videosorveglianza, l’informativa ai terzi deve essere preventiva

Schermata 2016-07-18 alle 15.15.03

La L. 220/2012 ha risolto il problema della videosorveglianza in condominio, che aveva visto alterni dicta della giurisprudenza, introducendo l’art. 1122 ter cod.civ.

La norma prevede oggi in maniera inequivocabile la possibilità per il condominio di installare sistemi di controllo, con delibera da assumere ai sensi dell’art. 1136 II comma cod.civ. (ipotesi ovviamente diversa della installazione da parte di singoli di telecamere a servizio della propria unità, condotta sulla quale il garante aveva già dettato regole ben precise).

La Suprema Corte (Cass. civ. Sez. II 13663/2016, rel. Scarpa) ha affrontato una ipotesi che non riguarda l’installazione in condominio ma che detta principi che devono essere ben conosciuti anche dalla compagine condominiale ove intenda procedere in tal senso.

In particolare la Corte afferma che “l’informativa ai soggetti che facessero ingresso in un locale chiuso (quale un locale commerciale) deve intendersi necessaria prima che gli interessati accedano nella zona videosorvegliata, potendosi spiegare la diversa previsione di cui al punto 3.1. del Provvedimento generale del 29 aprile 2004, secondo cui l’informativa va rivolta a coloro che già “si trovano in una zona videosorvegliata” con riguardo agli spazi aperti.
La tempestività dell’informativa è necessariamente strumentale alla validità del consenso espresso dell’interessato al trattamento dei dati (art. 23, comma 3, Codice della privacy), salvi i casi in cui da esso possa prescindersi (di cui al successivo art. 24), non potendo tale consenso non essere preventivo rispetto all’inizio del trattamento stesso, nella specie consistente nella raccolta delle immagini delle persone che accedono nel locale e vengono riprese dalla videocamera.”

© massimo ginesi 18 luglio 2016

Sezioni Unite: quando la notifica non va a buon fine

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Cass. SS.UU. 14594/2016: una importante pronuncia in tema di notificazione degli atti giudiziari, che fornirà utili elementi di valutazione al difensore sulla condotta da tenere nell’espletamento di tale attività.

La Corte affronta sia il problema della individuazione del corretto destinatario della notifica e dei casi in cui l’erronea identificazione possa essere imputata alla parte che richiede l’adempimento, sia – soprattutto – la condotta doverosa del notificante, in caso di esito infruttuoso del primo tentativo, affinchè il processo notificatori possa ritenersi efficace sin dal primo atto compiuto.

Da leggere per intero.

© massimo ginesi 18 luglio 2016  

servitù, il passaggio coatto e il passaggio necessario

Schermata 2016-07-18 alle 11.14.08

La Suprema Corte  ( CAss. civ. Sez.II 5 luglio 2016 n. 13655) fa il punto sulla interclusione del fondo, a  seconda che la stessa sia assoluta o relativa.

Nella interessante e recente   sentenza chiarisce che si da luogo a passaggio necessario ai sensi dell’art. 1051 cod.civ. ove il fondo non abbia materialmente accesso alla via pubblica  debba quindi costituirsene uno (Art. 1051 cod.civ. ) mentre si deve dar luogo a sentenza costitutiva di passaggio coatto ove esista comunque un accesso al fondo, ma si riveli inidoneo per le esigenze di conveniente sfruttamento dello stesso (art. 1052 cod.civ. )

In tal caso compete al Giudice, con applicazione discrezionale e motivata dei criteri indicati  dall’art. 1051 II comma cod.civ., la valutazione sulla sussistenza della interclusione e sulle modalità opportune per superarla.

