abbattimento barriere architettoniche e tutela del diritto di proprietà

L’abbattimento delle barriere architettoniche è attività favorita dalla legge anche in condominio, dapprima con a L. 13/1989 e poi con una lettura giurisprudenziale che ha a lungo sottolineato come tali iniziative siano volte ad attuare la funzione sociale della proprietà prevista dall’art. 42 Cost.

In realtà tale favore (che il legislatore del 2012 nel novellare l’art. 1120 cod.civ. ha ridotto, aumentando i relativi quorum deliberativi) va contemperato con la tutela del diritto dei proprietari (ergo, dei condomini), che hanno comunque diritto di precludere l’installazione ove la stessa violi il disposto dell’art. 1120 u.c. cod.civ.

Ne deriva che se da un lato il diritto di proprietà  potrà subire una compressione  a fronte di uno scopo nobile come l’abbattimento delle barriere architettoniche, non sussiste affatto un diritto assoluto del disabile all’installazione di strumenti atti a migliorare la sua mobilità, sì che il giudice è tenuto a contemperare le due esigenze contrapposte con una lettura costituzionalmente orientata

E’ quanto emerge da un recente provvedimento Trib. Massa 6 giugno 2018 reso a conclusione di un procedimento ex art 702 bis c.p.c.

A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 27 marzo 2018

Ritenuto che, con riguardo al petitum principale di cui al ricorso introduttivo, sia cessata la materia di contesa per ammissione della stessa attrice, posto che il condominio ha deliberato – in data successiva alla introduzione della causa – di non frapporre ostacoli all’installazione dell’ascensore.

Ritenuto tuttavia che debbano essere respinte le altre domande avanzate da parte attrice, per le ragioni che seguono.

Quanto alla richiesta di risarcimento del danno ex art 2043 e 2059 c.c., essa appare del tutto nuova ed avanzata solo all’udienza del 27 marzo 2018, come tale tardiva e inammissibile, posto che la sommarietà del rito non vale a mutare i principi generali delineati dall’art. 163 c.p.c., espressamente richiamato dall’art. 702 bis c.p.c.,di talchè si dovrà comunque ritenere vietata la mutatio libelli; a tal proposito il combinato disposto dagli artt. 702 bis e 702 ter c.p.c. indica un iter procedurale che non prevede momenti ulteriori, rispetto alla introduzione della domanda, in cui si possano o debbano precisare le conclusioni, posto che per la natura del rito e l’assenza di necessità istruttorie, la causa va in decisione (salvo la sussistenza di domande riconvenzionali e chiamateincausa)sugliassuntiinizialidelleparti;l’informalità individuata dall’art. 703 comma V c.p.c., che appare riferirsi unicamente al rito e alle attività istruttorie, appare inidonea a superare i parametri preclusivi che valgono nel rito ordinario circa l’integrazione e la modifica delle domande.

Allo stesso modo appare del tutto inammissibile la richiesta di condanna ex art 96 I comma c.p.c. poiché non è dato ravvisare alcuna posizione processuale ostativa o temeraria in colui che non si è costituito in giudizio, mentre – in forza di quanto si esporrà di seguito – non paiono ravvisabili neanche i presupposti per irrogare la condanna (ascrivibile ai c.d. indennizzi punitivi) ex art 96 III comma c.p.c.

Cessata la materia del contendere sulla installazione dell’ascensore, la ricorrente chiede di valutare la soccombenza virtuale del convenuto, onde ottenere condanna dello stesso alla refusione delle spese di questo giudizio, sull’assunto di una condotta ostativa del condominio che avrebbe gravemente violato e compromesso diritti costituzionalmente garantiti.

Tuttavia tale raffigurazione non può essere condivisa, così come non può ritenersi – dalla disamina delle delibere condominiali prodotte dalla stessa ricorrente – che la condotta del condominio abbia assunto valenza meramente ostruzionistica e defatigatoria.

Va infatti rilevato che, se da un lato i principi costituzionali espressi dagli artt. 32 e42 della carta fondamentale tutelano la salute e sottolineano la funzione sociale della proprietà, lo stabilire i modi in cui tale funzione potrà essere assolta è stato demandato dal legislatore costituzionale alla legge.

Al riguardo il testo di riferimento è senza dubbio la L. 13/1989 e, assai meno, il novellato art. 1120 c.c. che – rispetto a principi di rilevanza costituzionale, quali la tutela della salute e la solidarietà sociale, dei quali l’abbattimento delle barriere architettoniche rappresenta certamente un aspetto rilevante – ha inopinatamente innalzato nuovamente i quorum deliberativi per le innovazioni che perseguono tali fini, con ciò evidenziando una concorrente e rinnovata tutela anche del diritto dominicale.

