l’assemblea non può imporre ai condomini di pulire le scale condominiali: la delibera è nulla.

Un caso curioso (ma non così infrequente), che prende le mosse da Chiavari , ove in un condominio l’assemblea ha deliberato di dismettere il servizio di pulizia scale e stabilire che ciascun condomino provvederà a turno alla pulizia e, ove non intenda farlo, dovrà pagare qualcuno che  lo faccia in sua vece.

Il Tribunale di Chiavari aveva ritenuto nulla la delibera, che invece la Corte di Appello di Genova ha ritenuto corretta; la Corte di legittimità (Cass.Civ.  sez.VI-2 ord. 13 novembre 2018 n. 29220 rel. Scarpa) ha cassato la sentenza di secondo grado, poiché una simile decisione finisce per incidere sul criterio legale di ripartizione, certamente derogabile, ma solo mediante convenzione e non con delibera maggioritaria.

Osserva la corte: “deve ribadirsi che una deliberazione adottata a maggioranza di ripartizione degli oneri derivanti dalla manutenzione di parti comuni, in deroga ai criteri di proporzionalità fissati dagli artt. 1123 e ss. c.c., seppur limitata alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, va ritenuta nulla per impossibilità dell’oggetto, giacché tale statuizione, incidendo sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata dalla legge o per contratto, eccede le attribuzioni dell’assemblea e pertanto richiede, per la propria approvazione, l’accordo unanime di tutti i condomini, quale espressione della loro autonomia negoziale (Cass. Sez. 2, 16/02/2001, n. 2301; Cass. Sez. 2, 04/12/2013, n. 27233; Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651).

Si ha riguardo, nella specie, a delibere assembleari che, essendo stato revocato l’appalto affidato dal condominio a terzi per la pulizia delle scale, hanno stabilito che tale incombenza spetti a turno ai singoli partecipanti, i quali, ove non intendano sobbarcarsi personalmente l’opera, possono farsi sostituire da terzi sopportandone i costi

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale più recente, la ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano a cui esse servono, in applicazione analogica, in parte qua, dell’art. 1124 c.c., il quale è espressione del principio generale posto dall’art. 1123, comma 2, c.c., e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi (Cass. Sez. 2, 12/01/2007, n. 432) .

Come tutti i criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, anche quello inceente alle spese di pulizia e di illuminazione delle scale può essere derogato mediante convenzione modificatrice della disciplina codicistica contenuta o nel regolamento condominiale “di natura contrattuale”, o in una deliberazione dell’assemblea approvata all’unanimità da tutti i condomini (Cass. Sez. 2, 04/08/2016, n. 16321; Cass. Sez. 2, 23/12/2011, n. 28679; Cass. Sez. 2, 26/03/2010, n. 7300; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

È in ogni caso necessario, perché sia giustificata l’applicazione di un criterio di ripartizione delle spese diverso da quello legale, commisurato alla quota di proprietà di ciascun condomino, che la deroga convenzionale sia prevista espressamente (Cass. Sez. 2, 29/01/2000, n. 1033).

La «diversa convenzione» ex art. 1123 c.c. può, peraltro, essere adottata anche in funzione non “normativa”, e cioè non per sostituire statutariamente il titolo negoziale a quello legale o regolamentare nella relativa disciplina, bensì con riguardo al riparto di una singola spesa o di una specifica gestione.

Tuttavia, poiché pure in tal caso la convenzione viene ad incidere sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, essa non può essere rimessa all’espressione della regola collegiale sintetizzata dal principio di maggioranza, ma deve comunque fondarsi su una deliberazione unanime, non limitata ai presenti all’assemblea (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Come già considerato, il dovere dei condomini di contribuire alle spese in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare o all’utilità che traggano del bene o dal servizio comune trova la sua fonte nel diritto dominicale di condominio, e perciò non può rientrare nelle attribuzioni dell’assemblea una potestà di deroga ai criteri legali di cui agli art. 1123 e ss. c.c.

A tali principi non si è uniformata l’impugnata sentenza, avendo essa incomprensibilmente ritenuto le delibere impugnate concernenti “le modalità di esecuzione delle spese di pulizia delle scale”, ovvero attinenti “all’organizzazione ed al funzionamento delle cose comuni”. Le delibere impugnate non rivelano, invece, una portata meramente organizzativa, concernente soltanto le modalità d’uso delle cose comuni, o la gestione ed il funzionamento dei servizi condominiali, materie certamente rientranti nelle competenze collegiali.

