assegnazione posti auto: poteri dell’assemblea e negozio di accertamento.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  31 agosto 2017 n. 20612 rel. Scarpa) affronta un tema assai complesso e di grande rilievo pratico in tema di assegnazione dei posti auto e dei conseguenti poteri dell’assemblea.

La corte osserva, in sintesi, che

  • è potere dell’assemblea regolamentare gli spazi esterni a parcheggio ma che lo stesso organo non ha titolo ad incidere sui diritti dei singoli,
  • l’area cortilizia esterna si presume comune ex art. 1117 cod.civ. salvo che il contrario risulti dal titolo e che è onere che incombe a chi avanzi pretese  esclusive su quell’area provare il proprio diritto,
  • nel giudizio di impugnazione di delibera, che si assume abbia violato quei diritti, l’accertamento svolto sulla loro esistenza ha mero carattere incidentale e strumentale ed è inidoneo a formare giudicato sul punto, posto che legittimato passivo nella impugnazione è l’amministratore del condominio mentre la domanda di accertamento del proprio diritto deve essere svolta nel contraddittorio di tutti i condomini
  • il negozio di mero accertamento  è inidoneo – in assenza di titolo traslativo – a vincere la presunzione di condominialità del bene ex art. 1117 cod.civ. e – tanto meno – può riconoscersi natura di negozio di accertamento alla delibera adottata a maggioranza, poiché il negozio ricognitivo deve vedere l’accordo di tutti gli aventi titolo.
  • la sentenza passata in giudicato che abbia – in sede di impugnativa di delibera – statuito incidentalmente sulla estensione dei diritti dei singoli, al solo fine di accertare la nullità della deliberazione, è inidonea a fare stato sulla esistenza di quei diritti.
  • la mera indicazione contenuta nella tabella millesimale di un bene quale proprietà esclusiva di un condomino non costituisce titolo idoneo a vincere la presunzione di condominialità prevista dall’art. 1117 cod.civ.

Attesa la complessità dei temi e l’interesse e puntualità degli argomenti resi dalla suprema Corte, è comunque opportuno esaminare il testo della pronuncia  per esteso, almeno con riguardo ai punti salienti.

I fatti e il processo: “La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello formulato da RB., A.P. A. e L. A. contro la sentenza n. 21405/2007 del Tribunale di Roma, la quale aveva rigettato l’impugnazione per nullità o annullabilità, dovuta ad eccesso di potere, della deliberazione assembleare del Condominio di via G. D. 7, Roma, del 27 ottobre 2004, che aveva deciso di “assegnare nei cortili una autovettura per condomino, senza assegnazione specifica in modo precario e senza recare pregiudizio e/o intralcio ai proprietari dei box, ponendo tutti i condomini in condizione di esercitare la facoltà concessa dandone esecuzione”. Gli attori avevano sostenuto che tale delibera ledesse il loro diritto di proprietà e di uso esclusivo delle rampe carrabili che conducevano ai box, diritto già accertato da precedenti sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello di Roma, nonché riconosciuto da un’anteriore deliberazione dell’assemblea del Condominio di via G. D. 7, approvata il 5 dicembre 1990 da otto condomini, e perciò in assenza dei soli due proprietari dei box, e da qualificare come negozio di accertamento.”

I principi di diritto affermati dal giudice di legittimità:

DELIBERA E NEGOZIO DI ACCERTAMENTO –  “Questa Corte, invero, ha più volte ribadito che la delibera dell’assemblea condominiale che assegna i singoli posti auto ricavati nell’area cortiliva comune, senza però attribuire agli assegnatari il possesso esclusivo della porzione loro assegnata, è validamente approvata a maggioranza, non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi, in quanto essa disciplina le modalità di uso del bene comune, e si limita a renderne più ordinato e razionale il godimento paritario (Cass. Sez. 2, 31/03/2015, n. 6573; Cass. Sez. 2, 19/07/2012, n. 12485; Cass. Sez. 2, 15/06/2012, n. 9877; Cass. Sez. 2, 22/01/2004, n. 1004).

