il pagamento al fornitore con fondi di altro condominio costituisce indebito oggettivo.

Fra i doveri che il novellato art. 1129 c.c. ha imposto all’amministratore vi è quello di istituire necessariamente un conto corrente condominiale e di amministrare con modalità tali da non creare consunzione con i patrimoni degli altri stabili amministrati ( tanto che costituisce grave irregolarità che può da luogo a revoca ex art 1129 comma XIII n. 4  “la gestione secondo modalita’ che possono generare possibilita’ di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell’amministratore o di altri condomini).

E’ tuttavia prassi tristemente nota quella posta in essere da alcuni amministratori di utilizzare i conti di altri stabili amministrati per far fronte a mancanze di fondi e a fronte di scadenze imminenti; é prassi che può avere significativi risvolti penali  e che, sotto il profilo civilistico, da luogo ad indebito oggettivo, per il quale il condominio che ha visto indebitamente utilizzati i propri fondi può agire direttamente verso il creditore ex art 2033 c.c. per ottenere ne la restituzione.

Lo afferma Cass.civ. sez. III 9 novembre 2020 n. 24976: Di recente, questa Corte ha avuto modo di statuire che “L’adempimento del debito altrui può avvenire sia direttamente sia per il tramite d’un mandatario; in tale ultima ipotesi, la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 1180 c.c. (esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento) vanno accertati con riferimento alla persona del mandante, non a quella del mandatario” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 8101 del 23/4/2020).

E’ vero, difatti, che l’adempimento dell’obbligo del terzo, così come di qualsiasi altra obbligazione fungibile, può avvenire sia personalmente che per il tramite di un terzo, che può assumere la veste di un mero rappresentante (art. 1387 c.c.) o di un mandatario (art. 1703 c.c.), talchè per mezzo delle due figure menzionate è possibile adempiere sia l’obbligazione propria, sia l’obbligazione altrui. Senonchè, i requisiti consacrati dall’art. 1180 c.c. a elementi costitutivi della fattispecie – id est: esistenza del debito altrui, volontà di estinguerlo, spontaneità del pagamento – devono essere considerati non rispetto alla persona dell’amministratore, mero mandatario, ma rispetto al Condominio, mandante dell’adempimento. D’altronde, secondo la giurisprudenza di legittimità non può sussistere l’indebito soggettivo ove un soggetto abbia adempiuto un debito altrui con la consapevolezza di non essere debitore, non potendo tale pagamento considerarsi effettuato in situazione di errore (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17120 del 3/12/2002; Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 22/2/1995; Sez. 2, Sentenza n. 6346 del 28/11/1981).

Anche in relazione al secondo dei profili indicati – la situazione di error del solvens che, solo se scusabile, attribuisce a questi il diritto alla ripetizione – deve ritenersi corretta la statuizione della sentenza gravata in base alla quale, nel caso specifico, non possa arguirsi che il Condominio (OMISSIS), versando in errore, si potesse ritenere debitore della Carbotermo, in quanto con essa non aveva mai stretto rapporti commerciali.

In particolare, non coglie nel segno, il rilievo, svolto dall’attuale ricorrente, secondo cui rileverebbe che i pagamenti siano andati ad estinguere debiti altrui effettivamente sussistenti, mediante assegni tratti dal conto corrente del condominio (OMISSIS), a firma dell’amministratore che, a sua volta, gestiva diversi Condomini debitori della accipiens, poichè dal mero pagamento di un debito altrui non può trarsi la volontà del solvens (in questo caso il mandante) di estinguerlo.

 Difatti, nel caso di specie, è stato correttamente ritenuto che non sussistono i presupposti che l’art. 2036 c.c., consacra ad elementi costitutivi della fattispecie di indebito soggettivo, id est: l’esistenza del credito in capo all’accipiens e la situazione di errore non scusabile in cui versa il solvens all’atto del pagamento. La circostanza che i pagamenti fossero andati a estinguere crediti effettivamente sussistenti tra la Carbotermo e altri condomini, amministrati dallo stesso amministratore, non può comunque assurgere essa sola a “causa del pagamento”, posto che non risulta che al momento dei versamenti l’amministratore abbia mai speso tale volontà del Condominio mandante, peraltro, venuto a conoscenza solo a distanza di anni dai pagamenti andati a soluzione di debiti altrui.”

