il muro di cinta che delimita il giardino di proprietà esclusiva e posto a margine del condominio non è necessariamente comune.

una recentissima ordinanza della Corte di legittimità (Cass.Civ. sez.VI-2 12 settembre 2018 n. 22155 rel. Scarpa) ribadisce un principio consolidato: il muro che delimita il giardino di proprietà esclusiva, anche se posto in senso lato a recinzione del complesso condominiale, non è necessariamente un bene comune, laddove prevalga la funzione di utilità a favore della proprietà singola.

La vicenda trae origine in terra di sicilia: la condomina ” proprietaria di unità immobiliare posta al piano terra dell’edificio condominiale di Viale d…, Palermo, nonché dell’annesso giardino, sul presupposto che il muretto e la sovrastante ringhiera di recinzione del giardino, a differenza del cancello carrabile, fossero di proprietà comune, aveva domandato al Tribunale di Palermo di accertare la condominialità di tali beni e di porre a carico di tutti i condomini i necessari lavori di riparazione, con condanna del Condominio convenuto ad eseguire le opere”

Il Tribunale di Palermo dava ragione alla condomina, mentre la Corte di appello della stessa città  riformava la pronuncia, rilevando in particolare che ” il muretto perimetrale in questione costituisse oggetto di proprietà esclusiva della condomina P., avendo funzione di recinzione del giardino rientrante nella porzione privata della stessa, e risultando dal titolo di acquisto dell’unità immobiliare che uno dei confini fosse delimitato dal Viale d…

Neppure il regolamento di condominio indicava il muretto tra le parti comuni

Aggiunse la Corte di Palermo che il muretto in questione non dimostrasse alcun collegamento funzionale con l’edificio comune, avendo per le sue ridotte dimensioni la sola utilità di delimitare il giardino dal viale. Del pari, i giudici di secondo grado negarono il rilievo architettonico del muretto per il decoro del fabbricato, così superando la considerazione del CTU secondo cui il muretto nel disegno della società costruttrice “nasceva come organico all’intero progetto”

La condomina non si da per vinta ed approda in Cassazione, ove la sua tesi non trova tuttavia accoglimento; la Corte di legittimità ritiene la pronuncia di secondo grado corretta ed osserva: ” In tema di condominio negli edifici, un muro di recinzione e delimitazione di un giardino di proprietà esclusiva (come nella specie), che pur risulti inserito nella struttura del complesso immobiliare, non può di per sé ritenersi incluso fra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., con le relative conseguenze in ordine all’onere delle spese di riparazione, atteso che tal bene, per sua natura destinato a svolgere funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, può essere compreso fra le indicate cose condominiali solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione al necessario uso comune, ovvero ove sussista un titolo negoziale (quale il regolamento condominiale, di natura contrattuale, o l’atto costitutivo del condominio e, quindi, il primo atto di trasferimento di un’unità immobiliare dell’originario proprietario ad altro soggetto) che consideri espressamente detto manufatto di proprietà comune, così convenzionalmente assimilandolo ai muri maestri ed alle facciate (Cass. Sez. 2, 19/01/1985, n. 145; Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198; Cass. Sez. 2, 03/06/2015, n. 11444).

In tal senso, la Corte d’Appello di Palermo ha spiegato come il muretto di recinzione del giardino P., per le sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo all’uso o al godimento di una sola parte dell’immobile, la quale forma oggetto di un autonomo diritto di proprietà, ed ha così rilevato – in base ad apprezzamento di fatto che rientra fra le prerogative dei giudici di merito ed è sindacabile in cassazione soltanto nei limiti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – che si tratta di bene non legato da una destinazione di servizio rispetto all’edificio condominiale, il che fa venir meno il presupposto per l’operatività della presunzione ex art. 1117 c.c.”

© massimo ginesi 13 settembre 2018

l’opponibilità a terzi della clausola regolamentare che limita i diritti dei singoli

Una recente sentenza del Tribunale di Roma (Trib. Roma 3/9/2018,  n. 167579) richiama in maniera chiara un costante orientamento di legittimità sulla  natura del peso imposto alla proprietà esclusiva (limitazione di uso, ad esempio) e la sua opponibilità al soggetto che acquisti detta unità immobiliare.

