Abbattimento barriere architettoniche e condominio: una interessante pronuncia del Consiglio di Stato.

Un soggetto, portatore  di handicap, intende realizzare un varco di accesso su un muro perimetrale del fabbricato condominiale e presenta a tal fine  DIA  alla pubblica amministrazione: ne nasce una complessa vicenda dapprima amministrativa e poi giudiziale in cui il TAR “Ravvisò l’assenza del titolo di legittimazione a richiedere la DIA per le opere di straordinaria manutenzione in mancanza del nulla osta condominiale”.

Dopo due passaggi dinanzi la Tribunale amministrativo regionale la vicenda finisce dinanzi al Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, sez. IV, 27/01/2017, n. 353) che ha occasione di sottolineare due importanti principi.

Non occorre il consenso degli altri condomini per l’ottenimento di titolo amministrativo volto alla realizzazione di opere riconducibili alla L. 13/1989: “se è vero che nella DIA manca ogni esplicito richiamo alla legge n. 13 del 1989, è innegabile che altrettanto esplicitamente la richiesta è effettuata da un condòmino invalido al 100% per risolvere il problema dell’accesso con l’auto alla sua abitazione. Inoltre, è innegabile che la sentenza del 2013, che aveva condannato l’amministrazione a concludere la verifica dell’istanza presentata dal privato, aveva espressamente chiesto di fare la verifica alla luce della disciplina “di portata derogatoria ed ispirata ad inequivoco favor nei confronti dei soggetti portatori di handicap”, di cui alla legge in argomento.
Dalla erronea mancata riconduzione dell’intervento alla legge di favore è derivata, poi, l’illegittimità erroneamente ravvisata per non avere il provvedimento verificato la disponibilità dell’immobile in capo al richiedente mediante l’esibizione dei nulla osta rilasciati dai due condomìni. Infatti, se – all’esito della valutazione della documentazione presentata dal privato da parte della Amministrazione -l’intervento rientrava nell’ambito delle opere che non sono sottoposte a titolo abilitativo (art. 6, comma 1, lett. b, TUE, nella versione applicabile ratione temporis), ogni verifica della disponibilità dell’immobile in capo all’istante sotto il profilo del nulla osta dei condomìni A e B al fine di avanzare istanza per il rilascio del titolo abilitativo è superflua e, correttamente, pertanto, l’Amministrazione non l’ha compiuta.
Comunque, in presenza di un’istanza all’Amministrazione era sufficiente verificare – come è stato fatto richiamando la qualità di condòmino con disabilità al 100% – l’esistenza di una posizione qualificata con la cosa, idonea – fermi restando i diritti dei terzi – a legittimare il portatore di handicap, proprietario dell’appartamento di cui fa parte il condominio, ad avanzare una richiesta per lavori volti ad eliminare barriere architettoniche. Posizione qualificata sicuramente esistente per una richiesta di titolo abilitativo non necessario (art. 6 cit.), se si considera che, ai sensi di legge (art. 78, comma 2, TUE, riproduttivo dell’art. 2 della l. n. 13 del 1989), il portatore di handicap può financo realizzare a proprie spese alcune opere per le quali il titolo abilitativo sia richiesto (es. allargamento porta di accesso all’immobile) se non ottiene il nulla osta del condominio.
Resta da precisare che le opere in argomento, per l’identificazione delle quali non vi è discussione tra le parti, consistono nella realizzazione di un varco di accesso con cancello scorrevole nel muro perimetrale comune. Esse rientrano, all’evidenza, tra quelle di edilizia libera si cui all’art. 6 in argomento, nella formulazione applicabile ratione temporis, essendo escluse dalle opere libere solo quelle che comportano la realizzazione di rampe, di ascensori esterni, di manufatti che alterino la sagoma dell’edificio.
Né vi è nella specie alterazione della sagoma dell’edificio. Infatti, secondo la giurisprudenza consolidata, la sagoma è la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti (ex plurimis, C.d.S, VI, n. 1564 del 2013); conseguente è l’esclusione dell’alterazione della sagoma in caso di aperture che, come nel caso di specie, non prevedano superfici sporgenti (Cass. pen., n. 19034 del 2004)”.

Il giudice amministrativo non può effettuare valutazioni sulla lesività della innovazione: “il giudice ha omesso di fermarsi al confine della valutazione del rapporto privato/amministrazione, l’unico rilevante nell’ottica del giudizio di annullamento di un atto emanato all’esito della conclusione del procedimento di verifica delle condizioni della DIA. Invece, ha invaso il campo, riservato al giudice civile, dei rapporti tra privati, soffermandosi sull’art. 1120, ultimo comma c.c., in riferimento al divieto, anche per il portatore di handicap, di opere su bene comune che limitino l’uso comune degli altri condomini. Quindi, quanto il giudice dice circa l’oggettiva impossibilità di utilizzo a favore di tutti i condomini (sia del varco, sia della parte retrostante al varco), con conseguente divieto dell’opera ex art. 1120 c.c., non poteva essere oggetto di esame, essendo il giudice amministrativo chiamato a pronunciarsi sulla legittimità dell’atto che qualifica di edilizia libera le opere per le quali era stato richiesto un inutile titolo abilitativo. Se il condominio ritiene che le opere realizzate ledano l’uso comune di parti comuni agli altri condòmini, potrà, eventualmente, rivolgersi al giudice civile.”

© massimo ginesi 14 febbraio 2017

tabelle millesimali: valgono le condizioni del fabbricato al momento della loro adozione.

Le tabelle millesimali rappresentano un infinito territorio di disputa, con particolare riguardo alla possibilità di modifica in caso di variazioni o di errore.

La Suprema Corte (Corte di Cassazione, sez. II Civile,  9 febbraio 2017, n. 3516) torna, ancora un volta, sul tema per ribadire principi ormai consolidati.