© massimo ginesi 3 dicembre 2020

 

vizi della delibera e gravi irregolarità non sempre coincidono

Una recente e corposa ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  5 novembre 2020 n. 24761 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare e di significativo interesse: non sempre ciò che da luogo a gravi irregolarità comporta necessariamente anche vizio della delibera che approvi i rendiconti, poiché taluni profili hanno rilevanza ex art 1129 c.c. per l’eventuale richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore ed altri possono invece essere censurati ex art 1137 c.c. come vizio della delibera.

La pronuncia coglie anche lo spunto per ribadire alcuni orientamenti, ormai consolidati, in tema di redazione del bilancio, di diritto di accesso ai documenti da parte dei condomini, poteri del giudice in ordine alla valutazione di legittimità della delibera.

Nel caso in esame  il condomino ricorrente (che già si sera visto respingere la domanda in appello e condannare per lite temeraria ex art 96 c.p.c.), sostiene in cassazione “ la violazione dell’art. 1129 c.c., comma 7, dell’art. 263 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c. gli artt. 112 e 345 c.p.c. e dell’art. 1136 c.c. Con la censura si contesta la regolarità contabile del bilancio condominiale approvato con la Delib. 12 aprile 2012, richiamando le critiche svolte in primo grado ed in appello dal ricorrente (gestione del conto corrente, ammontare del saldo di cassa, mancata consegna della documentazione).
Il terzo motivo di ricorso deduce la “sparizione della portineria condominiale, dell’alloggio del portiere nonché della indebita proprietà dei locali ad uso della società dell’amministratore condominiale R.W. , OPE.RA. s.r.l.”, quali violazioni dell’art. 1129 c.c., art. 1130 c.c., comma 6, in riferimento agli artt. 832, 2621 e 2622 c.c.”.

La Corte preliminarmente osserva un difetto di applicabilità delle norme ratione temporis, poiché gli artt. 1129 e 1130 c.c. nella formulazione attuale sono entrati in vigore nel 2013 e non possono essere fatti valere per censurare una deliberazione assunta nel 2012.

Nel merito la corte osserva che “Le censure introdotte col secondo motivo sono anche contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise (avendosi riguardo, in relazione alla data di approvazione dell’impugnata delibera, alla disciplina condominiale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012), senza offrire elementi che inducano a mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, 27 gennaio 1988, n. 731).
È poi certo nell’interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea), senza neppure l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l’esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all’attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).

È altrettanto consolidato l’orientamento giurisprudenziale che precisa come per la validità della deliberazione  di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società; è invero sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747).

Il ricorrente, col secondo motivo, auspica che la Corte di cassazione tragga dalle risultanze istruttorie un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le stesse nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.”

La Corte osserva inoltre  che, una volta che il condomino abbia impugnato la delibera deducendo un determinato vizio, non è consentito al giudice discostarsi dalla domanda e pervenire all’annullamento epr motivi diversi da quelli espressamente dedotti dalla parte: “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione nè, tantomeno, l’annullamento, sia pure per la stessa ragione esplicitata con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata, delle altre delibere adottate nella stessa adunanza ma non ritualmente opposte in quanto, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, l’assemblea pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione, con la conseguente astratta configurabilità di separate ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2018, n. 16675). Un conto è allora domandare l’invalidità della deliberazione assembleare che non abbia individuato e riprodotto nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali, come il M. assume di aver prospettato in primo grado, altro conto è denunciare l’annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. con riferimento all’elemento reale ed all’elemento personale (domanda che correttamente, perciò, la Corte d’appello di Torino afferma non proposta tempestivamente dal ricorrente).”

© massimo ginesi 11 novembre 2020

 

Foto di Steve Buissinne da Pixabay

l’amministratore che trattiene somme versate dai condomini e’ responsanbile di appropriazione indebita

Una recentissima sentenza di legittimità (Cass. pen.  sez. II  21 aprile 2020 n. 12618) dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato nei gradi di merito e, nell’occasione, delinea il quadro della responsabilità del mandatario  che si appropri di somme dei condomini, anche se ciò avvenga in ragione di presunte ragioni di credito (che peraltro, anche ove dimostrate, darebbero luogo ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni).

