LAVORI STRAORDINARI: POTERI DELL’AMMINISTRATORE E CRITERI DI URGENZA

E’ il principio espresso da Cass. civ., sez. VI, 16 novembre 2017 n. 27235 rel. Scarpa, in linea con precedente orientamento della suprema Corte.
LA sentenza è tuttavia di interesse, oltre che per la consueto rigore argomentativo del relatore, per la peculiarità della fattispecie affrontata, che coinvolge anche il diffuso tema delle spese urgenti anticipate dal condominio, alla luce di quanto previsto dall’art. 1134 c.c.

La vicenda trova origine nella domanda avanzata da un condomino e  volta al rimborso della somma di € 15.999,42 oltre interessi, anticipata per il ripristino urgente di alcuni pilastri e colonne di scarico insistenti nel piano cantinato di proprietà esclusiva dello stesso attore.

Sia il Tribunale che la Corte di appello di Palermo respingono la domanda, sull’assunto che non potesse giovare al condomino l’autorizzazione fornita dal padre dell’amministratore e che le opere non rivestissero comunque carattere di urgenza.

La Corte di legittimità affronta tre temi principali, sui quali esclude radicalmente la fondatezza del ricorso.
SULLA LEGITTIMAZIONE DELL’AMMINISTRATORE AD ORDINARE OPERE STRAORDINARIE E SULL’AFFIDAMENTO DEL TERZO APPALTATORE: “L’infondatezza del primo motivo discende, peraltro, dalla considerazione che per l’approvazione di un intervento relativo a riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale occorre pur sempre l’autorizzazione dell’assemblea, sicchè non rientra comunque nei compiti dell’amministratore di condominio il conferimento ad un tecnico ed ad un’impresa dell’incarico rispettivamente di dirigere e di eseguire í lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio.

In difetto della preventiva approvazione della spesa da parte dell’assemblea, a norma degli artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c., l’iniziativa contrattuale dello stesso amministratore non è comunque sufficiente a fondare l’obbligo di contribuzione dei singoli condomini.

Peraltro, il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull’operato e sui poteri dello stesso, non trova applicazione in materia di condominio di edifici con riguardo a prestazioni relative ad opere di manutenzione straordinaria eseguite da terzi su disposizione dell’amministratore senza previa delibera della assemblea di condomini, atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore e dell’assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1135 c.c., limitando le attribuzioni dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservando all’assemblea dei condomini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria (Cass. Sez. 2, 07/05/1987, n. 4232).

SULLA FACOLTA’ DI DELEGA IN CAPO ALL’AMMINISTRATORE – Né può mai rilevare a vincolare il condominio all’obbligo di spesa l’attività che il ricorrente attribuisce a C. B., padre dell’amministratore, in quanto, pure a norma dell’art. 1717, comma 1, c.c., il mandatario (figura cui l’amministratore condominiale è assimilabile) che sostituisca altri a sé stesso nell’esecuzione di tale attività, senza esservi autorizzato dall’assemblea e senza che sia necessario per natura dell’incarico, risponde in proprio dell’operato del sostituto (Cass. Sez. 2, 09/04/2014, n. 8339).
Anche l’accertamento della insussistenza di un affidamento incolpevole del M. (che era, del resto, condomino dell’edificio amministrato da G. B.) nel potere di rappresentanza conferito a C. B., come di un comportamento colposo dell’amministratore, discende, in ogni caso, dall’apprezzamento di fatto rimesso ai giudici del merito.

SULLA SUSSISTENZA DEI REQUISITI DI URGENZA PREVISTI DALL’ART. 1134 C.C. – Per consolidato orientamento di questa Corte, il condomino che, in mancanza di autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea, abbia anticipato le spese di conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso solo se ne dimostri, ex art. 1134 c.c. (testo previgente alla modifica operata con la legge n. 220/2012), l’urgenza, ossia se dimostri che le opere, per evitare un possibile nocumento a sé, a terzi od alla cosa comune, dovevano essere eseguite senza ritardo e senza possibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (Cass. Sez. 2, 23/09/2016, n. 18759; Cass. Sez. 2, 19/12/2011, n. 27519; Cass. Sez. 2, 23/04/2010, n. 9743).

