianto di condizionamento dell’aria a servizio del bene acquistato – e il diritto di passaggio nel cortile retrostante l’immobile per accedere al piccolo ripostiglio, assumendo che lo stesso costituisse pertinenza dell’immobile acquistato o – in via subordinata – per usucapione.

In primo grado il Tribunale di Massa riconosce la proprietà del ripostiglio per intervenuta usucapione mentre la Corte di appello di Genova rigettava l’impugnazione proposta dal venditore, ritenendo che l’immobile costituisse pertinenza dell’immobile compravenduto.

La causa arriva all’esame del giudice di legittimità che conferma la lettura di secondo grado.

Il ricorrente proporne un secco motivo di ricorso, sostenendo che o si deve ritenere che il ripostiglio sia pertinenza e allora dovrebbe costituire un tutt’uno con il corpo principale ovvero ad esso si può accedere solo attraverso il cortile, ed allora non si avrebbe alcuna pertinenza.

Afferma la Corte “Tali affermazioni sono accomunate dal medesimo errore di supporre, senza alcuna base negli artt. 817 e ss cod.civ., che la pertinenza sia tale solo se congiunta materialmente e strutturalmente alla res principalis e raggiungibile unicamente da questa. Al contrario, è noto che il collegamento tra i due beni, quello principale e quello pertinenziale, non è di tipo materiale ma di natura economico-funzionale /cfr. Cass. n. 2278 del 1990, n. 2280 del 1982 e n. 974 del 1975), come del resto dimostra il caso degli instrumenta fundi, vero e proprio archetipo della categoria (v. Cass. n. 1807 del 1965).”

© massimo ginesi 16 febbraio 2017 

lastrico solare e danni: primi bagliori applicativi delle Sezioni Unite del 2016

Una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile 7 febbraio 2017, n. 3239) riprende i principi dettati da Cass. SS.UU  10/05/2016 n. 9449 e, correttamente, rileva che se  il danno agli immobili sottostanti sia imputabile ad una condotta ascrivibile unicamente al proprietario o usuario esclusivo del lastrico,   costui ne risponderà integralmente, per i noti  principi in tema di imputabilità e causalità, che precludono ogni riferimento al criterio dettato dall’art. 1126 cod.civ.

Osserva la Corte: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria;

il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821).
Il principio citato, affermato – come si è detto – in materia di riparto delle spese di riparazione per evitare danni da infiltrazioni negli appartamenti, vale logicamente anche nel caso di specie, in cui si discute pur sempre di danni da omessa manutenzione (ma anzi, forieri di ben più gravi conseguenze, rappresentate addirittura dal crollo della terrazza a livello).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catanzaro ha applicato seccamente la regola dell’art. 1126 cc ma non si è posta il preliminare problema di verificare, sulla scorta degli accertamenti peritali e delle altre risultanze processuali, l’imputabilità soggettiva del danno, e cioè di stabilire se le cause del crollo fossero ascrivibili ad un concorso di responsabilità dei due proprietari interessati oppure a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo della terrazza stessa che, come pure precisato dalle sezioni unite, ne è anche il custode, con tutti i doveri di cui all’art. 2051 cc.
L’indagine era assolutamente decisiva perché solo in caso di risposta positiva al primo quesito si sarebbe rivelata giuridicamente corretta la conclusione di applicare la regola del riparto di cui all’art. 1126 cod.civ..”

© massimo ginesi 8 febbraio 2017 

il cortile condominiale è area aperta al pubblico: l’accumulo di rifiuti può costituire reato

Le condotte emulative dei condomini, che spesso per ripicche personali fanno un uso disinvolto delle parti comuni, possono condurre a comportamenti penalmente rilevanti.

Lo ha stabilito la Cassazione (Corte di Cassazione, sez. I Penale,20 gennaio 2017, n. 2754), che ha ritenuto non sussistente il reato ove la condotta venga posta in essere in un’area privata e non aperta al transito indeterminato di persone o alla collettività condominiale.

Uno dei requisiti che caratterizza il reato di molestia (art. 660 c.p.) è che la condotta delittuosa venga posta in essere in luogo pubblioco o aperto al pubblico.