In tal caso la limitazione, da ascrivere al genus delle servitù reciproche, deve essere espressamente richiamata nell’atto di acquisto oppure deve risultare trascritta la specifica clausola regolamentare che la prevede, non essendo sufficiente la preventiva generica trascrizione del regolamento contrattuale che l’abbia adottata.

La mancata opponibilità per difetto di trascrizione può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

“Invero le clausole regolamentari -quali quelle invocate dall’attore-, che limitano i diritti dominicali dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive, per essere opponibili devono essere approvate da tutti i condomini in quanto hanno valore negoziale.

Le clausole suddette, che restringono i poteri e le facoltà sulle proprietà esclusive o comuni e che sono intese a creare vincoli anche per gli aventi causa delle parti originarie non sono nulle per la violazione del numero chiuso delle obbligazioni reali poiché tali clausole non costituiscono obbligazioni propter rem (che si esauriscono nelle specie espressamente previste dalla legge) ma servitù reciproche atipiche consistenti fra l’altro nell’assoggettare al peso della non modificabilità (della destinazione, nel caso in esame) tutti i piani o le porzioni di piano di proprietà esclusiva a vantaggio delle altre proprietà immobiliari. Ed il fatto che dette clausole costituiscano vincoli obbligatori non determina, come detto, la nullità delle stesse trattandosi, appunto, di servitù reciproche come affermato da condivisibile recente giurisprudenza di legittimità (Cass. 21024/16, Cass. 14898/13, Cass. 6769/18 e Cass. 1064/11).

Dal rilievo che i limiti negoziali alla destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva devono essere ricompresi nell’ambito delle servitù segue che, per poter utilmente opporre dette clausole ai nuovi titolari del bene ove il regolamento stesso non sia richiamato, con adesione, nell’atto di acquisto (o comunque sia stato espressamente oggetto di approvazione da parte del soggetto al quale è imputata la violazione), non è sufficiente la trascrizione del regolamento come atto unitario ma è necessario che, nella relativa nota, sia fatta specifica menzione della servitù.

Invero in materia di costituzione di servitù, la trascrizione (richiesta dall’art. 2643 n. 4 cc) non adempie ad una funzione costitutiva ma serve a rendere opponibile il diritto ai terzi i quali abbiano acquistato un diritto reale incompatibile con la servitù medesima. E, quindi, perché la trascrizione possa rispondere al suo scopo di dare conoscenza ai terzi dell’avvenuta costituzione della servitù, è necessario che la conoscenza possa essere acquisita attraverso il semplice esame dei registri immobiliari perché soltanto quelle parti della nota che menzionano la servitù sono rese pubbliche ed i terzi solo a queste debbono attenersi: la trascrizione di un atto di trasferimento della proprietà senza che sia fatta in esso menzione delle servitù contestualmente costituite a favore dell’immobile trasferito non conferisce a questa alcuna pubblicità e non la rende opponibile ai terzi successivi acquirenti del fondo servente tranne nel caso in cui la servitù sia stata portata a loro conoscenza nei rispettivi atti di trasferimento (Cass. 5626/85e Cass. 5158/03).

Con la precisazione che, poichè l’art. 17 della legge 52/85 prevede che ciascuna nota di trascrizione non può riguardare più di un negozio giuridico o convenzione oggetto dell’atto di cui si chiede la trascrizione e poiché il successivo art. 18 dispone che il conservatore ‘non può ricevere le note di trascrizione non conformi alle disposizioni del precedente articolo’, affinchè la pubblicità operi è necessario che il negozio fatto valere sia stato autonomamente trascritto (se l’atto ne contenga più di uno) con la specifica indicazione del fondo servente e di quello dominante perché altrimenti dai registri i terzi interessati non sono in condizione di verificarne l’esistenza (Cass. 17491/14).

