sulla legittimazione processuale del singolo condomino

Una interessante pronuncia di legittimità (Cass.civ. sez. II  14.7.2023 n. 20282 rel. Scarpa) traccia, con mirabile analisi, i confini della legittimazione del singolo condomino ad agire in giudizio, sia per materia che con riguardo alla successione nella titolarità del rapporto,  riprendendo orientamenti già delineati dalla Corte e chiarendo come per talune ipotesi – ove si discuta del diritto di credito di un terzo azionato contro il condominio – sussista  unicamente legittimazione dell’amministratore senza che concorra con quella la possibilità di attivarsi del singolo.

Nel caso specifico la Corte ritiene inammissibile il ricorso per cassazione avanzato dal singolo in vicenda processuale azionata contro il condominio dall’ex amministratore per ottenere il pagamento delle proprie competenze .

E’ noto che la sentenza delle Sezioni Unite n. 10934 del 2019 ha ribadito la sussistenza dell’autonomo potere individuale di ciascun condomino ad agire e resistere in giudizio a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota” delle parti comuni.

La qualità di condomino, cui sono collegati la legittimazione e l’interesse ad agire e resistere in giudizio a tutela dei diritti reali sulle parti comuni, deve sussistere al momento della proposizione della domanda e permanere per tutto il giudizio sino alla decisione della controversia, salvo il funzionamento della disciplina della successione a titolo particolare nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c., in forza della quale, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto inter vivos della titolarità del diritto di condominio correlata alla proprietà esclusiva di una unità immobiliare, gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite finiscono per incidere in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto.

Viceversa, in ipotesi di azioni avendo ad oggetto i crediti o i debiti correlati pro quota alla titolarità del diritto di condominio, la cessione di quest’ultimo non comporta il venir meno della legittimazione dell’originario condomino (arg. da Cass. Sez. Unite n. 9449 del 2016). In particolare, l’obbligo di contribuzione alle spese condominiali non è un diritto primario, a differenza del diritto di proprietà, sicché la successione nel sottostante rapporto sostanziale di titolarità dell’unità immobiliare non determina da sé sola il trasferimento dell’interesse ad agire con riguardo a tale rapporto di obbligazione.

Prima ancora di interrogarsi sul profilo della legittimazione spettante ad P.A., quale “condebitore”, rispetto alla azione contrattuale intentata dall’ex amministratore del Condominio di (Omissis) S.C. per il pagamento delle sue spettanze arretrate, occorre affrontare il punto della legittimazione dello stesso ad impugnare individualmente la sentenza di condanna pronunciata nei confronti del condominio, convenuto in giudizio dal terzo creditore in persona dell’attuale amministratore agli effetti dell’art. 1131 c.c..

Il ricorso per cassazione è stato infatti proposto, come detto, da P.A., singolo condomino del Condominio di (Omissis), mentre la sentenza oggetto di ricorso è stata pronunciata nei confronti dell’amministratore del medesimo Condominio (Omissis).

Il giudizio ha ad oggetto il credito vantato nei confronti del Condominio dall’ex amministratore per compensi e per il recupero delle somme anticipate nell’interesse del condominio, ex artt. 1709 e 1720 c.c. (ora ex art. 1129 c.c., commi 14 e 15): crediti, dunque, fondati sul contratto di amministrazione che intercorre con i condomini e concluso a seguito della nomina deliberata dall’assemblea.

Come già affermato da questa Corte, l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il pagamento dei compensi arretrati ed il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia, come avvenuto nel caso in esame, nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento dell’incarico di amministrazione, il quale, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti), sia, cumulativamente o alternativamente, nei confronti di ogni singolo condomino. L’obbligazione dei condomini di rimborsare all’amministratore le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico e di retribuirne l’attività può considerarsi sorta nel momento stesso in cui sia avvenuta l’anticipazione o sia stata svolta l’attività, e non può dirsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, la quale amplia, piuttosto, la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali.

Occorre considerare, più in generale, come ogni qual volta l’amministratore contragga obblighi con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c. (cfr. Cass. n. 8530 del 1996; n. 13505 del 2019; n. 1851 del 2018; n. 10371 del 2021).

Quella in esame è dunque controversia promossa nei confronti del condominio da un terzo creditore per ottenere il pagamento di obbligazione contratta nell’interesse comune dei partecipanti; nella specie, sono stati azionati i diritti e gli obblighi derivanti dall’incarico collettivo conferito dall’assemblea dei condomini all’amministratore. La causa, perciò, ha ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, quanto le esigenze collettive della comunità condominiale, strutturate sulla base di un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, senza alcuna correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini.

Nelle cause di questo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore nominato dall’assemblea, ai sensi dell’art. 1131 c.c., non essendo perciò ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio evocato e costituito in giudizio tramite il suo rappresentante.

I principi enunciati da Cass. Sez. Unite n. 10934 del 2019, confermano che il potere di impugnazione del singolo condomino, nel giudizio in cui sia risultato soccombente il condominio, sussiste nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota sui beni comuni, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di condominio di ciascun partecipante (Cass. n. 5811 del 2022; n. 40857 del 2021; n. 2636 del 2021; in precedenza, n. 27416 e n. 2411 del 2018; n. 29748 del 2017; n. 19223 del 2011; n. 9213 del 2005; n. 6480 del 1998; n. 2393 del 1994)..

Ora, è vero che questa Corte ha ancora di recente ammesso la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a precetto e opposizione tardiva al decreto ingiuntivo, ove gli sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un provvedimento monitorio non opposto ottenuto nei confronti del condominio (Cass. n. 5811 del 2022).

Ciò, tuttavia, non induce ad affermare che sia legittimato a proporre autonomo ricorso per cassazione il singolo condomino, a tutela dell’interesse correlato al proprio obbligo di contribuzione pro quota ex art. 1123 c.c., avverso la sentenza di condanna al pagamento di un debito condominiale resa all’esito di un giudizio intentato dal terzo creditore avvalendosi della legittimazione passiva unitaria dell’amministratore di condominio ex art. 1131 c.c., comma 2, in quanto tale dichiarativa del solo fatto costitutivo dell’obbligazione per l’intera somma (Cass. n. 5117 del 2000). Tale sentenza non fa stato sulla ripartizione tra i singoli condomini degli oneri da essa derivanti (Cass. n. 1959 del 2001) ed il singolo condomino non può far valere soltanto in cassazione un autonomo interesse ad accertare l’insussistenza del proprio debito parziario, vantando, piuttosto, rispetto alla condanna pronunciata unicamente un interesse adesivo a quello collettivo riferibile alla gestione condominiale e indistintamente rappresentato dall’amministratore, che è stato parte dei pregressi gradi del processo.

Il ricorso va, perciò, dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.”