Diversamente, peraltro, l’assemblea di condominio non può adottare delibere che, nel predeterminare ed assegnare le aree destinate a parcheggio delle automobili, incidano sui diritti individuali di proprietà esclusiva di ognuno dei condomini, dovendosi tali delibere qualificare nulle (Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806).

Deve ulteriormente partirsi dalla premessa (ancora di recente ribadita dalla giurisprudenza di questa Corte: Cass. Sez. 6 – 2, 08/03/2017, n. 5831) che l’area esterna di un edificio condominiale, della quale manchi un’espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio e sia stato omesso qualsiasi riferimento nei singoli atti di trasferimento delle unità immobiliari, va ritenuta di presunta natura condominiale, ai sensi dell’art. 1117 c.c.

Sicchè, il condomino che impugni una deliberazione dell’assemblea, la quale abbia individuato ed assegnato gli spazi da adibire a parcheggio delle autovetture condominiali, deducendo che tale assegnazione abbia comportato un’indebita ingerenza in aree del cortile antistante il fabbricato di sua proprietà esclusiva, deve dimostrarne il relativo titolo costitutivo, in modo da superare la presunzione di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c.

Poiché, però, la legittimazione passiva nelle cause promosse da uno dei condomini per impugnare le deliberazioni assembleari spetta all’amministratore del condominio (rientrando il compito di difendere la validità delle deliberazioni dell’assemblea dei condomini nel compito di eseguire le stesse, ex art. 1130, n. 1, c.c., per il cui espletamento nel successivo art. 1131 è riconosciuta all’aministratore la rappresentanza in giudizio del condominio), va sempre considerato che esula dai limiti della legittimazione passiva dell’amministratore medesimo una domanda che sia volta ad ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva di un singolo su un bene altrimenti compreso fra le parti comuni ex art. 1117 c.c., imponendo una tale domanda il contraddittorio processuale di tutti i restanti condomini (cfr. da ultimo Cass. Sez. 6 – 2, 15/03/2017, n. 6649).

Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione di deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c., per il quale all’amministratore di condominio spetta la legittimazione passiva, l’eventuale allegazione della proprietà esclusiva di un bene, sul quale l’impugnata delibera abbia inciso, può essere oggetto di accertamento di carattere meramente incidentale, funzionale alla decisione della causa sulla validità dell’atto collegiale, ma privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli.

Ora, il primo ed il secondo motivo del ricorso di R. B. ed il primo ed il secondo motivo del ricorso di A.P. A. e L. A. intendono che, a dimostrazione della loro proprietà esclusiva sulle rampe di accesso ai garages, si prestasse la delibera del Condominio di via G. D.7 adottata in data 5 dicembre 1990, valendo questa quale negozio di accertamento o come confessione, facente prova legale.

Tali censure sono infondate per le seguenti ragioni. L’art. 1117 c.c. attribuisce ai titolari delle singole unità immobiliari dell’edificio la comproprietà di beni, impianti e servizi – indicati espressamente o per relationem – in estrinsecazione del principio “accessorium sequitur principale”, per propagazione ad essi dell’effetto del trasferimento delle proprietà solitarie, sul presupposto del collegamento strumentale, materiale o funzionale, con queste, se manca o non dispone diversamente il relativo titolo traslativo (cfr. ad esempio, Cass. Sez. 2, 15/06/1998, n. 5948).

Secondo principi generali, ai fini dell’acquisto a titolo derivativo della proprietà di un bene immobile, non è mai da ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicché è pure irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato (Cass. Sez. 2, 11/04/2016, n. 7055; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9687).

Ciò significa che, già in astratto, un negozio di accertamento non può rilevare come titolo traslativo contrario all’operatività della presunzione di condominio ex art. 1117 c.c.  E’ poi in ogni caso da negare che la deliberazione 5 dicembre 1990 del Condominio di via G.D. 7 possa valere come negozio di accertamento o come confessione stragiudiziale.

Una deliberazione dell’assemblea dei condomini non può accertare l’estensione dei diritti di proprietà esclusiva dei singoli in deroga alla presunzione di condominialità delle parti comuni posta dall’art. 1117 c.c., ciò richiedendo l’accordo di tutti i condomini (come ha spiegato pure la Corte d’Appello di Roma, rilevando l’assenza di alcuni partecipanti alla riunione del 5 dicembre 1990).