Ne deriva un corollario che dovrebbe essere patrimonio culturale di ogni amministratore: mai, per alcuna ragione, prelevare somme dal conto condominiale ad uso personale, neanche laddove si vantino dei crediti che – semmai – andranno sottoposti alla verifica assembleare per il loro riconoscimento oppure azionati in via giudiziale, ove il condominio li contesti.

La condotta come emerge dalla sentenza di primo grado ” il Tribunale aveva ritenuto integrata la condotta appropriativa contestata all’imputato, “essendo stata raggiunta prova ragionevolmente certa del fatto che l’imputato si sia appropriato del denaro depositato sui conti correnti intestati ai condomini del quale aveva il possesso in qualità di mandatario e quale unico delegato ad operare sui predetti conti correnti.

Tali somme erano gravate da un vincolo di destinazione, posto che l’imputato aveva l’obbligo di incassare i canoni con l’accordo di restituirli ogni tre mesi ai proprietari, dopo aver detratto a titolo di compensi professionali la percentuale del 3% annuo del monte locazioni e le spese documentate necessarie alla gestione.

È poi emerso e confermato dall’imputato – che al momento della revoca del mandato, il M. abbia omesso di corrispondere (e quindi si sia appropriato) anche i canoni di locazione versati per il trimestre giugno – ottobre 2013, senza che il motivo posto alla base della condotta criminosa – pagamento per un presunto e non documentato diritto di credito- possa incidere sulla rilevanza penale della stessa.

L’esame degli estratti dei conti correnti ha, inoltre evidenziato il compimento di prelievi e bonifici sprovvisti di giustificativo compiuti, per stessa ammissione dell’imputato, da lui medesimo. Dalle dichiarazioni rese dallo stesso imputato, confermate anche dalla vicenda speculare del condominio “(OMISSIS) “, è emerso il seguente modus operandi: il M. , amministratore di diversi stabili oltre a quelli di proprietà delle parti civili, era solito utilizzare il denaro presente sui conti correnti intestati ai diversi condomini come fosse cosa propria sia per coprire ammanchi di altri conti corrente sia per fini personali: tale condotta esorbita sicuramente i limiti consentiti al M. in qualità di mandatario ed integra la condotta appropriativa tipizzata all’art. 646 c.p.“.

i rilievi della corte di legittimità: “D’altro canto, questa Corte (Sez. 2, sentenza n. 293 del 04/12/2013, dep. 2014, Rv. 257317) ha già chiarito che il reato di appropriazione indebita non viene meno quanto l’imputato invochi di aver trattenuto le somme in contestazione a compensazione di propri preesistenti crediti, ove si tratti di crediti non certi, non liquidi e non esigibili.

I fatti accertati non integrano il reato di cui all’art. 392 c.p.: è, infatti, tradizionale l’insegnamento per il quale non ricorre il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nel caso in cui il soggetto che si sia appropriato di denaro o beni a preteso soddisfacimento di un credito abbia piena signoria sui predetti denaro o beni e piena coscienza e volontà di farli propri, sussistendo in questo caso l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 646 c.p., non potendo parlarsi di buona fede rispetto ad una azione esecutiva privatamente esercitata, e non ricorrendo conseguentemente alcuno dei casi che potrebbero giustificare l’esclusione del dolo (Sez. 2, sentenza n. 10282 del 29/04/1975, Rv. 131104).”

per la dettagliata analisi della condotta, può essere interessante leggere la sentenza per esteso

Cass. pen.12618:2020

© massimo ginesi 23 aprile 2020

 