Le premesse in diritto alla decisione sono una ottima sintesi degli orientamenti giurisprudenziali sul punto: “In giurisprudenza si distingue tra passaggio coatto, cioe’ passaggio che puo’ essere concesso officio iudicis a norma dell’articolo 1052 c.c., e passaggio necessario di cui all’articolo 1051. Quest’ultima ipotesi ricorre quando il fondo sia circondato da fondi altrui e non abbia uscita sulla strada pubblica (interclusione assoluta) o non possa procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio (interclusione relativa) mentre il passaggio coatto puo’ disporsi quando il fondo abbia un accesso alla via pubblica e sia, quindi, non intercluso, ma l’accesso sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo medesimo e non possa essere ampliato (Cass. 27 giugno 1994, n. 6184; Cass. 5 luglio 19 (OMISSIS), n. 2270). In particolare, il diritto potestativo alla costituzione della servitu’, per il fondo non intercluso, e’ accordato in presenza della inadeguatezza del passaggio sulla via pubblica rispetto alle esigenze dell’agricoltura e dell’industria, oltre che dell’impossibilita’ di ampliamento di detto passaggio (Cass. 21 febbraio 2001, n. 2515; Cass. 18 dicembre 1997, n. 12814). L’interclusione del fondo necessaria per ottenere il passaggio coattivo sul fondo del vicino, a norma dell’articolo 1051 c.c. – e’ esclusa solo allorche’ esista un diritto reale (jure proprietatis o servitutis) di passaggio (Cass. 18 luglio 1991, n. 7996; Cass. 6 dicembre 1975, n. 4060). La possibilita’ di costituire un passaggio coattivo in favore di un fondo che, benche’ circondato da altri, fruisca di accesso alla via pubblica in forza di servitu’ volontaria su altro fondo, al fine di consentirne un altro sbocco sulla via pubblica, esula, dunque, dalla previsione dell’articolo 1051 c.c., restando regolata dal successivo articolo 1052 c.c.; in questo caso il diritto alla costituzione della servitu’ e’ condizionato all’esistenza dei seguenti presupposti: che il preesistente accesso sia inidoneo od insufficiente, che il suo ampliamento sia materialmente irrealizzabile od eccessivamente oneroso e che il nuovo passaggio risponda in concreto alle esigenze di sfruttamento agricolo od industriale del fondo dominante, senza impedire o compromettere analoghe utilizzazioni del fondo servente (Cass. 20 febbraio 2012, n. 3125; Cass. 8 giugno 1984, n. 3451). Compete poi al giudice di merito verificare l’esistenza dell’interclusione e accertare il luogo di esercizio di una servitu’ di passaggio coattivo: accertamento che deve essere compiuto alla stregua dei criteri enunciati dall’articolo 1051 c.c., comma 2 (Cass. 19 ottobre 1998, n. 10327; Cass. 5 ottobre 2009, n. 21255). Nel caso in cui la domanda abbia ad oggetto un fondo non intercluso e l’attore lamenti l’insufficienza del passaggio rispetto ai bisogni del fondo, lo stesso giudice di merito dovra’ accertare se ricorrono le condizioni, sopra richiamate, atte a giustificare la costituzione della servitu’ a norma dell’articolo 1052 c.c.”

© massimo ginesi 18 luglio 2016 

il giudice può ridurre la penale quando diventa vessatoria o usuraria

Schermata 2016-07-14 alle 08.21.30

lo ha stabilito la Cassazione con sentenza 13902/2016.

Il caso riguarda un contratto d’appalto per lavori straordinari in condominio, nel quale le parti avevano stabilito una clausola penale che prevedeva il versamento di € 19,22 dalla data della domanda al saldo effettivo.

Il risultato concreto della applicazione secca di tale previsione contrattuale finiva per comportare un esborso per il condominio di oltre 33 mila euro, decisamente sproporzionato rispetto alla prestazione pattuita e assolutamente squilibrato rispetto ai concreti interessi delle parti e alla funzione stessa della clausola.

La suprema Corte ha dunque ritenuto che il Giudice – in applicazione dell’art. 1384 cod.civ. –  debba e possa introdurre correttivi che consentano di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, adeguando la prestazione alla lesione effettivamente subita dalla parte adempiente  ed evitando effetti che, in concreto, travalicano il limite dell’usura. Per tali ragioni si deve considerare: “il riferimento all’interesse del creditore contenuto nella norma e considerato che la possibilità della riduzione ad una misura equa trova la sua ragion d’essere nell’interesse del debitore inadempiente, consente di identificare quel criterio nell’equo contemperamento degli interessi contrapposti, che assicuri, cioè, il posizionamento del soggetto adempiente sulla curva di indifferenza più vicina a quella su cui si sarebbe co0llocato qualora il contratto fosse stato adempiuto… D’altra parte, tenuto conto che dal nuovo e moderno sistema contrattuale, quale viene sempre più emergendo, anche dalla normativa europea, corollario di un liberismo che al contempo è anche solidaristico, emerge una maggiore attenzione per la giustizia contrattuale, cioè per un contratto che non presenti né uno squilibrio strutturale, né e soprattutto uno squilibrio tra prestazioni o di contenuto, appare ragionevole che anche la clausola penale debba essere espressione di un corretto equilibrio degli interessi contrattuali contrapposti”

© massimo ginesi 14 luglio 2016

 

oggi in consiglio dei ministri le modifiche in tema di contabilizzazione

Schermata 2016-07-14 alle 08.02.01

Va oggi all’esame del Consiglio dei Ministri il disegno di decreto legislativo integrativo del D.lgs 102/2014.