Questa Corte ha proprio affermato che non rientra nei poteri dell’assemblea condominiale la deliberazione che determini a maggioranza l’ambito dei beni comuni e delle proprietà esclusive, potendo ciascun condomino interessato far valere la conseguente nullità senza essere tenuto all’osservanza del termine di decadenza di cui all’art. 1137 c.c. (Cass. Sez. 2, 20/03/2015, n. 5657).

Né la dichiarazione di scienza contenuta in un verbale di assemblea condominiale, qualora comporti, come si assume nel caso di specie, il riconoscimento della proprietà esclusiva di alcuni beni in favore di determinati condomini, può avere l’efficacia di una confessione stragiudiziale, quanto meno attribuibile ai condomini presenti all’assemblea, non rientrando, ai sensi dell’art. 1135 c.c., nei poteri dell’assemblea, come visto, quello di stabilire l’estensione dei beni comuni e delle proprietà esclusive (Cass. Sez. 2, 09/11/2009, n. 23687).

IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO – “Il quinto motivo del ricorso di R.B. e il terzo motivo del ricorso censurano poi l’interpretazione degli artt. 1 e 6, lett. E, del regolamento condominiale, fatta dalla Corte d’Appello, potendosi da tali clausole trarre la prova, a dire dei ricorrenti, della loro proprietà delle rampe carrabili.

Ora, questa Corte ha spesso affermato in passato che il regolamento di condominio, che, come nella specie, individui i beni comuni ai fini della ripartizione delle spese tra i condomini, o includa un bene nelle tabelle millesimali come proprietà esclusiva di un condomino, non costituisce un titolo di proprietà, agli effetti dell’art. 1117 c.c. (Cass. Sez. 2, 21/05/2012, n. 8012; Cass. Sez. 3, 13/03/2009, n. 6175; Cass. Sez. 2, 23/08/2007, n. 17928; Cass. Sez. 2, 18/04/2002, n. 5633).

IL GIUDICATO DERIVANTE DA PRECEDENTI SENTENZE  – Il sesto motivo del ricorso di R. B. adduce che la deliberazione assembleare del 27 ottobre 1994 contrastasse col giudicato contenuto nelle sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, che, in relazione ad un precedente giudizio di impugnazione ex art. 1137 c.c., avevano accertato i diritti reali esclusivi spettanti ai titolari dei box.

Al riguardo, la Corte d’Appello ha tuttavia evidenziato come queste sentenze, nel rigettare l’impugnazione avanzata dalla Società I. E. L. contro la deliberazione assembleare del 28 luglio 1999, non avevano accertato con efficacia di giudicato i presunti diritti reali spettanti in via esclusiva ai titolari dei box, ma solo verificato la compatibilità del contenuto di quella delibera con i diritti vantati dalla società.

Questa interpretazione è corretta, in quanto, come già affermato in precedenza, la sentenza resa all’esito di un giudizio di impugnazione di una deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c., svoltosi nei confronti dell’amministratore di condominio, può contenere un’accertamento meramente incidentale in ordine alla sussistenza, o meno, della proprietà esclusiva di un bene, sul quale l’impugnata delibera abbia inciso, senza rivestire efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli, in quanto enunciazione soltanto strumentale alla decisione sulla validità della delibera.

Può pure aggiungersi che se le sentenze n. 3425/2004 della Corte d’Appello di Roma e n. 8309/2001 del Tribunale di Roma, rivestissero quell’autorità di giudicato sulla proprietà delle rampe che il B. vi scorge, non avrebbe senso la proposizione di nuovo giudizio tendente ad un identico accertamento, giudizio culminato nella sentenza di primo grado del 19 maggio 2011, sulla quale si fondano poi il terzo ed il quarto motivo di ricorso.”

© massimo ginesi 1 settembre 2017 

 

il giudice non può entrare nel merito delle scelte discrezionali della assemblea condominiale.

La Cassazione, con una delle numerose ordinanze estive di questo 2017 (Cass.civ. sez. II  17 agosto 2017 n. 20135 rel. Scarpa), conferma un proprio orientamento consolidato sui poteri della assemblea condominiale e sui limiti del sindacato dell’Autorità Giudiziaria sulle scelte amministrative dell’organo collegiale condominiale.