La Corte è chiamata a valutare se l’omessa realizzazione di un garage, ancora in sede progettuale all’epoca  di compilazione delle tabelle e mai realizzato, consenta oggi di chiedere la revisione dei valori millesimali.

La pronuncia fa ancora riferimento alle frazioni di notevole valore, applicando (ratione temporis) l’art. 69 disp.att. cod.civ. nella sua formulazione ante legge 220/2012, per cui oggi si avrà riguardo a variazioni superiori ad un quinto; il criterio espresso mantiene comunque la sua rilevanza a fronte della norma attualmente vigente.

L’omessa realizzazione di un manufatto (in ispecie il garage) non può comportare automaticamente la revisione delle tabelle millesimali.
La mancata realizzazione del manufatto medesimo “imputabile (secondo la Corte di merito) all’inerzia dei titolari” non solo non può dar luogo “al ricadere delle conseguenze sugli altri condomini”, ma deve, innanzitutto (e al di là di quanto affermato dalla gravata decisione), comportare una adeguata e comprovata modificazione rispetto a quella in origine valutata alla fine della composizione delle tabelle millesimali.
Inoltre, ancora, solo una notevole alterazione dell’originario rapporto fra le parti dell’edificio potrebbe comportare – ex art. 69, n. 2) Disp. Att. c.c.) – la revisione tabellare.
Al riguardo, giova ancora evidenziare, la Corte di merito ha deciso conformemente al principio già enunciato da questa Corte (Cass. 10 febbraio 2010, n. 3001) e parti ricorrenti non allegano. idonee argomenti atti a mutare il suddetto applicato orientamento.”

La sentenza del 2010 richiamata dalla Corte completa  la chiave di lettura “momento normativo di individuazione dei valori delle unita’ immobiliari di proprieta’ esclusiva ai singoli condomini, e del loro proporzionale ragguaglio in millesimi a quello dell’edificio, e’ quello di adozione del regolamento e che la tabella che li esprime e’ soggetta ad emenda soltanto in relazione ad errori, di fatto o di diritto, che attengano alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unita’ immobiliari, ovvero a circostanze sopravvenute attinenti alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.
In ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati dalle tabelle millesimali, sono escluse, dunque, sia la revisione che la modifica delle tabelle tanto per errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, quanto per mutamenti successivi dei criteri di stima della proprieta’ immobiliare, quand’anche abbiano comportato una rivalutazione disomogenea delle singole unita’ dell’edificio od alterato, comunque, il rapporto originario tra il valore delle singole unita’ del condominio e tra queste e l’edificio. Nel caso in cui venga chiesta la revisione delle tabelle, l’errore o gli errori lamentati devono, dunque, oltre che essere causa di una divergenza apprezzabile tra i valori posti a base della redazione delle tabelle e quello allora effettivo, risultare anche oggettivamente verificabili in base agli elementi sui quali il valore in quel momento doveva essere calcolato (cfr.: Cass. civ., sez. un., sent. 24 gennaio 1997, n. 6222).”

© massimo ginesi 13 febbraio 2017

mutamento di destinazione d’uso e regolamento contrattuale: due giri in cassazione.

Una vicenda davvero particolare, se non altro per il tortuoso iter processuale, quella affrontata da Corte di Cassazione, sez. I Civile  7 febbraio 2017, n. 3221.

Un soggetto trasforma dei vani tecnici posti in condominio in unità abitative,   tale attività viene ritenuta dal Condominio contraria al regolamento contrattuale che vieta il mutamento di destinazione in talune ipotesi.

La vicenda processuale ha inizio nel lontanissimo 1992 e  oggi ritorna ancora una volta, dopo 25 anni, al giudice di merito che dovrà nuovamente pronunciarsi.

“Con citazione notificata il 5 ottobre 1992, il Condominio dello stabile di via (…), lotti (…), di (omissis) , denominato “(omissis) “, costituito da due edifici per civile abitazione con sottostante zona adibita a parcheggio, conveniva dinanzi al tribunale di Bari il costruttore del fabbricato, signor A.M. , lamentando come costui avesse modificato talune porzioni immobiliari ad uso non abitativo rimaste in sua proprietà – e precisamente dieci piccole cantine (o “cantinole”) al piano seminterrato e due volumi tecnici sul lastrico solare – trasformandole in appartamentini ammobiliati, corredati da servizi igienici collegati all’impianto idrico e fognario del complesso condominiale; il Condominio chiedeva, quindi, che l’A. fosse condannato alla demolizione delle opere abusivamente eseguite e, in subordine, che gli fosse vietato di adibire ad abitazione i menzionati locali scantinati e volumi tecnici, con condanna del medesimo convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’uso illegittimo dí detti locali.

Nel 2000 Il Tribunale di Bari “ accoglieva la domanda subordinata del Condominio e, per l’effetto, inibiva all’A. di destinare le dieci cantinette interrate e i due volumi tecnici insistenti sul lastrico solare ad uso diverso da quello proprio di deposito, quanto alle prime, e di sede per impianti di interesse generale, quanto ai secondi”, sentenza confermata dalla Corte di Appello di Bari che osservava “la concessione in sanatoria ottenuta dall’A. concerneva solo il rapporto con la pubblica amministrazione e quindi era ininfluente nel rapporto fra í condomini, nel quale trovavano applicazione le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali in materia di edilizia – argomentava che il cambio di destinazione delle dieci cantinette e dei due vani insistenti sul lastrico solare contrastava con le disposizioni del regolamento condominiale di natura contrattuale e, per altro verso, aggravava le servitù a carico degli impianti condominiali”