© MG 8.9.2023

spese del portiere e successione fra i condomini

Delle spese relative al servizio di portierato risponde colui che era condomino al momento di erogazione del servizio: è quanto ha stabilito Cass.civ. sez. II 25 febbraio 2022, n.6331

“Per le spese necessarie per la prestazione di un servizio dell’interesse comune, quale quello di portierato – la nascita dell’obbligazione contributiva in capo al condomino coincide con l’erogazione effettiva del servizio. Con la conseguenza che l’obbligo grava su chi sia titolare dell’immobile al momento della prestazione del portiere (nella specie, relativa alla controversia circa la partecipazione alla ripartizione delle spese a seguito della condanna del condominio al pagamento del servizio di portierato, la Corte ha disatteso l’assunto della ricorrente secondo cui l’obbligazione nei confronti dell’ex portiera sarebbe sorta al momento in cui fu pronunciata la sentenza del Giudice del lavoro, giacché tale sentenza aveva un contenuto di accertamento e condanna, non era una pronuncia costitutiva. Parimenti infondato era poi l’ulteriore assunto della ricorrente secondo cui il debito dei condomini nei confronti del condominio sarebbe sorto con la delibera condominiale, giacché quest’ultima ha soltanto ripartito una obbligazione preesistente).”

© massimo ginesi 14 marzo 2022 

la delibera di approvazione delle spese straordinarie ha valore costitutivo della relativa obbligazione

La Cassazione ribadisce – con ampio e analitico excursus –  un principio ormai reiteratamente espresso (Cass.civ. sez. VI-2 24 settembre 2020 n. 20003  rel. Scarpa) in tema di genesi dell’obbligazione del singolo di pagare la propria quota relativa alle spese straordinarie: la delibera assembleare è titolo sufficiente – anche nella fase a cognizione piena susseguente alla opposizione al decreto ingiuntivo – alla nascita dell’obbligo e ad assolvere l’onere probatorio in capo al condominio, a nulla rilevando che non sia stato approvato il relativo riparto (che ha mero valore dichiarativo ed eventualmente condizionerà la concessione della esecutorietà del decreto ex art 63 disp.att. cod.civ.).

Il Tribunale ha affermato che i lavori dedotti a fondamento della pretesa creditoria del condominio riguardassero non la sistemazione del cortile interno, come ritenuto nella sentenza di primo grado, ma la facciata dell’edificio condominiale, sulla base di una ricostruzione dei fatti di causa operata in via inferenziale dall’apprezzamento delle risultanze istruttorie. Ora, la facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell’ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 1, ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà (Cass. Sez. 2, 30/01/1998, n. 945).


Occorre pertanto ribadire che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569).

Il giudice, pronunciando sul merito, emetterà una sentenza favorevole o meno, a seconda che l’amministratore dimostri che la domanda sia fondata, e cioè che il credito preteso sussiste, è esigibile e che il condominio ne è titolare.

La delibera condominiale di approvazione dei lavori costituisce, così, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Il giudice deve quindi accogliere l’opposizione solo qualora la delibera condominiale abbia perduto la sua efficacia, per esserne stata l’esecuzione sospesa dal giudice dell’impugnazione, ex art. 1137 c.c., comma 2, o per avere questi, con sentenza sopravvenuta alla decisione di merito nel giudizio di opposizione ancorché non passata in giudicato, annullato la deliberazione (Cass. Sez. 2, 14/11/2012, n. 19938; Cass. Sez. 6 – 2, 24/03/2017, n. 7741).

La sentenza del Tribunale di Cassino ha altresì negato che valesse come ragione di revoca del decreto ingiuntivo la mancata approvazione degli stati di riparto, è ciò esclude il vizio di omessa pronuncia sull’appello incidentale formulato dal P. , in quanto la decisione adottata comporta una statuizione implicita di rigetto dello stesso.
Anche sul punto, la decisione del Tribunale di Cassino risulta corretta.
Si ravvisa, invero, un duplice oggetto della deliberazione dell’assemblea condominiale che approvi un intervento di manutenzione delle parti comuni: 1) l’approvazione della spesa, che significa che l’assemblea ha riconosciuto la necessità di quella spesa in quella misura; 2) la ripartizione della spesa tra i condomini, con riguardo alla quale la misura del contributo dipende dal valore della proprietà di ciascuno o dall’uso che ciascuno può fare della cosa.

Se, allora, l’approvazione assembleare dell’intervento, ove si tratti lavori di manutenzione straordinaria, ha valore costitutivo della obbligazione di contribuzione alle relative spese, la ripartizione, che indica il contributo di ciascuno, ha valore puramente dichiarativo, in quanto serve solo ad esprimere in precisi termini aritmetici un già preesistente rapporto di valore, secondo i criteri di calcolo stabiliti dalla legge (o da un’eventuale convenzione) (arg. da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477; Cass. Sez. 2, 03/12/1999, n. 13505; Cass. Sez. 2, 15/03/1994, n. 2452; Cass. Sez. U, 05/05/1980, n. 2928).
L’approvazione assembleare dello stato di ripartizione delle spese è, piuttosto, condizione indispensabile per la concessione dell’esecuzione provvisoria al decreto di ingiunzione per la riscossione dei contributi, ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, giacché ad esso il legislatore ha riconosciuto un valore probatorio privilegiato in ordine alla certezza del credito del condominio, corrispondente a quello dei documenti esemplificativamente elencati nell’art. 642 c.p.c., comma 1 (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Ove, tuttavia, sia mancata l’approvazione dello stato di ripartizione da parte dell’assemblea, l’amministratore del condominio è comunque munito di legittimazione all’azione per il recupero degli oneri condominiali promossa nei confronti del condomino moroso, in forza dell’art. 1130 c.c., n. 3. In tale evenienza, l’amministratore può agire in sede di ordinario processo di cognizione, oppure ottenere ingiunzione di pagamento senza esecuzione provvisoria ex art. 63 disp. att. c.c., comma 1.
Da ciò consegue che la lamentata carenza di una delibera assembleare di ripartizione delle spese occorrenti per la riparazione della facciata, ove comunque non sia in discussione l’approvazione dell’intervento manutentivo, poteva in astratto incidere sulle condizioni necessarie all’emissione del decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 63 disp. att. c.c., comma 1, e quindi sul regolamento delle spese della fase monitoria, senza tuttavia comportare l’infondatezza della pretesa del condominio di riscuotere i contributi dai condomini obbligati ai sensi degli artt. 1123 e ss. c.c.”

© massimo ginesi 28 settembre 2020

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solo la delibera dell’assemblea per spese straordinarie è idonea a far sorgere l’obbligazione del condomino

E’ quanto ha statuito una recente sentenza della Cassazione (Cass.Civ. Sez. II 14 ottobre 2019 n. 25839 rel. Scarpa), che ha cassato una sentenza della Corte d’appello di Genova.