Ai fini dell’applicabilità dell’art 1134 c.c., va allora considerata ‘urgente’ non solo la spesa che sia giustificata dall’esigenza di manutenzione, quanto la spesa la cui erogazione non possa essere differita, senza danno o pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provvedere.

La ragione sottintesa all’art. 1134 c.c. viene ravvisata, del resto, proprio nell’esigenza di evitare dannose interferenze del singolo condomino nell’amministrazione, dovendosi esprimere il concorso dei distinti proprietari alla gestione delle cose comuni essenzialmente in forma assembleare.

La prova dell’indifferibilità della spesa incombe, peraltro, sul condomino che chiede il rimborso, il quale deve dimostrare, a tal fine, la sussistenza delle condizioni che imponevano di provvedere senza ritardo e che impedivano di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (Cass. Sez. 2, 26/03/2001, n. 4364; Cass. Sez. 2, 04/08/1997, n. 7181; Cass. Sez. 2, 12/09/1980, n. 5256).

La Corte d’Appello ha quindi correttamente ritenuto decisiva, in senso contrario alla ravvisabilità dei presupposti di cui all’art. 1134 c.c., la circostanza che il condominio e l’amministratore fossero stati messi a conoscenza della necessità della manutenzione delle fondamenta dell’edificio passanti per la proprietà M. quantomeno dal giugno 1999, ovvero oltre un anno prima di quando poi le opere furono compiute, essendo tale lasso di tempo più che sufficiente a richiedere il consenso degli altri condomini (Cass. Sez. 2, 10/12/1977, n. 5356).

A fronte della eventuale perdurante inerzia dell’amministratore e dell’assemblea nell’adozione dei provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, della cui esigenza gli organi condominiali siano stati resi edotti, non può farsi ricorso alla gestione sostitutiva del singolo condomino, ai sensi dell’art. 1134 c.c., potendosi, piuttosto, sperimentare strumenti alternativi, quale quello allestito dall’art. 1105, comma 4, c.c.

© massimo ginesi 20 novembre 2017

presidente e segretario dell’assemblea di condominio: si pronuncia la cassazione.

La mancata sottoscrizione del verbale da parte del presidente e del segretario della assemblea non può mai comportare l’invalidità della delibera assunta, neanche quando tali figure sono  previste obbligatoriamente dal regolamento.

Lo afferma Cass.Civ.  sez. VI ord. 16 novembre 2017 n. 27163 rel. Scarpa che sottolinea come si tratti di figure che – in ambito condominiale – non sono previste  espressamente da  alcuna norma di legge e che, anche ove sussistano irregolarità relative alla loro  nomina o al loro  operato, le stesse non possono mai comportare nullità della delibera assunta nella riunione ove hanno svolto funzioni.

“Nella disciplina del condominio antecedente alle modifiche introdotte dalla legge n. 220/2012 (ratione temporis applicabile per giudicare la validità dell’impugnata deliberazione assembleare risalente al 9 febbraio 2006), non esisteva alcuna prescrizione legale che imponesse la nomina del presidente dell’assemblea, facendo a tale figura riferimento soltanto l’art. 67, comma 2, disp. att. c.c.; né tale obbligo poteva desumersi per implicito dall’obbligo di redazione del processo verbale delle deliberazioni (ora “delle riunioni”) dell’assemblea stabilito dall’art. 1136, comma 7, c.c. Tanto meno sussiste, prima come dopo la Riforma del 2012, una disposizione di legge che prescriva (a differenza di quanto il Codice civile fa all’art. 2375 per le deliberazioni dell’assemblea delle società per azioni) che le delibere dell’assemblea dei condomini debbano constare da verbale sottoscritto dal presidente e dal segretario.

E’ la natura di organo collegiale dell’assemblea condominiale che lascia presumere che essa agisca sotto la direzione del presidente, il quale ne accerta la regolare costituzione, apre e regola la discussione sugli argomenti indicati nell’ordine del giorno, indice la votazione e ne dichiara il risultato, conferendo all’assemblea concretezza di espressione comunicativa (arg. da Cass. Sez. 2, 13/11/2009, n. 24132).

