azione possessoria: la legittimazione dell’amministratore per beni non condominiali

un condominio installa una sbarra di accesso ad un’area che utilizza come parcheggio e che appartiene ad un terzo soggetto. Il condominio confinante, che pure usava anch’esso tale area come parcheggio e transito per l’accesso al proprio fabbricato, propone azione di reintegrazione nel possesso (e in subordine di manutenzione), evocando in giudizio l’amministratore del condominio che ha installato la sbarra.

Fra le diverse eccezioni sollevate dal convenuto, vi è quella di carenza di legittimazione passiva dell’amministratore (affermando che si dovevano evocare in giudizio tutti i singoli condomini…), respinta – unitamente alle altre – dal Tribunale apuano che ha accolto la domanda in sede di reclamo (Trib. Massa  9 maggio 2019 n. 498).

Il provvedimento affronta sia il tema della legittimazione dell’amministratore per beni che, pur non di proprità del condominio, svolgano comunque funzione comune, sia l’idoneità della installazione di una sbarra a costituire spoglio.

La reintegrazione è stata ordinata mediante consegna del dispositivo di apertura della sbarra ai ricorrenti.

Le parti ricorrenti, condomini del fabbricato antistante il Condominio D., hanno dato prova, tramite le deposizioni rese dai sommari informatori escussi, di aver pacificamente utilizzato (da oltre trenta anni) l’area posta fra i due edifici per accedere alle proprie unità immobiliari e per la sosta dei propri autoveicoli.

Tale situazione di fatto costituisce, per pacifica giurisprudenza, possesso giuridicamente tutelabile, posto che  “a chi invoca la tutela è sufficiente provare una situazione di fatto, protrattasi per un periodo di tempo apprezzabile, con la conseguenza che è sufficiente un possesso qualsiasi, anche se illegittimo ed abusivo, purché abbia i caratteri esteriori di un diritto reale” (Cass. 4498/2014, resa in caso del tutto analogo; Cass. 16974/2007 Cass. 10470/1991 n. 10470).

Né può esservi dubbio che l’utilizzo dell’area come passaggio e come parcheggio costituisca esercizio di un potere di fatto corrispondente a diritto reale, posto che il transito è pacificamente riconducibile all’esercizio di servitù e che il parcheggio degli autoveicoli è stato talvolta in giurisprudenza ricondotto alla figura della servitù (Cass. 16698/2017) e in altre occasioni ad una estrinsecazione del diritto di proprietà (Cass. 23708/2014).

Sotto tale profilo, parte attrice ha adempiuto all’onere probatorio che alla stessa incombeva ex art 2697 comma I cod.civ., mentre non paiono fondate le eccezioni di rito e di merito svolte dal convenuto. 

Quanto alla legittimazione passiva dell’amministratore del Condominio D., essendo incontestato che la sbarra che impedisce l’accesso all’area sia stata posta in essere da detto condominio, è sufficiente richiamare il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità (a far data da Cass. Sez.un. 18331/2010) in ordine alla sussistenza della legittimazione passiva dell’amministratore per ogni azione relativa a beni comuni che non sia volta ad accertare la titolarità o la misura dei diritti dei singoli condomini, tenuto conto che pur se l’area oggetto di sosta appartiene a terzi e non al condominio convenuto, è fuor di dubbio e contestazione che la sbarra che  impedisce l’accesso sia stato posto in essere dal Condominio D.,  al fine di escludere i terzi (compresi i ricorrenti) e tutelare l’uso che della medesima i condomini di quel fabbricato effettuano, sì che comunque tale manufatto andrebbe ascritto ai beni e servizi comuni ex art 1117 c.c. 

Tale legittimazione, pertanto, sussiste e persiste anche quando il servizio comune sia reso da un bene estraneo al condominio, così come in più occasioni riconosciuto dalla corte di legittimità: in tema di controversie condominiali, la legittimazione dell’amministratore del condominio dal lato passivo ai sensi dell’art. 1131, 2 co., cod. civ. non incontra limiti e sussiste, anche in ordine all’interposizione d’ogni mezzo di gravame che si renda eventualmente necessario, in relazione ad ogni tipo d’azione, anche reale o possessoria, promossa nei confronti del condominio da terzi o da un singolo condomino (trovando ragione nell’esigenza di facilitare l’evocazione in giudizio del condominio, quale ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini) in ordine alle parti comuni dello stabile condominiale, tali dovendo estensivamente ritenersi anche quelle esterne, purché adibite all’uso comune di tutti i condomini” (Cass. 22911/2018, Cass. 9206/2005).