rendiconto e responsabilità dell’amministratore cessato dalla carica

Cass.Civ. sez.VI ord. 17 gennaio 2019 n. 1186  rel. Scarpa si pronuncia su una fattispecie perculiare. affrontando funzione e natura dell rendiconto e la sua attitudine a ratificare l’attività svolta dall’amministratore uscente: “La Corte d’Appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado del Tribunale di Rieti, che, dopo aver accolto la domanda del Condominio (OMISSIS) volta ad ottenere dal proprio ex amministratore R.S. la consegna della documentazione contabile-amministrativa riguardante il periodo del suo incarico gestorio negli anni 1992-1995, aveva comunque respinto l’ulteriore pretesa del Condominio (OMISSIS) diretta alla condanna di R.S. a restituire la somma di Euro 54.912,28. La Corte di Roma ha ritenuto provata, o altrimenti pacifica, la circostanza dell’incasso della somma di Euro 54.912,28 da parte del Condominio, ricavata da un’esecuzione immobiliare e versata sul conto corrente di gestione condominiale intestato all’amministratore. Secondo la sentenza impugnata, il teste G. aveva comunque dichiarato che tale importo era stato utilizzato per coprire le passività del Condominio per gli anni 1992, 1994 e 1995, come appariva pure dal “rendiconto importo funivia” e dal libro giornale.”

Il Condominio non si da per vinto e ricorre, senza successo, in cassazione, ove i giudici di legittimità osservano che: “Gli artt. 1130, 1130-bis (quest’ultimo introdotto dalla L. n. 220 del 2012, nella specie inapplicabile ratione temporis), art. 1135, n. 3, e art. 1137 c.c., regolamentano l’obbligo dell’amministratore del condominio di predisporre e di presentare il rendiconto condominiale annuale all’approvazione dell’assemblea; la competenza dell’assemblea in ordine alla verifica ed all’approvazione del rendiconto, concernente il bilancio consuntivo; i poteri dei singoli condomini relativi al controllo dell’operato dell’amministratore, che si sostanziano nella partecipazione e nel voto in assemblea e, eventualmente, nell’impugnazione delle deliberazioni. L’amministratore di un edificio condominiale è, quindi, tenuto a dare il conto della gestione alla fine di ciascun anno; l’assemblea dei condomini è legittimata a verificare e ad approvare il rendiconto annuale dell’amministratore; i condomini assenti o dissenzienti possono impugnare la deliberazione, che approva il rendiconto, rivolgendosi all’autorità giudiziaria nel termine di trenta giorni.

Se il rendiconto viene approvato, all’operato dell’amministratore il singolo condomino non può più rivolgere censure: questi può soltanto impugnare la deliberazione non per ragioni di merito, ma nei soli casi e secondo i modi fissati dall’art. 1137 c.c.. Per di più, l’approvazione assembleare dell’operato dell’amministratore e la mancata impugnativa delle relative deliberazioni precludono l’azione di responsabilità dello stesso per le attività di gestione dei beni e dei servizi condominiali (cfr. Cass. Sez. 2, 04/03/2011, n. 5254; Cass. Sez. 2, 20/04/1994, n. 3747).

L’assimilazione tra l’incarico di amministrazione condominiale e il mandato con rappresentanza ha comunque portato la giurisprudenza ad affermare, tra l’altro che, a norma dell’art. 1713 c.c., alla scadenza l’amministratore è tenuto a restituire ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato per conto del condominio, vale a dire tutto ciò che ha in cassa, indipendentemente dalla gestione annuale alla quale le somme si riferiscono (Cass. Sez. 6-2, 17/08/2017, 20137; Cass. Sez. 2, 16/08/2000, n. 10815).

Dunque, il condominio (come avvenuto nel presente giudizio tra il Condominio (OMISSIS) e l’ex amministratore R.S.) può convenire l’amministratore cessato dall’incarico per ottenere sia la presentazione del bilancio sia la restituzione delle somme detenute dall’amministratore, ma spettanti al condominio. Poichè l’amministratore, come visto, è tenuto anno per anno a predisporre il bilancio preventivo ed a far approvare dall’assemblea il bilancio consuntivo, egli ogni anno, alla scadenza dell’esercizio, deve rispondere della sua gestione. In ogni caso, alla scadenza dell’incarico, l’amministratore deve restituire tutte le somme che detiene in cassa per conto del condominio.

Costituendo il rendiconto la principale fonte di prova di ogni rapporto mandato, ad esso deve farsi essenzialmente capo per accertare quanto l’amministratore abbia incassato e debba perciò restituire alla cessazione dell’incarico, dovendosi intendere l’obbligo di rendiconto comunque legittimamente adempiuto quando il mandatario abbia fornito la relativa prova attraverso i necessari documenti giustificativi non soltanto delle somme incassate e dell’entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione ed al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire (anche in relazione ai fini da perseguire ed ai risultati raggiunti) se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione (cfr. Cass. Sez. 1, 23/04/1998, n. 4203; Cass. Sez. 3, 14/11/2012, n. 19991).