Il Tribunale di Como aveva condannato gli imputati : “ Il fatto imputato consisteva nell’avere recato disturbo e molestia al S. per petulanza e biasimevoli motivi, mediante un accumulo di materiale ferroso e legnoso all’interno del cortile comune e a ridosso del muro della finestra dell’abitazione del predetto.
A ragione della decisione il Tribunale osservava che la prova dei comportamenti molesti tenuti dagli imputati, consistiti nell’accumulo di legna, in quantità superiore al fabbisogno di una famiglia, e di una mole di materiale vario proprio in prossimità delle finestre del S., emergeva dalle dichiarazioni di quest’ultimo e dalla documentazione fotografica acquisita agli atti che ritraeva le condizioni di estrema sporcizia e disordine a ridosso del muro dell’appartamento della parte lesa.”

Gli imputati prpongono appello alla Corte di Milano che, per ragioni meramente processuali, lo trasmette al giudice di legittimità. I ricorrenti  ” Lamentano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 660 cod. pen., deducendo che il teatro della condotta era un cortile nella loro esclusiva disponibilità, così difettando il requisito della fattispecie penale che prevede che la molestia sia arrecata in luogo pubblico o aperto al pubblico; contestano l’affermazione secondo la quale il muro del S. risultava aggredito dall’umidità e dagli insetti e che l’accumulo di legna ostruiva la visuale delle finestre aggettanti sul cortile, siccome smentita proprio dalla documentazione fotografica da essa richiamata; deducono l’insussistenza del requisito della petulanza o di altro biasimevole motivo, essendo le condotte contestate nient’altro che mal tollerate esplicazioni del pieno godimento di un bene di proprietà”

La Corte accoglie il ricorso, sul rilievo che il luogo ove sono avenuti i fatti non può essere inteso come luogo pubblico o aperto al pubblico e dunque difetta uno degli elementi tipizzanti la fattispecie penale.

E’ tuttavia assai interessante la motivazione, che fornisce – a contrario – l’indicazione che il cortile condominiale, ove aperto alla collettività dei condomini, costituisce indubitabilmente luogo aperto al pubblico.

Questa Corte, con specifico riferimento alla contravvenzione in esame, ha fissato il principio di diritto secondo il quale “si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni (Sez. 6 n. 9888 del 6 giugno 1975, T., rv. n. 131021; adde: Sez. 1 n. 28853 del 16/06/2009, L., Rv. 244301).
Giova ribadire anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale per integrare il requisito della pubblicità del luogo di commissione del reato è sufficiente che, indifferentemente, il soggetto attivo ovvero quello passivo si trovino – almeno uno di essi – in luogo pubblico o aperto al pubblico (Cass., Sez. 1, 24 aprile 1986, n. 11524, F., Rv. 174068: “Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico”). 

Tanto premesso, e benché richiami proprio gli anzidetti principi, mostrando di conoscerli, la decisione impugnata prescinde dalla base fattuale a cui andava ancorata l’affermazione che il cortile ove si svolsero i fatti era luogo aperto al pubblico. E’ la stessa sentenza, infatti, a dare atto, nella parte motiva, che comproprietari del cortile erano soltanto i P. e le condomine M. e B., le quali hanno precisato di non vivere da anni nell’edificio ed hanno confermato l’uso esclusivo del cortile da parte degli imputati.
Se così è, e il Tribunale dà atto di tale evidenza, non contestata nemmeno dalla parte lesa che ha riconosciuto il carattere privato del cortile e il suo utilizzo pieno ed esclusivo da parte del P., padre e figlia, con i quali aveva avuto anche un contenzioso civile nell’anno 2007, deve ritenersi del tutto pacifico e fuori discussione che la condotta dei ricorrenti si è sviluppata in luogo privato e che in luogo privato si trovava il destinatario delle ritenute molestie.
Tanto esclude, all’evidenza, la rilevanza penale dei lamentati disturbi, difettando un requisito oggettivo della fattispecie.”

Giova infine osservare che l’accertata assenza di rilevanza penale dei fatti non preclude una la disamina della loro illiceità sotto il profilo civilistico da parte del Giudice a ciò deputato, poichè anche la condotta penalmente irrilevante può ben essere fonte di danno.

© massimo ginesi 7 febbraio 2017

 

Sciascia e la Francia …

“Se i disgustati … se ne andranno, rimarranno solo i disgustosi”

E’ una frase pronunciata nei giorni scorsi in Francia da Louis Comte, a proposito della situazione esistente nel suo partito, per spiegare le ragioni che lo avevano indotto a rimanere all’interno del gruppo, nonostante anni di gestione non felice.

Ed è una frase che si attaglia a molte delle realtà collettive che a chiunque, nel corso della vita, capita di frequentare.