Con riferimento all’odierno contendere non può inoltre dimenticarsi che – pur adottando una lettura ampia e guardando con maggior favore alle iniziative volte a predisporre meccanismi agevolativi per i disabili – lo stesso legislatore del 1989 ha finito per porre un limite assai prosaico ai dichiarati e perseguiti scopi sociali, mantenendo ferma l’applicabilità dell’art. 1120 comma IV c.c. con riferimento alle innovazioni vietate, sì che – infine – le esigenze di tutela sociale delle persone svantaggiate sotto il profilo motorio finisce per doversi confrontare sullo stesso piano con i parametri di tutela della proprietà (decoro architettonico dell’edificio, pari uso dei condomini, inviolabilità del diritto dominicale dei singoli), cedendo il passo ove tali valori – assolutamente privatistici e scevri di ogni connotazione solidaristica – ne risultino lesi.

Di talché non sussiste affatto un diritto assoluto e preminente del disabile ad installare in condominio strumenti di ausilio, sussistendo eventualmente una pretesa, da valutare in ottica ampia e alla luce dei principi costituzionali e primari sopra ricordati, e da raffrontare con i parimenti legittimi diritti (anch’essi costituzionalmente garantiti) dei singoli condomini titolari dei correlativi diritti reali.

In una lettura del diritto di proprietà costituzionalmente orientata, ai sensi dell’art. 42 Cost., volta a contemperare il diritto soggettivo dei singoli condomini con la funzione sociale che i loro beni sono chiamati a svolgere, i giudici di legittimità hanno sempre dato interpretazione ampia alle facoltà del singolo di comprimere il diritto di  godimento al fine di realizzare opere volte all’abbattimento delle barriere architettoniche, dovendosi tuttavia tale facoltà arrestare ove quella compressione si traduca in una lesione della effettiva possibilità di utilizzo del bene comune o individuale, lesione che può essere integrata anche da una significativa compromissione estetico/funzionale (Cass.civ. sez. VI-2 ord. 14 settembre 2017 n. 2133)

Il fatto che la ricorrente intendesse procedere in via autonoma all’installazione dell’ascensore, ai sensi dell’art. 1102 cod.civ, non sottrae il suo operato alla valutazione testè menzionata, che la giurisprudenza ha delineato per gli interventi innovativi decisi dalla maggioranza, mutando – ove proceda il singolo – solo l’imputazione della spesa ma non i criteri generali che sovraintendono alla esecuzione dell’opera.

In tal senso è infatti orientato l’art. 1122 cod.civ., specie dopo l’intervento del legislatore del 2012, che è volto proprio a consentire al condominio e ai condomini di conoscere tali modalità onde attivarsi tempestivamente per farvi fronte ove le ritengano lesive dei diritti comuni o dei singoli; non è infatti prevista la necessità di alcuna autorizzazione assembleare per intervenire ai sensi dell’art. 1102 c.c,  restando tuttavia salva la possibilità dell’amministratore o dei singoli di reagire ad eventuali iniziative che ritengano vietate o comunque illecite.

A tale attività di valutazione e comparazione pare essere improntata la condotta del condominio, poiché dalle delibere (in particolare 1.7.2017 e 23.9.2017) emerge una ampia dialettica fra le parti, volta non già ad impedire alla R. di installare l’impianto quanto a salvaguardare il decoro e la fruibilità dell’edificio condominiale e delle parti comuni soggette alla installazione.

Dalla documentazione prodotta dalla ricorrente non emerge una volontà prettamente ostruzionistica del condominio, quanto piuttosto un’attenzione della compagine condominiale a rendere l’intervento meno invasivo possibile, suggerendo eventuali soluzioni alternative quali il servoscala (anche interno, come prospettato alla assemblea del 23.9.2017, rifiutato dalla ricorrente per generiche ragioni di salute).

A tal proposito non può essere ritenuta esaustiva e dirimente né la documentazione prodotta dalla ricorrente che rimane mero atto di parte (tanto più che la stessa non ha neanche ritenuto di allegare gli elaborati grafici e progettuali dei propri tecnici), posto che era comunque pieno diritto del condominio valutare se non sussistessero alternative ugualmente soddisfacenti delle necessità della ricorrente: non appare infatti necessario – per assolvere al superamento delle barriere architettoniche – l’installazione della miglior soluzione possibile, potendo essere utilmente adottabile anche soluzioni alternative che siano volte “quantomeno ad attenuare e non necessariamente ad eliminare – le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione” (Cass. Civ. sez. II 6 giugno 2018 n.14500).

Né appare convincente e del tutto pertinente la certificazione medica che sconsiglia l’uso di servoscala, in quanto da una parte generica e sfornita di qualunque motivazione (certificato Dr. C 18.1.2018) e, dall’altra, sorretta da valutazione del tutto ipotetica, che peraltro non spiega per quale ragione l’ascensore sarebbe di diversa utilità e di maggior protezione rispetto al montascale (certificato dr. M 12.1.2018).

Va rilevato che la certificazione allegata dalla stessa ricorrente indica patologie ed esiti diagnostici che paiono presupporre un costante accompagnamento, sì che non si comprende quale aggravamento del rischio porterebbe l’adozione di un servoscala, mentre alcuna valenza possono avere i maggiori costi di manutenzione e la più rapida deteriorabilità di tale impianto, lamentati dalla R, ove lo stesso risulti idoneo adassolvere all’ausilio per la mobilità e, al contempo, salvaguardi maggiormente i beni e diritti comuni.