Fra le modifiche più rilevanti in previsione vi è la possibilità di derogare alle proporzioni di riparto ove sussista in tal senso apposita relazione tecnica, in attuazione delle osservazioni predisposte dalla Commissione Industria del Senato

© massimo ginesi 14 luglio 2013

domande tardive di ammissione al passivo fallimentare. quali termini?

Schermata 2016-07-13 alle 09.41.36

a norma dell’art. 101 L.F. è considerata tardiva la domanda di ammissione al passivo che non sia trasmessa al curatore nel rispetto del termine di  trenta giorni antecedenti alla data dell’udienza fissata per la verifica del stato passivo.

Tali istanze possono essere tuttavia inviate entro un anno dal deposito del decreto di esecutorietà dello stato passivo.

La riforma della legge fallimentare ha consentito aggiornai della procedura, maggior flessibilità nella gestione della stessa, cosicché accade che possano essere fissate più udienze di verifica dei diversi crediti e che in ciascuna di esse il Giudice  provveda a rendere esecutivo lo stato passivo relativamente alle domande esaminate in quella sede.

ebbene la Cassazione (Sez. Lav., 11 luglio 2016 n. 14099) censurando la decisione del Giudice di primo grado, ha ritenuto che il termine annuale decorra non già dalla prima udienza di verifica ma dalla data di deposito del decreto di esecutorietà dell’intero stato passivo, ovvero quando il Giudice – esaminate tutte le domande – lo rende esecutivo: ciò sulla scorta dell’art. 96 L.F. che prevede che “il giudice terminato l’esame di tutte le domande forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con decreto depositato in cancelleria”.

Solo questo ultimo adempimento è idoneo a far decorrere il termine annuale di cui all’art. 101 L.F. poiché solo con il provvedimento finale “la procedura di accertamento del passivo è destinata a chiudersi e ad acquisire giuridica rilevanza” .

qui la sentenza per esteso

© massimo ginesi 13 luglio 2016

processo penale, la mancata comparizione dinanzi al giudice di pace comporta remissione tacita della querela

Schermata 2016-07-13 alle 09.17.32

Lo ha affermato la Cassazione V sez. pen. con sentenza 12 luglio 2016 n. 29209.

La natura del processo penale dinanzi al giudice di pace e lo scopo deflattivo e conciliativo della prima udienza, a fronte di vicende che hanno un modesto contenuto offensivo e uno scarso disvalore sociale, impone di considerare come non più sussistente la pretesa punitiva del querelante ove costui ometta consapevolmente di comparire in udienza.

Ritiene la Corte che “è la mancata collaborazione al processo (accusatorio e che vuole dunque che la prova sia formata a dibattimento) e l’assenza della voce di chi dovrebbe dare corpo e fondamento alla pretesa punitiva che consente di dubitare della persistenza di tale volontà”

Nella sentenza viene dunque espresso il seguente principio di diritto: “Tenuto conto del principio generale del favor conciliationis, cui è improntato il sistema normativo che regola il procedimento penale dinanzi al giudice di pace, e che esso è collocabile nell’ambito del più ampio principio della ragionevole durata dei processi, la mancata comparizione del querelante – previamente e chiaramente avvisato del fatto che l’eventuale successiva assenza possa essere interpretata come volontà di non perseguire nell’istanza di punizione – integra gli estremi della remissione tacita, sempre che lo stesso querelante abbia personalmente ricevuto detto avviso, non sussistano manifestazioni di segno opposto e nulla induca a dubitare che si tratti di perdurante assenza dovuta a libera e consapevole scelta”.

Attenzione dunque che anche reati assai frequenti in ambito condominiale (nelle assemblee o nei rapporti fra condomini e amministratori, quali le minacce,  la diffamazione o le lesioni)  richiedono che colui che sporge la querela sia poi attivo anche nella successiva fase processuale, dovendo altrimenti ritenersi cessato il suo interesse alla punizione del colpevole.