In epoca risalente, questa stessa Corte aveva così affermato che, proprio perché la nomina del presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non è prevista da alcuna norma (come anche la redazione per iscritto del verbale che non incida su diritti reali immobiliari), le eventuali irregolarità formali relative alla nomina del Presidente e del segretario dell’assemblea dei condomini non comportano l’invalidità delle delibere dell’assemblea (Cass. Sez. 2, 16/07/1980, n. 4615; Cass. Sez. 2, 27/06/1987, 5709).

La Corte d’Appello di Palermo ha desunto che l’invalidità del verbale di assemblea, giacchè non sottoscritto da parte del presidente, discendesse nel caso in esame dall’essenzialità di tale figura alla stregua dell’art. 10 del regolamento del Condominio di via B., ma non può logicamente concludersi che la disposizione regolamentare che obblighi l’assemblea a nominare un presidente comporti ex se l’automatica annullabilità del verbale comunque redatto sotto la direzione del presidente nominato e soltanto da questo non firmato.”

 

© massimo ginesi 17 novembre 2017 

minacce all’amministratore: quando hanno rilevanza penale.

L’amministratore di condominio è soggetto che svolge una funzione delicata e spesso si trova al centro di conflitti  emotivi e personali, che sfociano in diverbi e recriminazioni  verbali anche molto pesanti.

Il condomino che trascende e rivolge all’amministratore affermazioni pesanti non sempre, tuttavia, supera la soglia della illiceità penale.

Cass.pen.  sez. V 13 novembre 2017 n. 51618  ha correttamente ritenuto che non commetta reato il condomino esasperato che, criticando l’operato dell’amministratore per oggettive manchevolezze, gli auguri una malattia letale e gli rivolga l’espressione “gliela faremo pagare”, cassando dunque la sentenza di condanna del giudice di merito che lo aveva invece condannato.

Non sempre ciò che tocca le corde emotive del soggetto coinvolto integra anche gli estremi del reato, che è invece una fattispecie complessa a valenza oggettiva e soggettiva: nel caso in esame le ragioni sono assai semplici ed intuitive, ed attengono al contesto stesso in cui si sono svolti i fatti.

L’augurio di una malattia grave – seppur sgradevole ed incivile – non può, ovviamente, costituire minaccia ex art. 612 cod.pen. per la semplice ragione che il suo avverarsi prescinde totalmente dalla sfera di potere dell’agente, sì che il prospettare  a qualcuno un male ingiusto – elemento oggettivo del reato di minaccia – presuppone che il colpevole abbia la possibilità concreta di porre in essere il pregiudizio preannunziato, evenienza  che – evidentemente – per la malattia non sussiste.

Quanto all’espressione “gliela faremo pagare”, pronunciata al termine di una serie di legittime contestazioni all’operato dell’amministratore, per la sua genericità e assenza di qualunque riferimento a condotte violente, può anche semplicemente significare che l’agente intende rivolgersi all’autorità giudiziaria per un’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore, sì da escludere in radice la sussistenza di qualunque valenza minacciosa,   non sussistendo elementi sufficienti idonei a caratterizzare l’ingiustizia delle conseguenze minacciate.

 

per l’articolata analisi, la sentenza perita integrale lettura

minaccia_amministratore

© massimo ginesi 16 novembre 2017

mediazione demandata in appello: una pronuncia discutibile.

Posto che  i tempi della giustizia sono ormai biblici e il carico di lavoro significativo, la corte di appello può decidere di disporre la c.d. mediazione demandata, ovvero disporre che le parti compaiano per ordine del giudice dinanzi al mediatore, per provare a conciliare la controversia.

Si tratta di un istituto originariamente previsto dall’art. 5 comma II D.Lgs. 28/2010 e profondamente rivisto dal legislatore  nel 2013:  oggi il giudice non è più chiamato a proporre alle parti un semplice invito a tentare la strada della mediazione ma, quando lo ritiene  opportuno, dispone l’esperimento del procedimento di mediazione che, in tal caso, diviene condizione di procedibilità della domanda.

In tal senso ha statuito di recente la Corte di Appello di Napoli ord. 21.9.2017, ponendo a fondamento della decisione la prevedibile lunghezza del procedimento di secondo grado.