Ancora meno convincenti appaiono le osservazioni della difesa di parte attrice relative a problemi atmosferici per l’utilizzo del montascale, posto che – come si è già rilevato – laricorrentepareaverrifiutatoanchequello internoechein ogni caso la stessa afferma di trascorrere “ i mesi caldi da aprile a settembre presso l’appartamento di cui trattasi”, periodo in cui l’eventualità di avversità atmosferiche appare tendenzialmente di scarsa rilevanza ed incidenza.

Dai documenti allegati al ricorso non si evince dunque la volontà meramente ostruzionistica né la totale infondatezza delle obiezioni del condominio, che paiono invece rispondere al legittimo esercizio di un diritto derivante dal combinato disposto dagli artt. 1102 e 1122 c.c., sì che le ragioni in forza delle quali oggi la ricorrente richiede la condanna del condominio appaiono fondate su mere e unilaterali affermazioni di parte, così come mere allegazioni di parte inidonee a costituire prova, appaiono le osservazioni tecniche (doc.20) prodotte che, in assenza dei relativi progetti, rendono in questa sede impossibile qualunque valutazione oggettiva sulla incidenza dell’impianto.

L’onere della prova circa i fatti costitutivi della pretesa azionata incombeva comunque alla ricorrente, anche ai soli fini della valutazione circa la soccombenza virtuale, onere che non si può ritenere assolto.

Il deliberato finale del condominio in data 10.3.2018 non potrà, come invece pretende l’attrice, essere ritenuto indicativo di alcun riconoscimento o della fondatezza della domanda, poiché quella decisione assembleare appare piuttosto una ponderata scelta che oscilla fra valutazioni di carattere patrimoniale sulla prosecuzione del contenzioso e ragioni di opportunità e disponibilità nell’ambito dei normali rapporti interpersonali  e condominiali, laddove si riconosce “ a malincuore” e per “la volontà di chiudere definitivamente l’annosa questione” la possibilità di procedere alla installazione secondo una delle soluzioni indicate, con materiali a minor impatto esteticopossibile.

Ai fini della valutazione della condotta delle parti non appare significativa neanche l’offerta della ricorrente – dalla stessa più volte indicata quale mero atto di disponibilità personale – di far subentrare in futuro eventuali condomini che desiderassero utilizzare l’impianto, essendo ciò specifico obbligo previsto dall’art. 1121 III commac.c

E’ di intuitiva evidenza, infine, che la scelta del Condominio di non resistere in giudizio non significa necessariamente che lo stesso si sia riconosciuto ex ante soccombente né vale ad invertire alcun onere della prova, rimanendo la contumacia  condotta  a valenza neutra (Cass. Civ. sez. VI 24 febbraio 2017 n. 4871), tanto più alla luce della natura della domanda proposta dalla attrice, che presuppone “un’azione di accertamento del … diritto di servirsi della cosa comune nei limiti consentitidall’art. 1102 C.C.; e nella causa da loro promossa legittimi contraddittori potevano essere soltanto quei condomini che tale diritto avevano contestato, e non necessariamente tutti i condomini o il condominio” (Cass. Civ. sez. II 12 febbraio 1993 n. 1781)

Non paiono dunque sussistenti, neanche a livello virtuale, le ragioni che possono condurre ex art. 91 c.p.c. ad una condanna alle spese del convenuto, in assenza di prova da parte del ricorrente dei fatti costituitivi della propria pretesa iniziale P.Q.M. Visti gli artt. 702 bis e segg. c.p.c. Dichiara cessata la materia del contendere sulla domanda principale relativa alla installazione dell’ascensore. Respinge ogni altra domanda della ricorrente.”

sul tema possono essere ancora interessanti  e non superate le riflessioni di approfondimento svolte in un ormai lontano convegno presso  il Politecnico di Torino.

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© massimo ginesi 15 giugno 2018

INTERVENTO SULLE PARTI COMUNI E DIRITTI DEI SINGOLI – L’AMPIEZZA DEL PASSAGGIO.

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La Suprema Corte, (Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 luglio – 23 novembre 2016, n. 23889 Presidente Bianchini – Relatore Oricchio) affronta un tema ricorrente e strettamente contiguo ad altra pronuncia commentata ieri in tema di installazione di ascensore, ove l’innovazione rechi pregiudizio ai singoli.

Se la pronuncia sulla installazione dell’ascensore attiene alla lettura ed applicazione dell’art. 1120 cod.civ., la sentenza oggi in commento riguarda invece l’altra norma fondamentale sulntema, ovvero l’art. 1102 cod.civ.

La norma, dettata in tema di comunione e pacificamente applicabile al condominio in virtù del richiamo dell’art. 1139 cod.civ. e della costante giurisprudenza sul punto, disciplina i limiti delle facoltà di intervento del singolo sulle parti comuni (mentre l’art. 1120 cod.civ. disciplina i limiti degli interventi deliberati dalla assemblea).