Orbene nel caso in esame non risulta che il prodotto regolamento e la clausola invocata siano stati espressamente oggetto di accettazione, al momento dell’acquisto, da parte del condomino che utilizzata il proprio immobile a palestra né risulta provata l’esistenza di una nota di trascrizione del regolamento depositato in atti o meglio della clausola ivi contenuto con riguardo alla specifica costituzione della servitù invocata.

Detto regolamento quindi, all’evidenza, è inidoneo ad opporre ai terzi, quale deve essere ritenuto il proprietario dell’appartamento utilizzato a palestra P., la servitù oggetto di causa considerato che non è emerso che il predetto abbia approvato specificamente il regolamento e la clausola oggetto di esame o che ne abbia preso conoscenza perché debitamente trascritta.

Donde non vi è prova che abbia prestato adesione alle clausole invocate dall’attore che non possono essere considerate, quindi, opponibili al predetto al quale nessuna violazione del regolamento può pertanto essere imputata. Mette conto quindi di evidenziare che il difetto di trascrizione di un atto, quale fatto impeditivo dell’opponibilità dello stesso, integra un’eccezione in senso lato non subordinata alla specifica allegazione di parte che può, pertanto, essere rilevata anche d’ufficio (Cass. 6769/18). Con la conseguenza che tale carenza deve essere tenuta in cale al fine della decisione ed irrilevante è la circostanza che il convenuto non abbia specificamente opposto detto fatto.”

© massimo ginesi 12 settembre 2018 

la prova del possesso ai fini della usucapione.

“La prova rigorosa dell’inizio del possesso, dell’esercizio dello stesso e del decorso del tempo idoneo ad usucapire è preciso onere di chi intende far valere la fattispecie acquisitiva originaria e non potrà essere assolto ricorrendo a semplici deduzioni, supposizioni o presunzioni.”

Una aspra vicenda familiare consente al Tribunale apuano (Tribunale Massa 17 luglio 2018 n. 525) di affrontare l’onere probatorio che incombe a colui che rivendica l’acquisto per usucapione di un bene immobile: specie laddove – in ambito familiare – il godimento del bene inizi come mera detenzione, è onere di colui che ritiene di aver usucapito dare prova netta della avvenuta interversione e dell’inizio del potere di fatto sulla cosa che – unitamente al decorso del tempo – costituisce elemento cardine della fattispecie acquisitiva.

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© massimo ginesi 11 settembre 2018

il termine concesso dal giudice per l’esperimento della mediazione non è reiterabile

Ove il giudice, rilevato che si tratta di materia sottoposta a procedimento obbligatorio di mediazione, abbia concesso alle parti termine per darvi corso, non potrà reiterarsi tale  facoltà ove le parti siano rimaste colpevolmente  inerti.

Si tratta di principio pacifico in giurisprudenza, riaffermato in recente sentenza del Tribunale di Massa 20 luglio 2018 n. 546.

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copyright massimo ginesi 10 settembre 2018 

azione di responsabilità verso l’amministratore e danno di immagine al condominio.

Una recente sentenza del tribunale apuano (Trib. Massa 20 agosto 2018 n. 1048) affronta una peculiare controversia proposta dal condominio verso l’amministratore uscente, reo di non aver comunicato al Condominio l’esistenza di decreti ingiuntivi, di aver prelevato – poco prima della cessazione dall’incarico –  dal conto condominiale  somme destinate a rimborsare asserite spese da lui sostenute in favore del condominio e, infine, di aver danneggiato con la propria condotta l’immagine del condominio.

Se le vicende relative alla responsabilità gestionale rientrano fra le normali dinamiche processuali, che trovano soluzione in costanti orientamenti di legittimità, più curiosa appare la domanda relativa alla lesione del “diritto di immagine” del condominio, che presuppone una disamina sulla  sussistenza di tale posizione soggettiva in capo all’ente condominiale.