Si tratta di un uso decisamente creativo dell’istituto, nato per favorire la conciliazione di quelle liti in cui il giudice percepisce l’opportunità – per la natura degli interessi in gioco e l’atteggiamento delle parti – di una possibile soluzione pacifica,  volto a sopperire invece alle inefficienze del sistema.

Di interesse invece l’indicazione sulle modalità di partecipazione alla mediazione, che ribadisce l’orientamento giurisprudenziale che sempre più vede affermarsi la necessità di un effettivo esperimento del tentativo di conciliazione e non la mera partecipazione formale delle parti:

© massimo ginesi 14 novembre 2017

la nomina dell’amministratore che non indica il compenso è nulla

Lo ha stabilito  una recente sentenza (Tribunale di Massa 6 novembre 2017 n. 917 ), che ha dichiarato nulla la nomina di un amministratore che non aveva indicato analiticamente la propria richiesta di compenso. La pronuncia affronta anche diversi altri motivi fatti valere dalle parti, che tuttavia si rivelano infondati.

Il compenso dell’amministratore non risultava da alcun documento, né antecedente né posteriore alla assemblea, né sussisteva formale accettazione. Alcuni mesi dopo la riunione il presiedente ed il segretario della riunione avevano predisposto, a loro firma, una nota di correzione del verbale ove si dichiarava che l’assemblea – prima di procedere alla nomina – era stata resa edotta dell’importo richiesto dall’amministratore.

Il condominio si è difeso osservando anche che il compenso dell’amministratore era stato comunque indicato come voce del preventivo approvato.

il Tribunale ha osservato che “Risulta (…) fondata la censura sulla nullità della nomina dell’amministratore, in assenza di una valida accettazione che contenga specifica indicazione del suo compenso; il dettato dell’art. 1129 comma XIV cod.civ. è tassativo e non ammette equipollenti: “È nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme” . Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294
A tal fine va osservato che nel verbale di assembla nulla risulta in ordine al compenso, né potrà a tal fine rilevare – come pretenderebbe il convenuto – la mera indicazione di una somma complessiva, per nulla dettagliata, inserita fra le voci del preventivo che – anche ove si possa ritenere che comprenda tutto quanto dovuto all’amministratore alla luce di Cass. 22313/2013 – non soddisfa quella esigenza di chiarezza documentale, trasparenza e formalità che traspaiono dal meccanismo di nomina ed accettazione individuati dal novellato art. 1129 cod.civ., meccanismo che non può prescindere da un atto formale dal quale risulti l’espressa e analitica indicazione del compenso.

Mette conto di rilevare, in proposito, che il preventivo di spesa costituisce una semplice stima – che potrebbe anche essere variata in sede di consuntivo – e non rappresenta invece quell’assunzione di un obbligo negoziale da parte dell’amministratore in ordine al corrispettivo (che rappresenta l’obbligazione assunta dal condominio) che oggi appare indispensabile a mente del novellato art. 1129 cod.civ., a tutela della posizione contrattuale del mandante.
Il Condomino non ha peraltro provato che tale indicazione fosse stata allegata alla convocazione, che neppure è stata prodotta, né che vi sia stato un formale atto di accettazione conforme al dettato di cui all’art. 1129 commi II e XIV cod.civ., norma inderogabile ex art 1138 cod.civ.”

La sentenza contiene anche ulteriori statuizioni che possono essere di interesse, attenendo ad aspetti frequentemente controversi in ambito condominiale:

PRESIDENTE E SEGRETARIO ASSEMBLEA – gli attori si dolevano che gli organi assembleari  non fossero stati ritualmente nominati e che avessero provveduto, altrettanto irritualmente, a correggere a posteriori il verbale, integrandolo con i dati del compenso richiesto dall’amministratore. Osserva il Tribunale che “paiono altresì non provate (e comunque destituite di fondamento) le istanze circa l’invalidità della delibera per la irregolare nomina di presidente e segretario.
Va a tal proposito evidenziato che dal verbale risulta che costoro siano stati eletti dalla assemblea e che le parti attrici, seppur presenti, non abbiano in quella sede contestato alcunché: era peraltro in capo a loro l’onere di provare, ex art 2697 I comma cod.civ., la sussistenza del vizio lamentato, prova che non risulta fornita: “.Il verbale di una assemblea condominiale ha natura di scrittura privata, sicché il valore di prova legale del verbale di assemblea condominiale, munito di sottoscrizione del presidente e del segretario, è limitato alla provenienza delle dichiarazioni dai sottoscrittori e non si estende al contenuto della scrittura e, per impugnare la veridicità di quanto risulta dal verbale, non occorre che sia proposta querela di falso, potendosi, invece, far ricorso ad ogni mezzo di prova. Incombe, tuttavia, sul condomino che impugni la delibera assembleare l’onere di sovvertire la presunzione di verità di quanto risulta dal relativo verbale.” Cass. 11375/2017
Né, peraltro, risulta alcuna norma che preveda l’esistenza di tali figure nella assembla condominiale e, anche a voler mutuare la loro funzione dai principi generali in tema di funzionamento degli organi collegiali, non si rinviene alcun dato normativo – ne parte attrice lo individua – che preveda che eventuali vizi afferenti alla nomina di tali soggetti comportino nullità dei deliberati della assemblea, sussistendo anzi giurisprudenza in senso assolutamente contrario (Tribunale Milano, 24/07/1997)”

SULLA POSSIBILITA’ DI INTEGRAZIONE SUCCESSIVA DEL VERBALE – “non può avere alcun rilievo il bizzarro atto di integrazione del verbale inviato ai condomini alcuni mesi dopo l’assemblea e che reca almeno tre date diverse: tale scrittura rappresenta una mera dichiarazione – parrebbe a posteriori – di coloro che lo sottoscrivono ed al quali non si può riconoscere alcun valore se non quello di semplice dichiarazione riconducibile agli estensori, atteso che è lecito ritenere che gli organi assembleari (presidente e segretario) cessino la loro funzione – e vengano meno i relativi poteri – con la chiusura della riunione e non potendo ritenersi consentito emendare, a posteriori e in sedi diverse dalla assemblea (con il relativo assenso dei partecipanti), la carenza di elementi essenziali del verbale e delle delibere che quel verbale attesta esser avvenute.”

SULLA LEGITTIMAZIONE DEGLI USUFRUTTUARI – Deve preliminarmente essere dichiarata infondata anche l’eccezione, avanzata dal convenuto, relativa alla asserita di carenza di legittimazione attiva degli usufruttuari M F e C F, per le delibere che riguarderebbero lavori straordinari, atteso che a fronte della solidarietà fra usufruttuario e nudo proprietario, oggi prevista dall’art. 67 disp.att.cod.civ., la delibera è direttamente ed immediatamente azionabile contro entrambi, sì che a costoro va riconosciuta la pari facoltà di agire per far dichiarare la sua invalidità.

SULL’OBBLIGO DI INDICAZIONE NOMINATIVA DEI VOTANTI – Parimenti del tutto infondata si rivela la doglianza rispetto alle irregolarità che inficerebbero la votazione per non essere stati nominativamente indicati tutti i soggetti che hanno votato a favore e contro: il verbale contiene, in apertura, l’elenco di tutti i soggetti presenti e, per ogni punto in votazione, l’indicazione di chi abbia eventualmente votato contro, con l’espressa quantificazione del loro valore millesimale complessivo. Si tratta, in accordo con la giurisprudenza consolidata, di modalità più che sufficienti a garantire la facoltà di impugnazione ai dissenzienti e la possibilità di individuare i soggetti che abbiano votato a favore e il loro valore millesimale. (Cass. 6552/2015; Cass. 2413272009, cass. 10329/1998); 

SULLA FACOLTA’ DI TESTIMONIARE DEI CONDOMINI  -Altrettanto singolare che parte attrice si ostini a reiterare istanze istruttorie in cui elenca quali testimoni unicamente soggetti che rivestono la qualità di condomino, sostenendo che costoro “sono gli unici a poter testimoniare sulla materia condominiale e, in particolare, sulle circostanze avvenute in sede di assemblea” (pag. 7 comparsa conclusionale).
Sulla mancata ammissione delle testimonianze sarà sufficiente osservare che “I singoli condomini sono privi di capacità a testimoniare nelle cause che coinvolgono il condominio, poiché l’eventuale sentenza di condanna è immediatamente azionabile nei confronti di ciascuno di essi.” Cass. 17199/2015; l’inammissibilità è stata tempestivamente eccepita dal convenuto nella terza memoria ex art 183 VI comma c.p.c.