Si perviene una prima volta a giudizio di Cassazione, che ritiene le pronunce infondate e nel 2012, con sentenza n. 16119/12, la Suprema Corte rinvia al giudice di merito  affinché pronunci nuovamente, attendendosi ai criteri dettati in sede di legittimità e che vale la pena riportare, poiché costituiscono significativa disamina della rilevanza del regolamento contrattuale che – ad avviso di tale giurisprudenza – deve essere interpretato in senso restrittivo e puntuale: “In tale situazione regolamentare, dunque, la Corte d’appello, lungi dal potersi limitare ad una mera elencazione di disposizioni regolamentari, avrebbe dovuto indicare le ragioni per le quali dal regolamento condominiale potesse desumersi il divieto di mutamento di destinazione delle cantinole e dei volumi tecnici sul lastrico solare. Ciò tanto più sarebbe stato necessario in presenza di una disposizione regolamentare, quale quella di cui all’art. 13, che, sotto la rubrica Osservanze, divieti e limitazioni, individua specifici divieti di mutamenti di destinazione sia per gli appartamenti che per il locale seminterrato stabilendo che: È vietato ai Condomini ed eventuali locatori: a) di destinare gli appartamenti ad uso di laboratorio, officine di qualsiasi azienda industriale o commerciale, anche se artigiana, di ambulatori o gabinetti per la cura di malattie infettive o contagiose, casa di salute di qualsiasi specie, dispensari, sanatori, magazzini, scuole di musica, di canto o di ballo, ed in genere a qualsiasi altro uso che possa turbare la tranquillità del Condominio e sia contrario all’igiene, alla decenza, o a buon nome del fabbricato; b) di destinare il locale seminterrato o anche parte di esso ad industrie rumorose o emananti esalazioni sgradevoli o nocive, ad opifici e stabilimenti In funzionamento notturno, a deposito di polveri piriche o di altri materiali facilmente infiammabili e comunque a qualsiasi destinazione che turbi il pacifico godimento singolo o collettivo degli appartamenti.”La Corte d’appello avrebbe quindi dovuto specificare le ragioni in base alle quali la disposizione relativa al locale seminterrato poteva ritenersi significativa nel senso del divieto di mutamento di destinazione dello stesso ad abitazione, espressamente non contemplato, e non dovesse piuttosto essere interpretata in un senso non preclusivo di un siffatto mutamento di destinazione, secondo un canone ermeneutico restrittivo che, come prima ricordato, deve ispirare l’interprete in considerazione della diretta incidenza delle norme regolamentari sul diritto di proprietà esclusiva dei singoli condomini interessati. Ed ancora, la Corte d’appello avrebbe dovuto chiarire se la destinazione in concreto data al locale seminterrato e ai volumi tecnici integrasse una destinazione idonea a turbare il pacifico godimento singolo o collettivo degli appartamenti, ovvero ancora se una siffatta destinazione potesse turbare la tranquillità del Condominio o fosse contraria all’igiene, alla decenza e al buon nome del fabbricato. Ma tali valutazioni sono del tutto assenti nella sentenza impugnata, non potendosi ritenere che le stesse siano state assorbite dal riferimento alla violazione della norma regolamentare in tema di servitù, attesa la non pertinenza della stessa rispetto alla questione oggetto del giudizio.
La Corte d’appello avrebbe inoltre dovuto illustrare le ragioni per le quali dalle singole norme richiamate in motivazione, quand’anche esaminate nel loro complesso e le une per mezzo delle altre, si poteva pervenire alla conclusione della esistenza, nel regolamento condominiale, del divieto di mutamento di destinazione dei locali di proprietà esclusiva dell’A. in abitazioni

Sostanzialmente, afferma la Corte, i divieti contenuti nel regolamento contrattuale devono essere interpretati in maniera restrittiva, onde non comprimere il diritto dominicale dei singoli in misura superiore a quanto il patto regolamentare  effettivamente esprime  e, soprattutto, in assenza di una previsione specifica sul mutamento dei fondi in abitazione, il giudice deve espressamente indicare le ragioni che lo inducono a ravvisare tale limitazione nella disposizione contrattuale.

Il giudizio perviene ad una nuova sentenza della Corte d’appello di Bari nel 2015, che nuovamente ritiene sussistente tale divieto, sulla scorta di nuove argomentazioni, che tuttavia attengono unicamente alla legittimità urbanistica dei beni trasformati: “a) Le “cantinole” ed i volumi tecnici adibiti ad abitazione non avevano ottenuto – né, per le loro caratteristiche, avrebbero potuto ottenere – la certificazione di abitabilità di cui all’articolo 221 del testo unico delle leggi sanitarie, vigente all’epoca dei fatti e successivamente sostituito dall’articolo 24 del d.p.r. 380/01. In proposito la corte barese evidenzia, sulla scorta dei rilievi del consulente tecnico di ufficio, come tali unità immobiliari difettino dei requisiti fissati dal decreto ministeriale 5/7/75 in ordine alle caratteristiche dimensionali e, quanto alle cantinette, in ordine alla presenza di finestre apribili. Nella sentenza gravata si argomenta altresì che il mancato rilascio del certificato di abitabilità non risulta superato dal rilascio della concessione in sanatoria, giacché tale concessione consentirebbe di derogare solo ai requisiti abitabilità o agibilità fissati da norme regolamentari e non, quindi, al requisito della salubrità fissato dall’articolo 221 del testo unico delle leggi sanitarie.
b) Il pregiudizio per l’igiene dei singoli appartamenti si rifletterebbe inevitabilmente, negativamente, sul profilo dell’igiene dell’intero condominio, determinando il peggioramento delle condizioni di igiene e salubrità dello stabile, per il maggior carico umano imprevisto e per il sovraccarico, fra l’altro, dell’impianto fognario.”