Il Tribunale osserva che: “Senza addentrarsi in questa sede nella problematica della natura giuridica del condominio, appare plausibile (Cassazione civile, sez. un., 18/09/2014,  n. 19663) che al condominio, in quanto tale, debba riconoscersi una soggettività autonoma, seppur imperfetta ed attenuata, rispetto ai suoi componenti e che lo stesso persegua scopi che non sono del tutto coincidenti con quelli dei singoli che lo compongono; tuttavia, allo stesso non pare potersi riconoscere una propria soggettività perfetta né tantomeno una individualità soggettiva, distinta dai singoli che lo compongono, ai fini della tutela della reputazione dell’ente condominio; riprendendo quanto esposto dalle sezioni unite -sopra richiamate in tema di reputazione dell’ente collettivo – appare evidente come si tratti di concetti che, condivisibili laddove attengano ad un soggetto giuridico che ha autonomi presidi soggettivamente e giuridicamente rilevanti (si pensi al marchio, alla reputazione commerciale, ai brevetti che possono far capo ad un imprenditore che esercita l’attività in forma di società), non si vede come le medesime istanze possano riferirsi ad una collettività soggettivamente  imperfetta che, pur nella incertezza della elaborazione giurisprudenziale, sembrerebbe sussistere e rilevare unicamente per la gestione delle obbligazioni relative alla manutenzione delle parti comuni. 

Tantomeno pare poter sussistere un danno di immagine nei termini che pretenderebbe parte attrice; già appare assai singolare la tesi – avanzata dall’attore – che sussista un danno da reputazione consistente nel “forte danno al nome, all’identità e all’immagine del condominio sia come persone singole che associate“… “considerato il gran numero di soggetti che sono al corrente che il Condominio Margherita può essere facilmente fregato dai fornitori”: laddove si intendesse far valere un danno alla reputazione dei singoli, quali persone ritenute poco accorte, si tratta di istanza che dovrebbero avanzare i condomini in proprio e non certo il condominio, mentre per quanto riguarda l’attività gestoria dell’amministratore, è evidente che le conseguenze dannose – anche in termini di immagine – della stessa paiono idonee a ricadere su colui che le ha poste in essere, specie laddove si profilino extra ed ultra mandato.”

Se la domanda sul risarcimento del danno è stata respinta, sono state accolte tutte le altre doglianze del Condominio, accertando l’irritualità della condotta dell’amministratore riguardo alla gestione delle liti e all’arbitrario rimborso degli asseriti esborsi.

Parimenti irrituale, sotto il profilo processuale, è stata ritenuta la condotta della difesa del condominio che ha prodotto i verbali del procedimento di mediazione, nel tentativo di fornire supporto alle propri tesi.

Per tali aspetti si rimanda alla lettura della sentenza, che si riporta per esteso.

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© massimo ginesi 7 settembre 2018 

se il provvedimento cautelare è stato eseguito non è ammessa sospensione in sede di reclamo.

un interessante provvedimento del  Tribunale Massa 1 agosto 2018 (est. Maddaleni) definisce l’ambito del potere di intervento del Presidente del collegio in ordine alla sospensione dell’efficacia del provvedimento cautelare oggetto di reclamo.

La pronuncia è cristallina e non richiede ulteriore commento:

“Poiché la misura inibitoria prevista dall’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c. è connotata dalla precipua funzione di impedire l’esecuzione del provvedimento reso in prime cure e impugnato con il reclamo cautelare, è inammissibile l’istanza di sospensione dell’esecuzione del provvedimento concessivo di una misura cautelare investito del reclamo, qualora il provvedimento della cui sospensione si tratta sia stato eseguito, risultando, in tal caso, la misura interinale invocata priva di concreto significato né potendosi, peraltro verso, ordinare la remissione in pristino di ciò che è stato eseguito, non potendosi ricavare dalla citata disposizione la sussistenza in capo al giudice di un siffatto potere conformativo.

