pensiline sopra ai balconi: la proprità deriva dalla funzione prevalente

Se le pensiline installate sopra a balconi di proprietà individuali hanno tale scopo primario quello di proteggere la facciata (accertamento in fatto demandato al giudice di merito), devono essere ritenute comuni a mente dell’art. 1117 cod.civ. e le relative spese di manutenzione vanno ripartite ai sensi dell’art. 1123 comma I cod.civ.

Non è consentito invece all’assemblea, salvo accordo unanime, adottare il criterio diverso di cui all’art. 1123 comma II cod.civ., individuando quote diverse di attribuzione della spesa in rapporto alla diversa utilità che  i condomini traggono dal bene (nel caso di spese il 50% della spesa era stato posto a carico dei proprietari degli ultimi piani, sull’assunto che traessero maggiore utilità dal bene essendo coloro che si giovavano immediatamente della copertura sopra il balcone e il 50% a carico degli altri condomini secondo millesimi).

E’ quanto afferma Cass.Civ. sez.II ord. 28 febbraio 2019 n. 6010: “La sentenza ha stabilito, con accertamento in fatto, che le pensiline avevano la funzione di proteggere la facciata condominiale e non i soli balconi di proprietà esclusiva, garantendo l’integrità e la conservazione dell’intero edificio, ponendolo al riparo dagli agenti atmosferici e, quindi, del tutto correttamente e con motivazione logica ed esente da contraddizioni, ha ritenuto che la spesa dovesse gravare su tutti i condomini.

Difatti nel condominio, caratterizzato dalla coesistenza nell’edificio di una pluralità di piani o porzioni di piano di proprietà esclusiva, l’attribuzione della proprietà comune sancita dall’art. 1117 c.c., trova fondamento nel collegamento strumentale ed accessorio fra le cose, i servizi e gli impianti e le unità immobiliari appartenenti ai singoli proprietari o alle altre porzioni comuni destinate in modo stabile al servizio e al godimento collettivo (Cass. 4973/2007; Cass. 1625/2007; Cass. 22408/2004), mentre il concreto accertamento che un dato bene abbia le descritte caratteristiche funzionali involge questioni di fatto rimesse al giudice di merito, unitamente alla verifica della concreta utilità che dal bene traggano i singoli condomini, essendo ammissibile, su tali profili, solo il controllo sulla motivazione (nei limiti in cui ne è attualmente ammesso lo scrutinio; cfr., Cass. 10073/2018; Cass. 8119/2004).

Sulla scorta delle descritte emergenze processuali, l’assemblea non poteva ripartire la spesa derogando a quanto prescritto dall’art. 1123 c.c., comma 2.

Le attribuzioni dell’assemblea ai sensi dell’art. 1135 e 1123 c.c., sono circoscritte alla verifica ed applicazione dei criteri fissati dalla legge. Se le cose comuni sono destinate a servire i condomini di un edificio in misura diversa, le spese, a norma dell’art. 1223 c.c., comma 2, vanno ripartite in misura proporzionale all’uso che ogni condomino può farne, salvo eventuali accordi, approvati all’unanimità dei condomini, con cui si preveda la ripartizione in misura proporzionale ai millesimi di proprietà.

In mancanza di una tale convenzione, ove vi sia contrasto circa la relativa ripartizione, deve escludersi che l’assemblea possa diversamente suddividere la spesa, vincolando anche i dissenzienti, essendo la legittimità della decisioni assembleari subordinata all’osservanza del criterio che tenga conto dell’utilità che ciascuno dei condomini possa trarre dalla cosa comune, come risultante all’esito di una verifica da compiere in concreto (Cass. 5458/1986).

© massimo ginesi 4 marzo 2019

sottotetto: i parametri per stabilirne la natura condominiale

La Cassazione ( Cass.Civ. sez.II ord. 5 febbraio 2019 n. 3310)  conferma un orientamento consolidato in tema di beni comuni ex art 1117 cod.civ.: l’oggettiva attitudine del bene a fornire utilità comune e in assenza di titolo contrario è idonea a far ritenere sussiste la condominiali del bene, senza la necessità per il condominio di adempiere ai ferrei principi  probatori in tema di rivendica.

la Corte territoriale ha – con motivazione logica ed ampiamente esaustiva – accertato come la ricorrente non abbia provato l’esistenza di alcun titolo dal quale desumere la proprietà esclusiva del sottotetto dedotto in controversia, ponendo in risalto come tale bene era, invero, risultato di fatto strutturalmente destinato ad un servizio o ad un’utilità comune per la collettività condominiale di cui fanno parte i controricorrenti quali condomini.