I fatti: un condomino cita in giudizio, dinanzi al al Tribunale di Bolzano altro condomino: “L’attrice chiedeva la condanna della convenuta alla rimessione in pristino dello stato dei luoghi relativamente alle parti comuni che erano state inglobate dalla stessa, senza autorizzazione dei condomini, in occasione dei lavori di ristrutturazione del di lei alloggio”.

Domanda accolta sia dal Tribunale e confermata dalla Corte di Appello di Trento. La cassazione cassava la sentenza e rinviava per altro giudizio, che le perviene nuovamente a seguito di nuova decisone della Corte di secondo grado.

Questo il principio di diritto affermato, con  un interessante inciso – anche in questo caso – sulla ampiezza minima del passaggio: “In ogni caso il nucleo della svolta censura attiene alla pretesa erroneità della gravata decisione in punto di indagine sulla “esistenza o meno di pregiudizio…. in relazione all’esercizio del diritto di transito sulle cose comuni”, anche alla stregua di quanto statuito da questa Corte con la precedete sentenza n. 28025/2011 e di quanto risultante dalle risultanze peritali.
La censura, quanto a tale precipuo punto, non può essere accolta. La citata pregressa decisione di questa Corte non aveva escluso in toto il pregiudizio conseguente alle opere realizzate dalla parte odierna parte ricorrente, ma si era limitata al rinvio alla Corte territoriale al fine dell’accertamento del carattere pregiudizievole delle stesse.
Legittimamente e correttamente la decisione oggi gravata innanzi a questa Corte ha svolto adeguata valutazione del detto carattere pregiudizievole.
Tanto a mezzo della propria valutazione delle risultanze di causa, costituenti elemento proprio del giudizio di merito, nonché considerando anche la normativa in materia di abbattimento delle barriere architettoniche.
Invero appare corretto, quanto alla inammissibile e comunque infondata la svolta censura che attinge al merito, in considerazione dei due già accennati elementi e profili.
Innanzitutto il restringimento (attraverso l’utilizzo di una parte del bene comune) ha comportato una impossibilità di uso del ballatoio secondo la naturale destinazione dello stesso.
In secondo luogo (ed anche in senso contrario alla relazione peritale) il restringimento ad 80 cm. della larghezza dell’accesso al detto ballatoio sarebbe comunque inferiore a quanto normativamente previsto e quindi inidoneo per il passaggio di persone diversamente abili (DD.LL.PP. 16 giugno 1989, n. 236).

© massimo ginesi 1 dicembre 2016

installazione ascensore, innovazione agevolata ma attenzione alle scale…

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E’ noto che, sino dalla L. 13/1989, l’installazione di ascensore è vista con favore dal legislatore, che ha in quel testo normativo  predisposto strumenti agevolati di decisione, ove tale intervento debba essere effettuato  in condominio.

Si tratta infatti di un impianto che è volto a soddisfare interessi di rilevanza costituzionale, poiché agevola la mobilità di soggetti sfavoriti e pertanto attua principi che hanno riguardo alla eguaglianza e al diritto alla salute (artt. 3 e 32 Cost.)

LA normativa è stata rivista, con un discutibile senso peggiorativo, dalla L. 220/2012 che ha modificato l’art. 1120 cod.civ. e la L. 13/1989, innalzando i quorum deliberativi.

Sin dal 1989, tuttavia, rimangono  vietate le installazioni che urtano  il divieto di cui all’ultimo comma dell’art. 1120 cod.civ. (decoro e  stabilità dell’edificio, pari uso degli altri condomini)

Uno dei casi che, con grande frequenza, comporta contenzioso è la riduzione del piano di calpestio delle scale, che viene tagliato  per far posto alla installazione della cabina ascensore.

La giurisprudenza negli anni ha  mostrato di considerare lecita una modesta compressione dei diritti degli altri condomini in favore della installazione, con limiti che tuttavia – oltre una certa misura – divengono invalicabili.

Due recenti sentenze di merito affrontano il tema .