Quanto alla sussistenza di condotta riconducibile allo spoglio, deve rilevarsi che l’installazione della sbarra costituisce evento che impedisce l’accesso all’area, riservandone l’utilizzo solo a coloro che sono in possesso dello strumento necessario alla sua apertura, con l’evidente intento di impedire di fatto a chiunque altro l’utilizzo effettuato sino a quel momento. 

In tal senso pacificamente si è riconosciuto in giurisprudenza la sussistenza dei requisiti dello spoglio, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo: “la violenza e la clandestinità dell’azione – che implicano l’animus spoliandi – non sono insiti in ogni fatto materiale che determini la privazione dell’altrui possesso, ma conseguono solo alla consapevolezza di contrastare e di violare la posizione soggettiva del terzo” (Cass. 24673/2013, Cass. 1454/1978 n.; Cass. 11453/2000).

In particolare, con specifico riferimento alla installazione di sbarra che impedisca l’accesso ad aree prima utilizzate da una pluralità di soggetti, costituisce orientamento consolidato di legittimità che tale condotta non legittimi tutela (anche in via possessoria) solo ove non incida in maniera significativa sulle modalità di esercizio del potere di fatto preventivamente sussistente: “in tema di tutela possessoria, non ogni modifica apportata da un terzo alla situazione oggettiva in cui si sostanzia il possesso costituisce spoglio o turbativa, essendo sempre necessario che tale modifica comprometta in modo giuridicamente apprezzabile l’esercizio del possesso (Cass. n. 11036 del 2003; Cass. n. 1743 del 2005) e, in particolare, che l’apposizione di un cancello di agevole apertura, non configura spoglio o molestia ma costituisce un atto lecito rientrante nelle facoltà dei compossessori” (Cass. 1584/2015, Cass. 154/1994; Cass. 3831 1985).

Nel caso di specie non vi è dubbio che l’installazione della sbarra abbia improvvisamente e cruentemente sottratto l’accesso veicolare all’area  e l’uso della stessa da parte dei ricorrenti, elidendo in buona parte il potere di fatto sino a quel momento esercitato da costoro.

Sotto tale profilo non può trovare accoglimento la tesi difensiva di parte convenuta, laddove eccepisce che l’area sarebbe stata comunque inutilizzabile da lungo tempo per l’effettuazione di lavori straordinari di consolidamento (costituendo copertura di autorimesse sottostanti): va infatti rilevato che gli informatori escussi hanno riferito che – dopo l’effettuazione di tali lavori, disposti a  seguito di procedimento giudiziale iniziato nel lontano 2009 –  l’uso dell’area era ripreso anche da parte dei ricorrenti, così come va evidenziato che  la sospensione dell’esercizio del potere di fatto in conseguenza di necessità evidenti e di forza maggiore non appare idoneo a far cessare il possesso da parte di coloro che lo esercitano (essendo circostanza inidonea d incidere sull’elemento soggettivo dello stesso).

Neanche può dedursi per via implicita, come pretenderebbe parte convenuta, che l’installazione della sbarra nell’agosto 2017 rappresenti l’atto ultimo di un iter unitario volto ad impedire l’accesso di terzi a quell’area: l’indisponibilità dell’area per chiunque, in conseguenza del suo transennamento per l’effettuazione dei lavori straordinari di manutenzione  è vicenda ontologicamente diversa e non assimilabile all’attività unilaterale di una parte dei compossessori, volta ad impedirne l’utilizzo agli altri. 

In tal senso ancor meno rilievo ha il cartello di divieto di accesso, richiamato dal convenuto quale elemento idoneo a dimostrare l’antecedente attrazione dell’area nella sfera esclsuiva del convenuto, poiché si tratta di indicazione che ben può essere diretta a terzi estranei, ma che appare inidoneo ad incidere sulla situazione giuridica soggettiva dei ricorrenti, specie a fronte del dimostrato permanere dell’esercizio del loro potere di fatto sull’area. 

Quanto testé evidenziato è idoneo anche ad evidenziare l’infondatezza della eccezione di parte convenuta relativa al decorso del termine annuale per l’azione possessoria: l’installazione della sbarra, che per le ragioni sin qui delineate è l’atto idoneo ad interrompere con violenza l’esercizio del possesso da parte dei ricorrenti, è pacificamente avvenuta nell’agosto 2017 ed il ricorso per tutela possessoria è stato depositato in data 10.5.2018 

Deve infine rilevarsi che le ragioni dei ricorrenti possono trovare tutela anche attraverso modalità che consentano l’utilizzo dell’area senza la rimozione della sbarra, idonea comunque ad impedire a terzi l’accesso e a realizzare eprtanto un interesse lecito degli altri compossessori”

© massimo ginesi 15 maggio 2019 

la proprietà degli spazi vuoti fra i piani di un condominio (intercapedini e controsoffitti)

Il proprietario del piano sovrastante installa delle condutture a proprio servizio nel vano posto fra il controsoffitto dell’appartamento sottostante e il solaio divisorio fra le due unità.