Nuovo giro in Cassazione che, ancora una volta, cassa con rinvio anche tale pronuncia; fra i diversi motivi di ricorso la Corte ritiene fondato il quarto” La corte barese argomenta, in primo luogo, che le “cantinole”, in quanto interrate, sarebbero prive di finestre e, in secondo luogo, che tutte le unità immobiliari in questione, ossia le cantinole e gli appartamentini sul lastrico, risulterebbero difformi dalle prescrizioni del D.M. 5/7/75 sotto il “profilo concernente il numero massimo di abitanti”.
L’affermazione della corte territoriale secondo cui il mancato rispetto dei requisiti fissati dal D.M. 5/7/75 implicherebbe non solo l’insalubrità delle unità immobiliari in questione, ma anche un pregiudizio per l’igiene dell’intero fabbricato, contiene effettivamente un salto logico, in quanto sovrappone la nozione di salubrità di una unità immobiliare con la nozione, che è quella rilevante ai fini dell’articolo 13 del regolamento condominiale, di contrarietà all’igiene dell’attività a cui l’unità immobiliare venga destinata (si veda l’elenco esemplificativo di tali attività contenuto nel detto articolo 13: “laboratorio, officine…, ambulatori o gabinetti…, casa di salute…, dispensari, sanatori, magazzini, scuole di musica, di canto o di ballo”)”.

LA suprema Corte “cassa la sentenza gravata e rinvia dunque alla corte d’appello di Bari, altra sezione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione”.

Che al terzo giro di rinvio le sezioni del giudice di appello pugliese comincino a scarseggiare?

© massimo ginesi 9 febbraio 2017

lastrico solare e danni: primi bagliori applicativi delle Sezioni Unite del 2016

Una recente sentenza (Corte di Cassazione, sez. II Civile 7 febbraio 2017, n. 3239) riprende i principi dettati da Cass. SS.UU  10/05/2016 n. 9449 e, correttamente, rileva che se  il danno agli immobili sottostanti sia imputabile ad una condotta ascrivibile unicamente al proprietario o usuario esclusivo del lastrico,   costui ne risponderà integralmente, per i noti  principi in tema di imputabilità e causalità, che precludono ogni riferimento al criterio dettato dall’art. 1126 cod.civ.

Osserva la Corte: “in materia di ripartizione delle spese di manutenzione di lastrici solari e terrazze a livello che provocano danni da infiltrazioni agli immobili sottostanti, le sezioni unite hanno di recente affermato che in tema di condominio negli edifici, qualora l’uso del lastrico solare (o della terrazza a livello) non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria;

il concorso di tali responsabilità va di norma risolto, salva la rigorosa prova contraria della specifica imputabilità soggettiva del danno, secondo i criteri di cui all’art. 1126 c.c., che pone le spese di riparazione o di ricostruzione per un terzo a carico del proprietario o dell’usuario esclusivo del lastrico (o della terrazza) e per i restanti due terzi a carico del condominio (v. Sez. U, Sentenza n. 9449 del 10/05/2016 Rv. 639821).
Il principio citato, affermato – come si è detto – in materia di riparto delle spese di riparazione per evitare danni da infiltrazioni negli appartamenti, vale logicamente anche nel caso di specie, in cui si discute pur sempre di danni da omessa manutenzione (ma anzi, forieri di ben più gravi conseguenze, rappresentate addirittura dal crollo della terrazza a livello).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte d’Appello di Catanzaro ha applicato seccamente la regola dell’art. 1126 cc ma non si è posta il preliminare problema di verificare, sulla scorta degli accertamenti peritali e delle altre risultanze processuali, l’imputabilità soggettiva del danno, e cioè di stabilire se le cause del crollo fossero ascrivibili ad un concorso di responsabilità dei due proprietari interessati oppure a fatto esclusivo del titolare del diritto di uso esclusivo della terrazza stessa che, come pure precisato dalle sezioni unite, ne è anche il custode, con tutti i doveri di cui all’art. 2051 cc.
L’indagine era assolutamente decisiva perché solo in caso di risposta positiva al primo quesito si sarebbe rivelata giuridicamente corretta la conclusione di applicare la regola del riparto di cui all’art. 1126 cod.civ..”

© massimo ginesi 8 febbraio 2017 

il cortile condominiale è area aperta al pubblico: l’accumulo di rifiuti può costituire reato

Le condotte emulative dei condomini, che spesso per ripicche personali fanno un uso disinvolto delle parti comuni, possono condurre a comportamenti penalmente rilevanti.

Lo ha stabilito la Cassazione (Corte di Cassazione, sez. I Penale,20 gennaio 2017, n. 2754), che ha ritenuto non sussistente il reato ove la condotta venga posta in essere in un’area privata e non aperta al transito indeterminato di persone o alla collettività condominiale.

Uno dei requisiti che caratterizza il reato di molestia (art. 660 c.p.) è che la condotta delittuosa venga posta in essere in luogo pubblioco o aperto al pubblico.

Il Tribunale di Como aveva condannato gli imputati : “ Il fatto imputato consisteva nell’avere recato disturbo e molestia al S. per petulanza e biasimevoli motivi, mediante un accumulo di materiale ferroso e legnoso all’interno del cortile comune e a ridosso del muro della finestra dell’abitazione del predetto.
A ragione della decisione il Tribunale osservava che la prova dei comportamenti molesti tenuti dagli imputati, consistiti nell’accumulo di legna, in quantità superiore al fabbisogno di una famiglia, e di una mole di materiale vario proprio in prossimità delle finestre del S., emergeva dalle dichiarazioni di quest’ultimo e dalla documentazione fotografica acquisita agli atti che ritraeva le condizioni di estrema sporcizia e disordine a ridosso del muro dell’appartamento della parte lesa.”