© massimo ginesi 13 luglio 2016

installazione ascensore, innovazione agevolata ma attenzione alle scale…

Schermata 2016-07-12 alle 09.22.14

E’ noto che, sino dalla L. 13/1989, l’installazione di ascensore è vista con favore dal legislatore, che ha in quel testo normativo  predisposto strumenti agevolati di decisione, ove tale intervento debba essere effettuato  in condominio.

Si tratta infatti di un impianto che è volto a soddisfare interessi di rilevanza costituzionale, poiché agevola la mobilità di soggetti sfavoriti e pertanto attua principi che hanno riguardo alla eguaglianza e al diritto alla salute (artt. 3 e 32 Cost.)

LA normativa è stata rivista, con un discutibile senso peggiorativo, dalla L. 220/2012 che ha modificato l’art. 1120 cod.civ. e la L. 13/1989, innalzando i quorum deliberativi.

Sin dal 1989, tuttavia, rimangono  vietate le installazioni che urtano  il divieto di cui all’ultimo comma dell’art. 1120 cod.civ. (decoro e  stabilità dell’edificio, pari uso degli altri condomini)

Uno dei casi che, con grande frequenza, comporta contenzioso è la riduzione del piano di calpestio delle scale, che viene tagliato  per far posto alla installazione della cabina ascensore.

La giurisprudenza negli anni ha  mostrato di considerare lecita una modesta compressione dei diritti degli altri condomini in favore della installazione, con limiti che tuttavia – oltre una certa misura – divengono invalicabili.

Due recenti sentenze di merito affrontano il tema .

Il Tribunale di Torino, con la sentenza 14.6.2016, Giudice unico dr.ssa Paola Ferrero (decisamente ridondante nelle motivazioni), riperorre l’ampio dibattito giurisprudenziale sul punto: “Passando all’esame delle ulteriori doglianze attoree, va innanzitutto osservato che le stesse appaiono riconducibili al disposto dell’art. 1120, ultimo comma c.c. (nel testo applicabile ratione temporis), nella parte in cui vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio (nel caso di specie le scale), inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, ovvero che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato. Il riferimento ai limiti stabiliti dalla norma richiamata appare pertinente, atteso che: a) secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, l’installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto costituisce, ai sensi dell’art. 1120, comma 1, c.c., un’innovazione (cfr. Cass. n. 20902 del 08/10/2010; Cass. n. 9033 del 04/07/2001; Cass. n. 1529 del 11/2/2000); b) anche nel caso in cui l’innovazione sia diretta ad eliminare le barriere architettoniche, ai sensi dell’art. 2, comma 3 legge n. 13/89 resta fermo quanto disposto dall’art. 1120 c.c. nella parte sopra richiamata; c) nel caso di specie, si osserva incidentalmente, il Condominio convenuto ha comunque espressamente affermato (cfr pag. 6 comparsa di risposta) che l’aspetto relativo all’eliminazione delle barriere architettoniche non é inerente all’oggetto di causa. Ciò premesso, con specifico riguardo al limite costituito dall’inservibilità all’uso o al godimento anche di un solo condomino, si osserva quanto segue. Secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, “l’accertare se lo stato di fatto posto in essere in conseguenza della innovazione renda o meno talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino si risolve in un accertamento di fatto, di esclusiva competenza del giudice di merito……” (Cass. n. 614/63). Quanto al concetto di “inservibilità”, lo stesso non coincide con il pregiudizio, ove questo sia tollerabile; deve invero, ad esempio, “riitenersi consentita l’innovazione utile a tutti i condomini eccetto uno al quale arrechi un pregiudizio tollerabile, come quello costituito dall’occupazione di una parte minima del cortile condominiale” (così, in motivazione, Cass. n. 10445/1998 che richiama Cass. n. 697/77 e Cass. n. 954/67). Più in generale, il limite qui in esame “é costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità” (Cass. n. 15308/2011) e la fattispecie di cui all’art. 1120, ultimo comma c.c. é quindi integrata solo nel caso in cui “l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene” (Cass. n. 20639/2005). Anche recentemente (Cass. n. 18334/2012, in motivazione), il Supremo Collegio ha riaffermato che: “nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120 c.c., comma 2, il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma é costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità” e che “si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condominio – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo”. Nello svolgere l’accertamento de quo, pertanto, dovrà essere inevitabilmente effettuato un confronto tra le condizioni e modalità di fruizione del bene comune anteriore e successive all’innovazione (come si desume, altresì, dal successivo passaggio motivazionale della citata Cass. n. 18334/2012, secondo cui: “con riguardo alla questione della sicurezza con riferimento alla ipotesi di necessità di passaggio di mezzi di soccorso….il giudice di secondo grado é incorso nella omissione denunciata…consistita nel mancato confronto delle condizioni di sicurezza anteriori al restringimento delle scale con quelle conseguenti alla realizzazione dell’ascensore”).”