A tal proposito lo stesso giudice di appello ha supportato tale ricostruzione ponendo in luce come dagli stessi atti di trasferimento dei singoli appartamenti fosse emersa la rilevante circostanza in base alla quale era rimasto garantito in favore degli acquirenti il diritto alla proporzionale quota di proprietà degli enti e degli spazi comuni dell’immobile, tra i quali il conteso sottotetto, che, infatti, era stato – sul piano fattuale – in concreto utilizzato dai condomini in virtù della consegna delle relative chiavi avvenuta all’atto della stipula dei vari atti di vendita dei singoli appartamenti proprio da parte della ricorrente (che, del resto, non ha contestato tale circostanza, peraltro realizzatasi fin dal 1970: cfr. pag. 8 dell’impugnata sentenza).

Decidendo in tal senso la Corte milanese di è conformata all’univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 3862/1998; cass. n. 15372/2000 e, da ultimo Cass. n. 20593/2018), alla stregua della quale, in tema di condominio negli edifici, per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il condominio dimostri con il rigore richiesto per la rivendicazione la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne affermi la proprietà esclusiva darne la prova (onere, nel caso di specie, non assolto dalla ricorrente), senza che, peraltro, a tal fine sia sufficiente l’allegazione del suo titolo di acquisto ove lo stesso non contenga in modo chiaro ed inequivocabile elementi idonei ad escludere la condominialità del bene.

Il giudice di secondo grado ha anche spiegato adeguatamente l’ininfluenza a fini probatori del regolamento condominiale e delle cc.dd. schede alloggi, poiché tali documenti non potevano sortire alcuna rilevanza sul piano degli effetti traslativi di immobili. In particolare, la Corte territoriale ha attestato che dalle schede alloggi risultavano solo delle aree circoscritte con due zone quadrangolari, come tali assolutamente inidonee ad assumere la valenza di un documento comprovante l’emergenza di un titolo autonomo e separato di proprietà; allo stesso modo il giudice di appello ha ritenuto l’irrilevanza a questo scopo del regolamento condominiale in cui sono, in linea essenziale, riportate le tabelle millesimali necessarie per la ripartizione delle spese condominiali tra i singoli condomini.”

© massimo ginesi 6 febbraio 2019 

la Cassazione ribadisce (per l’ennesima volta) che la domanda di usucapione di parti comuni ad opera del singolo comporta litisconsorzio necessario.

Cass.Civ. sez.VI-2 15 gennaio 2019 n. 848 rel. Scarpa  ritorna su un tema consolidato e che, tuttavia, nei Tribunali pare non essere ancora stato correttamente recepito: in sede di giudizio di appello, avverso una sentenza che ha accertato l’intervenuta usucapione di una parte comune in favore di un condomino, non viene citato uno dei partecipanti al condominio.

Come da questa Corte più volte precisato, in tema di condominio negli edifici, qualora un condomino agisca per ottenere l’accertamento dell’intervenuto acquisto per usucapione in suo favore della proprietà esclusiva di una parte altrimenti rientrante nell’ambito di quelle comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. (quale lo spazio sottostante il suolo dell’edificio condominiale: Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6154), il contraddittorio va esteso a tutti i condomini, incidendo la domanda sull’estensione dei diritti dei singoli; pertanto, ove ciò non avvenga, l’invalida costituzione del contraddittorio può, in difetto di giudicato espresso o implicito sul punto, essere eccepita per la prima volta o rilevata d’ufficio anche in sede di legittimità (Cass., Sez. 6 – 2, 15/03/2017, n. 6649). Ne consegue che, nel caso di tempestiva impugnazione della sentenza di primo grado nei confronti di taluni soltanto di essi, il giudice d’appello deve disporre, a pena di nullità, l’integrazione del contraddittorio, ai sensi dell’art. 331 c.p.c. nei confronti dei litisconsorti pretermessi. L’atto di appello di R.A. , diretto all’accoglimento della domanda di usucapione dell’area sottostante il suo appartamento, non venne invece rivolto, come risulta anche dalla relativa vocatio in ius e dalla richiesta di notificazione della citazione, nei confronti del condomino T.V. , che era stato parte del giudizio di primo grado. Né vale ad escludere il vizio di non integrità del contraddittorio l’erronea dichiarazione della contumacia di T.V. nell’epigrafe della sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila.
L’impugnata sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila in diversa composizione, che provvederà a nuovo esame della causa previa integrazione del contraddittorio nei confronti del condomino pretermesso, e regolerà anche le spese del giudizio di legittimità
.”