Il Tribunale di Torino, con la sentenza 14.6.2016, Giudice unico dr.ssa Paola Ferrero (decisamente ridondante nelle motivazioni), riperorre l’ampio dibattito giurisprudenziale sul punto: “Passando all’esame delle ulteriori doglianze attoree, va innanzitutto osservato che le stesse appaiono riconducibili al disposto dell’art. 1120, ultimo comma c.c. (nel testo applicabile ratione temporis), nella parte in cui vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell’edificio (nel caso di specie le scale), inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino, ovvero che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato. Il riferimento ai limiti stabiliti dalla norma richiamata appare pertinente, atteso che: a) secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, l’installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto costituisce, ai sensi dell’art. 1120, comma 1, c.c., un’innovazione (cfr. Cass. n. 20902 del 08/10/2010; Cass. n. 9033 del 04/07/2001; Cass. n. 1529 del 11/2/2000); b) anche nel caso in cui l’innovazione sia diretta ad eliminare le barriere architettoniche, ai sensi dell’art. 2, comma 3 legge n. 13/89 resta fermo quanto disposto dall’art. 1120 c.c. nella parte sopra richiamata; c) nel caso di specie, si osserva incidentalmente, il Condominio convenuto ha comunque espressamente affermato (cfr pag. 6 comparsa di risposta) che l’aspetto relativo all’eliminazione delle barriere architettoniche non é inerente all’oggetto di causa. Ciò premesso, con specifico riguardo al limite costituito dall’inservibilità all’uso o al godimento anche di un solo condomino, si osserva quanto segue. Secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, “l’accertare se lo stato di fatto posto in essere in conseguenza della innovazione renda o meno talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino si risolve in un accertamento di fatto, di esclusiva competenza del giudice di merito……” (Cass. n. 614/63). Quanto al concetto di “inservibilità”, lo stesso non coincide con il pregiudizio, ove questo sia tollerabile; deve invero, ad esempio, “riitenersi consentita l’innovazione utile a tutti i condomini eccetto uno al quale arrechi un pregiudizio tollerabile, come quello costituito dall’occupazione di una parte minima del cortile condominiale” (così, in motivazione, Cass. n. 10445/1998 che richiama Cass. n. 697/77 e Cass. n. 954/67). Più in generale, il limite qui in esame “é costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità” (Cass. n. 15308/2011) e la fattispecie di cui all’art. 1120, ultimo comma c.c. é quindi integrata solo nel caso in cui “l’innovazione produca una sensibile menomazione dell’utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene” (Cass. n. 20639/2005). Anche recentemente (Cass. n. 18334/2012, in motivazione), il Supremo Collegio ha riaffermato che: “nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120 c.c., comma 2, il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma é costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità” e che “si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condominio – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo”. Nello svolgere l’accertamento de quo, pertanto, dovrà essere inevitabilmente effettuato un confronto tra le condizioni e modalità di fruizione del bene comune anteriore e successive all’innovazione (come si desume, altresì, dal successivo passaggio motivazionale della citata Cass. n. 18334/2012, secondo cui: “con riguardo alla questione della sicurezza con riferimento alla ipotesi di necessità di passaggio di mezzi di soccorso….il giudice di secondo grado é incorso nella omissione denunciata…consistita nel mancato confronto delle condizioni di sicurezza anteriori al restringimento delle scale con quelle conseguenti alla realizzazione dell’ascensore”).”

Osserva dunque nello specifico che: “In tale prospettiva, nel caso di specie, appare rilevante evidenziare quanto segue: – allo stato attuale, anche se le dimensioni delle scale – di m. 1,11 (m. 1,08 nel primo e ultimo gradino di ogni piano) – sono inferiori a quelle – di m. 1,20 – previste dalla normativa sopra richiamata (comunque non applicabile nel caso di specie), “il fatto….che il parapetto e il corrimano siano posti all’esterno della rampa comporta che la luce di passaggio di allarghi, sopra il cordolo, di alcuni centimetri”, consentendo “di fatto il passaggio di due persone” (pag. 13 relazione peritale); – con la realizzazione dell’ascensore e il ripristino del corrimano (che, come condivisibilmente osservato dal CTU a pag. 15 della relazione peritale, oltre ad essere previsto dalla normativa sulle barriere architettoniche, “é indispensabile qualora la scala debba essere utilizzata da persone con scarsa capacità motoria o con problemi di equilibrio”), la luce libera di passaggio sarebbe invece ridotta a soli 83 centimetri (80 centimetri in corrispondenza del primo e dell’ultimo gradino di ogni piano), risultando così impedito il passaggio contemporaneo di due persone… né può sostenersi che la presenza dell’ascensore eviterebbe l’utilizzo delle scale, atteso che, come osservato dal CTU, “l’ascensore in progetto é molto piccolo e potrebbe risultare claustrofobico” (cfr. pag. 5 relazione); inoltre, come é noto, l’ascensore può subire dei guasti e, infine, non é ipotizzabile un’obbligatoria rinuncia all’utilizzo delle scale quale conseguenza dell’assenza del mancorrente, atteso che in questa ipotesi sarebbe integrata in modo ancor più evidente l’impossibilità di utilizzo del bene comune; – non solo: la drastica riduzione della larghezza delle scale renderà impossibile il trasporto di un malato o di un ferito su barella attraverso le scale (esclusa, pacificamente, la possibilità di utilizzo a tale fine dell’installando ascensore), se non con manovre potenzialmene rischiose per la salute del trasportato (cfr. pag. 14 dell’elaborato peritale, laddove si legge: “Attualmente la barella può passare, anche se con alcune difficoltà. Il punto critico é il pianerottolo intermedio n corrispondenza del quale é necessario sollevare la barella per farla passare sopra il corrimano, senza necessità di inclinarla lungo l’asse longitudinale. A seguito della realizzazione dell’ascensore, il punto di passaggio più critico sarebbe il pianerottolo di piano: in questo caso non sarebbe più possibile fare passare la barella sopra il mancorrente a causa dell’ingombro del castelletto; per fare passare la barella occorrerebbe inclinarla notevolemente…di circa 40° sull’asse del beccheggio o su quello del rollio”); – né rileva che, secondo quanto prospettato dal CTU, il passaggio della barella potrebbe essere mantenuto “se il progetto venisse modificato arretrando il castelletto di circa 30 cm.”; atteso che la delibera qui in esame ha approvato un preventivo relativo ad un progetto che non prevede tale arretramento”