Gli imputati prpongono appello alla Corte di Milano che, per ragioni meramente processuali, lo trasmette al giudice di legittimità. I ricorrenti  ” Lamentano inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 660 cod. pen., deducendo che il teatro della condotta era un cortile nella loro esclusiva disponibilità, così difettando il requisito della fattispecie penale che prevede che la molestia sia arrecata in luogo pubblico o aperto al pubblico; contestano l’affermazione secondo la quale il muro del S. risultava aggredito dall’umidità e dagli insetti e che l’accumulo di legna ostruiva la visuale delle finestre aggettanti sul cortile, siccome smentita proprio dalla documentazione fotografica da essa richiamata; deducono l’insussistenza del requisito della petulanza o di altro biasimevole motivo, essendo le condotte contestate nient’altro che mal tollerate esplicazioni del pieno godimento di un bene di proprietà”

La Corte accoglie il ricorso, sul rilievo che il luogo ove sono avenuti i fatti non può essere inteso come luogo pubblico o aperto al pubblico e dunque difetta uno degli elementi tipizzanti la fattispecie penale.

E’ tuttavia assai interessante la motivazione, che fornisce – a contrario – l’indicazione che il cortile condominiale, ove aperto alla collettività dei condomini, costituisce indubitabilmente luogo aperto al pubblico.

Questa Corte, con specifico riferimento alla contravvenzione in esame, ha fissato il principio di diritto secondo il quale “si intende aperto al pubblico il luogo cui ciascuno può accedere in determinati momenti ovvero il luogo al quale può accedere una categoria di persone che abbia determinati requisiti. Devono, pertanto, essere considerati luoghi aperti al pubblico l’androne di un palazzo e la scala comune a più abitazioni (Sez. 6 n. 9888 del 6 giugno 1975, T., rv. n. 131021; adde: Sez. 1 n. 28853 del 16/06/2009, L., Rv. 244301).
Giova ribadire anche l’ulteriore principio di diritto secondo il quale per integrare il requisito della pubblicità del luogo di commissione del reato è sufficiente che, indifferentemente, il soggetto attivo ovvero quello passivo si trovino – almeno uno di essi – in luogo pubblico o aperto al pubblico (Cass., Sez. 1, 24 aprile 1986, n. 11524, F., Rv. 174068: “Ai fini del reato di cui all’art. 660 c.p., il requisito della pubblicità del luogo sussiste tanto nel caso in cui l’agente si trovi in luogo pubblico o aperto al pubblico ed il soggetto passivo in luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato, tanto nell’ipotesi in cui la molestia venga arrecata da un luogo privato nei confronti di chi si trovi in un luogo pubblico o aperto al pubblico”). 

Tanto premesso, e benché richiami proprio gli anzidetti principi, mostrando di conoscerli, la decisione impugnata prescinde dalla base fattuale a cui andava ancorata l’affermazione che il cortile ove si svolsero i fatti era luogo aperto al pubblico. E’ la stessa sentenza, infatti, a dare atto, nella parte motiva, che comproprietari del cortile erano soltanto i P. e le condomine M. e B., le quali hanno precisato di non vivere da anni nell’edificio ed hanno confermato l’uso esclusivo del cortile da parte degli imputati.
Se così è, e il Tribunale dà atto di tale evidenza, non contestata nemmeno dalla parte lesa che ha riconosciuto il carattere privato del cortile e il suo utilizzo pieno ed esclusivo da parte del P., padre e figlia, con i quali aveva avuto anche un contenzioso civile nell’anno 2007, deve ritenersi del tutto pacifico e fuori discussione che la condotta dei ricorrenti si è sviluppata in luogo privato e che in luogo privato si trovava il destinatario delle ritenute molestie.
Tanto esclude, all’evidenza, la rilevanza penale dei lamentati disturbi, difettando un requisito oggettivo della fattispecie.”

Giova infine osservare che l’accertata assenza di rilevanza penale dei fatti non preclude una la disamina della loro illiceità sotto il profilo civilistico da parte del Giudice a ciò deputato, poichè anche la condotta penalmente irrilevante può ben essere fonte di danno.

© massimo ginesi 7 febbraio 2017

 

Sciascia e la Francia …

“Se i disgustati … se ne andranno, rimarranno solo i disgustosi”

E’ una frase pronunciata nei giorni scorsi in Francia da Louis Comte, a proposito della situazione esistente nel suo partito, per spiegare le ragioni che lo avevano indotto a rimanere all’interno del gruppo, nonostante anni di gestione non felice.

Ed è una frase che si attaglia a molte delle realtà collettive che a chiunque, nel corso della vita, capita di frequentare.

Vi è però un momento e – soprattutto – vi sono alcune realtà che superano la sottile linea rossa del malumore costruttivo, fisiologico in ogni rapporto umano critico e dialettico, ossia quel limite – oltre il quale non si torna indietro – in cui si percepisce che il gruppo  è talmente  compromesso che rimanere farà transitare anche i disgustati nella detestabile categoria dei disgustosi.

Trovo la riflessione francese straordinariamente vicina alla celeberrima catalogazione che Leonardo Sciascia tratteggia ne “il giorno della civetta”.

“……… e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. “

© massimo ginesi 4 febbraio 2017

il cortile condominiale: un concetto ampio.

Il cortile quale bene identificato dall’art. 1117 cod.civ. è concetto decisamente più ampio della configurazione  che comunemente si intende per tale area.