SUL MANCATO INVIO DEI PREVENTIVI PER LAVORI STRAORDINARI –Infondata risulta la censura relativa alla approvazione di spese straordinarie, che si assume illegittima poiché non sarebbero stati preliminarmente inviati preventivi: posto che tale procedura non è prevista da alcuna norma in materia di condominio e che l’assemblea, ove raggiunga le maggioranze necessarie, è assolutamente sovrana nella scelta delle opere da eseguire, ivi compresi i relativi costi, ciò nell’ambito delle attribuzioni dell’organo collegiale stabilite dall’art. 1135 cod.civ. e salvi solo i limiti delineati dagli artt. 1102 e 1120 cod.civ

SULLA CESSAZIONE DELLA MATERIA DEL CONTENDERE – la dedotta nullità della delibera impedisce qualunque sanatoria, di tal chè la delibera successivamente assunta in data 3.6.2017 – con cui è stato nominato lo stesso amministratore B. – si pone come atto autonomo e distinto da quello impugnato, avente effetti dal momento della sua adozione ed inidoneo a sanare il vizio dedotto nel presente procedimento, circostanza che se da un lato consente di ritenere ovviato il problema concreto della nomina dell’amministratore a far data dal 3.6.2017, dall’altro lascia intatto l’interesse dagli attori di veder dichiarare la nullità della precedente nomina e impedisce di ritenere cessata la materia del contendere, sì che si dovrà pronunciare anche in punto di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod.proc.civ., senza alcun criterio virtuale.

© massimo ginesi 13 novembre 2017

 

 

la sentenza risulta pubblicata sulla banca dati giuffrè e sul portale giuffrè Condominio&locazioni, con nota di Luigi Salciarini.

16 novembre 2017

lo strano paese a doppio binario: garante privacy e anagrafe condominiale

Il legislatore del 2012 ha riformato l’art. 63 disp.att. cod.civ. prevedendo che “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.

Si tratta di norma opportuna sotto il profilo sostanziale, volta ad attuare certezza all’interno della compagine condominiale, sotto il profilo degli effettivo componenti, e a garantire che le somme dovute al condominio vengano garantite in caso di trasferimento, situazione che spesso da luogo a controversie che inducono i due contendenti a sottrarsi alla contribuzione.

La previsione normativa è parsa sin dall’inizio eccessivamente onerosa e formale, poiché la trasmissione di coppia autentica dell’atto notarile eccede le necessità di conoscenza dell’amministratore e comporta un aggravio economico per il venditore, oltre a comportare necessariamente tempi tecnici per la sua predisposizione, sicché si è ritenuto sin da tutto principio che i giudici avrebbe interpretato la norma cum grano salis, ritenendo idonea qualunque comunicazione che contenesse i dati necessari a rendere edotto il condominio dell’avvenuto trasferimento.

Si tratta tuttavia di norma di legge, che può essere modificata da fonte analoga, oppure interpretata da chi è chiamato ad applicarla in sede giurisdizionale.

Accade invece che il Garante della privacy sostanzialmente integri la previsione normativa con un proprio contenuto, in un’ottica sicuramente condivisibile sotto il profilo sostanziale, ma che lascia perplessi per la sua attitudine formale: sul sito del garante alcune settimane fa compare la notizia che il garante – dopo essersi consultato con il consiglio nazionale del notariato, ha ritenuto che ““Il condomino può dare notizia all’amministratore di condominio dell’avvenuto trasferimento di un diritto, come nel caso della compravendita di un’unità immobiliare, oltre che tramite la trasmissione della copia autentica dell’atto di cessione, anche mediante la c.d. dichiarazione di avvenuta stipula rilasciata dal notaio rogante, purché essa risulti provvista di tutte le indicazioni utili all’amministratore ai fini della tenuta del registro dell’anagrafe condominiale.”

L’approdo è certamente condivisibile, ma ci chiediamo da quando le norme di legge vigenti possono essere mutate sotto il profilo sostanziale da provvedimenti interpretativi di un soggetto che non ha potestà legislativa.