Va conclusivamente affermato che il diritto-dovere di ciascun condomino, ex art. 1118 c.c., di provvedere alla manutenzione delle cose comuni comporta certamente non solo l’obbligo di sostenere le spese, ma anche tutti gli obblighi di facere e di pati connessi alle modalità esecutive dell’attività manutentiva, rimanendo tuttavia affetta da nullità la delibera dell’assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condomini espresso in apposita convenzione, si modifichino a maggioranza i criteri legali o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell’interesse comune (quale quello di pulizia delle scale), venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso l’imposizione, come nelle specie, di un obbligo di facere, ovvero di un comportamento personale, spettante in egual misura a ciascun partecipante e tale da esaurire il contenuto dell’obbligo di contribuzione”

© Massimo Ginesi 14 novembre 2018 

 

nomina giudiziale amministratore: non si applica il principio della soccombenza.

Il ricorso di volontaria giurisdizione per la nomina di amministratore (ex art. 1129 comma I cod.civ. ) introduce un procedimento con finalità amministrative che non ha natura contenziosa ed al quale non si applica il principio della soccombenza previsto dall’art. 91 c.p.c.: chi propone la domanda, dunque, si accollerà le relative spese e legittimamente il giudice del merito si asterrà dal disporre sul punto.

il relativo provvedimento non è ricorribile per cassazione: è quanto statuisce con una articolata sentenza  Cass.Civ. sez. II 11/10/2018,  n. 25336, che richiama le sezioni unite 20957/2004.

in conformità al principio sancito dalle Sezioni unite con la sentenza n. 20957/2004 (riconfermato, con riguardo al profilo principale, da tutta la giurisprudenza successiva: v. Cass. n. 8085/2005; Cass. n. 25928/2005 e Cass. n. 14524/2011, ord.), relativa al procedimento per la nomina o revoca di amministratore condominiale adottato in sede di reclamo dal giudice della volontaria giurisdizione, deve affermarsi che il ricorso per cassazione è ammissibile solo ove si sia (illegittimamente) provveduto alla regolazione delle spese del procedimento, mentre – nell’ipotesi di non luogo a provvedere sul punto (come ha correttamente disposto il Tribunale di Milano nel caso di specie in cui in virtù della ritenuta natura sostanzialmente amministrativa del procedimento) – non può considerarsi propriamente ammissibile…

Del resto, in altra importante pronuncia (sentenza n. 18730/2005, opportunamente richiamata dal Tribunale ambrosiano), questa Corte ha avuto modo di evidenziare come, proprio ai fini della risoluzione della questione in esame, sia rilevante sottolineare gli elementi caratterizzanti l’attività di giurisdizione volontaria, nel cui ambito il giudice non è chiamato a decidere su controversie sorte tra parti contrapposte per la tutela di diritti, ma alla emissione di provvedimenti finalizzati alla soddisfazione di privati interessi senza contesa tra le parti, concorrendo così alla costituzione di rapporti giuridici nuovi o allo svolgimento di quelli esistenti.

In tale contesto rientra, quindi, anche il provvedimento dell’autorità giudiziaria relativo alla nomina dell’amministratore di condominio (sia esso di accoglimento o di rigetto dell’istanza di uno o di più condomini, che, peraltro, non è qualificato espressamente come reclamabile, a differenza di quello adottato in ordine alla revoca: cfr. Cass. n. 9942/1996), in quanto inidoneo al giudicato e non destinato ad incidere su posizioni di diritto soggettivo, essendo modificabile e revocabile in ogni tempo anche con efficacia “ex tunc”, cosicchè proprio per tali considerazioni si afferma l’inammissibilità del ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost..

Pertanto il provvedimento camerale relativo alla istanza di nomina o di revoca dell’amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra condomini, si risolve in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo privo dell’attitudine a produrre gli effetti del giudicato su posizioni soggettive in contrasto, essendo finalizzato soltanto alla tutela dell’interesse generale e collettivo del condominio ad una sua corretta amministrazione.

Dalle considerazioni esposte consegue che nei procedimenti di volontaria giurisdizione in questione non trovano applicazione le regole di cui all’art. 91 c.p.c. e ss., le quali postulano l’identificazione di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo effettivamente contenzioso.