Nella specie, la Corte d’Appello, con apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha accertato, sulla base del rendiconto prodotto, del libro giornale e delle deposizioni testimoniali, l’incasso della somma di Euro 54.912,28, il versamento di tale importo sul conto corrente utilizzato dall’amministratore per la gestione del Condominio (OMISSIS) e l’impiego della medesima provvista per coprire passività condominiale.

Lo stesso ricorrente espone in ricorso che la somma oggetto di lite venne incassata su un conto corrente bancario intestato al R. (non applicandosi alla vicenda in esame ratione temporis il vigente art. 1129 c.c., comma 7, introdotto dalla L. n. 220 del 2012), e da questo utilizzato proprio per la gestione del Condominio (OMISSIS), sicchè non ha senso dolersi di un mancato distinto atto di ritrasferimento dell’importo riscosso dall’amministratore sul conto condominiale in favore dei singoli condomini, restando piuttosto i rapporti tra amministratore e condominio disciplinati dalla ripartizione delle attribuzioni tra amministratore ed assemblea in ordine all’erogazione delle spese per le parti comuni, dal dovere di rendiconto annuale e dall’obbligo di restituzione di quanto rimanga in cassa alla cessazione dell’incarico.”

© massimo ginesi 21 febbraio 2019 

quando l’amministratore usa i conti in maniera disinvolta

L’amministratore che paga un debito di un condominio con un assegno tratto dal conto di altro condominio da lui amministrato, oltre a commettere un reato e a violare in maniera grave una delle specifiche previsioni dell’art. 1129 c.c.espone il condominio beneficiato dal pagamento ad una azione per arricchimento senza giusta causa.

 E’ quanto ha stabilito Trib. Milano sez. V 17.1.2019 n. 407 : “È infatti documentalmente provato che il condominio attore, a quel tempo rappresentato dalla An. Na., ha pagato la controversa fattura emessa dalla società F. ENERGIA SRL a carico del condominio convenuto, per una prestazione pacificamente resa in favore del medesimo condominio di via L.

La circostanza è infatti dimostrata sia dalla produzione sub 2 dell’attore (che documenta l’uscita patrimoniale per il pagamento della fattura n. 1223 del 9.3.2010) sia dalla dichiarazione (incontestata) del terzo F.

Del resto, quel pagamento neppure viene contestato dal convenuto, che si limita a attribuire la causa dell’erroneo pagamento a un errore contabile della sua ex amministratrice, qui rimasta contumace.

Secondo il costante orientamento del giudice di legittimità (Cass. Sez. 3, ordinanza n. 16305 del 21/06/2018; Cass. Sez. 1, sentenza n. 20226 del 04/09/2013), l’azione generale di arricchimento ex a. 2041 cc presuppone che l’arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di altro soggetto siano provocati da un unico fatto costitutivo e siano entrambi mancanti di causa giustificatrice.

Inoltre, l’arricchimento ben può consistere anche nel semplice risparmio di spesa, sempre che si tratti di risparmio ingiustificato, nel senso che la spesa risparmiata dall’arricchito sia stata sostenuta senza ragione giuridica dal soggetto depauperato.

Ne discende che, essendo stato accertato sia l’arricchimento del convenuto (per importo pari a quello che avrebbe dovuto versare alla F. e che invece non ha mai pagato) sia la corrispondente diminuzione patrimoniale (dell’attore, per la stessa cifra), e risultando incontestato che l’uno e l’altro dipendono del medesimo fatto costitutivo; rilevato infine che sia l’arricchimento sia il depauperamento sono privi di idonea causa giustificatrice, il convenuto deve essere dunque condannato a restituire all’attore l’importo in questione, oltre agli interessi legali dalla data del pagamento e fino al saldo (non essendo provata la malafede).”

copyright massimo ginesi 8 febbraio 2019 

va revocato l’amministratore che utilizza il proprio conto corrente

E’ quanto afferma App. Firenze 5.12.2018, che in sede di reclamo provvede a revocare un amministratore che faceva transitare sul proprio conto corrente i contanti ricevuti per conto del condominio, a nulla rilevando che le movimentazioni fossero comunque poi identificabili dal riscontro con gli altri elementi del rendiconto.