© massimo ginesi 9 novembre 2017

deroga alle distanze fra costruzioni: neanche il Comune può consentirla se non in casi specifici.

Una sentenza lunga e articolata (Cass.civ. sez. II  7 novembre 2017 n. 26354), che affronta un tema interessante:  l’Autorità urbanistica locale non può assentire costruzioni che deroghino alle norme di legge in materia (siano esse quelle civilistiche o quelle integrative locali richiamate) se non all’interno di piani particolareggiati di lottizzazione, che siano volti a dare un assetto e uno sviluppo unitario ad una porzione di territorio, sì che in quel contesto l’autorità locale ben può valutare che simili deroghe siano funzionali allo sviluppo armonico della edificazione dell’intero comparto.

Una sentenza articolata e complessa, che merita integrale lettura e che avrà anche uno specifico interesse per i processualisti, affrontando con ampiezza la questione della rilevabilità d’ufficio delle nullità.

deroga distanze_cassazione_II_civile_26354_2017

© massimo ginesi 8 novembre 2017 

 

Ancora sulla responsabilità da cosa in custodia: caduta nelle scale del condominio.

 

Una fattispecie davvero particolare affrontata dalla Cassazione (Cass. civ. sez. III 31 ottobre 2017 n. 25856) in tema di responsabilità del condominio .

Una donna scivola lungo le scale condominiali ,  a causa di un materiale sparso  da un sacchetto dell’immondizia lasciato sulle scale, riporta lesioni e fa causa  al condominio per essere risarcita, vedendo la sua domanda respinta sia in primo che in secondo grado.

Il giudice di legittimità si richiama a princpi consolidati in tema di imputabilità del fatto dannoso e di responsabilità da cosa in custodia.

Da un lato osserva che il sacchetto lasciato sulle scale da qualche condomino è fatto imprevedibile che interrempe il nesso causale con il condominio, dall’altro richiama gli ordinari princpi in tema di concorso del fatto colposo del danneggiato, che deve comunque adottare l’opportuna diligenza nei fatti quotidiani della vita.

“la corte di merito ha ritenuto in fatto  e con valutazione fondata su adeguata motivazione, come tale non sindacabile in questa sede,  che la ricorrente era caduta scivolando sui residui di un sacchetto di immondizia lasciato aperto sulle scale condominiali, e che tale circostanza rappresentava un evento estraneo alla sfera di custodia dell’amministratore del condominio, eccezionale, imprevedibile e non evitabile, tale da poter configurare il caso fortuito, e quindi costituiva l’unica causa del danno, il che era sufficiente ad integrare la prova liberatoria richiesta dall’art. 2051 c.c..

L’esclusione della sussistenza del nesso di causa tra la cosa in custodia e l’evento lesivo, escludono in radice, d’altra parte, la possibilità di affermare una responsabilità per colpa ai sensi dell’art. 2043 c.c. da parte dello stesso amministratore del condominio”

La corte coglie poi l’occasione per ripercorrere i criteri generali della responsabilità da custodia, aldilà dell’ambito condominiale, parametri che sono comunque utili a delineare i confini entro i quali  il condominio potrebbe essere chiamato a rispondere del danno subito dal terzo.

“a) in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l’ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (nella specie, la S. C. ha ritenuto eziologiamente riconducibili alla condotta del ricorrente i danni da quest’ultimo sofferti a seguito di una caduta su un marciapiede sconnesso e reso scivoloso da un manto di foglie, posto che l’incidente era accaduto in pieno giorno, le condizioni di dissesto del marciapiede erano a lui note, abitando nelle vicinanze, e la idoneità dello strato di foglie a provocare una caduta era facilmente percepibile, circostanza che avrebbe dovuto indurlo ad astenersi dal transitare per quel tratto di strada) (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 11526 del 11/05/2017, Rv. 644282 – 01);

b) ai sensi dell’art. 2051 c. c., allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 12895 del 22/06/2016, Rv. 640508 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 23584 del 17/10/2013, Rv. 628725 – 01);

c) in tema di responsabilità del custode, la ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato» (Cass., Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10014 del 20/04/2017, Rv. 643830 – 01; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 6753 del 06/04/2004, Rv. 571873 – 01)”

© massimo ginesi 7 novembre 2017

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responsabilità da cosa in custodia e caduta dall’ascensore.