© massimo ginesi 23 gennaio 2019

sono private le diramazioni degli impianti che attraversano la proprietà individuale, anche se servono altri condomini.

Lo afferma Cass. civ. sez. II  26 ottobre 2018 n. 27248: La presunzione di proprietà comune dell’impianto idrico di un immobile condominiale, ex art. 1117, n. 3, c.c., non può estendersi a quella parte dell’impianto ricompresa nell’appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi e, di conseguenza, nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se questo sia allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri proprietari. (La S.C. ha enunciato il detto principio in una fattispecie in cui le infiltrazioni erano state causate dalla rottura della chiave di stacco dell’acqua sita nella cucina dell’appartamento sovrastante).”

la Corte così motiva “Dall’accertamento dei fatti operato dal giudice di merito – accertamento insindacabile in questa sede – risulta che le infiltrazioni nell’appartamento di B.e U. F. sono state causate dalla rottura della chiave di stacco dell’acqua sita nella cucina dell’appartamento di De G.. Sulla base di queste premesse, la conclusione del giudice di responsabilità del condominio per i danni subiti dai F. non è corretta.

È vero che, secondo un orientamento presente in questa Corte, “la presunzione di comunione delle parti comuni, elencate dal n. 3 dell’art. 1117 c.c., fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini, non sempre implica che, nell’ambito della porzione di fabbricato esclusiva del singolo condomino, non ricada alcuna parte comune” in quanto “il criterio distintivo tra parti comuni e parti esclusive del condominio è dato solo dalla loro destinazione, così che il condotto di acque è di proprietà esclusiva, indipendentemente dalla sua ubicazione, per la parte in cui direttamente afferisce al servizio del singolo e comune in tutta la restante porzione, in cui ad esso si innestano uno o più altri canali a servizio di altri condomini” (Cass. 2151/1964).

Tale orientamento, che per individuare la “diramazione degli impianti” di cui all’art. 1117 c.c. fa riferimento unicamente alla destinazione del condotto delle acque, prescindendo dal tutto dalla sua ubicazione, non convince, in quanto l’art. 2051 c.c. prevede “una forma di responsabilità che ha fondamento giuridico nella circostanza che il soggetto chiamato a rispondere si trovi in una relazione particolarmente qualificata con la cosa, intesa come rapporto di fatto o relazione fisica implicante l’effettiva disponibilità della stessa” (Cass. 19045/2010).

Il Collegio ritiene pertanto di seguire l’orientamento per cui “la presunzione di condominio dell’impianto idrico di un immobile in condominio non può estendersi a quella parte dell’impianto stesso ricompresa nell’ambito dell’appartamento dei singoli condomini, cioè nella sfera di proprietà esclusiva di questi, e di conseguenza nemmeno alle diramazioni che, innestandosi nel tratto di proprietà esclusiva, anche se questo sia allacciato a quello comune, servono ad addurre acqua negli appartamenti degli altri condomini” (Cass. 2043/1963).”

© massimo ginesi 16 novembre 2018

nascita del supercondominio: la cassazione ribadisce principi noti e consolidati

una recente pronuncia di legittimità conferma orientamenti consolidati sulla nascita del supercondominio, peraltro senza nulla aggiungere alla precedente elaborazione .

Cass.Civ.  sez.II ord. 25 ottobre 2018 n. 27084 –  il caso concreta pare interessate più del principio di diritti pacifico espresso dalla suprema corte, poiché mette in luce l’erronea qualificazione dei fatto che ancora troppo spesso avviene in sede condominiale e nelle successive corti di merito: “ il Tribunale di Tivoli, accolto l’appello di P.F. , in riforma della sentenza del giudice di pace della stessa città, revocò il decreto con il quale era stato ingiunto all’appellante il pagamento della somma di Euro 4.697,96, oltre accessori, in favore del Complesso Residenziale (omissis) , già Comunione dei Beni Immobili (omissis) , sulla scorta delle valutazioni di cui appresso:

– mancava la prova dell’esistenza di una comunione, che legittimasse di esigere il pagamento delle spese di gestione;