Lo afferma Cass. civ. II sez. 31 gennaio 2017 2532 rel. Scalisi. “ il cortile, tecnicamente, è l’area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di più edifici,  che serve a dare luce e aria gli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo alla ampia  portata della parola e, soprattutto, alla funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell’edificio – quali gli spazi verdi, le zone di rispetto, le intercapedini, i parcheggi – che, sebbene non menzionati espressamente nell’articolo 1117 codice civile, vanno ritenuti comuni a norma della suddetta disposizione (Cass. n. 7889 del 9/6/2000). La comunione condominiale di beni di cui all’articolo 1117 codice civile presunta e tale presunzione legale può essere superata dalla prova di un titolo contrario, che si identifica nella dimostrazione della proprietà esclusiva del bene in capo un soggetto diverso

© massimo ginesi 3 febbraio 2017

i lavori straordinari non urgenti ordinati dall’amministratore non sono riferibili al condominio.

Una ditta che ha eseguito opere di manutenzione straordinaria al fabbricato condominiale non è stata saldata e ottiene decreto ingiuntivo nei confronti del condominio, il Condominio propone opposizione e chiede di chiamare a garanzia il precedente amministratore, che aveva ordinato quei lavori in assenza di alcuna delibera assembleare.

La Cassazione riafferma un principio importante in tema di responsabilità patrimoniale del condominio e dell’amministratore nei confronti dell’appaltatore, già espresso nel 2010: ove difetti il requisito dell’urgenza, le opere straordinarie ordinate dall’amministratore senza supporto assembleare rimarranno un contratto unicamente a lui riferibile e del quale è chiamato a rispondere in via diretta ed esclusiva sotto il profilo patrimoniale, non sussistendo alcun rapporto di garanzia nei confronti del condominio ma esclusivamente una responsabilità personale dell’amministratore,  che ha assunto l’obbligazione eccedendo i limiti del mandato.

Cass. civ. II sez. 2 febbraio 2017 n. 2807“In materia di lavori straordinaria amministrazione disposti dell’amministratore di condominio, in assenza di previa delibera assembleare, non è … configurabile alcun diritto di rivalsa o di regresso del condominio, atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore dell’assemblea sono delineati con precisione dalle disposizioni del codice civile (articoli 1130 e 1135), che limitano l’attribuzione dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservano all’assemblea di condominio le decisioni in materia di amministrazione straordinaria, con la sola eccezione dei lavori di carattere urgente. (Cass. n. 4332/1987)

Di conseguenza, nel caso in cui l’amministratore, avvalendosi dei poteri di cui all’articolo 1135 comma due cod. civ., abbia assunto l’iniziativa di compiere opere di manutenzione straordinaria caratterizzata dall’urgenza, ove questa effettivamente ricorra ed egli abbia speso, nei confronti dei terzi, il nome del condominio, quest’ultimo deve ritenersi validamente rappresentato e l’obbligazione è direttamente riferibile al condominio; laddove invece i lavori eseguiti da terzi su disposizione dell’amministratore non posseggano i requisiti dell’urgenza, il relativo rapporto obbligatorio non è riferibile al condominio, trattandosi di atto posto in essere dall’amministratore al di fuori delle sue attribuzioni, attesa la rilevanza esterna delle disposizioni di cui agli articoli 1130 e 1135 comma due cod. civ. (cass. 6557/1987).”

© massimo ginesi 3 febbraio 2017 

scale in supercondominio: di chi sono e a che titolo? quanti problemi…

Accade con frequenza che un immobile posto in un edificio complesso,  ascrivibile alla fattispecie del c.d. supercondominio (oggi espressamente disciplinata dall’art. 1117 bis. cod.civ. )  e munito di più ingressi  distinti da autonomi numeri civici,  sia servito dalle scale che si dipartono  sia dall’uno che dall’altro androne.

Le une servono un’ala dell’edificio e le altre la restante parte, tuttavia una specifica unità immobiliare si giova – per la sua conformazione – di entrambe e, poiché nel suo titolo di acquisto si specifica che su una delle scale ha “diritto di passo”, il titolare ritiene di essere esonerato dalle spese della scala su cui ritiene di transitare solo a titolo di servitù di passo.

Nel fabbricato, proprio per la sua complessità (e litigiosità), da tempo non si riescono ad approvare le tabelle millesimali e così le diverse spese – ivi comprese quelle per i lavori straordinari a detta scala – vengono ripartite, salvo conguaglio, in forza di una tabella provvisoria e  mai approvata, che tuttavia attribuisce anche a quel condomino i millesimi scale su entrambi i manufatti.

Costui impugna le delibere, assumendone l’illiceità e chiedendo al Tribunale – oltre alla cassazione dei deliberati –  che venga accertata che la proprietà della scala incriminata è da riconoscere solo  in capo ai condomini del numero civico X , che in suo favore sussiste su tale scala unicamente di una servitù di passo, con conseguente esonero dalle spese e – in via subordinata – che vengano adottate in via giudiziale  le tabelle millesimali che il condominio, nonostante diversi tentativi, non è mai riuscito ad approvare.

Il Tribunale di Massa, con sentenza parziale 5 dicembre 2016, si pronuncia sulle diverse domande, evidenziando diversi profili che possono risultare di interesse applicativo generale.

Il giudice di merito osserva che: “La domanda di parte attrice risulta fondata unicamente in ordine alla richiesta di determinazione dei millesimi in via definitiva e solo in tal senso dovrà e potrà essere accolta.
Risultano invece infondate le domande dell’attrice relative all’accertamento sulla proprietà altrui della scala cui accede alla propria unità dalla via R. A. 13, sull’assunto che ella sarebbe proprietaria unicamente della scala a proprio esclusivo servizio che affaccia sul civico 7 sempre della via R.A., godendo sull’altro manufatto unicamente di servitù di passo nonché  quelle conseguenti e relative alla impugnazione della delibera 18.7.2009. “

a) la titolarità delle scale,  bene tendenzialmente comune. 