Argomenti di ordine letterale e sistematico militano a sostegno della prospettazione ricostruttiva secondo cui, con la locuzione “motivi sopravvenuti”, contenuta nell’art. 669 terdecies, comma 6, c.p.c., il legislatore abbia inteso postulare il riferimento a motivi radicati su fatti successivi all’adozione del provvedimento investito del reclamo. 
Quanto all’argomento letterale, l’adozione del sintagma “motivi sopravvenuti” in luogo di altri, quali “motivi nuovi” o “motivi non in precedenza valutati”, è indice della volontà dei compilatori di radicare il potere presidenziale di sospensione del provvedimento oggetto di reclamo, in via esclusiva, ai motivi fondati su fatti verificatisi successivamente all’adozione del provvedimento reclamato.
Per quanto concerne il dato sistematico, poiché il subprocedimento che conduce all’adozione della misura inibitoria de qua deroga a due principi generali sui quali è imperniato il modello del procedimento cautelare uniforme – id est l’immediata esecutività dei provvedimenti cautelari, per loro stessa natura urgenti, nonché la collegialità della decisione sul reclamo – tale fase incidentale non può risolversi in un improprio vaglio anticipato circa la correttezza del provvedimento impugnato, ontologicamente rimesso al collegio, ma si connota, piuttosto, per l’apprezzamento di una situazione di urgenza, derivante da fatti sopravvenuti alla decisione gravata, incompatibile con i tempi necessari per la definizione del reclamo.”

© massimo ginesi 6 settembre 2018

 

requisiti soggettivi dell’amministratore: per la cessazione dall’incarico la condanna penale deve essere definitiva.

Un interessante provvedimento del Tribunale di Milano – decreto 20.6.2018 n. 1963 – affronta il tema della  disciplina dettata dall’art. 1129 c.c. sulle gravi irregolarità dell’amministratore, introdotta dalla novella del 2012, nonché la portata della previsione contenuta nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., ove si prevede che l’amministratore che riporti condanna penale per determinati reati cessi dall’incarico.

Il giudice lombardo si pronuncia in sede di volontaria giurisdizione, a seguito di ricorso per la revoca dell’amministratore, introdotto da alcuni condomini, anche se va rilevato che la dizione letterale della norma attuativa presupporrebbe una cessazione de iure ove venga meno uno dei requisiti previsti dalle lettere a-e del primo comma, sì che in simili ipotesi non dovrebbe neanche darsi luogo a revoca da parte dell’autorità giudiziaria che – al più – dovrebbe pronunciarsi in via dichiarativa sulla intervenuta decadenza dall’incarico.

Il provvedimento è  interessante sia per la peculiarità della fattispecie (pare che l’amministratore abbia tentato di finanziare la propria campagna elettorale con denaro condominiale…) sia per alcune significative notazioni interpretative rese dal Tribunale, peraltro in linea con i più diffusi e autorevoli orientamenti dottrinali sul punto.

il giudice rileva, in particolare, come l’indicazione delle gravi irregolarità previste dal novellato art. 1129 cod.civ. sia meramente esemplificativa e non tassativa, lasciando comunque al giudice un apprezzamento ampio della concreta fattispecie di cui ci si duole, che potrà essere comunque ascritta alla grave irregolarità – ove se ne ravvisino i presupposti – anche aldifuori delle ipotesi individuate dalla norma ed in funzione del generico richiamo contenuto nel comma 11.

Quanto invece alla sanzione decadenziale prevista dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non potrà che aversi riguardo, per ovvie decidenti ragioni di garanzia e di costituzionalità, alla condanna divenuta definitiva .

Tribunale Milano 1963:2018

© massimo ginesi 5 settembre 2018 

 

 

 

 

 

E’ legittima l’ordinanza sindacale che vieta l’uso di autorimessa condominiale che non rispetta le norme antincendio.

 

Rientra fra i poteri del Sindaco l’emettere ordinanze contingibili  ed urgenti volte a scongiurare gravi ed imminenti pericoli per l’incolumità pubblica.

A tale categoria deve essere ascritto anche il provvedimento con cui l’Autorità territoriale imponga al Condominio di non utilizzare i locali destinati ad autorimessa, laddove gli stessi siano risultati  non conformi alle prescrizioni della normativa antincendio sulla scorta di verifica effettuate dai VV.FF.