Il Giudice di legittimità ha rilevato che, ove l’assemblea non abbia deliberato in ordine alle spese per la manutenzione straordinaria, limitandosi a dar incarico ad una commissione di valutare entità dell’intervento e scelta dell’appaltatore, non sorge il correlativo obbligo di contribuzione del singolo condomino che potrà pertanto, ove abbia versato Dali importi agire per la ripetizione dell’indebito nei confronti del condominio.

i fatti e la causa: “Con citazione del 20 maggio 2008 la Autoparco Colombo s.r.l., proprietaria di locali compresi nel condominio, aveva richiesto la restituzione della somma di Euro 86.460,00, versata a titolo di contributo, in misura di due terzi del totale, inerente ai lavori di manutenzione straordinaria del passaggio pedonale esterno di accesso ai portoni, deducendo che l’assemblea del 19 aprile 2007 non avesse approvato l’intervento, ma soltanto dato mandato ad una Commissione Tecnica di valutare ed approvare lo stesso, indicando in Euro 150.000,00 più IVA l’importo massimo e prescrivendo criteri sulla scelta dell’impresa appaltatrice.

La domanda di restituzione, accolta dal Tribunale, sul presupposto che l’assemblea non avesse deliberato nè l’esecuzione dei lavori nè il riparto delle spese, veniva invece respinta dalla Corte d’Appello.

I giudici di secondo grado, recependo il motivo di gravame del Condominio, ravvisavano il vizio di ultrapetizione in cui era incorso il Tribunale, in quanto la condomina Autoparco Colombo s.r.l. in citazione aveva contestato non l’approvazione dei lavori, ma il riparto della spesa, perché non approvato dall’assemblea. Aggiungeva la Corte d’Appello che la delibera dell’assemblea di approvazione dei lavori comunque esisteva ed il criterio di riparto fosse quello stabilito dal regolamento di condominio, con rinvio all’art. 1126 c.c.. Per di più, la sentenza impugnata riteneva tardiva la domanda di accertamento della nullità della delibera di ripartizione della spesa formulata dalla società attrice con la prima memoria istruttoria. La Corte di Genova sosteneva pure che la violazione dei criteri di ripartizione delle spese avrebbe implicato la annullabilità e non la nullità della delibera, con conseguente soggezione al termine di trenta giorni ex art. 1137 c.c.. Dunque, non essendo stata impugnata la delibera che aveva approvato l’intervento di manutenzione e ripartito le spese, non era concepibile per la Corte d’Appello un’azione di indebito arricchimento fondata sull’assunta mancanza di delibera. Conclude la sentenza impugnata che la difesa di Autoparco Colombo s.r.l. avesse ammesso di non aver voluto proporre alcuna domanda di accertamento del criterio di riparto delle spese”

la decisione di legittimità: “È pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136 c.c., comma 4, per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale (si vedano indicativamente Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4430; Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865).

In difetto di preventiva approvazione assembleare dei lavori di manutenzione straordinaria (e al di fuori del caso dell’urgenza di cui allo stesso n. 4 dell’art. 1135 c.c.), non sussiste il diritto dell’amministratore del condomino a pretendere la riscossione dei relativi contributi dai singoli condomini.

La delibera assembleare in ordine alla manutenzione straordinaria deve in ogni caso determinare l’oggetto del contratto di appalto da stipulare con l’impresa prescelta, ovvero le opere da compiersi ed il prezzo dei lavori, non necessariamente specificando tutti i particolari dell’opera, ma comunque fissandone gli elementi costruttivi fondamentali, nella loro consistenza qualitativa e quantitativa. Sono, peraltro, ammissibili successive integrazioni della delibera di approvazione dei lavori, pure inizialmente indeterminata, sulla base di accertamenti tecnici da compiersi. Mentre l’autorizzazione assembleare di un’opera può reputarsi comprensiva di ogni altro lavoro intrinsecamente connesso nel preventivo approvato (arg. da Cass., Sez. 2, 20/04/2001, n. 5889).

Le delibere assembleari del condominio devono comunque essere interpretate secondo i canoni ermeneutici stabiliti dagli artt. 1362 c.c. e segg., privilegiando, innanzitutto, l’elemento letterale, ed adoperando quindi, soltanto nel caso in cui esso si appalesi insufficiente, gli altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge (Cass. Sez. 2, 28/02/2006, n. 4501). In tal senso, la delibera adottata dall’assemblea dei condomini del Condominio (OMISSIS) il 19 aprile 2007 si limitava a “deliberare il lavoro totale, previo studio e capitolato d’appalto da predisporre” da parte di un geometra incaricato, con “mandato alla Commissione Tecnica di valutare e approvare lavorazione… per un importo massimo di Euro 150.000 più i.v.a.”, ed aggiungeva “la cifra è semplicemente indicata come tetto massimo insuperabile per l’attività autonoma della commissione tecnica. Permane l’obiettivo della scelta dell’Impresa più conveniente nel rapporto qualità-prezzo”.

Nel senso proprio delle parole adoperate, questa delibera, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte d’Appello di Genova, non può spiegarsi come definitiva autorizzazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1135 c.c., comma 1, n. 4, delle riparazioni straordinarie del passaggio pedonale di accesso ai portoni dell’edificio condominiale, in quanto essa non determinava ancora l’oggetto del contratto di appalto, atteso che non individuava l’impresa prescelta, nè le opere da compiersi nè il prezzo dei lavori, in modo da limitarsi a delegare alla commissione ristrette scelte di mera gestione tecnico – economiche relative alle opere di manutenzione dello stabile condominiale.

Perché questa delega non si intenda come un esautoramento del condominio nell’amministrazione della cosa comune, e non comporti l’annullamento dei diritti della minoranza dei partecipanti al condominio, nel cui interesse è stabilita la competenza istituzionale dell’organo assembleare, occorre, come questa Corte ha già affermato, che le decisioni della commissione, incaricata di esaminare i preventivi di spesa, vengano poi rimesse all’approvazione, con le maggioranze prescritte, dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 06/03/2007, n. 5130; Cass. Sez. 2, 23 novembre 2016, n. 23903; Cass. Sez. 2, 25 maggio 2016, n. 10865; Cass. Sez. 62, 15/03/2019, n. 7484).

Ove non sia configurabile, alla stregua dei richiamati principi, una deliberazione assembleare di approvazione delle opere di manutenzione straordinaria del passaggio pedonale di accesso ai portoni, deve perciò essere nuovamente esaminata la domanda della Autoparco Colombo s.r.l. di ripetizione di quanto si assume indebitamente versato al Condominio a tale titolo.

Per ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale, con riferimento alle spese attinenti a lavori condominiali di manutenzione straordinaria o che consistano in un’innovazione, la deliberazione dell’assemblea, chiamata a determinare quantità, qualità e costi dell’intervento, assume valore costitutivo della relativa obbligazione di contribuzione in capo a ciascun condomino.