Osserva dunque nello specifico che: “In tale prospettiva, nel caso di specie, appare rilevante evidenziare quanto segue: – allo stato attuale, anche se le dimensioni delle scale – di m. 1,11 (m. 1,08 nel primo e ultimo gradino di ogni piano) – sono inferiori a quelle – di m. 1,20 – previste dalla normativa sopra richiamata (comunque non applicabile nel caso di specie), “il fatto….che il parapetto e il corrimano siano posti all’esterno della rampa comporta che la luce di passaggio di allarghi, sopra il cordolo, di alcuni centimetri”, consentendo “di fatto il passaggio di due persone” (pag. 13 relazione peritale); – con la realizzazione dell’ascensore e il ripristino del corrimano (che, come condivisibilmente osservato dal CTU a pag. 15 della relazione peritale, oltre ad essere previsto dalla normativa sulle barriere architettoniche, “é indispensabile qualora la scala debba essere utilizzata da persone con scarsa capacità motoria o con problemi di equilibrio”), la luce libera di passaggio sarebbe invece ridotta a soli 83 centimetri (80 centimetri in corrispondenza del primo e dell’ultimo gradino di ogni piano), risultando così impedito il passaggio contemporaneo di due persone… né può sostenersi che la presenza dell’ascensore eviterebbe l’utilizzo delle scale, atteso che, come osservato dal CTU, “l’ascensore in progetto é molto piccolo e potrebbe risultare claustrofobico” (cfr. pag. 5 relazione); inoltre, come é noto, l’ascensore può subire dei guasti e, infine, non é ipotizzabile un’obbligatoria rinuncia all’utilizzo delle scale quale conseguenza dell’assenza del mancorrente, atteso che in questa ipotesi sarebbe integrata in modo ancor più evidente l’impossibilità di utilizzo del bene comune; – non solo: la drastica riduzione della larghezza delle scale renderà impossibile il trasporto di un malato o di un ferito su barella attraverso le scale (esclusa, pacificamente, la possibilità di utilizzo a tale fine dell’installando ascensore), se non con manovre potenzialmene rischiose per la salute del trasportato (cfr. pag. 14 dell’elaborato peritale, laddove si legge: “Attualmente la barella può passare, anche se con alcune difficoltà. Il punto critico é il pianerottolo intermedio n corrispondenza del quale é necessario sollevare la barella per farla passare sopra il corrimano, senza necessità di inclinarla lungo l’asse longitudinale. A seguito della realizzazione dell’ascensore, il punto di passaggio più critico sarebbe il pianerottolo di piano: in questo caso non sarebbe più possibile fare passare la barella sopra il mancorrente a causa dell’ingombro del castelletto; per fare passare la barella occorrerebbe inclinarla notevolemente…di circa 40° sull’asse del beccheggio o su quello del rollio”); – né rileva che, secondo quanto prospettato dal CTU, il passaggio della barella potrebbe essere mantenuto “se il progetto venisse modificato arretrando il castelletto di circa 30 cm.”; atteso che la delibera qui in esame ha approvato un preventivo relativo ad un progetto che non prevede tale arretramento”