il Tribunale dunque ritiene viziata, per violazione dell’art. 1120 u.c. cod.civ. la delibera che ha deciso l’installazione, da ricondursi alla fattispecie delle iniezioni vietate: “il limite di cui all’art. 1120, ultimo comma c.c. qui in esame non possa dirsi rispettato e che il mutamento delle condizioni di utilizzo delle scale condominiali, quale esito dell’installazione dell’ascensore per cui é causa, esorbiti dal limite della tollerabilità. Ad avviso della scrivente invero, i cambiamenti sopra evidenziati influiscono in modo rilevante sulla naturale fruibilità delle scale. In tale naturale fruibilità (e con tale affermazione la scrivente si pone in consapevole contrasto con Cass. n. 15308/2011, secondo cui l’eventuale ostacolo all’ingresso di barelle fa riferimento ad una “mera eventualità d’uso.. come tale ininfluente nella determinazione dell’innovazione tollerabile”) rientra altresì l’uso delle scale in situazioni di emergenza, anche se potenziale o comunque non frequente; ciò in quanto la funzione naturale delle scale é quella di consentire l’accesso e il recesso da ogni unità immobiliare per tutte le necessità di vita dei suoi occupanti, tra cui non può essere esclusa quella di ricorrere ad interventi sanitari d’urgenza e di poter accedere tempestivamente alle cure mediche anche in caso di impossibilità di deambulazione, non potendo gli incidenti domestici o i malori, soprattutto in caso di persone anziane, essere considerati eventi eccezionali. Né, infine, può indurre a diversa conclusione l’ulteriore insegnamento della Corte di Cassazione, secondo cui, al fine della valutazione di tollerabilità della compressione del diritto di uso sulla cosa comune, è necessario tenere conto “del principio di solidarietà condominiale, secondo il quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che é propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all’eliminazione delle barriere architettoniche” (così la massima di Cass. n. 18334/2012) e, pertanto, “l’impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell’edificio…..tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale disapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l’accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica….qualora l’intervento (nella specie installazione di un ascensore…), produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione” (così la massima di Cass. ord. 18147/2013). Nel caso di specie, infatti (e ciò si osserva nell’ottica di contemperamento degli interessi sollecitata dalla richiamata giurisprudenza del Supremo Collegio), l’impianto oggetto di deliberazione non determinerebbe l’eliminazione delle barriere architettoniche ma, al più, un loro mero ridimensionamento fruibile da limitate categorie di soggetti; e ciò in assenza nell’immobile, per quanto consta dagli atti, di persone permanentemente non in grado di deambulare. Il CTU ha invero evidenziato: che la cabina avrebbe dimensioni interne di 90 cm. di profondità, 68 cm. di larghezza ed accesso con luce netta di soli 60 centimetri (cfr. pag. 5 relazione peritale); che per raggiungere l’ascensore sarebbe comunque necessario percorrere una breve rampa di scale; che l’apertura delle porte di piano sarebbe manuale e non automatica; che, conseguentemente, “l’impianto non sarebbe fruibile autonomamente da persone non dotate di mobilità autonoma, in particolare da utenti su sedia a ruote (che dovrebbero al limite ricorrere a sedie a ruote pieghevoli che richiedono l’ausilio di un accompagnatore)” (cfr. pag. 7 relazione peritale). Sempre nell’ottica di contemperamento degli interessi e dei sacrifici, non può non rilevarsi come in data 25.11.2009 (cfr. doc. 8 parte attrice) il Condominio avesse deliberato l’installazione dell’ascensore all’esterno e come l’assunto secondo cui tale diversa collocazione sarebbe stata abbandonata perché non praticabile non sia stato in alcun modo provato da parte convenuta. In ultimo, sotto il profilo della sicurezza, non può non considerarsi come allo stato attuale la larghezza delle scale rispetti la larghezza minima prescritta per gli edifici della sua tipologia dalla normativa antincendio; mentre con l’installazione dell’ascensore le scale avrebbero un’ampiezza inferiore a quella minima di ben 22-25 centimetri. Pertanto, a prescindere dalla possibilità di ottenere il nulla osta dei Vigili del Fuoco (possibilità che il CTU non ha escluso), l’adeguato deflusso per il caso di evacuazione ne risulterebbe pregiudicato. Sempre sotto il profilo della sicurezza va ancora evidenziato che, secondo il CTU, non il taglio delle scale (perché “le lastre si sorreggono autonomamente grazie all’incastro nella muratura”, per cui “il taglio della loro estremità per l’alloggiamento del castelletto non pregiudica, dal punto di vista della scienza delle costruzioni, la stabilità”), ma le “vibrazioni prodotte dal taglio, potrebbero aggravare eventuali fessure o cricche già presenti nelle lastre lapidee oppure punti di debolezza della muratura nel punto di incastro” (cfr. pag. 8 relazione peritale) e che il preventivo approvato non risulta avere preso in considerazione tale eventualità, omettendo di prevedere, in fase esecutiva, le indagini e gli eventuali consolidamenti prospettati dal CTU come potenzialmente necessari. Per le ragioni sin qui esposte la scrivente ritiene che l’intervento come deliberato dall’assemblea integri gli estremi di una innovazione vietata e che, pertanto la proposta impugnativa debba essere accolta con le statuizioni di cui in dispositivo (ritenuta assorbita, per il principio della ragione più liquida, ogni considerazione in punto pregiudizio al decoro architettonico e conseguente deprezzamento).”