In sostanza, l’obbligo dei singoli partecipanti di contribuire alle spese straordinarie necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni, postula la preventiva approvazione assembleare, la quale a sua volta suppone essenzialmente, come già detto, la determinazione completa dell’oggetto delle opere, non avendo rilievo ai fini dell’insorgenza del debito, e quindi dell’esigibilità del credito vantato dalla gestione condominiale, l’esistenza di una deliberazione programmatica e preparatoria (Cass. Sez. 2, 26 gennaio 1982, n. 517; Cass. Sez. 2, 02/05/2013, n. 10235; Cass. Sez. 2, 21 febbraio 2017, n. 4430; Cass. Sez. 6-2, 16 novembre 2017, n. 27235; Cass. Sez. 6-2, 17 agosto 2017, n. 20136; Cass. Sez. 2, 20 aprile 2001, n. 5889).

l versamento delle spese che il condomino esegua in favore del condominio prima che sia individuabile, nei termini indicati, una completa definitiva e deliberazione di approvazione dell’intervento di manutenzione straordinaria ben può, pertanto, configurare, un pagamento ab origine indebito, agli effetti dell’art. 2033 c.c. (arg. da Cass. Sez. U, 09/03/2009, n. 5624; Cass. Sez. 3, 19/06/2008, n. 16612; Cass. Sez. 3, 23/02/2006, n. 3994).

© massimo ginesi 16 ottobre 2019 

il credito del condominio verso il condomino è pignorabile dal creditore del condominio

sembra uno scioglilingua ed invece è quanto ha statuito la corte di legittimità (Cass.civ. sez. III 14 maggio 2019, n. 12715), a fronte del pignoramento eseguito da un creditore del condominio sulle quote dovute dai singoli condomini.

E’ tesi che, da un lato, si schiera apertamente e condivisibilmente sulla sussistenza di un patrimonio autonomo del condominio, sulla differenza ontologica fra obbligazione dei singoli nei conforti del condominio e obbligazione del condominio nei confronti di terzi   e libera definitivamente il campo dai dubbi sulla pignorabilità del conto corrente.

Dall’altro, a fronte della recente sentenza delle sezioni unite sulla identità processuale fra condominio e condomini, desta qualche brivido e qualche disorientamento sistematico  sentir dichiarare che i condomini sono terzi pignorabili rispetto al condominio.

L’importanza del tema, consiglia lettura integrale della motivazione.

“La presente controversia ha ad oggetto la contestazione del diritto di un creditore del condominio di procedere, in base ad un titolo giudiziale, ad esecuzione forzata nei confronti dello stesso condominio, mediante pignoramento dei suoi crediti verso i condomini per contributi.
Non si tratta di una controversia avente ad oggetto direttamente la riscossione dei contributi, l’erogazione delle spese di manutenzione o la gestione di una o più cose comuni, nè viene dedotta l’estinzione (successiva alla formazione del titolo) del credito fatto valere contro il condominio, ma solo una pretesa inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, secondo le modalità concretamente adottate dal creditore, onde la proposizione dell’opposizione non può ritenersi rientrare tra le ordinarie attribuzioni dell’amministratore di cui all’art. 1130 c.c..

Di conseguenza, deve negarsi la autonoma legittimazione dell’amministratore a proporla senza autorizzazione (anche eventualmente in ratifica) dell’assemblea.
La suddetta autorizzazione non risulta prodotta. Inoltre, nell’epigrafe del ricorso non si fa alcun riferimento a tale autorizzazione, nè il documento risulta nell’indice di quelli allegati al ricorso stesso; non risulta in atti alcuna autorizzazione neanche in relazione ai gradi di merito dell’opposizione, nè l’amministratore del condominio ha in qualche modo replicato all’eccezione di insussistenza dell’autorizzazione assembleare, avanzata già nel controricorso.
Il ricorso dell’amministratore del condominio è dunque inammissibile.

L’opposizione dell’altro ricorrente P. , condomino terzo pignorato, è stata dichiarata inammissibile dai giudici di merito, per difetto di interesse ad agire. In secondo grado il P. aveva espressamente posto, tra i motivi di gravame, la questione della sua legittimazione attiva, negata dal Tribunale, ma tale motivo di gravame è stato rigettato dalla corte di appello.
Nel ricorso non vi è una specifica censura del P. in merito alla dichiarazione di inammissibilità della sua opposizione; quanto meno, la ratio decidendi alla base della relativa statuizione della corte di appello non risulta adeguatamente colta, essendosi limitati i ricorrenti a sostenere – con riguardo ai profili attinenti la soggettività e la legittimazione delle parti che non vi sarebbe alterità soggettiva tra condominio e condomini.
Anche il ricorso del P. è pertanto inammissibile.

Esso non potrebbe, in ogni caso, ritenersi fondato.
Come correttamente affermato dalla corte di appello, il terzo pignorato, nell’espropriazione di crediti, non ha infatti interesse e quindi non è legittimato a sollevare questioni che riguardano esclusivamente i rapporti tra creditore esecutante e debitore esecutato e, in particolare, il diritto del creditore di procedere ad esecuzione forzata nei confronti del debitore, il quale ultimo soltanto si può avvalere dell’apposito rimedio oppositivo di cui all’art. 615 c.p.c. (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. L, Sentenza n. 6667 del 29/04/2003, Rv. 562536 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 387 del 11/01/2007, Rv. 595611; Sez. 3, Sentenza n. 4212 del 23/02/2007, Rv. 595615 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 3790 del 18/02/2014, Rv. 630151 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 23631 del 28/09/2018, Rv. 650882 – 01).

Inoltre, dalla stessa esposizione del fatto contenuta nel ricorso (cfr. pag. 3, righi 9-11) emerge che la creditrice B. , nel corso della procedura esecutiva, aveva rinunciato al pignoramento del credito vantato dal condominio nei confronti del P. ; quindi in realtà quest’ultimo non poteva neanche più ritenersi rivestire in concreto la posizione di terzo pignorato e, di conseguenza, non avrebbe avuto legittimazione neanche a proporre eventuali questioni attinenti alla regolarità della procedura esecutiva nei suoi confronti, quale terzo pignorato (questioni che avrebbero comunque dovuto essere fatte valere ai sensi dell’art. 617 c.p.c. ovvero nell’ambito dell’eventuale giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, in quanto non configurabili in termini di opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.).
L’infondatezza nel merito degli argomenti in diritto posti a base del ricorso (anche da parte del P. ) emerge d’altra parte da quanto sarà illustrato in prosieguo, ai sensi dell’art. 363 c.p.c..