Di conseguenza, le evidenziate caratteristiche del procedimento ex art. 1129 c.c., comma 1, di nomina dell’amministratore di condominio (quand’anche sia stato inammissibilmente proposto reclamo avverso il relativo decreto, come accaduto nella fattispecie) comportano l’inapplicabilità delle disposizioni di cui all’art. 91 c.p.c. e ss., cosicchè le spese del procedimento devono rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate proponendo il ricorso per la nomina dell’amministratore o resistendo a tale iniziativa giudiziaria.

3. In definitiva, avendo il Tribunale di Milano (in composizione collegiale) – sez. Volontaria Giurisdizione legittimamente statuito nel senso del non luogo a provvedere sulle spese all’esito del procedimento di reclamo (dichiarato inammissibile), ne consegue che il proposto ricorso straordinario per cassazione deve essere ritenuto inammissibile (mentre lo sarebbe stato se, al contrario e malgrado le descritte caratteristiche del procedimento in questione, avesse illegittimamente provveduto sulle spese stesse, applicando la disciplina generale del procedimento contenzioso).”

© massimo ginesi 13 ottobre 2018

 

contestazione del verbale di assemblea ed onere della prova

Un condomino, presente in assemblea, afferma di essersi allontanato prima della votazione – circostanza che non risulta dal verbale, ove invece si afferma che costui avrebbe votato a favore della delibera – e pertanto impugna la delibera.

Ciò avviene diversi mesi dopo, poiché anche l’invio del verbale – a detta del condomino – è stato incompleto e la copia inviata dall’amministratore non avrebbe compreso la parte dedicata alle presenze.

Il caso è affrontato da una recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 5 novembre 2018), ove si richiama un costante orientale to di legittimità, che pone a carico di colui che intende contestare la verbalizzazione l’onere di provare l’asserito diverso svolgimento dei fatti:

Tuttavia tali mezzi non si sono rivelati utili a provare i  fatti  costitutivi  della  domanda,  onere che incombeva all’attore ex art 2697 comma I c.c.

Fra tali oneri deve comprendersi anche quanto si deduce essere difforme dal verbale (ex multis Cassazione civile, sez. VI, 11/08/2017, n. 20069),  circostanza  che poi si riverbera necessariamente sia sulla tempestività della impugnazione così come sui motivi di doglianza… di talché – in assenza di prova puntuale sul punto – deve farsi fede a quanto riportato nel verbale.

Quanto testè esposto dirime anche la questione circa la tempestività della impugnazione che, in quanto volta a far rilevare il proprio voto contrario, va ricondotta al termine di cui all’art. 1137 c.c., che per il condomino presente decorre dal giorno della riunione.

Del tutto non provato appare, in ogni caso,  anche  il  dedotto  lacunoso  invio  del  verbale (che di per sé non attesta l’assenza del C., essendo stato provato per testi che l’invio a  tutti costituisce prassi in quel condominio) poiché l’unico  teste  che  riferisce  che  nella  busta ricevuta dall’attore non vi erano tutti i fogli è il  nipote  che,  a  fronte  di  tanta  sicumera sul contenuto del plico, non è poi in grado  di  precisare  neanche  il  numero dei fogli ivi contenuti, sì che la dichiarazione  deve  ritenersi  inidonea  a  provare  quanto  dedotto dall’attore e, dunque, l’azione risulterebbe intempestiva anche rispetto  a  tale evento.

Ne deriva che – non risultando provata nè tempestività né legittimazione all’intimazione (conseguente all’assenza o al voto contrario), la domanda deve essere respinta.

Domanda che peraltro risulta del tutto inconferente anche nel merito: l’erronea verbalizzazione non integra, in sé, vizio del relativo deliberato ove non sia  a  sua  volta  indice di voti erroneamente attribuiti o di maggioranze non idonee, tutti elementi  che l’attore non ha minimamente dedotto.

L’intera impugnativa deduce un vizio di nullità/annullabilità poiché nel verbale non sarebbe menzionata la circostanza che l’attore non era presente alla votazione,  senza dedurre però alcuno specifico vizio della delibera (diverso dalla erronea imputazione di voto).