I ricorrenti censurano una sentenza della Corte di Appello di Cagliari che aveva respinto le loro doglianze contro le scelte effettuate dal condominio: “I condomini attori avevano dedotto a sostegno dell’impugnazione ex art. 1137 c.c. che le spese approvate con detta delibera erano eccessive, indeterminate ed inverosimili (in particolare, quanto al compenso da corrispondere all’amministratore ed al rimborso delle spese anticipate dallo stesso, alla somma corrisposta al custode M. P., pari ad €  27.500,00, agli importi erogati per l’ICI e l’assicurazione, e a titolo di spese legali).”

Osserva il giudice di legittimità che: “Come correttamente affermato dalla Corte d’Appello, sulle delibere delle assemblee di condominio degli edifici il sindacato dell’autorità giudiziaria non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, può abbracciare anche l’eccesso di potere, ma solo quando la causa della deliberazione risulti – sulla base di apprezzamento di fatto del contenuto di essa che spetta ai giudici del merito – falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso lo strumento di cui all’art. 1137 c.c. non è finalizzato a controllare l’opportunità o convenienza della soluzione adottata dall’impugnata delibera, ma solo a stabilire se la decisione collegiale sia, o meno, il risultato del legittimo esercizio del potere dell’assemblea.

Esulano, quindi, dall’ambito del sindacato giudiziale sulle deliberazioni condominiali le censure inerenti la vantaggiosità della scelta operata dall’assemblea sui costi da sostenere nella gestione delle spese relative alle cose ed ai servizi comuni (Cass. Sez. 2, 20/06/2012, n. 10199; Cass. Sez. 2, 20/04/2001, n. 5889; Cass. Sez. 2, 26/04/1994, n. 3938; Cass. Sez. 2, 09/07/1971, n. 2217).

Indicativamente, l’erogazione del compenso all’amministratore, la stipula di un contratto d’assicurazione del fabbricato, la corresponsione della retribuzione a chi sia incaricato della custodia dell’edificio, la predisposizione di un fondo – cassa per le spese legali, danno luogo a scelte gestorie tutte, in astratto, rientranti nel potere discrezionale dell’assemblea e non dirette a perseguire finalità extracondonniniali, di tal che a tale potere deliberativo dell’assemblea del condominio, da esercitare nelle forme e con le maggioranze prescritte, fa riscontro l’obbligo di ciascun condomino di contribuire alle relative spese.”

© massimo ginesi 29 agosto 2017 

è legittima l’istituzione di fondi cassa deliberata dalla assemblea

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Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza del 11 agosto 2016 n. 17035, (rel. Giusti) affermando che:

“Questa Corte ha già statuito che appartiene al potere di­screzionale dell’assemblea e non pregiudica né l’interesse dei condomini alla corretta gestione del condominio, né il loro diritto patrimoniale all’accredito della proporzionale somma – perché compensata dal corrispondente minor addebito, in anti­cipo o a conguaglio – l’istituzione di un fondo-cassa per le spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni (Sez. II, 28 agosto 1997, n. 8167).

Si è anche precisato che l’onere per la costituzione di un fondo speciale per le spese di manutenzione straordinaria va ripartito tra i condomini in base ai criteri fissati nell’art. 1123 cod. civ. se per la realizzazione di interventi non anco­ra specificati è possibile ripartire provvisoriamente la somma destinata alla costituzione del fondo in base ai millesimi di proprietà (Sez. II, 29 gennaio 1974, n. 244)”

La sentenza, per le argomentazioni difensive delle parti e la disamina effettuata dalla corte, merita lettura integrale.

© massimo ginesi 17 agosto 2016

T.A.R. Liguria, il Comune non ha potestà impositiva su aree condominiali private

Su un cortile condominiale si affacciano alcuni box e un fondo commerciale destinato a  supermercato, l’area è utilizzata come accesso veicolare sia dai proprietari dei box, in favore dei quali è costituito  un diritto di servitù sulla stessa, sia dai clienti del supermercato che viceversa sono terzi senza alcun titolo.