Le considerazioni sin qui svolte impongono la dichiarazione di inammissibilità del ricorso.
La Corte ritiene peraltro di esaminare comunque il merito dello stesso, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, in considerazione della particolare importanza della questione di diritto che con esso è posta (in particolare con il primo motivo).

Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Erronea configurazione del condominio quale soggetto dotato di personalità giuridica, sia pure attenuata, ovvero di autonoma propria soggettività giuridica. Violazione e/o falsa applicazione dei principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1117, 1118, 1119, 1123, 1130 e 1131 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3”.
Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali e del principio di indisponibilità delle somme dovute per quote, quali principi informatori della specifica disciplina. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1118, 1119 e 1123 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.
Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione del regolamento delle spese di lite, di cui agli artt. 91 e 92 c.p.c. Erronea implicita applicazione dell’art. 2055 c.c. (ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c.)”.

La questione di diritto che viene posta con il ricorso (in particolare con il primo motivo) riguarda la possibilità, per il creditore del condominio che abbia conseguito un titolo esecutivo nei confronti del condominio stesso, di procedere all’espropriazione dei crediti del condominio nei confronti dei singoli condomini per i contributi dagli stessi dovuti.
Tale questione va risolta in senso affermativo.

Secondo i principi generali (artt. 2740 e 2910 c.c.), mediante l’espropriazione forzata è possibile espropriare al debitore tutti i suoi beni, inclusi i crediti.
Affinché l’espropriazione dei crediti vantati dal condominio verso i singoli condomini per contributi sia legittima, è quindi sufficiente che sia configurabile, sul piano sostanziale, un effettivo rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condomino avente ad oggetto il pagamento dei contributi condominiali (oltre che, ovviamente, un rapporto obbligatorio tra creditore e condominio, il che però è nella specie questione ormai risolta in sede di cognizione – avendo il creditore conseguito il titolo esecutivo direttamente nei confronti del condominio – e come tale non più oggetto di possibile discussione in sede esecutiva).

Orbene, è innegabile che sia configurabile sul piano sostanziale un rapporto obbligatorio tra condominio e singolo condomi-no, con riguardo al pagamento dei contributi condominiali: una espressa disposizione normativa, l’art. 63 disp. att. c.c. (sia nella precedente che nella attuale formulazione), prevede infatti che l’amministratore possa addirittura ottenere un decreto ingiuntivo (immediatamente esecutivo), in favore del condominio e contro il singolo condomino per il pagamento dei suddetti contributi (in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea).

Tale disposizione normativa conferma espressamente, e/o quanto meno presuppone, l’esistenza di un rapporto obbligatorio tra condominio e singoli condomini avente ad oggetto i contributi dovuti in base agli stati di ripartizione approvati dall’assemblea condominiale, consentendo al condominio, rappresentato dall’amministratore, di agire in giudizio contro il condomino per il pagamento delle quote condominiali.

Essendo configurabile sul piano sostanziale un credito del condominio (rappresentato dal suo amministratore) nei confronti dei singoli condomini, laddove esista altresì un titolo esecutivo in favore di un terzo e contro lo stesso condominio (sempre rappresentato dall’amministratore), in mancanza di una norma che lo vieti espressamente, tale credito può certamente essere espropriato dal creditore del condominio, ai sensi degli artt. 2740 e 2910 c.c., e la relativa esecuzione orzata non può che svolgersi nelle forme dell’espropriazione dei crediti presso terzi di cui agli artt. 543 c.p.c. e ss..

Nè può ritenersi che tale conclusione violi il principio di parziarietà delle obbligazioni condominiali (come sembra adombrato nel secondo e terzo motivo del ricorso).
Il suddetto principio implica che l’esecuzione contro il singolo condomino non possa avere luogo per l’intero debito del condominio, ma solo nei limiti della sua quota di partecipazione al condominio stesso.

Laddove l’esecuzione avvenga direttamente contro il condominio, e non contro il singolo condomino, non solo l’esecutato è il condominio, debitore per l’intero (onde non entra in realtà in gioco in nessun modo il principio di parziarietà), ma l’espropriazione dei beni e diritti del condominio, cioè di beni che, proprio in quanto condominiali, appartengono pro quota a tutti i condomini, finisce addirittura per attuare, in linea di principio ed in concreto, il richiamato principio di parziarietà (almeno fino a specifica prova contraria), senza affatto violarlo.
Solo a fini di completezza espositiva è, infine, opportuno far presente (con riguardo alle questioni relative alle spese processuali): a) che l’obbligazione relativa alle spese processuali liquidate in un provvedimento giudiziario non è di fonte contrattuale e quindi per essa neanche potrebbe valere l’invocato principio di parziarietà; b) che i giudici di merito, rigettate le opposizioni, hanno correttamente applicato il principio di soccombenza di cui all’art. 91 c.p.c., ed ogni contestazione in proposito è inammissibile, in quanto la facoltà di disporre la compensazione delle spese in caso di soccombenza integrale, per eccezionali motivi, costituisce un potere discrezionale del giudice di merito il cui mancato esercizio non è censurabile in sede di legittimità.”

© massimo ginesi 21 maggio 2019

responsabilità patrimoniale dei condomini: e l’art 63 disp. att.c.c.?

Una recente sentenza del Tribunale di Vicenza ( Trib. Vicenza 17.1.2019 n. 109) richiama integralmente il dictum di CAss. Sez.un. 9148/2008, affermando la responsabilità parziaria dei singoli morosi per il debito contratto dall’amministratore del condominio per l’amministrazione delle cose comuni ed omette, inspiegabilmente, ogni riferimento alla responsabilità sussidiaria degli altri condomini introdotta dalla L. 220/2012 all’art. 63 disp.att.c.c.

Certamente sussiste in prima battuta responsabilità diretta dei condomini morosi e, tuttavia, non si può dimenticare che il terzo creditore potrà oggi rivolgersi anche agli altri condomini laddove sia risultata infruttuosa l’azione esecutiva promossa contro gli insolventi . 

Va osservato che il decreto ingiuntivo opposto dal condominio è del 2012 e si riferisce a fatture del 2012, sì che potrebbe trattarsi di una interpretazione riferita a vicende che non ricadono sotto l’applicazione, ratuone temporis, del novellato art. 63 disp. att.c.c. 

Osserva il giudice vicentino “Con il secondo argomento, deduce il Condominio che il debito in ogni caso dovrebbe gravare unicamente su quei condòmini non in regola con il pagamento delle spese condominiali; in tal senso parte opponente ha documentato di aver avviato delle procedure esecutive contro i predetti condòmini.