Anche il Tribunale di Roma, con sentenza 27 maggio 2016, Giudice unico dr. Silvio Cinque,  ha affrontato il tema, con argomentazioni decisamente più sintetiche e pervenendo  a conclusioni  diverse dal giudice sabaudo:  la riduzione delle scale alla larghezza di 80 centimetri appare astrattamente legittima pur comportando un lieve aumento delle difficoltà di transito o di trasporto con barella.

La delibera viene comunque annullata per difetto delle maggioranze necessarie.

Afferma il Giudice capitolino: “È di tutta evidenza che le modificazioni apportabili alla cosa comune in forza dell’art. 1102 c.c. possono costituire anche una innovazione – nell’accezione tecnico-giuridica usata nella richiamata norma dell’art. 1120 c.c. – ed in tal caso sono consentite anche al singolo condomino, che se ne assuma l’onere, se non alterano la destinazione e non impediscono il pari uso della cosa comune agli altri partecipanti al condominio (Cass., sez. II, 27.12.2004, n. 24006). 

In primo luogo, per ciò che concerne l’impianto, nel caso di innovazioni a vecchi edifici i lavori per l’installazione di un ascensore non sono soggetti alle prescrizioni del DM 236/89, né per quanto riguarda le dimensioni minime delle scale, né per quanto riguarda le dimensioni minime dell’ascensore (pag. 9 e 10 relazione peritale). Il fabbricato non ricade, inoltre, tra quelli per i quali è necessario ottenere dai VV.FF. il certificato di prevenzione incendi (pag. 10). Quanto agli standard edilizi, questi prevedono, per il passaggio di una persona sulle scale, un modulo di larghezza minima di 60 cm. Il regolamento del Comune di Roma non impone nessuna misura minima riguardo la riduzione di larghezza delle rampe e la dimensione dell’ascensore (pag. 11). La nota del Ministero dell’Interno, C.N.V.FF. del 9.11.2005, ha recepito la posizione dei Vigili del Fuoco, secondo cui è necessaria una larghezza residua delle scale di almeno 80 cm. La larghezza residua delle scale nel progetto di parte convenuta, pari proprio a 80 cm., è pertanto conforme alla suddetta regolamentazione. Ancora, nessuna particolare lesione del decoro architettonico del fabbricato si verificherebbe, mentre si pongono, obiettivamente, inconvenienti alla concreta fruibilità delle parti comuni (le rampe), come l’aumento di difficoltà di transito per le scale di due individui affiancati o il trasporto di un soggetto su una lettiga. Al di là di detti inconvenienti, il progetto è comunque conforme alla normativa vigente in materia.”

ascensore sicurezza sentenza 1

ascensore sicurezza sentenza 2

 

© massimo ginesi 12 luglio 2016

il regolamento contrattuale e il decoro architettonico

Il regolamento di condominio di natura contrattuale, proprio per la sua idoneità ad incidere anche sui diritti dei singoli condomini, può porre limiti alle innovazioni o delineare un concetto di decoro architettonico più  restrittivo rispetto ai limiti usuali delle innovazioni.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione,  con sentenza  n. 10272, pubblicata il 18 maggio 2016 in cui ha affermato che  ai sensi dell’art. 1120 u.c. cod.civ. «sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino» e che ben può il re regolamento contrattuale di condominio imporre  il mantenimento delle linee estetiche e della regolarità dell’immobile, per come originariamente edificato.

La corte in particolare sottolinea come  “il regolamento del condominio abbia inteso limitare le innovazioni anche oltre la previsione di cui all’articolo 1120 del Codice civile avendo subordinato all’autorizzazione dell’assemblea ogni lavoro che interessasse “comunque” la stabilità, l’estetica e l’uniformità esteriore dei singoli fabbricati. La clausola in questione, che prescinde da una vera e propria alterazione del decoro architettonico, vieta ai condòmini, in assenza di autorizzazione assembleare, qualsiasi lavoro che interessi “comunque”, oltre all’estetica, anche l’uniformità esteriore dei singoli fabbricati”.

qui  la sentenza per esteso

© massimo ginesi giugno 2016

febbraio 2016 – B&B Breakfast, il pregiudizio deve essere dimostrato

Ai fini dell’emissione del provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., il condominio deve dimostrare, concretamente, la sussistenza di un pregiudizio grave e irreparabile per la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni non potendo essere considerato in re ipsa nella stessa attività di affittacamere, pur se realizzata in contrasto con il regolamento condominiale.