il Tribunale dunque ritiene viziata, per violazione dell’art. 1120 u.c. cod.civ. la delibera che ha deciso l’installazione, da ricondursi alla fattispecie delle iniezioni vietate: “il limite di cui all’art. 1120, ultimo comma c.c. qui in esame non possa dirsi rispettato e che il mutamento delle condizioni di utilizzo delle scale condominiali, quale esito dell’installazione dell’ascensore per cui é causa, esorbiti dal limite della tollerabilità. Ad avviso della scrivente invero, i cambiamenti sopra evidenziati influiscono in modo rilevante sulla naturale fruibilità delle scale. In tale naturale fruibilità (e con tale affermazione la scrivente si pone in consapevole contrasto con Cass. n. 15308/2011, secondo cui l’eventuale ostacolo all’ingresso di barelle fa riferimento ad una “mera eventualità d’uso.. come tale ininfluente nella determinazione dell’innovazione tollerabile”) rientra altresì l’uso delle scale in situazioni di emergenza, anche se potenziale o comunque non frequente; ciò in quanto la funzione naturale delle scale é quella di consentire l’accesso e il recesso da ogni unità immobiliare per tutte le necessità di vita dei suoi occupanti, tra cui non può essere esclusa quella di ricorrere ad interventi sanitari d’urgenza e di poter accedere tempestivamente alle cure mediche anche in caso di impossibilità di deambulazione, non potendo gli incidenti domestici o i malori, soprattutto in caso di persone anziane, essere considerati eventi eccezionali. Né, infine, può indurre a diversa conclusione l’ulteriore insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui, al fine della valutazione di tollerabilità della compressione del diritto di uso sulla cosa comune, è necessario tenere conto “del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che é propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche” (così la massima di Cass. n. 18334/2012) e, pertanto, “l’impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio…..tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale disapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica….qualora l’intervento (nella specie installazione di un ascensore…), produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione” (così la massima di Cass. ord. 18147/2013). Nel caso di specie, infatti (e ciò si osserva nell’ottica di contemperamento degli interessi sollecitata dalla richiamata giurisprudenza del Supremo Collegio), l’impianto oggetto di deliberazione non determinerebbe l’eliminazione delle barriere architettoniche ma, al più, un loro mero ridimensionamento fruibile da limitate categorie di soggetti; e ciò in assenza nell’immobile, per quanto consta dagli atti, di persone permanentemente non in grado di deambulare. Il CTU ha invero evidenziato: che la cabina avrebbe dimensioni interne di 90 cm. di profondità, 68 cm. di larghezza ed accesso con luce netta di soli 60 centimetri (cfr. pag. 5 relazione peritale); che per raggiungere l’ascensore sarebbe comunque necessario percorrere una breve rampa di scale; che l’apertura delle porte di piano sarebbe manuale e non automatica; che, conseguentemente, “l’impianto non sarebbe fruibile autonomamente da persone non dotate di mobilità autonoma, in particolare da utenti su sedia a ruote (che dovrebbero al limite ricorrere a sedie a ruote pieghevoli che richiedono l’ausilio di un accompagnatore)” (cfr. pag. 7 relazione peritale). Sempre nell’ottica di contemperamento degli interessi e dei sacrifici, non può non rilevarsi come in data 25.11.2009 (cfr. doc. 8 parte attrice) il Condominio avesse deliberato l’installazione dell’ascensore all’esterno e come l’assunto secondo cui tale diversa collocazione sarebbe stata abbandonata perché non praticabile non sia stato in alcun modo provato da parte convenuta. In ultimo, sotto il profilo della sicurezza, non può non considerarsi come allo stato attuale la larghezza delle scale rispetti la larghezza minima prescritta per gli edifici della sua tipologia dalla normativa antincendio; mentre con l’installazione dell’ascensore le scale avrebbero un’ampiezza inferiore a quella minima di ben 22-25 centimetri. Pertanto, a prescindere dalla possibilità di ottenere il nulla osta dei Vigili del Fuoco (possibilità che il CTU non ha escluso), l’adeguato deflusso per il caso di evacuazione ne risulterebbe pregiudicato. Sempre sotto il profilo della sicurezza va ancora evidenziato che, secondo il CTU, non il taglio delle scale (perché “le lastre si sorreggono autonomamente grazie all’incastro nella muratura”, per cui “il taglio della loro estremità per l’alloggiamento del castelletto non pregiudica, dal punto di vista della scienza delle costruzioni, la stabilità”), ma le “vibrazioni prodotte dal taglio, potrebbero aggravare eventuali fessure o cricche già presenti nelle lastre lapidee oppure punti di debolezza della muratura nel punto di incastro” (cfr. pag. 8 relazione peritale) e che il preventivo approvato non risulta avere preso in considerazione tale eventualità, omettendo di prevedere, in fase esecutiva, le indagini e gli eventuali consolidamenti prospettati dal CTU come potenzialmente necessari. Per le ragioni sin qui esposte la scrivente ritiene che l’intervento come deliberato dall’assemblea integri gli estremi di una innovazione vietata e che, pertanto la proposta impugnativa debba essere accolta con le statuizioni di cui in dispositivo (ritenuta assorbita, per il principio della ragione più liquida, ogni considerazione in punto pregiudizio al decoro architettonico e conseguente deprezzamento).”