Vi è però un momento e – soprattutto – vi sono alcune realtà che superano la sottile linea rossa del malumore costruttivo, fisiologico in ogni rapporto umano critico e dialettico, ossia quel limite – oltre il quale non si torna indietro – in cui si percepisce che il gruppo  è talmente  compromesso che rimanere farà transitare anche i disgustati nella detestabile categoria dei disgustosi.

Trovo la riflessione francese straordinariamente vicina alla celeberrima catalogazione che Leonardo Sciascia tratteggia ne “il giorno della civetta”.

“……… e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. “

© massimo ginesi 4 febbraio 2017

i lavori straordinari non urgenti ordinati dall’amministratore non sono riferibili al condominio.

Una ditta che ha eseguito opere di manutenzione straordinaria al fabbricato condominiale non è stata saldata e ottiene decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, il Condominio propone opposizione e chiede di chiamare a garanzia il precedente amministratore, che aveva ordinato quei lavori in assenza di alcuna delibera assembleare.

La Cassazione riafferma un principio importante in tema di responsabilità patrimoniale del condominio e dell’amministratore nei confronti dell’appaltatore, già espresso nel 2010: ove difetti il requisito dell’urgenza, le opere straordinarie ordinate dall’amministratore senza supporto assembleare rimarranno un contratto unicamente a lui riferibile e del quale è chiamato a rispondere in via diretta ed esclusiva sotto il profilo patrimoniale, non sussistendo alcun rapporto di garanzia nei confronti del condominio ma esclusivamente una responsabilità personale dell’amministratore,  che ha assunto l’obbligazione eccedendo i limiti del mandato.

Cass. civ. II sez. 2 febbraio 2017 n. 2807“In materia di lavori straordinaria amministrazione disposti dell’amministratore di condominio, in assenza di previa delibera assembleare, non è … configurabile alcun diritto di rivalsa o di regresso del condominio, atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore dell’assemblea sono delineati con precisione dalle disposizioni del codice civile (articoli 1130 e 1135), che limitano l’attribuzione dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservano all’assemblea di condominio le decisioni in materia di amministrazione straordinaria, con la sola eccezione dei lavori di carattere urgente. (Cass. n. 4332/1987)

Di conseguenza, nel caso in cui l’amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all’articolo 1135 comma due cod. civ., abbia assunto l’iniziativa di compiere opere di manutenzione straordinaria caratterizzata dall’urgenza, ove questa effettivamente ricorra ed egli abbia speso, nei confronti dei terzi, il nome del condominio, quest’ultimo deve ritenersi validamente rappresentato e l’obbligazione è direttamente riferibile al condominio; laddove invece i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell’amministratore non posseggano i requisiti dell’urgenza, il relativo rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dall’amministratore al di fuori delle sue attribuzioni, attesa la rilevanza esterna delle disposizioni di cui agli articoli 1130 e 1135 comma due cod. civ. (cass. 6557/1987).”

© massimo ginesi 3 febbraio 2017 

innovazione o no? quando il commentatore è più realista del re…

La Cassazione, con sentenza 24960/2016, ha statuito che modificare la destinazione d’uso di una piccola parte del giardino condominiale per destinarlo a parcheggio costituisce innovazione, che tuttavia non deve ritenersi vietata ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 1120 cod.civ. laddove non sottragga una parte significativa di verde al godimento collettivo e lasci sostanzialmente immutata la destinazione primaria del bene.

Questo il testo della pronuncia.

 

Nel web tuttavia si  trova anche  chi  riesce a commentare la notizia  leggendo nella pronuncia il contrario di quanto vi è scritto,  ovvero che si tratterebbe di intervento non innovativo (piuttosto che di innovazione lecita).

Il diritto  è una materia complessa e può accadere che navigare per il web a volte  complichi le idee più che chiarirle …

Attenzione che  il fatto che la notizia venga resa da un qualche centro studi non sempre è sinonimo di attendibilità.

per chi volesse approfondire il tema, la pronuncia ha invece trovato un chiaro e approfondito commento sul sole24ore, con diversi utili riferimenti giurisprudenziali.

© massimo ginesi 19 gennaio 2017

mediazione: giurisprudenza di merito sempre più rigida sull’obbligo di partecipazione personale.