E’ evidente che si tratta di norme che esulano dallo stretto interesse privatistico connesso ai titolari di diritti in quell’edificio: le prescrizioni dettate per le autorimesse hanno valenza pubblicistica, in quanto volte a prevenire eventi che possono incidere sulla salute e l’incolumità pubblica tout court a fronte della pericolosità e potenziale lesività degli eventi connessi.

Come tale l’ordinanza sindacale  non costituisce provvedimento idoneo ad incidere in via definitiva sui diritti dei singoli ed è legittimamente emessa ove ne sussistano i relativi presupposti di cautela, così come ha stabilito il TAR Sardegna con sentenza 6 luglio 2018 n. 624.

 TAR-Cagliari-624-2018

© massimo ginesi 4 settembre 2018

la gestione delle liti condominiali

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impugnazione delibera e competenza per valore: la cassazione ribadisce il proprio orientamento.

Se il condomino impugna la delibera condominiale, facendo valere profili di illegittimità che lo riguardano, il valore della causa si determina in funzione della quota che lo stesso sarebbe chiamato a pagare, sì che – ove la stessa non superi i cinquemila euro – la causa sarà di competenza del giudice di pace.

E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, confermato da una recente ordinanza della Cassazione (Cass.Civ. sez.VI-2 28 agosto 2018, n. 21227).

“È affermazione condivisa nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 6363 del 2010) che, ai fini della determinazione della competenza per valore in relazione ad una controversia avente ad oggetto il riparto di una spesa approvata dall’assemblea di condominio, anche se il condomino agisce per sentir dichiarare l’inesistenza del suo obbligo di pagamento sull’assunto dell’invalidità della deliberazione assembleare, bisogna far riferimento all’importo contestato, relativamente alla sua singola obbligazione e non all’intero ammontare risultante dal riparto approvato dall’assemblea, poiché, in generale, allo scopo dell’individuazione della competenza, occorre porre riguardo al “thema decidendum”, invece, che al “quid disputandum”, per cui l’accertamento di un rapporto che costituisce la “causa petendi” della domanda, in quanto attiene a questione pregiudiziale della quale il giudice può conoscere in via incidentale, non influisce sull’interpretazione e qualificazione dell’oggetto della domanda principale e, conseguentemente, sul valore della causa (conf. Cass. 16898/13 e 18283/15).”

Ora, nel caso in esame, come risulta dall’atto di citazione, pur considerando la parte dell’atto di citazione riportato dallo stesso ricorrente, il tema specifico introdotto dall’attore, come correttamente ha rilevato, anche, il Tribunale di Imperia, attiene alla contestazione della debenza degli importi deliberati in relazione alla spiaggia, al giardino ed alla tubazione da sostituire.

D’altra parte, come è riconosciuto anche da questa giurisprudenza, non sussiste in capo al singolo condomino alcun interesse a verificare in termini generali ed astratti l’esattezza dei principi e delle spese indicate dall’amministratore. Piuttosto, va qui evidenziato, ed in termini generali, che in caso di violazione di vizi formali (incompletezza dell’ordine del giorno, violazione di norme sul procedimento di convocazione o insufficienza delle maggioranze) la legittimazione ad agire non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse ad agire, atteso che il suddetto interesse è costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali (Cass. n. 2999/10, Cass.4270/11), mentre nelle ipotesi di violazioni sostanziali, è necessario che, la parte che intende impugnare, sia portatrice di un interesse concreto diretto ad un vantaggio effettivo e non solo astratto (Cass.15377/00).

Sicché, nel caso in cui il singolo condomino censura la legittimità della ripartizione delle spese, il suo interesse ad agire per far accertare l’eventuale illegittimità della ripartizione è correlato all’importo che lo stesso sarebbe tenuto a corrispondere in ragione della ripartizione deliberata.
Ciò detto e, considerato che il Tribunale di Imperia ha accertato che l’importo dovuto da S. , in ragione della ripartizione delle spese approvate, non superava l’importo di C. 5000,00, la competenza per valore era del Giudice di Pace di Sanremo, come correttamente è stato affermato dallo stesso Tribunale di Imperia”

 © massimo ginesi 3 settembre 2018