– con l’assegnazione del lotto all’appellante non erano state trasferite pertinenze, né sussistevano successivi atti di trasferimento;

– a tale mancanza non poteva supplire il regolamento della Comunione del Complesso Residenziale (omissis) , che era stato approvato dall’assemblea generale ordinaria del 9/5/2009″

il motivo di ricorso per cassazione centra il punto cruciale: “la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 818, 1100, 1105, 1106, 1107, 1109, 1117, 1118, 1137, 1350, 2644, cod. civ., 61 e 62, disp. attuaz. cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sulla scorta, in sintesi, delle seguenti argomentazioni:

– la società coop. edilizia (omissis) a r.l., previa convenzione di lottizzazione, aveva realizzato un villaggio, composto da ville unifamiliari, da assegnarsi ai soci e l’intero comprensorio era rimasto in gestione della cooperativa fino al commissariamento della stessa, essendosi fatto luogo, da parte gestione commissariale, ad una dichiarazione, ricevuta da notaio, con la quale erano state individuate le numerose pertinenze (pozzi per l’acqua irrigua e relative condutture, depuratore del parco, terreni destinati a verde, impianti di urbanizzazione secondaria, ecc.);

– per mero errore materiale negli atti d’assegnazione non s’era fatto espresso riferimento alle pertinenze, che, in quota costituivano parte dell’unità abitativa, data la loro inscindibilità ope legis;

– non poteva mettersi in dubbio che, secondo i principi di diritto più volte affermati in sede di legittimità, “il comprensorio (omissis) ”costituiva un supercondominio, o, con altra terminologia equivalente, condomino complesso, comunione residenziale, condomino orizzontale e ciò ipso iure et facto “allorché l’originario costruttore del complesso residenziale (…) costruisca su un suolo comune, o proceda con il frazionamento di un’area comune”, militando in tal senso gli artt. 818 e segg., 1477, 1117, 1117 bis, cod. civ.;

– la sentenza impugnata aveva applicato erroneamente l’art. 1350, cod. civ., stante che gli accessori seguono il destino del bene principale, senza necessità di apposita specificazione;

– non era dubbio che si trattava di beni accessori, investendo essi servizi comuni (manutenzione, illuminazione e gestione del complesso, dotato di strade di accesso interne, rete idrica, rete fognaria, depuratore, guardiania, ecc.);

l’ordinanza di legittimità ritiene pertinente la censura: “ l’esposto motivo è fondato, per quanto appresso: a) costituisce principio fermo, al quale il Collegio intende dare continuità, l’affermazione secondo la quale al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. cod. civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere “ipso iure et facto”, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, “pro quota”, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Sez. 2, n. 17332, 17/8/2011, Rv. 619034; ma già, Sez. 2 n. 2305/08, Rv. 601809);

essendosi ulteriormente chiarito che non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere “ipso iure et facto”, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti; si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione (Sez. 2, n. 19939, 14/11/2012, Rv. 624475; conf., di recente, Sez. 2, n. 27094, 15/11/2017, Rv. 645955);

b) il Tribunale, quale giudice dell’appello, omettendo del tutto di verificare se la situazione fattuale, corrispondesse all’assunto dell’appellata, nei termini sopra riportati, non ha preso in considerazione il principio sopra enunciato, valorizzando un profilo argomentativo (nell’atto di trasferimento non si era fatto espresso riferimento alle pertinenze) che non ha alcuna refluenza sul modo di costituzione del condomino e, quindi, anche del supercondominio, di talché, senza necessità di verificarne la tenuta giuridica, risulta non pertinente”

© massimo ginesi 29 ottobre 2018

l’intercapedine fra suolo e soletta dell’edificio è comune

alcuni condomini impugnano una delibera con cui il condominio ha ripartito le spese per il risanamento dello spazio fra suolo e soletta  dell’edificio, da cui derivava umidità alle unità del piano terra, affermando  che si tratti di spese relative a parti che non debbono ritenersi comuni.

La vicenda giunge in Cassazione, che invece ribadisce che  – ove nulla risulti dal titolo – si tratta di zone che per funzione, devono ritenersi comuni ex art 1117 cod.civ. in quanto destinate ad isolare l’edificio.

Cass.Civ. sez.II 25/09/2018,  n. 22720: “L’art. 1117 c.c. stabilisce una presunzione di comproprietà sulla porzione di terreno sulla quale poggia l’intero edificio: in tale nozione rientrano la superficie e tutta l’area sottostante sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, e non solo l’area sulla quale sono infisse le fondazioni dello stabile.