Cass.Civ. sez.II ord. 11 giugno 2018 2018  n. 15048 giudica non corretta la decisione del giudice di merito che ha negato al proprietario sottostante tutela possessoria.

“In materia condominiale, è pacifico che il solaio esistente, che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio appartenente a proprietari diversi, deve ritenersi, salvo prova contraria, di proprietà comune dei due piani perchè ha la funzione di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore. Esso infatti costituisce l’inscindibile struttura divisoria tra le due proprietà, con utilità ed uso uguale per entrambe e correlativa inutilità per altri condomini. Coerentemente con questa funzione, l’art. 1125 c.c., disciplina il regime delle spese prevedendo che le spese per la manutenzione dei soffitti siano sostenute in parti uguali dai proprietari dei due piani, restando a carico del piano superiore la copertura del pavimento ed a carico del proprietario inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Tale situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, in quanto le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell’essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell’esercizio del diritto dominicale. La presunzione iuris tantum di proprietà comune di solai divisori tra un piano e l’altro vale, quindi, per tutte le strutture che hanno una funzione di sostegno e copertura.

La presunzione di condominialità riguarda il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che esso occupa, con la conseguenza che non è consentito al proprietario di uno degli appartamenti limitare o restringere la proprietà esclusiva dell’altro appartamento occupando gli spazi vuoti (Cass. 23.3.1991 n. 3178, Cass. 23.3.1995 n. 2286).

Poichè la situazione di comunione parziale inerisce solo alla parte strutturale, le eventuali opere che accedono al soffitto o al pavimento e che apportano dei benefici solo ad uno dei due proprietari, cosi come tutto ciò che non ha il carattere dell’essenzialità per la struttura, restano esclusi dalla comunione e possono essere utilizzati dal condomino nell’esercizio del diritto dominicale.

Va, pertanto, escluso che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali bisogna accertare di volta in volta la destinazione, al fine di verificare a chi appartengano (Cass. 21.10.1976 n. 3715).”

L’affermazione del giudice d’appello, secondo cui il soffitto dell’appartamento sottostante è rappresentato dal controsoffitto in cannicciato contrasta con il principio pacificamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, (Cassazione civile, sez. 2^ 07/06/1978, n. 2868) secondo cui, quando gli spazi pieni o vuoti, che accedano al soffitto od al pavimento, non siano essenziali alla struttura divisoria, rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da ciascun proprietario nell’esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale.

Ne consegue che, facendo passare i tubi nella controsoffittatura realizzata dal B., il M. lo ha spogliato nel possesso dello spazio vuoto sovrastante il suo appartamento, poichè la controsoffittatura non ha una funzione portante o divisoria dei due appartamenti ma una funzione meramente decorativa.”

© massimo ginesi 27 luglio 2018 

esiste il diritto di parcheggio?

come è noto i diritti reali delineati dal codice civile costituiscono un numero chiuso di figure tipiche, fra le quali non è indicato il diritto di parcheggio.

La Suprema Corte ha però più volte sottolineato che tale facoltà corrisponde all’esercizio del diritto di proprietà e, ove tale potere di fatto sia esercitato per il tempo previsto dalla legge, può condurre ad usucapire il corrispondente diritto.

Allo stesso modo l’esercizio di tale possesso può ricevere tutela possessoria, ove ne sussista turbativa o spoglio. E’ tuttavia altrettanto noto che in  regime di comunione e condominio, ove il potere di fatto sulla cosa può anche essere graduato con differente intensità dai partecipanti nei limiti di cui all’art. 1102 cod.civ., l’accertamento di una situazione di possesso, la sua lesione e l’eventuale interversione  debbano essere valutati dal Giudice con particolare attenzione e rigore.

Un’analisi dettagliata di tale fattispecie  si rinviene  nella sentenza della Suprema Corte II sezione civile 20 aprile – 23 maggio 2016, n. 10624 Presidente Mazzacane – Relatore Scarpa, dalla cui motivazione  si riporta uno dei principi  sopra evidenziati “Il parcheggio di autovetture su di un’area può, del resto, certamente costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo (Cass. 28/04/2004, n. 8137).

qui la sentenza per esteso