Il Tribunale si sofferma preliminarmente sulla natura delle scale quale bene necessariamente comune, salvo diversa qualificazione del titolo o in base alla funzione eventualmente limitata   ad alcuni condomini  cui siano destinate, laddove la funzione principale e comune di mobilità e accesso all’interno del complesso edilizio sia assolta da altro manufatto.

“…non può non rilevarsi come il complesso edilizio denominato oggi Condominio C. debba essere ascritto al genus dei fabbricati edilizi complessi, disciplinati dall’art. 1117 bis cod.civ. (così come introdotto dalla legge 220/2012) fattispecie in precedenza delineata – con esiti pressoché coincidenti – dalla prevalente giurisprudenza.
Si tratta indubbiamente di fabbricato dalle caratteristiche peculiari, con parti destinate a fornire utilità maggiore (o esclusiva) ad alcuni dei condomini, ma tale ultimo aspetto ove esistente e rilevante dovrà essere risolto nell’ambito dell’art. 1123 III comma cod.civ., senza che possa fungere da  presupposto logico e necessario per affermare l’esistenza di condominii distinti.
Risulta infatti che l’intero complesso immobiliare, per ciò intendendo l’intero involucro edilizio cui si accede dai civici 7 e 13 della via R.A., seppure articolato su più corpi di fabbrica e con coperture parzialmente autonome, non si distingua in unità edilizie funzionalmente autonome e separate dalle altre ma comporti una commistione delle strutture murarie principali, delle falde di copertura, degli ingressi e delle parti comuni che risultano, di volta in volta, destinate a fornire una utilità indistinta all’intero complesso, cui – in forza della norma sopra richiamata – devono ritenersi comuni per funzione ex art. 1117 nn. 1 e 3 cod.civ. , ove ciò già non risulti dal titolo.
La stessa unità immobiliare della attrice risulta posizionata in maniera trasversale rispetto ai due civici contraddistinti dal 7 e dal 13, sicché può accedere da entrambi gli androni e fruire delle scale posizionate in ciascuno, così come – elemento che si rivela ulteriormente qualificante – si estende, seppure parzialmente, anche sotto la copertura della porzione di edificio riconducibile al civico 13 e servita dalla scala oggetto di contesa (poco importa se con verande o portici o stanze, rilevando a tal fine unicamente il perimetro della proprietà esclusiva servita dalle parti comuni).
Tali elementi sarebbero sufficienti a considerare l’immobile un organismo edilizio complesso (c.d. supercondominio), che vede in comune – a mente del disposto di cui agli artt. 1117 e 1117 bis cod.civ. – le parti comuni necessarie alla sua stessa sussistenza.
Non vi è dubbio che, fra queste, vi siano – per costante giurisprudenza – le scale, che non solo servono di accesso alle singole unità, ma sono ritenute elemento necessariamente comune negli edifici multipiano: “Le scale e i relativi pianerottoli, negli edifici in condominio, costituiscono strutture essenziali del fabbricato e rientrano, in assenza di una diversa disposizione, fra le parti comuni, anche se sono poste a servizio solo di alcuni proprietari dello stabile.” Cassazione civile, sez. VI, 09/03/2016,  n. 4664
Nel caso di specie non risultano titoli, anche alla luce di quanto si dirà in appresso, che attribuiscano le scale in proprietà specifica ad alcuni condomini, mentre esiste con ogni evidenza una destinazione funzionale delle scale oggetto di contesa ad accedere alla unità della attrice, nonchè al tetto che in parte la copre in quella porzione di fabbricato. Ad ulteriore connotazione della funzione collettiva dell’androne del civico 13 e delle scale che dallo stesso si dipartono, va osservato che diversi impianti funzionali all’unità della attrice trovano ivi allocazione.
Non potrà dunque non ritenersi comune anche a detta unità sia l’androne che le scale che hanno accesso dal civico 13 di via R.A. e che svolgono funzione comune all’interno del Condominio C. complessivamente inteso.”

b) eventuali ipotesi di titolarità parziale 

“Semmai, per quelle parti che risultino unicamente destinate a servire solo alcuni condomini, varrà l’esclusione in forza dell’art. 1123 III comma cod.civ. e della conseguente giurisprudenza che – in tal caso – ravvisa anche una proprietà limitata ai soli soggetti che se ne giovano: “Le scale danno accesso alle proprietà esclusive e per tale ragione sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo, essendo necessarie all’uso comune. Le obiettive caratteristiche strutturali, per cui dette scale servono in modo esclusivo all’uso o al godimento di una parte dell’immobile, ne fanno venire meno in questo caso il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria, giacché la destinazione particolare del bene vince l’attribuzione legale, alla stessa stregua del titolo contrario.” Cassazione civile, sez. II, 19/04/2016,  n. 7704
In sede di redazione delle tabelle il tecnico dovrà dunque valutare se dette scale, in quanto inidonee a rendere una funzione per taluni dei condomini (anche solo potenziale per l’accesso ad una porzione di tetto che li riguarda), debbano ritenersi di proprietà solo di alcuni, così come dovrà valutare – ai fini della  caratura millesimale – l’effettiva entità della proprietà servita dalla parte comune (in ossequio ai principi stabiliti da Cass. 1451/2014).
Si tratta tuttavia di principi che attengono alla effettiva imputazione della spesa ai singoli condomini relativamente a parti comunque comuni e non già di circostanze che si rivelino idonee ad incidere sulla titolarità delle stesse.
Con la considerazione ulteriore che l’utilità deve essere valutata in senso ampio, astratto e potenziale, per quelle stesse ragioni che attribuiscono anche ai fondi che hanno accesso autonomo dalla strada le relative spese, seppure nella dimidiata misura di cui all’art. 1124 cod.civ. (Cass. n. 4419/2013; n. 15444/2007)
Non vi è dubbio, dunque, che ai fini del giudizio, la scala per cui è controversia risulti con certezza rendere una funzione nei confronti della attrice e debba pertanto essere ritenuta comune anche a costei.