In argomento, va ribadito che “L’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale – che costituisce il suolo di esso – e la prima soletta del piano interrato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, ed anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini, è comune, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2395 del 17/03/1999, Rv. 524203; conformi, Cass. Sez. 2, Sentenza n.3854 del 15/02/2008, Rv. 602023; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2157 del 14/02/2012, Rv. 621478; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23304 del 30/10/2014, non massimata; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18216 del 24.7.2017, non massimata).

Da quanto precede consegue che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che l’area sottostante al pavimento del piano terreno dell’edificio non fosse ricompresa nell’ambito delle parti comuni dello stabile. Di qui la fondatezza del primo motivo.”

© massimo ginesi 24 ottobre 2018

beni condominiali: il maggior uso per titolo

Può accadere che nei titoli, in forza dei quali si costituisce il condominio, venga stabilito un uso diverso dei beni comuni, riservando ad alcune unità facoltà esclusive o più intense.

 Si tratta in tal caso di una diversa graduazione delle facoltà dei condomini su beni che rimangono comuni ai sensi dell’art. 1117 cod.civ. e non già della costituzione di un diritto reale minore a favore di costoro.

E’ quanto afferma una recentissima pronuncia della suprema corte (Cass.Civ. sez.II ord. 10 ottobre 2018 n. 24958), con riguardo ad un cortile condominiale sul quale era stato previsto  un uso esclusivo di alcuni condomini.

Nel caso specifico il condomino aveva citato in giudizio i condomini interessati per sentir accertare l’inesistenza del loro diritto esclusivo di un cortile condominiale, diritto negato dal Tribunale di Parma e riconosciuto invece dalla corte di appello di Bologna.

 la Corte di legittimità accoglie il ricorso osservando che “Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte, l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio riconosciuto, al momento della costituzione di un condominio, in favore di unità immobiliari in proprietà esclusiva, al fine di garantirne il migliore godimento, incide non sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività, ma sul riparto delle correlate facoltà di godimento fra i condomini, che avviene secondo modalità non paritarie determinate dal titolo, in deroga a quello altrimenti presunto ex articoli 1102 e 1117 c.c.

Tale diritto non è riconducibile al diritto reale d’uso previsto dall’articolo 1021 c.c. e, pertanto, oltre a non mutuarne le modalità di estinzione, è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede (Cass., Sez. 2, n. 24301 del 16 ottobre 2017).

In particolare, deve ritenersi che il riferimento al concetto di pertinenza, spesso presente in dottrina e giurisprudenza, sia utilizzato, in casi come quello in esame, in senso atecnico, volendosi semplicemente indicare la maggiore utilità che una proprietà esclusiva può trarre da un bene comune cd. in uso esclusivo.

Se ne ricava che la corte territoriale ha errato nel ricondurre il diritto in questione nell’ambito di applicazione dell’articolo 1021 c.c., non potendosi considerare, al contrario, l’uso esclusivo su parti comuni dell’edificio condominiale un diritto reale d’uso non cedibile e destinato ad estinguersi con il decesso del beneficiario.”

© massimo ginesi 12 ottobre 2018

il muro di cinta che delimita il giardino di proprietà esclusiva e posto a margine del condominio non è necessariamente comune.

una recentissima ordinanza della Corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 12 settembre 2018 n. 22155 rel. Scarpa) ribadisce un principio consolidato: il muro che delimita il giardino di proprietà esclusiva, anche se posto in senso lato a recinzione del complesso condominiale, non è necessariamente un bene comune, laddove prevalga la funzione di utilità a favore della proprietà singola.

La vicenda trae origine in terra di sicilia: la condomina ” proprietaria di unità immobiliare posta al piano terra dell’edificio condominiale di Viale d…, Palermo, nonché dell’annesso giardino, sul presupposto che il muretto e la sovrastante ringhiera di recinzione del giardino, a differenza del cancello carrabile, fossero di proprietà comune, aveva domandato al Tribunale di Palermo di accertare la condominialità di tali beni e di porre a carico di tutti i condomini i necessari lavori di riparazione, con condanna del Condominio convenuto ad eseguire le opere”