La tesi, che è corretta, si basa sui noti principi che, qualche anno fa, furono sanciti dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass., 9148 dell’8/4/2008) e che possono essere riassunti come di seguito:

in linea di principio, per ogni obbligazione con pluralità di debitori, vi è solidarietà passiva degli stessi, purché sia unica la causa e unica la prestazione,

in tema di condominio di edifici, però, le obbligazioni, tipicamente pecuniarie, che riguardano tale particolare Ente di gestione (rectius: organizzazione pluralistica di soggetti rappresentati), sono divisibili ex parte debitoris: ogni singolo condomino, cioè, risponde del debito condominiale (ovvero quello assunto dall’amministratore in rappresentanza dei condòmini) nei soli limiti della rispettiva quota,

in tali obbligazioni, infatti, difetta appunto il requisito della unicità della prestazione,

sicché, in assenza di apposita norma che disponga diversamente e ad hoc, non può applicarsi il principio base della solidarietà passiva in ipotesi di pluralità di debitori, e vale al contrario il principio della parziarietà dell’obbligazione, in analogia a quanto dispone la legge per le obbligazioni ereditarie (artt. 752 e 1295 cc);

insomma, l’obbligazione assunta dall’Amministratore nell’esercizio dei suoi poteri vincola tutti i singoli in ragione delle rispettive quote, producendo effetti immediatamente nel patrimonio dei singoli interessati;

dal punto di vista pratico, ottenuta una condanna del Condominio al pagamento di una certa somma di denaro, il terzo creditore può e deve procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.

Ed è per l’appunto nei termini che precedono che la presente sentenza deve disporre: da un la-

to sancendo la conferma del decreto ingiuntivo, e dall’altro avvertendo la parte convenuta opposta e creditrice che, sulla base di tale statuizione di condanna, essa dovrà procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli condòmini, secondo la quota che a ciascuno è ascrivibile con riguardo all’obbligazione dedotta.”

copyright massimo ginesi 1 febbraio 2019 

art. 63 disp.att. cod.civ.: dalla Cassazione un’accurata disamina della natura dell’obbligazione e del suo operare fra venditore ed acquirente

E’ noto che l’art. 63 disp.att. cod.civ., sia nella formulazione anteriore alla novella del 2012 che in quella attuale, prevede solidarietà fra acquirente e venditore dell’unità immobiliare  per le somme dovute al condominio in forza dell’esercizio  in corso e di quello precedente all’atto del trasferimento.

Si tratta di norma che ha valenza nei conforti del condominio, ma non rileva nei rapporti interni fra venditore ed acquirente, che potranno regolare nell’atto le rispettive obbligazioni e che comunque saranno tenuti in forza di meri criteri cronologici legati al trasferimento, avendo riguarda – per le spese straordinarie – a chi era proprietario al momento della delibera che ne ha deciso l’esecuzione.

Tale rilevanza rimane  interna  anche riguardo ai rapporti con il terzo creditore, che non potrà fra conto sul vincolo di solidarietà fra venditore ed acquirente dell’unità condominiale .

La Suprema  Corte chiarisce inoltre che il vincolo previsto  dall’art. 63 disp.att. cod.civ. opera anche in caso di acquisto in sede di esecuzione immobiliare, ribadendo  una tesi abbastanza pacifica in dottrina e diffusa nella giurisprudenza di merito, ma che non aveva ancora trovato un recente e netto riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità, sì che non è raro trovare coloro che ancora sostengono la leggenda metropolitana dell’effetto purgativo dell’asta immobiliare.

Cass.Civ. sez. VI 25 gennaio 2018 n.   1847 rel. Scarpa sottolinea, con la consueta capacità di sintesi e approfondimento del relatore, alcuni passaggi essenziali della materia.

il motivo del contendere: “C. B., titolare di omonima impresa edile, aveva domandato tale ingiunzione di pagamento per ottenere dal condomino I. il pagamento del residuo corrispettivo (C 2.080,00) dei lavori di ristrutturazione del fabbricato condominiale di via F., Pozzuoli, approvati con deliberazione assembleare del 7 febbraio 2008. Lo Iacuaniello si era opposto al decreto ingiuntivo, deducendo di aver acquistato l’unità immobiliare compresa nel condominio di via F. solo per effetto di decreto di trasferimento del Tribunale di Napoli in data 23 gennaio 2009. Il Tribunale ha riformato la sentenza di primo grado, osservando come il vincole solidale  tra precedente e attuale  proprietario, previsto dall’art. 63 disp. att. c.c., riguardi soltanto le somme dovute al condominio, mentre nei confronti del terzo creditore, trattandosi nella specie di spese di manutenzione straordinaria, doveva ritenersi debitore unicamente chi fosse proprietario al momento della deliberazione di approvazione dell’assemblea.”

I principi di diritto affermati dalla Cassazione: quanto alla natura di lavoro straordinario, la corte rileva che si tratta di valutazione rimessa al giudice di merito, insindacabile in cassazione e tuttavia ribadisce che “questa Corte ha già spiegato come il criterio discretivo tra atti di ordinaria amministrazione ed atti di amministrazione straordinaria riposa sulla “normalità” dell’atto di gestione rispetto allo scopo dell’utilizzazione e del godimento dei beni comuni, sicché gli atti implicanti spese che, pur dirette alla migliore utilizzazione delle cose comuni o imposte da sopravvenienze normative, comportino, per la loro particolarità e consistenza, un onere economico rilevante, necessitano della delibera dell’assemblea condominiale (Cass. Sez. 2, 25/05/2016, n. 10865). Trattasi, peraltro, di valutazione da compiersi avendo riguardo non alla singola voce di spesa, ma all’intervento complessivamente approvato, sicchè non appare dubitabile che un intervento edilizio di ristrutturazione del fabbricato, quale quello oggetto della vicenda per cui è lite, si connoti come manutenzione straordinaria. L’accertamento della straordinarietà o ordinarietà dell’attività gestoria discende, in ogni modo, dall’apprezzamento di fatto rimesso ai giudici del merito”

Sulla natura dell’obbligazione ex art. 63 disp.att. cod.civ. e sul suo operare: “Trova applicazione ratione temporis, attesa l’epoca di insorgenza dell’obbligo di spesa per cui è causa, l’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220. In forza di tale norma, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo al pagamento dei contribut relativi all’anno in corso e a quello precedente.

Dovendosi individuare, ai fini dell’applicazione dell’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., quando sia insorto l’obbligo di partecipazione a spese condominiali per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell’edificio condominiale)”, deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l’esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez. 6 – 2, 22 giugno 2017, n. 15547; Cass. Sez 6 – 2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654).  

Tale momento rileva anche per imputare l’obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

L’obbligo del cessionario nei confronti del condominio si configura in capo a chiunque, sia pure, come nel caso in esame, in dipendenza di aggiudicazione forzata, succeda nella proprietà dell’immobile condominiale, non trovando applicazione il disposto dell’art. 2919 c.c. (Cass. Sez. 2, 09/07/1964, n. 1814).