Tribunale di Milano, sez. XIII Civile, ordinanza 4 – 10 febbraio 2016
Presidente Manunta – Relatore Rota

Un provvedimento di merito di grande interesse: “il Condominio ha azionato un procedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. avverso una condomina, proprietaria di un monolocale di mq 35 ubicato al quinto piano dello stabile, nonché avverso il conduttore di tale unità immobiliare, al fine di impedire loro l’utilizzo di detto immobile a scopo di bed and breakfast in quanto uso contrario al regolamento di condominio e tale da menomare grandemente la tranquillità e sicurezza dei condomini atteso il continuo via vai a tutte le ore del giorno e della notte di soggetti estranei alla compagine condominiale”.
Il Giudice monocratico ha rigettato il ricorso d’urgenza e anche il Collegio, cui è stato proposto reclamo, è pervenuto alle stesse conclusioni.
Le motivazioni che hanno indotto i Giudici a decidere in tal senso potranno essere di grande aiuto all’amministratore che spesso in assemblea vede sollevarsi sonore lamentele su attività ricettive aperte in condominio.
E’ noto il precedente giurisprudenziale di CAss. 24707/2014 che ha affermato la compatibilità del B&B con la destinazione a civile abitazione: “L’esercizio dell’attività di affittacamere non modifica la destinazione d’uso a civile abitazione degli appartamenti in cui è condotta. Conseguentemente, anche in presenza di regolamento condominiale che vieti di destinare gli appartamenti “ad uso diverso da quello di civile abitazione o di ufficio professionale privato”, l’attività di bed & breakfast è da ritenersi consentita, essendo inammissibile un’interpretazione estensiva della suddetta norma regolamentare che riservi ai soli proprietari, ai loro congiunti e ai singoli professionisti il godimento delle unità immobiliari site nel condominio”.

Anche ove vi sia espressa clausola del regolamento di condominio che vieti di adibire le unità a B&B, la possibilità di ottenere in via d’urgenza la sospensione di tale esercizio non è così scontata. I Giudici milanesi, dovendo decidere su una istanza cautelare che presuppone un pregiudizio grave ed imminente, rilevano che incombe al ricorrente dimostrare che quella attività sia foriera di grave danno alla collettività condominiale non potendo ritenersi tale caratteristica intrinseca alla attività di B&B: “Nel merito devesi osservare che, sia pur ad una delibazione sommaria propria della presente fase cautelare, l’attività di affittacamere e/o di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio di Via P. S. in Milano hanno inteso realizzare all’interno della predetta unità immobiliare si pone in contrasto con quanto stabilito dall’art. 3, lettera b), dei regolamento di condominio; ciononostante tale considerazione non appare sufficiente ad accogliere la domanda cautelare azionata dal Condominio di Via P.S. stante il manifesto difetto del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultimo invocata. Senza volere nella presente sede entrare nell’annosa questione del se la lesione di diritti aventi contenuto di natura non patrimoniale – quale la tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni – richieda una pronta tutela per il fatto che il pericolo del pregiudizio irreparabile sia insito nella lesione stessa dell’interesse protetto dall’ordinamento, ad avviso del Collegio, nel caso al vaglio del presente giudizio, il Condominio di Via P.S. non ha fornito alcun elemento da cuì desumere la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni ad opera dell’espletamento dell’attività di affittacamere e di bed and breakfast che la proprietaria ed il conduttore dell’unità immobiliare sita nel Condominio hanno inteso realizzare all’intero della predetta unità immobiliare: piuttosto il Giudice di prime cure ha messo in risalto come, tenuto conto delle modeste dimensioni del bene all’interno del quale viene svolta la censurata attività, delle modalità operative con cui veniva e viene espletata l’attività incriminata desunte dal materiale estrapolato dal sito in cui viene pubblicizzato l’immobile, nonché infine tenuto conto dei complessivo stato dei luoghi, la effettiva e concreta messa in pericolo della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni fosse radicalmente da escludere nel caso in esame.
In definitiva la difesa di parte reclamante ha desunto la sussistenza del pregiudizio imminente ed irreparabile a fondamento della tutela cautelare d’urgenza da quest’ultima invocata dalla mera violazione, ad opera dei convenuti, della disposizione di natura regolamentare in precedenza menzionata che vieta di destinare `gli alloggi a uso collegi, quasi si trattasse di un danno in re ipsa non bisognevole di prova: resta comunque sullo sfondo se, ferma rimanendo la legittimazione del Condominio ad invocare il rispetto delle disposizioni del regolamento ad opera dei singoli condomini ed ad agire a tale scopo anche in via d’urgenza ex art.. 700 c.p.c., il Condominio possa altresì agire a tutela della tranquillità e sicurezza dei condomini all’interno degli spazi comuni in luogo di questi ultimi a presidio di beni giuridici spettanti ai singoli compartecipi”.
Gioverà infine osservare che Giudice relatore nel procedimento di reclamo è il dr. Giacomo Rota, noto e profondo studioso della materia condominiale.

© massimo ginesi

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