Anche il Tribunale di Roma, con sentenza 27 maggio 2016, Giudice unico dr. Silvio Cinque,  ha affrontato il tema, con argomentazioni decisamente più sintetiche e pervenendo  a conclusioni  diverse dal giudice sabaudo:  la riduzione delle scale alla larghezza di 80 centimetri appare astrattamente legittima pur comportando un lieve aumento delle difficoltà di transito o di trasporto con barella.

La delibera viene comunque annullata per difetto delle maggioranze necessarie.

Afferma il Giudice capitolino: “È di tutta evidenza che le modificazioni apportabili alla cosa comune in forza dell’art. 1102 c.c. possono costituire anche una innovazione – nell’accezione tecnico-giuridica usata nella richiamata norma dell’art. 1120 c.c. – ed in tal caso sono consentite anche al singolo condomino, che se ne assuma l’onere, se non alterano la destinazione e non impediscono il pari uso della cosa comune agli altri partecipanti al condominio (Cass., sez. II, 27.12.2004, n. 24006). 

In primo luogo, per ciò che concerne l’impianto, nel caso di innovazioni a vecchi edifici i lavori per l’installazione di un ascensore non sono soggetti alle prescrizioni del DM 236/89, né per quanto riguarda le dimensioni minime delle scale, né per quanto riguarda le dimensioni minime dell’ascensore (pag. 9 e 10 relazione peritale). Il fabbricato non ricade, inoltre, tra quelli per i quali è necessario ottenere dai VV.FF. il certificato di prevenzione incendi (pag. 10). Quanto agli standard edilizi, questi prevedono, per il passaggio di una persona sulle scale, un modulo di larghezza minima di 60 cm. Il regolamento del Comune di Roma non impone nessuna misura minima riguardo la riduzione di larghezza delle rampe e la dimensione dell’ascensore (pag. 11). La nota del Ministero dell’Interno, C.N.V.FF. del 9.11.2005, ha recepito la posizione dei Vigili del Fuoco, secondo cui è necessaria una larghezza residua delle scale di almeno 80 cm. La larghezza residua delle scale nel progetto di parte convenuta, pari proprio a 80 cm., è pertanto conforme alla suddetta regolamentazione. Ancora, nessuna particolare lesione del decoro architettonico del fabbricato si verificherebbe, mentre si pongono, obiettivamente, inconvenienti alla concreta fruibilità delle parti comuni (le rampe), come l’aumento di difficoltà di transito per le scale di due individui affiancati o il trasporto di un soggetto su una lettiga. Al di là di detti inconvenienti, il progetto è comunque conforme alla normativa vigente in materia.”

ascensore sicurezza sentenza 1

ascensore sicurezza sentenza 2

 

© massimo ginesi 12 luglio 2016

per la rimozione di fioriere in facciata è sufficiente la C.I.L.A.

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Così afferma il T.A.R. Lazio con sentenza 24.5.2016 in cui h accelerato la condotta del Comune di Roma che aveva irrogato una sanzione di 7.500 euro al condominio.

Afferma il Giudice amministrativo: “la sanzione pecuniaria in questione è stata irrogata sul presupposto dell’avvenuta violazione dell’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, a seguito dell’accertamento dell’esecuzione della seguente opera edilizia: “rimozione fioriere, per una lunghezza di circa m. 25, lungo il prospetto dell’edificio su via San Lucio, posta al piano primo rispetto a tale strada”; f) che è fondato il profilo di censura relativo all’erroneità dell’avvenuta applicazione della normativa in tema di lavori effettuati in assenza di S.C.I.A. da parte dell’Amministrazione; g) che in particolare deve ritenersi corretta la qualificazione di detto intervento come manutenzione straordinaria che non riguarda parti strutturali dell’edificio ed è quindi assoggettata al regime dell’edilizia libera previa presentazione di C.I.L.A. ai sensi dell’art. 6, comma 2, lett. a) e comma 4 del D.P.R. n. 380/2001, con la conseguenza dell’inapplicabilità della sanzione pecuniaria nella misura irrogata dall’Amministrazione nel caso di specie; h) che il ricorso deve quindi essere accolto, con il conseguente annullamento dell’atto impugnato”

Il Comune è condannato anche alla refezione delle spese di giudizio in favore del Condominio.

© massimo ginesi 12 luglio 2016