“si deve ritenere grave irregolarità la mancata utilizzazione dello specifico conto corrente intestato al condominio per il trasferimento di contanti ricevuti dall’amministratore. Non è condivisibile che si tratti di somme di esiguo valore, che farebbero a ritenere veniale la mancanza addebitata, trattandosi di vari casi in cui l’amministratore ha ricevuto somme per svariate centinaia di euro…

Ulteriori operazioni di cassa attestano l’emissione di assegni e bonifici che hanno causali “recuperi”, “restituzione anticipo”,  “rimborsi”  fatto questo che effettivamente genera confusione fra il patrimonio personale dell’amministratore quello del condominio, indipendentemente dall’effettività di un riscontro giustificativo ulteriore che possa essere dato dal registro di cassa, istituito dall’amministratore proprio per far fronte alla gestione del contante

La condotta complessivamente tenuta dall’amministratore deve quindi ritenersi rientri, per più aspetti, nelle ipotesi di gravi irregolarità tipizzate dall’articolo 1129 del codice civile che costituiscono presupposto per la revoca dall’incarico”

© massimo ginesi 29 gennaio 2019

 

il rendiconto condominiale deve ispirarsi al criterio di cassa

Lo afferma, con una articolata motivazione, il tribunale capitolino  (Trib. Roma sez. V, 2 ottobre 2017) che, in un giudizio relativo all’impugnativa della delibera che ha approvato il consuntivo, è chiamato a giudicare sulla correttezza dell’operato dell’amministratore nel redigere uno degli atti cardine della sua gestione, ovvero il rendiconto.

Il condomino che agisce lamenta che la  delibera di approvazione deve ritenersi  illegittima in quanto viola i principi in tema di rendiconto dettati dall’art. 1130-bis c.c., in particolare perchè nello stato patrimoniale non era stato riportato il saldo del conto corrente alla data del 31-12-2014.

Il giudice richiama principi giurisprudenziali risalenti in tema di rendiconto condominiale e li armonizza con quanto oggi prevede l’art. 1130 bis cod.civ., tracciando un binario molto stretto sul quale l’amministratore è chiamato ad operare.

il rendiconto, predisposto dall’amministratore, risponde all’esigenza di porre i condòmini in grado di sapere come effettivamente sono stati spesi i soldi versati.

Non si ritiene che il bilancio debba essere redatto in forma rigorosa posto che non trovano diretta applicazione, nella materia condominiale, le norme prescritte per i bilanci delle società.

Pur tuttavia, per essere valido, il rendiconto deve essere privo di vizi intrinseci e deve essere accompagnato dalla documentazione che giustifichi le spese sostenute.

Inoltre deve essere intellegibile onde consentire ai condomini (i quali generalmente non hanno conoscenze approfondite sul come un bilancio debba essere formato e ‘letto’) di poter controllare le voci di entrata e di spesa anche con riferimento alla specificità delle partite atteso che tale ultimo requisito, come si desume dagli artt 263 e 264 c.p.c. che prevedono disposizioni applicabili anche al rendiconto sostanziale, costituisce il presupposto fondamentale perchè possano essere contestate, appunto, le singole partite.

Invero il rendiconto che viene portato all’approvazione dell’assemblea non è un mero documento contabile contenente una serie di addendi ma un atto con il quale l’obbligato giustifica le spese addebitate ai suoi mandanti si che vi sono delle regole minime che debbono essere rispettate.

Ed il bilancio, o meglio, il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l’inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell’effettivo pagamento, così come l’inserimento dell’entrata va annotato in base alla data dell’effettiva corresponsione.

La mancata applicazione del criterio di cassa (Cass. 10153/11), contrariamente a quanto affermato dal convenuto, è idonea ad inficiare sotto il profilo della chiarezza, dalla quale non si può prescindere, il bilancio.

In particolare, non rendendo intelligibili e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino, non si evidenzia la reale situazione contabile.

Pertanto laddove l’assemblea abbia approvato un consuntivo (che deve essere, come detto, un bilancio di ‘cassa’) che non sia improntato a tali criteri e violi, quindi, i diritti dei condòmini lo stesso ben potrà essere dichiarato illegittimo (Cass. 10153/11).

Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive per il periodo di competenza, consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune.

Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza (cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro) i condomini possono facilmente essere tratti in inganno se non sono chiaramente e separatamente indicate le poste o non trovino riscontro documentale.

Inoltre, con il bilancio, devono sempre essere indicati (con possibilità di facile riscontro documentale) la situazione patrimoniale del condominio e gli eventuali residui attivi e passivi, l’esistenza e l’ammontare di fondi di riserva obbligatori (ad esempio l’accantonamento per il trattamento di fine rapporto del portiere) o deliberati dall’assemblea per particolari motivi (ad esempio fondo di cassa straordinario).

Ovviamente la situazione patrimoniale deve rispettare il prospetto approvato nella gestione precedente onde verificare la possibilità di un’eventuale ‘scomparsa’ di somme di danaro. Il criterio di cassa consente altresì di fare un raffronto tra le spese sostenute ed i movimenti del conto corrente bancario intestato al Condominio; a ciascuna voce di spesa deve corrispondere un prelievo diretto a mezzo assegno o bonifico sul/dal conto corrente condominiale.

Inoltre, per consentire ai condomini di apprezzare e valutare il bilancio, l’amministratore dovrà indicare ed inviare ad ogni condomino un elenco delle spese sostenute (con data e causale dell’importo) già diviso per categorie secondo il criterio di ripartizione (come spese generali, acqua riscaldamento, ecc), l’indicazione delle quote incassate dai condomini e quelle ancora da incassare, l’indicazione delle spese ancora da sostenere, le eventuali rimanenze attive (fondi, combustibile ed altro) ed il piano di riparto che indichi per ogni condomino e per ogni categoria di spesa il criterio di riparto e la quota a suo carico.

Modalità di predisporre il bilancio previste anche dal legislatore con il novellato art. 1130-bis c.c.. Onde la mancanza di tali indicazioni, che conferiscono certezza e chiarezza al bilancio, ovvero la presenza di elementi che ne inficino la veridicità quali l’omissione o l’alterazione dei dati (ad esempio sugli interessi dei depositi) determina l’illegittimità del bilancio stesso che si estende alla delibera che l’approvi e che sia oggetto di contestazione.

Ebbene, nel caso in esame, a tali regole l’amministratore non si è attenuto in particolare non avendo riportato, neanche nella situazione patrimoniale, il saldo ed i movimenti del conto corrente, dati essenziali per la verifica della corretta ricostruzione contabile posto che l’esame della movimentazione del conto (che proviene da un terzo, la banca) rappresenta il riscontro di tutte le entrate e le spese in danaro (che l’amministratore ha l’obbligo di rendere tracciabili). Irrilevante che sul conto confluiscano anche le spese per il riscaldamento, circostanza che avrebbe dovuto, anzi, essere più chiaramente portata a conoscenza dei partecipanti.

Ed inoltre, nel caso in esame, la mancata indicazione del dato richiesto appariva collegata con anticipazioni dell’amministratore che sono rimaste sconosciute ai condomini. Emergenza che rende evidente il mancato rispetto dei necessari richiesti criteri contabili suesposti. “

© massimo ginesi 23 ottobre 2017 

amministratore: l’appropriazione indebita si perfeziona con il prelievo

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La Suprema Corte (Cass. pen. II sez. 1 agosto 2016 n. 33547) delinea linee interpretative dell’art. 646 cod.pen. in campo condominiale che devono far riflettere chi si trova  a gestire patrimoni, anche significativi, riconducibili a centri di interesse diversi.

Con sentenza depositata il primo di agosto la Corte chiarisce che l’appropriazione si perfeziona non con la mancata restituzione ma con il  prelievo dal conto condominiale e che l’ingiusto profitto può concretizzarsi anche semplicemente nello spostamento delle somme ad un unico conto con il quale l’amministratore gestiva tutti i condomini, che presentava condizioni di miglior favore.

Un sentenza da leggere, per comprendere come prassi che oggi sono espressamente vietate dall’art. 1129 XII comma n. 4 cod.civ. e che in precedenza erano comunque considerate illecite sotto il profilo civilistico dalla giurisprudenza abbiano anche risvolti di natura penale da non sottovalutare.

© massimo ginesi 2 agosto 2016