Poiché non è consentito al Giudice ex art 112 c.p.c. esaminare profili diversi da quelli specificamente dedotti (Cassazione civile, sez. VI, 25/06/2018, n. 16675), la domanda dell’attore sarebbe comunque destituita di fondamento nel merito – poiché anche a voler ritenere provata la sua mancata votazione e sussistente la sua legittimazione ad impugnare – non sono stati dedotti vizi specifici della delibera (che con riguardo ai punti 1 e 2, anche dedotto il valore millesimale  del  C.,  raggiunge  comunque  i  quorum  previsti dall’art. 1136 c.c. e, quanto al punto 3    lavori  straordinari,  si  tratta  di  delibera non suscettibile  di  autonoma  impugnativa,  trattandosi  di  mera  decisione  interlocutoria  in cui non viene assunto uno specifico onere di spesa, che viene rimesso a successiva decisione).

Tantomeno appaiono conferenti i vizi formali rilevati, posto che l’indicazione dei presenti e dei votanti (anche nella sintetica forma all’unanimità, laddove i partecipanti siano nominativamente indicati in apertura del verbale) consente pieno controllo sulla legittimità del voto (Cassazione civile, sez. II, 23/09/2016, n. 18754)”

© massimo ginesi 12 novembre 2018

il singolo condomino non può impugnare la sentenza sfavorevole al condominio

salvo che si tratti di azioni reali, destinate ad incidere direttamente sulla sfera giuridica dei singoli, l’unico legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al condominio è l’amministratore, sì che l’eventuale impugnativa promossa da singoli condomini andrà dichiarata inammissibile.

E’ quanto statuisce una recente sentenza di legittimità (Cass.Civ.  sez.II  20 ottobre 2018 27416 rel. Scarpa) – richiamando consolidato orientamento -con riferimento alla pronuncia di merito sulla impugnativa di una delibera, in cui il condominio era risultato soccombente: “Si impone un rilievo pregiudiziale, che induce a ravvisare l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso per cassazione è stato proposto da L.A. , C.N. , B.S. e S.A. , singoli condomini del Condominio (OMISSIS) , laddove la sentenza oggetto di ricorso era stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio (OMISSIS) .

Il giudizio concerne un’impugnazione di deliberazione assembleare ex art. 1137 c.c. in tema di ripartizione di spese. Per consolidato orientamento di questa Corte, spetta in via esclusiva all’amministratore del condominio la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni (Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286; Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379).

Nella specie, si tratta di impugnativa di deliberazione dell’assemblea condominiale relativa alla ripartizione di spese relative alla sostituzione delle finestre del vano scala.

L’impugnativa era fondata sull’assunta violazione dei criteri di suddivisione stabiliti dalla legge, ed era quindi volta ad ottenere una pronuncia di invalidità della deliberazione assembleare, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun condomino, e, passivamente, come accennato, soltanto l’amministratore del condominio, senza necessità di partecipazione al giudizio dei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 15/04/1994, n. 3542).

La legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose ed i servizi collettivi promossi dal condomino dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi (Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198).

Da ciò consegue, come ancora di recente ribadito da questa Corte, che, nelle controversie concernenti impugnativa ex art. 1137 c.c. delle deliberazioni dell’assemblea relative alla ripartizione delle spese per le cose e per i servizi comuni, nelle quali è unico legittimato passivo l’amministratore di condominio, non è ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio.

Il potere di impugnazione del singolo condomino viene, infatti, generalmente riconosciuto nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante.

Mentre (secondo l’orientamento del tutto prevalente di questa Corte, che il collegio intende qui ribadire) non va consentita l’impugnazione individuale relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, bensì la gestione di esso, intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, nelle quali non v’è correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini, quanto con un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, giacché, nelle cause di quest’ultimo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo finisce per escludere la possibilità d’impugnazione da parte del singolo condomino (Cass. Sez. 2, 31/01/2018, n. 2411; Cass. Sez. 2, 12/12/2017, n. 29748; Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19223; Cass. Sez. 2, 04/05/2005, n. 9213; Cass. Sez. 2, 03/07/1998, n. 6480; Cass. Sez. 2, 12/03/1994, n. 2393).

Tale profilo non è direttamente coinvolto dalla decisione, rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27101 del 2017, sulla più generale questione di diritto concernente la permanente legittimazione del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) all’impugnazione di qualsiasi sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, alla luce dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014. . 