Si tratta, quindi, di obbligazione solidale, ma autonoma, in quanto non propter rem, e, piuttosto, costituita ex novo dalla legge esclusivamente in funzione di rafforzamento dell’aspettativa creditoria dell’organizzazione condominiale, sicchè essa non opera in favore del terzo creditore del condominio.

La costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la appartenenza di questo al condominio, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento e l’amministratore può vincolare i singoli comunque nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148).

Non può pertanto essere obbligato in via diretta verso il terzo creditore, neppure per il tramite del vincolo solidale ex art. 63, disp. att. c.c., chi non fosse condomino al momento in cui sia insorto l’obbligo di partecipazione alle relative spese condominiali, nella specie per l’esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni, ossia alla data di approvazione della delibera assembleare inerente i lavori.”

© massimo ginesi 26 gennaio 2018 

 

il condomino apparente è una chimera, anche per il terzo creditore.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. VI ord.  9 ottobre 2017 n. 23621 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare,   cogliendo l’occasione per una interessante disamina del sorgere dell’obbligazione condominiale e della sua natura, temi che in diverse recenti sentenze stanno acquisendo una interpretazione organica e di grande interesse per l’operatore del diritto.

Il caso nasce da una opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dall’appaltatore,  terzo creditore del condominio,  nei confronti di colui che riteneva condomino e che si è, invece, rivelato essere l’amministratore della società di capitali effettiva proprietaria del bene.

Assai singolarmente la Corte di appello di Salerno ha ritenuto che il principio del condomino apparente, spazzato dalle aule di giustizia dalla Cassazione ormai una ventina di anni fa – sulla considerazione che la proprietà immobiliare è soggetta a pubblicità erga omnes e debba  dunque obbligatoriamente essere accertata  da chi agisce – fosse invece applicabile al terzo, “poiché  l’apparenza della qualità di condomino (manifestata dalla partecipazione alle assemblee condominiali senza mai manifestare tale qualità) rileva nei confronti di soggetti terzi, i quali non possono farsi carico di accertare la proprietà dell’immobile”.

Il giudice di legittimità, su ricorso dell’ingiunto, ripercorre con interessante motivazione sia la genesi dell’obbligazione, che presuppone necessariamente la qualità di condomino, sia l’obbligo, per chiunque, di accertare l’effettiva titolarità del bene, non potendo affatto invocarsi l’apparenza del diritto in simili contesti.

“Questa Corte ha più volte affermato che in materia condominiale, quanto meno con riferimento alle azioni promosse dall’amministratore per la riscossione delle spese condominiali di competenza delle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva, sono passivamente legittimati soltanto i rispettivi proprietari effettivi di dette unità, e non anche coloro che possano apparire tali, a nulla rilevando la reiterazione continuativa di comportamenti propri del condomino, né sussistendo esigenze di tutela dell’affidamento di un terzo di buona fede nella relazione tra condominio e condomino (Cass. Sez. U, 08/04/2002, n. 5035; Cass. Sez. 2, 03/08/2007, n. 17039; Cass. Sez. 2, 25/01/2007, n. 1627).”

Con riguardo alla bizzarra affermazione della Corte d’Appello di Salerno, la Cassazione rileva che “Questo argomentare non tiene conto che la costruzione giurisprudenziale del principio della diretta riferibilità ai singoli condomini della responsabilità per l’adempimento delle obbligazioni contratte verso i terzi dall’amministratore del condominio per conto del condominio, tale da legittimare l’azione del creditore verso ciascun partecipante, poggia comunque sul collegamento tra il debito del condomino e la res, in quanto è comunque la contitolarità delle parti comuni che ne costituisce il fondamento.

D’altro canto, la stessa conclusione raggiunta in giurisprudenza, per cui la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, nel senso che le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, è stata costruita spiegando che l’amministratore possa vincolare i singoli comunque “nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote” (Cass. Sez. U, 08/04/2008, n. 9148).

E’ pacifico che occorra l’autorizzazione dell’assemblea (o, comunque, l’approvazione mediante sua successiva ratifica), ai sensi dell’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., e con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 4, c.c., per l’approvazione di un appalto relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale.

E’ poi dalla deliberazione dell’assemblea, e non dal rapporto contrattuale con l’appaltatore, che discende l’obbligo dei singoli condomini di partecipare agli esborsi derivanti dall’esecuzione delle opere, ponendosi il condominio (e non ciascun condomino) come committente nei confronti dell’appaltatore stesso.

Anche, dunque, la vicenda obbligatoria che si imputa pro quota al singolo partecipante è geneticamente correlata al diritto reale condominiale (si vedano, indicativamente, i commi 1 e 2 dell’art. 63 disp. att. c.c., come modificato dalla legge n. 220/2012, pur non applicabile nella specie ratione temporis), ed è quindi quanto meno indirettamente collegata alla situazione resa pubblica nei libri fondiari.

Ai fini dell’invocabilità dell’apparentia iuris a garanzia dell’affidamento maturato dal terzo creditore del condominio, non può quindi negarsi, come fatto dalla Corte d’Appello di Salerno, la sussistenza di un legame con il dato pubblicitario emergente dalla trascrizione nei registri immobiliari, trattandosi di trarre conseguenze ai fini dell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria comunque connessa con la titolarità di un diritto reale di proprietà.

D’altro canto, è decisivo osservare come nel nostro ordinamento il principio dell’apparenza del diritto (art. 1189 c.c.) trova applicazione quando sussistono uno stato di fatto difforme dalla situazione di diritto ed un errore scusabile del terzo in buona fede circa la corrispondenza del primo alla realtà giuridica, assumendo comunque rilievo giuridico l’apparenza ai soli fini della individuazione del titolare di un diritto soggettivo, ma non anche per fondare una pretesa di adempimento nei confronti di un soggetto non debitore, atteso che l’affidamento del terzo può legittimare una richiesta di risarcimento danni per il subito pregiudizio, e non invece trasformare in debitore un soggetto che non rivesta tale qualità (cfr. Cass. Sez. U, 01/07/1997, n. 5896; Cass. Sez. 1, 10/11/1997, n. 11041; Cass. Sez. 1, 10/11/1997, n. 11040).”

© massimo ginesi 10 ottobre 2017

la parziarietà dell’obbligazione condominiale: titolo, precetto ed esecuzione contro il singolo.

Il creditore che vanta un credito nei confronti del condominio può richiedere ed ottenere  titolo contro il condominio, cui potrà ritualmente intimare anche il precetto per l’intera obbligazione.

Ove non riesca a soddisfare il proprio credito nei confronti del Condominio (ad esempio mediante pignoramento del conto condominiale), dovrà procedere ad esecuzione contro i singoli condomini.

In tal caso l’obbligazione di ciascun condomino è retta dal principio della parziarietà   ma il titolo ottenuto contro il condominio è direttamente azionabile nei confronti  del singolo condomino, cui dovrà essere notificato unitamente a precetto per la sua quota.