Il Tribunale di Palermo dava ragione alla condomina, mentre la Corte di appello della stessa città  riformava la pronuncia, rilevando in particolare che ” il muretto perimetrale in questione costituisse oggetto di proprietà esclusiva della condomina P., avendo funzione di recinzione del giardino rientrante nella porzione privata della stessa, e risultando dal titolo di acquisto dell’unità immobiliare che uno dei confini fosse delimitato dal Viale d…

Neppure il regolamento di condominio indicava il muretto tra le parti comuni

Aggiunse la Corte di Palermo che il muretto in questione non dimostrasse alcun collegamento funzionale con l’edificio comune, avendo per le sue ridotte dimensioni la sola utilità di delimitare il giardino dal viale. Del pari, i giudici di secondo grado negarono il rilievo architettonico del muretto per il decoro del fabbricato, così superando la considerazione del CTU secondo cui il muretto nel disegno della società costruttrice “nasceva come organico all’intero progetto”

La condomina non si da per vinta ed approda in Cassazione, ove la sua tesi non trova tuttavia accoglimento; la Corte di legittimità ritiene la pronuncia di secondo grado corretta ed osserva: ” In tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprietà esclusiva (come nella specie), che pur risulti inserito nella struttura del complesso immobiliare, non può di per sé ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che tal bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero ove sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale, di natura contrattuale, o l’atto costitutivo del condominio e, quindi, il primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto) che consideri espressamente detto manufatto di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate (Cass. Sez. 2, 19/01/1985, n. 145; Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198; Cass. Sez. 2, 03/06/2015, n. 11444).

In tal senso, la Corte d’Appello di Palermo ha spiegato come il muretto di recinzione del giardino P., per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, la quale forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ed ha così rilevato – in base ad apprezzamento di fatto che rientra fra le prerogative dei giudici di merito ed è sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – che si tratta di bene non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, il che fa venir meno il presupposto per l’operatività della presunzione ex art. 1117 c.c.”

© massimo ginesi 13 settembre 2018

cortile comune: l’utilizzo per il transito verso beni individuali è espressione di (com)proprietà e non di servitù.

Una nitida ordinanza di legittimità (Cass.Civ. sez.II 24 luglio 2018 n. 19550 rel. Scarpa)  richiama i principi cardine in tema di (com)proprietà e uso del bene comune, al fine di valutare la correttezza del provvedimento di merito con cui è stata riconosciuta la liceità della condotta di alcuni condomini, che utilizzavano il cortile comune per accedere con autovetture alla propria proprietà esclusiva.

“La Corte d’Appello di Brescia, tenuto conto che G.C ed A. C. B. avevano rinunciato alle loro domande riconvenzionali di confessoria e negatoria servitutis, ha limitato il proprio esame della fattispecie al disposto dell’art. 1102 c.c., per concludere che l’utilizzo del cortile comune a scopo di transito da parte dei medesimi appellanti C. e B. fosse compatibile con l’uso di fatto dello spazio a piazzola di parcheggio degli autoveicoli dei condomini accertato dal CTU.”

Il principio espresso dal giudice di legittimità delinea con  chiarezza il quadro normativo cui deve farsi riferimento nella individuazione dei diritti esercitati da ciascun comproprietario, che in nessun caso possono essere ricondotti allo schema della servitù ove si discuta di utilizzo – anche più intenso e a fini individuali – del bene comune: essendo inclusa nel termine “cortile”, ex art. 1117, n. 1, c.c., ogni area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici, che serva a dare luce e aria agli ambienti circostanti, ivi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate del fabbricato, quali, appunto, gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi (così Cass. Sez. 2, 09/06/2000, n. 7889).

Una volta ritenuto il nesso di condominialità corrente tra l’unità immobiliare di proprietà esclusiva dei signori C. e B. e l’area compresa nel mappale 1…, l’uso di tale bene da parte dei medesimi convenuti ed attuali controricorrenti deve trovare regolamentazione nella disciplina del condominio di edifici, la quale è costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati, contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati, uno al servizio dell’altro.

Né può quindi astrattamente ipotizzarsi, come fatto a fondamento del secondo e del terzo motivo di ricorso, un’azione negatoria ex art. 949 c.c. per la cessazione delle molestie attribuite ai controricorrenti C. e B., i quali transitano con automezzi nel cortile, in quanto la qualità di condomini riconosciuta in capo a quest’ultimi deve, appunto, essere regolata, come fatto dalla Corte d’Appello di Brescia, sulla base dell’art. 1102 c.c., norma avente per oggetto l’uso legittimo delle cose comuni (cfr. di recente Cass. Sez. 2, 16/01/2018, n. 884).