© massimo ginesi 8 novembre 2018

una discutibile pronuncia di legittimità sul pari uso della cosa comune

Un’ordinanza  con cui la corte di cassazione (Cass.Civ. sez.II 5 novembre 2018 n. 28111), respingendo in rito un ricorso poiché illecitamente volta la riesame nel merito delle statuizioni di secondo grado,  induce ad  una poco condivisibile lettura dell’art. 1102 cod.civ.

Un condomino installa un serbatoio dell’acqua in un ripostiglio  condominiale, iniziativa che di fatto impedisce agli altri condomini un utilizzo analogo del bene comune: tuttavia tale condotta  viene ritenuta legittima, sull’assunto che il diritto al pari uso degli altri condomini debba ritenersi  tale in concreto e non in senso potenziale.

una simile lettura finisce per legittimare una sorta di criterio della prevenzione nell’utilizzo dei beni comuni,  che rischia di essere poco compatibile con un sereno svolgimento della vita comune e che finisce per estendere il contenuto dell’art. 1102 cod.civ. ad utilizzi sino a pochi anni fa ritenuti illeciti se non adottati con il consenso di tutti gli aventi diritto (ad esempio in tema di terrazze a tasca)

 

Osserva la corte che

“a) l’uso paritetico della cosa comune, che va tutelato, deve essere compatibile con la ragionevole previsione dell’utilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare (ex multis, Sez. 2, n. 4617, 27/2/2007, Rv. 597449);
b) fermo restando che l’uso condominiale del piccolo locale, destinato a ripostiglio, sulla base di quanto accertato in sentenza, non era stato in alcun modo inciso dalla collocazione sospesa del serbatoio, è rimasto del pari accertato che la ricorrente, come, peraltro, gli altri condomini, non avevano alcuna attuale necessità di collocare un proprio serbatoio, impedito dalla installazione del D. , di talché gli apprezzamenti tecnici in ordine alla possibilità o meno di far luogo alla collocazione di altri serbatoi non assume rilievo;
c) più in generale, il ricorso non coglie la ratio decidendi: l’uso paritetico deve essere valutato in concreto e non in astratto e da una tale analisi emergeva che né la ricorrente, né, peraltro, altri condomini presentavano una tale esigenza”

© massimo ginesi 7 novembre 2018

il regolamento non può vietare il distacco (ma può obbligare alle spese il distaccato)

una interessante pronuncia della Cassazione (Cass.Civ.  sez.II ord. 2 novembre 2018 n. 28051 rel. Scarpa) chiarisce che il complesso di norme a rilievo  pubblicistico    che governano la materia dell’energia e del conseguente miglior uso delle risorse devono far ritenere nulla la norma regolamentare che vieti tout court il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento – anche in quelle ipotesi ove ciò non comporti aggravio o si risolva addirittura in un miglior sfruttamento delle risorse – ma non quella che, pur consentendo il distacco, preveda il permanere di un onere patrimoniale in capo al distaccato (l’ipotesi esaminata dalla corte  si sottrae, ratione temporsi,  all’applicazione del novellato art. 1118 cod.civ.)

La Corte d’appello di Torino ha rigettato l’impugnazione della deliberazione assembleare del 1 marzo 2011 del Condominio (omissis), proposta dal condomino A.L. , deliberazione relativa all’approvazione dei rendiconti e dei preventivi di gestione del servizio di riscaldamento ed al rifiuto della proposta transattiva avanzata dallo stesso condomino A.in riferimento al distacco operato dall’impianto centralizzato nel 1993, valutando la conformità di tale delibera ad alcune disposizioni del regolamento condominiale, dalle quali i giudici di appello hanno desunto l’esistenza di un valido divieto regolamentare di distacco.

Non è applicabile ratione temporis, ai fini del giudizio di validità della deliberazione impugnata, l’art. 1118, comma 4, c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012, pur influendo tale sopravvenuta disposizione sulla permanente efficacia delle clausole dei preesistenti regolamenti di condominio.

Ora, le disposizioni regolamentari in esame (in particolare l’art. 9, comma 1) devono ritenersi valide ove interpretate nel senso che esse si limitino ad obbligare il condomino rinunziante a concorrere alle spese per l’uso del servizio centralizzato.