Una articolata e interessante pronuncia della suprema corte (Cass.civ. sez. III  31 ottobre 2017 n. 25837) affronta il tema della responsabilità da cosa in custodia in caso di danno derivato da un evento in cui il danneggiato ha concorso, con la propria condotta alla sua causazione.

Si tratta, nella fattispecie, di un evento assai frequente, ovvero la caduta di un soggetto che, uscendo dall’ascensore, inciampa nel gradino che si forma fra cabina e pianerottolo, per una imperfetta fermata, scalino che nel caso di specie vedeva un dislivello di appena otto centimetri.

Tribunale e Corte di appello di Milano avevano respinto la domanda avanzata dal danneggiato per le lesioni subite, ritenendo che la caduta fosse ascrivibile unicamente alla condotta del danneggiato, che non aveva prestato la dovuta attenzione, integrando così il c.d. caso fortuito, che la giurisprudenza ha sempre ravvisato anche nella condotta colposa della vittima, quando è da sola idoneo a cagionare l’evento.

La Corte compie una lunga ed articolata disamina, dapprima soffermandosi sul concetto di insidia, che non necessariamente deve sussistere per integrare la responsabilità del custode, ed evidenziando poi come la condotta del danneggiato non sempre costituisca fortuito idoneo ad escludere la responsabilità da custodia, ma vada valutata nel suo concreto esplicarsi, per stabilire se concorra con la responsabilità del custode o se valga ad escluderla.

Osserva la corte che affinché la condotta della vittima sia idonea ad escludere la responsabilità del custode deve essere non solo imprudente ma anche imprevedibile, evidenziando come tali caratteristiche possano gradatamente combinarsi fra loro in una gamma che può attenuare o escludere del tutto la responsabilità ex art 2051 cod.civ. in capo al titolare del bene in custodia.

sarà compito del giudice di merito accertare la sussistenza di questi presupposti, in forza dei quali stabilire se si tratti effettivamente di fortuito idoneo ad escludere la colpa del custode.

La pronuncia di secondo grado è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa corte d’appello, che dovrà attenersi al  principio di diritto enunciato dalla corte.

Una sentenza interessante in diritto, che merita integrale lettura per la vastità e accuratezza delle argomentazioni e che, tuttavia, desta qualche perplessità nella sua pratica applicazione, per la complessità dell’onere probatorio che finisce per addossare alla parte che invoca il caso fortuito.

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© massimo ginesi 6 novembre 2017 

 

 

la cassazione ritorna sull’art. 1134 cod.civ. e le anticipazioni del singolo

Cass.Civ. II sez. 30 ottobre 2014 n. 25729 affronta ancora una volta il tema delle anticipazioni di spesa effettuate da un singolo condomino e il suo diritto ad ottenere rimborso dagli altri, ove l’esborso abbia riguardato interventi su parti comuni.

L’art. 1134 cod.civ. individua il presupposto di tale diritto alla refusione nell’urgenza della spesa e nella sua indifferibilità, che comporterebbe la legittimità dell’intervento del singolo in sostituzione del generale potere gestorio in capo all’amministratore e alla collettività condominiale.

La Corte, con motivazione sinteticissima, cassa una pronuncia del Tribunale di Sassari, resa in appello su pronuncia del giudice di Pace di Alghero, in cui si era ravvisata tale urgenza nella necessità di provvedere alle spese per la difficoltà a raccogliere il consenso  degli altri condomini.

L’urgenza delineata dall’art. 1134 cod.civ. deve essere legata a situazione di indifferibilità  concreta  dell’intervento, che è ancorata ad un dato fattuale significativo ed imprevedibile e non può essere ravvisata nella semplice inerzia degli altri condomini o nella difficoltà a procurarsi il loro consenso o la loro collaborazione.

Una pronuncia che conferma il costante (e condivisibile) orientamento restrittivo della giurisprudenza di legittimità sulla portata dell’art. 1134 cod.civ., che finirebbe altrimenti per diventare un grimaldello per scardinare la gestione collettiva dei beni comuni.

© massimo ginesi 31 ottobre 2017