C) il rilievo del titolo, proprietà o servitù?

“A superare tale qualificazione non valgono i titoli addotti dalla A., in forza dei quali l’attrice assumerebbe di essere mera titolare di una servitù di passo e di dover essere dunque esonerata dalle relative spese.
A tal proposito coglie nel segno la difesa della convenuta B., laddove ravvisa nell’atto notaio C. 1.7.1949 l’elemento costitutivo del Condominio C..
Con quella disposizione E.C.C., originaria unica proprietaria dell’intero complesso, cedeva per la prima volta ad un terzo – tal L. R. – una unità posta nel complesso immobiliare, creando così i presupposti per la nascita dell’edificio in condominio che sorge – senza necessità alcuna di atti costitutivi specifici o di regolamenti ad hoc – nel momento in cui almeno due unità immobiliari iniziano ad appartenere a soggetti diversi (Cass.Sez.II 19429/04).
In tale atto non emerge alcuna volontà della E.C.C. né di costituire servitù a favore della proprietà a lei rimasta (e che successivamente alienerà – in parte – al dante causa della odierna attrice) né tantomeno appare desumibile in alcun modo la volontà di dar luogo a più condominii separati, come afferma l’A., apparendo il richiamo al civico di accesso meramente descrittivo della unità effettivamente ceduta.
Non appare qualificante, in tal senso, neanche l’atto di vendita a C. – dante causa della odierna attrice e che acquista con atto notaio C.del 24.10.1953 – in cui il termine “diritto di passo” appare utilizzato in modo atecnico e meramente descrittivo, volto a qualificare unicamente la facoltà di accesso e uso dell’unità venduta anche dalla scala che diparte dal civico 13, che non a caso non è definita appartenete ad altro edificio ma semplicemente “secondaria”, ovvero intesa come manufatto appartenente al medesimo complesso immobiliare ma destinata, per funzione ed uso, a rendere utilità anche a quella specifica unità immobiliare compravenduta e, quindi, anche a lei comune, seppur in affiancamento ad altro accesso che si ritiene principale (rectius, personale).

D) la costituzione di servitù in condominio dopo la sua nascita

Del resto alla possibilità di costituire servitù sulle parti comuni da parte di E. C. C., una volta che il Condominio aveva iniziato ad esistere con l’atto del 1949, osta la circostanza che l’imposizione di pesi reali su beni ormai comuni non è più consentita all’originario unico proprietario in assenza del consenso degli altri condomini (ovvero, nella fattispecie, del R.).

E) riparto provvisorio e approvazione delle tabelle

Alla riconosciuta proprietà comune della scala de quo, consegue l’infondatezza della impugnativa delle delibere azionata con la domanda principale, anche alla luce dei seguenti principi:

  • è sempre consentito al condominio disporre un riparto provvisorio delle spese, su base proporzionale, al fine di procedere alle necessarie opere di manutenzione
  • le tabelle millesimali e comunque i criteri di riparto provvisori non richiedono approvazione all’unanimità, laddove si ispirino a criteri proporzionali assimilabili al disposto di cui all’art. 1123 cod.civ. (o, nella fattispecie, di cui all’art. 1124 cod.civ. ) e possono essere approvai con la maggioranza prevista dall’art. 1136 II comma cod.civ. (Cass. SS.UU 18477/2010), nel caso ampiamente raggiunta.
  • tutte le delibere sono sempre state assunte in via provvisoria, in attesa di approvazione di tabella millesimale definitiva, ivi compresa quella del 27.5.2011 (come espressamente risulta dal relativo verbale), circostanza quest’ultima che rende priva di fondamento anche l’eccezione relativa a cessazione della materia del contendere sollevata dal convenuto condominio.

F) il titolare di servitù usa le scale gratis?

Non sarà inutile rilevare che, anche ove per ipotesi si fosse voluto riconoscere l’esistenza di servitù a favore della attrice, non muterebbero le conseguenze concrete in ordine alla imputazione delle spese, circostanza comunque dirimente in ordine alla legittimità delle delibere impugnate: a mente dell’art. 1069 III comma cod.civ. ove le opere giovino anche al fondo servente costui deve partecipare alle spese (App.-Genova 5.1.2011) ed è plausibile che nel caso peculiare la modalità dei rispettivi contributi debba e possa essere modulata sul disposto dell’art. 1124 cod.civ.

G) domande di accertamento di diritti reali e litisconsorzio 

Sussisteva indubitabilmente legittimazione necessaria dei singoli condomini in ordine alla domanda di accertamento relativa a diritti reali sulle parti comuni, mentre sussiste pacificamente legittimazione autosufficiente del condominio per il giudizio relativo alla impugnativa.

H) la richiesta di adozione dei millesimi

Parimenti sussiste interesse del singolo condomino a veder adottata una tabella millesimale definitiva, volta al riparto delle spese in accordo con i principi codicistici (Trib. PAlermo, 22 marzo 2011).

il Giudizio è dunque destinato a proseguire: nella sentenza parziale il Tribunale “Dichiara che le scale di accesso del Condominio C., con accesso dal civico 13 della via R. A., costituiscono bene condominiale ex art. 1117 cod.civ. e sono comuni anche alla attrice C. A. 
respinge le domande relative alla impugnativa della delibera 18.7.2009
Dispone la remissione della causa in istruttoria e statuisce in ordine alla prosecuzione del giudizio relativo alla formazione delle tabelle millesimali come da separata ordinanza”

© massimo ginesi 2 febbraio 2017