È stato, infatti, affermato dalla giurisprudenza come sia legittima la delibera assembleare la quale disponga, in esecuzione di apposita disposizione del regolamento condominiale avente natura contrattuale posta in deroga al criterio legale di ripartizione dettato dall’art. 1123 c.c., che le spese di gestione dell’impianto centrale di riscaldamento siano a carico anche delle unità immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio (per avervi rinunciato o essersene distaccati), tenuto conto che la predetta deroga è consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica (Cass. Sez. 6 – 2, 18 maggio 2017, n. 12580; Cass. Sez. 2, 23 dicembre 2011, n. 28679; Cass. Sez. 2, 20 marzo 2006, n. 6158; Cass. Sez. 2, 28 gennaio 2004, n. 1558).

Non è invero ravvisabile nella previsione che il rinunziante all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento debba concorrere alle sole spese per la manutenzione straordinaria o alla conservazione dell’impianto stesso, una norma imperativa non derogabile nemmeno con accordo unanime di tutti i condomini, in forza di vincolo pubblicistico di distribuzione degli oneri condominiali dettato dall’esigenza dell’uso razionale delle risorse energetiche e del miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, ed essendo perciò i condomini liberi di regolare mediante convenzione il contenuto dei loro diritti e dei loro obblighi mediante una disposizione regolamentare di natura contrattuale che diversamente suddivida le spese relative all’impianto.

Rimane tuttavia nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti.

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale di questa Corte, infatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la disciplina legislativa inderogabile emergente dagli artt. 1118, comma 4, c.c., 26, comma 5, L. n. 10 del 1991 e 9, comma 5, d.lgs. n. 102 del 2014 (come modificato dall’art. 5, comma 1, lettera i, punto i, del d.lgs. 18 luglio 2016, n. 141), diretta al perseguimento di interessi sovraordinati, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o “non meritevole di tutela” (Cass. Sez. 2, 12 maggio 2017, n. 11970; Cass. Sez. 2, 29 settembre 2011, n. 19893; Cass. Sez. 2, 13 novembre 2014, n. 24209).

Conseguono l’accoglimento del primo motivo di ricorso, l’assorbimento del secondo motivo e la cassazione della sentenza impugnata, nei limiti della censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Torino, che sottoporrà la causa a nuovo esame uniformandosi ai principi richiamati e provvederà altresì a liquidare le spese del giudizio di cassazione.”

© massimo ginesi 6 novembre 2018

 

l’amministratore cessato dall’incarico può agire per il rimborso delle anticipazioni contro il condominio e contro i singoli condomini.

L’amministratore che sia cessato dall’incarico e vanti un credito nei confronti del condominio per anticipazioni (ma il principio vale certamente anche per i compensi), può agire sia nei confronti del condominio in persona del nuovo amministratore che contro i singoli, in quest’ultimo caso limitatamente alla quota di ciascuno.

Lo riafferma  la Cassazione in una recente ordinanza (Cass.Civ. sez. II 29 ottobre 2018 n. 27363), che se si assesta su esiti pacifici e consolidati per quel che attiene al tema specifico, mostra invece di utilizzare immutati schemi interpretativi mutuati dalle sezioni unite del 2008 (e dal precedente del 1996) sulla parziarietà e la natura dell’obbligazione condominiale, tema che ben potrebbe oggi essere  opportunamente  ripensato anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 63 disp.att. cod.civ. introdotta dalla L. 220/2012.

Va qui ribadito che l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del Condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore mandatario le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione e per effetto di essa, e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Soltanto ove l’ex amministratore del condominio agisca nei confronti dei singoli condomini per ottenere il rimborso di dette somme anticipate, ha rilievo il principio della limitazione del debito nei limiti delle rispettive quote, ex art. 1123 c.c..

Occorre, invero, considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al Condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (Cass. n. 1851 del 2017; cfr. Cass. n. 8530 del 1996; Cass. Sez. Un. n. 9148 del 2008; Cass. n. 14530 del 2017).

Dunque, la natura parziaria dell’obbligazione non limita la rappresentanza processuale dell’amministratore, il quale può indifferentemente evocare in giudizio i singoli condomini morosi, oppure il Condominio in persona dell’amministratore pro tempore, conseguendo così, in entrambi i casi, un titolo da mettere in esecuzione avverso i singoli condomini per la quota di rispettiva competenza, operando la parziarietà come regola di imputazione interna del debito.”

© massimo ginesi 2 novembre 2018