Non è onere del creditore provare la quota millesimale di ciascun condomino, ma la stessa dovrà ritenersi identificata dalla somma precettata e sarà, eventualmente, onere del singolo proporre opposizione al precetto al fine di contestarla.

Sono i principi, in linea con la linea interpretativa delineata negli ultimi anni dalla Suprema Corte, espressi da Cass. civ. III sez. 29 settembre 2017 n. 22856.

Osserva in particolare la Corte che

La pronuncia, per l’ampia e motivata disamina delle modalità esecutive da adottare nei confronti del singolo, merita integrale lettura

esecuzionesingolo22856

© massimo ginesi 3 ottobre 2017 

l’obbligazione condominiale: natura e corretto adempimento.

Una recentissima pronuncia della Cassazione (Cass.civ. sez. VI-2 9 giugno 2017 .n. 14530  rel. Scarpa) traccia i contorni dell’obbligazione condominiale da ricondurre alla fattispecie della obbligazione parziaria e  chiarisce le corrette modalità di adempimento della stessa, che deve ritenersi correttamente assolta dal singolo condomino con il pagamento a mani dell’amministratore, non potendosi riconoscere efficacia liberatoria al pagamento effettuato direttamente  a mani del terzo creditore. 

Un terzo creditore, ottenuto decreto nei confronti del Condominio, notifica precetto pro quota al condomino che,  tuttavia,  aveva nel frattempo versato la quota di propria spettanza all’amministratore, e pertanto, propone opposizione al precetto. Il Giudice di Pace in primo grado e il Tribunale in sede di appello accolgono l’opposizione, sull’assunto ” che il condomino paga bene la sua quota di contribuzione alle spese comuni nelle mani dell’amministratore ove, come nella specie, a tanto abbia provveduto prima ancora dell’inizio della procedura esecutiva nei suoi confronti”

Il creditore propone ricorso per cassazione, sostenendo  che debba essere rimeditato l’assunto della parziarietà dell’obbligazione condominiale e che il pagamento effettuato dal condomino all’amministratore non possa aver effetto nei suoi confronti.

La Suprema Corte respinge il ricorso offrendo interessanti spunti di riflessione su un tema di grande rilievo e che conferma l’impianto concettuale prospettato dalle Sezioni unite nel 2008 con la famosa sentenza Corona: “Il provvedimento impugnato ha deciso la questione di diritto oggetto di causa in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, espressa da Cass. Sez. U, Sentenza n. 9148 del 08/04/2008, ad avviso della quale: “In riferimento alle obbligazioni assunte dall’amministratore, o comunque, nell’interesse del condominio, nei confronti di terzi – in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, trattandosi di un’obbligazione avente ad oggetto una somma di denaro, e perciò divisibile, vincolando l’amministratore i singoli condomini nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio – la responsabilità dei condomini è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c. per le obbligazioni ereditarie”.

L’esame dei primi due motivi di ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento.

In astratto, è condivisibile che la nozione di divisibilità o di indivisibilità, anche in un’obbligazione soggettivamente complessa, concerne la prestazione, ossia la sua suscettibilità di essere eseguita per parti, e non il vincolo soggettivo tra i condebitori. Sicché un’obbligazione soggettivamente complessa può ritenersi parziaria, e quindi scindersi in tante obbligazioni quanti sono i debitori, ognuno dei quali resta obbligato per la sua parte, soltanto se la solidarietà sia espressamente negata dalla volontà delle parti o dalla legge.

E’, tuttavia, proprio la stretta correlazione esistente tra l’obbligo dei condomini di sostenere le spese condominiali ed il diritto dominicale che lega pro quota il singolo partecipante alle parti ed ai servizi comuni, che comporta che il condomino debba vedere limitata la misura della propria responsabilità in rapporto alla misura della propria partecipazione. In tal senso, il criterio di ripartizione parziario delle spese, ex art. 1123 c.c., attiene, appunto, alla fase costitutiva dell’obbligo di contribuzione del singolo, e non a quella della sua opponibilità ai terzi.

Né ha rilievo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 21907 del 21/10/2011, la quale ha riconosciuto il debito solidale dei comproprietari di un’unità immobiliare nei confronti del condominio per il pagamento degli oneri condominiali relativi alla loro intera porzione intesa come cosa unica. Questa pronuncia non contraddice il principio enunciato da Cass Sez. Un. n. 9148 del 2008, riguardando essa la diversa problennatica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale.

Si ha riguardo, nel caso in esame, a fattispecie sottratta ratione temporis all’applicabilità dei primi due commi dell’art. 63 disp. att. c.c. come riformulati dalla legge n. 220/2012.

Occorre considerare come, ogni qual volta l’amministratore contragga con un terzo, coesistono distinte obbligazioni, concernenti, rispettivamente, l’intero debito e le singole quote, facenti capo la prima al condominio, rappresentato appunto dall’amministratore, e le altre ai singoli condomini, tenuti in ragione e nella misura della partecipazione al condominio ai sensi dell’art. 1123 c.c.

In particolare, il terzo creditore può agire nei confronti del condomino moroso per ottenerne il pagamento della rispettiva quota di partecipazione alla spesa, ma sempre che e fintanto che questa sia inadempiuta. Presupposto per l’azione diretta portata dal terzo creditore nei confronti del singolo condomino è, quindi, che questi non abbia adempiuto al pagamento della sua quota dovuta ex art. 1123 c.c. all’amministratore fino ancora al momento il cui il giudice emetta la sua sentenza di condanna.

Di tal che, questa Corte ha affermato che il singolo condomino è pur sempre obbligato a pagare al condominio, e non al terzo, le spese dovute in forza dei criteri di riparto ex lege o da convenzione, né può utilmente opporre all’amministratore che il pagamento sia stato da lui effettuato direttamente al terzo, in quanto, si assume, ciò altererebbe la gestione complessiva del condominio (Cass. Sez. II, 29 gennaio 2013, n. 2049).

Altrettanto, si è affermato in giurisprudenza (Cass. Sez. VI-2, 17 febbraio 2014, n. 3636) che l’amministratore è l’unico referente dei pagamenti relativi agli obblighi assunti verso i terzi per la conservazione delle cose comuni, di tal che il pagamento diretto eseguito dal singolo partecipante a mani del creditore del condominio non sarebbe comunque idoneo ad estinguere il debito “pro quota” dello stesso relativo ai contributi ex art. 1123 c.c.

Il pagamento effettuato, pertanto, dal condomino L. P. all’amministratore del Condominio di via F.  della propria quota di spese relative alla manutenzione dell’edificio condominiale non poteva lasciare lo stesso L.P. ancora debitore per lo stesso importo verso N. B., creditore della gestione condominiale.”

© massimo ginesi 12 giugno 2017