Il Condominio, per tutelare la proprietà condominiale e impedire l’indiscriminato accesso a chiunque, ha apposto due paletti e una catena all’ingresso. Ciò ha indotto il Comune a notificare un provvedimento al Condominio con cui ingiunge di “rispristinare lo stato preesistente dei luoghi mediante la rimozione dei paletti metallici con catenella” e  con cui  subordina il rilascio del richiesto titolo paesistico all’accordo di tutti i partecipanti.

Il provvedimento è stato ritenuto illegittimo dal TAR, cui ha fatto ricorso il Condominio, che ha rilevato come “L’esclusiva proprietà della via abilita infatti gli interessati a posizionare idonei strumenti volti ad impedire il transito dei terzi sul fondo, eccezion fatta per chi deve accedere e recedere alle proprietà che vantano il diritto di servitù come osservato in precedenza; la correttezza della destinazione del piano terreno del condominio (box ovvero magazzini utilizzati come autorimesse) non esclude l’interesse dei condomini all’accesso ed al recesso che presuppongono l’utilizzo della piccola strada privata”

Quanto all’assenso paesistico per l’installazione dei dissuasori a scomparsa  osserva il TAR che ” In proposito il comune impone che: il condominio dovrà presentare una dichiarazione giurata sull’esclusiva proprietà del fondo in contestazione; l’installazione dei dissuasori dovrà essere preceduta dall’assenso degli aventi diritto, e che costoro avranno comunque una facoltà interdittiva sul rilascio del successivo titolo edilizio. Al riguardo il tribunale nota che, sempre nei limiti fissati dall’art. 8 del d.lvo 2.7.2010, n. 204, è sufficientemente appurata la proprietà dei condomini sulla fascia di terreno per cui è lite, sì che la determinazione è illegittima a tale riguardo. In ordine alla volontà dell’amministrazione di assumere funzioni simili a quelle giurisdizionali si osserva che ad essa non compete la preventiva soluzione dei contrasti tra i privati: è verosimile che l’amministrazione sia stata da tempo interessata dai differenti interessi tra le parti sul bene di che si tratta, ma il corretto rapporto tra la regolamentazione di diritto comune e quella che pertiene ad un’amministrazione postula che il titolo venga eventualmente rilasciato agli aventi diritto sulla base delle norme edilizie, mentre competono al giudice ordinario le controversie sulle eventuali doglianze relative all’esercizio dei diritti esistenti sul bene interessato dal titolo di fonte amministrativa”.

In sostanza la P.A. non può e non deve spingersi oltre il proprio ruolo di tutela imposta dalla norma pubblicistica, spettando la valutazione e la soluzione delle controversie fra privati al Giudice ordinario.

Una sentenza interessante, a fronte di condotte spesso non lineari dei Comuni.

© massimo ginesi giugno 2013

esiste il diritto di parcheggio?

come è noto i diritti reali delineati dal codice civile costituiscono un numero chiuso di figure tipiche, fra le quali non è indicato il diritto di parcheggio.

La Suprema Corte ha però più volte sottolineato che tale facoltà corrisponde all’esercizio del diritto di proprietà e, ove tale potere di fatto sia esercitato per il tempo previsto dalla legge, può condurre ad usucapire il corrispondente diritto.

Allo stesso modo l’esercizio di tale possesso può ricevere tutela possessoria, ove ne sussista turbativa o spoglio. E’ tuttavia altrettanto noto che in  regime di comunione e condominio, ove il potere di fatto sulla cosa può anche essere graduato con differente intensità dai partecipanti nei limiti di cui all’art. 1102 cod.civ., l’accertamento di una situazione di possesso, la sua lesione e l’eventuale interversione  debbano essere valutati dal Giudice con particolare attenzione e rigore.

Un’analisi dettagliata di tale fattispecie  si rinviene  nella sentenza della Suprema Corte II sezione civile 20 aprile – 23 maggio 2016, n. 10624 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa, dalla cui motivazione  si riporta uno dei principi  sopra evidenziati “Il parcheggio di autovetture su di un’area può, del resto, certamente costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo (Cass. 28/04/2004, n. 8137).

qui la sentenza per esteso