Una articolata sentenza del Tribunale di Pavia del 20 gennaio 2017  aderisce al sempre più diffuso orientamento dei giudici di merito sull’obbligo di partecipazione personale della parte al procedimento, pena l’improcedibilità del giudizio ove ciò non avvenga.
Le conseguenze sono particolarmente gravi, come nel caso di specie, ove è stata dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo poichè l’opponente non ha preso parte alla mediazione demandata dal giudice, limitandosi a comunicare i motivi di tale mancata partecipazione.

Il Tribunale ha ritenuto che  tale condotta fosse ingiustificata e risultasse avere conseguenze analoghe al mancato esperimento della mediazione, poichè la parte opponente “non partecipando al primo incontro avanti al mediatore  nella mediazione avviata dalla parte convenuta opposta – parte più diligente ma non onerata per legge – ha anch’essa posto in essere una inattività qualificata che determina il passaggio in giudicato del decreto opposto”

Afferma ancora il giudice lombardo che “se ne deve dedurre che l’opponente – onerato per legge dello svolgimento della mediazione, inteso non solo come avvio ma anche come corretta partecipazione – non ha voluto assolvere all’onere di realizzare la condizione di procedibilità, che si sostanzia nell’obbligo di iniziare e/o partecipare in modo attivo alla procura di mediazione, salvo il richiamo all’esistenza di ostacoli oggettivi che impediscono la sua partecipazione.”

Per il giudice la parte che ha solo mandato il difensore al primo incontro, incaricandolo di dichiarare che non intendeva aderire alla mediazione, ha così dimostrato di non con siderale la mediazione con sufficiente impegno e serietà; di ritenerla invece un mero e inutilmente costoso adempimento burocratico da assolvere con la semplice presenza avanti al mediatore del difensore munito di procura e per un semplice incontro informativo. Sintomo del comportamento della parte che, sottovalutando la mediazione, abusa invece del processo. Si ritiene che la sanzione applicabile nella specie, sia l’improcedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5 comma 2 D.lgs 28/2010, intesa come domanda giudiziale che formula l’opponente verso i decreti ingiuntivi opposti”

La sentenza è assai articolata e merita integrale lettura per l’ampia disamina dell’istituto della mediazione e delle ragioni sottese ad un orientamento così  rigido.

Non può tuttavia dettare perplessità una giurisprudenza che sembra sacrificare sull’altare delle esigenze di speditezza e deflazione il diritto di difesa e accesso alla giurisdizione che l’art. 24 Costituzione garantisce come presupposto fondamentale dell’organizzazione sociale.

© massimo ginesi 25 gennaio 2017

si allungano i tempi per la nuova UNI 10200 in tema di contabilizzazione del calore.

I criteri tecnici che  regolano la ripartizione delle spese di riscaldamento sono noti  con la sigla UNI 10200: si tratta di una  norma che è stata elaborata dalla Commissione Tecnica 803 del C.T.I. (Comitato Termotecnico italiano) e che costituisce supporto ed integrazione della  legislazione  in tema  di ripartizione delle spese di riscaldamento.

La norma indica  i criteri per imputare  la spesa totale di riscaldamento e acqua calda sanitaria negli edifici in condominio, individuando i parametri necessari a contabilizzare  i consumi volontari di calore delle singole unità immobiliari e quelli c.d. involontari.

Il processo di approvazione e revisione della norma tecnica prevede diversi passaggi, fra i quali l’inchiesta pubblica: si tratta di una fase assai importante, nella quale il progetto elaborato e approvato dall’organo tecnico  viene posto a disposizione degli operatori del settore di interesse , affinché costoro possano esprimere  commenti che saranno raccolti ed esaminati dall’organo che poi emanerà la norma definitiva.

La norma Uni 10200 era già stata posta in inchiesta pubblica subito dopo l’entrata in vigore del D.lgs 102/2014: in data 14/04/2016 è stato posto in inchiesta pubblica UNI il testo del progetto E0208F600 “Impianti termici centralizzati di climatizzazione invernale, estiva e produzione di acqua calda sanitaria – Criteri di ripartizione delle spese di climatizzazione invernale, estiva e produzione di acqua calda sanitaria”.

A seguito dei commenti pervenuti, la commissione CTI preposta ha apportato modifiche al testo originario che, plausibilmente, comporteranno una nuova fase di inchiesta pubblica, sicché i tempi di definitiva emanazione della norma tecnica – in una materia che molto ha fatto discutere –  rischiano di allungarsi ulteriormente.

Peraltro il termine per l’adeguamento degli impianti ha subito di recente una proroga al 30 giugno 2017.

© massimo ginesi 24 gennaio 2017