Ai sensi dell’art. 1102, comma 1, c.c. l’uso della cosa comune da parte del singolo partecipante al condominio è consentito in conformità alla destinazione della cosa stessa, considerata non già in astratto, con esclusivo riguardo alla sua consistenza, bensì con riguardo alla complessiva entità delle singole proprietà individuali cui la cosa comune è funzionalizzata.

Ciascun condomino ha, così, diritto di trarre dal bene comune una utilità maggiore e più intensa di quella che ne viene tratta dagli altri comproprietari, purché non venga alterata la destinazione del bene o compromesso il diritto al pari uso da parte di quest’ultimi.

In particolare, per stabilire se l’uso più intenso da parte del singolo sia da ritenere consentito ai sensi dell’art. 1102 c.c., non deve aversi riguardo all’uso concreto fatto della cosa dagli altri condomini in un determinato momento, ma a quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno; l’uso deve ritenersi in ogni caso consentito, se l’utilità aggiuntiva, tratta dal singolo comproprietario dall’uso del bene comune, non sia diversa da quella derivante dalla destinazione originaria del bene.”

Tale valutazione di fatto, che compete dal giudice di merito, nel caso di specie ha avuto esito positivo e congruamente motivato: ” la Corte d’Appello, in conformità a tali principi, ha  accertato che l’utilizzo dell’area comune a scopo di transito veicolare da parte dei condomini C. e B. fosse compatibile con l’uso ad essa impresso, come risultante dalla CTU, di parcheggio di autoveicoli, esistendo, del resto, l’accesso carrabile dalla proprietà C.-B. sin dal momento di costruzione delcomplesso immobiliare (cfr. Cass. Sez. 2, 01/08/2001, n. 10453; Cass. Sez. 2, 06/06/1988, n. 3819)”.

© massimo ginesi 26 luglio 2018

accertamento della qualità di condomino: interesse ad agire e legittimazione passiva.

La domanda con cui il singolo chieda al giudice di accertare la propria qualità di condomino all’interno di un edificio, essendo volta ad accertare la contitolarità di diritti reali va proposta contro gli altri condomini (in regime di litisconsortio necessario) e non contro l’amministratore.

E’ quanto statuisce con ordinanza, ribadendo principi cardine dell’ordinamento,  Cass. civ. Sez. VI-2 25 giugno 2018 n. 16679 rel. Scarpa.

Il provvedimento si sofferma, con interessante argomentazione, anche sull’interesse ad agire del singolo, posto che l’accertamento della situazione di condominialità contiene un interesse implicito, per i diritti ed obblighi che derivano dalla stessa, senza necessità di dimostrazione  di un fine specifico dell’azione .

Come da questa Corte più volte affermato, poichè la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè, per gli effetti possibili e futuri.

Pertanto, non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che rappresentino elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può formare oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. Sez. U, 20/12/2006, n. 27187).

L’interesse ad agire, che conferisce titolo per proporre in giudizio una domanda, a sensi dell’art. 100 c.p.c., inteso quale bisogno inevitabile di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale o parziale del proprio diritto, va quindi valutato sulla base dell’interpretazione e qualificazione dei rapporti e delle situazioni dedotte nel materiale assertivo fornito dalle parti in causa.

Non va dunque condivisa la motivazione della Corte d’Appello secondo cui il M. avrebbe dovuto dedurre quale utilità gli derivasse dall’accertamento della qualità di condomino (e non di mero assegnatario dell’alloggio), dovendosi ravvisare l’interesse ad agire, e quindi ad impugnare, in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento di una pronuncia che riconosca ad un soggetto lo status di condomino, affinchè questi si legittimi di fronte al condominio quale nuovo titolare dei diritti e dei doveri di condominio (agli effetti, ad esempio, della comproprietà delle parti comuni, e quindi dell’uso delle cose e della fruizione dei servizi, nonchè della legittimazione a partecipare alle deliberazioni assembleari e della soggezione all’onere del contributo delle spese).

Tuttavia, la domanda di accertamento della qualità di condomino, ovvero di appartenenza di un’unità immobiliare in proprietà esclusiva ad un condominioedilizio, in quanto inerente all’esistenza, o meno, del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo (come avvenuto nella specie), imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

copyright massimo ginesi 9 luglio 2018