notifica al portiere: attenzione alle cartelle esattoriali.

Cass.Civ. sez.II  12 luglio 2018, n. 18504 ha stabilito che “per la notifica della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova applicazione l’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario (nella specie, il portiere) senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal penultimo comma del citato art. 26, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (Cass. n. 16949 del 2014; cfr. anche Cass. n. 14327 del 2009; Cass. n. 14105 del 2000).

Nella specie, non si pone, qundi, un problema di conseguenze, in termini di mera irregolarità o di nullità della notifica per omesso invio della lettera raccomandata di cui al comma quarto dell’art. 139 cpc. (in ragione della ritenuta non attinenza dell’invio al perfezionamento dell’operazione di notificazione o viceversa), bensì della necessità o meno della redazione di un’apposita relata di notifica, in riferimento alla specialità del procedimento di riscossione delle sanzioni amministrative, ai sensi del richiamato art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, che non la richiede.

Peraltro, l’indirizzo giurisprudenziale citato dal controricorrente – secondo cui si determina la nullità della notificazione in caso di omessa spedizione della raccomandata prevista dall’art. 139, quarto comma, c.p.c. in caso di consegna dell’atto ai soggetti di cui al precedente comma terzo (tra cui appunto il portiere: Cass. n. 21725 del 2012; Cass. n. 6345 del 2013; Cass. n. 10554 del 2015; Cass. sez. un. n. 18992 del 2017) – non rileva nella specie, in quanto (per stessa esplicita affermazione del giudice del gravame, che tuttavia erroneamente ne svaluta l’effetto probatorio in favore del notificante) l’allegato prospetto attinente gli adempimenti curati dall’ufficiale giudiziario nella notifica in oggetto reca anche l’indicazione dell’effettuato invio della raccomandata al destinatario; sicché tale prospetto avrebbe semmai dovuto essere impugnato per querela di falso, da parte del soggetto interessato.”

© massimo ginesi 20 luglio 2018 

summus ius summa iniuria: il cane che abbaia in condominio deve disturbare necessariamente tutti…

Se il cane di un condomino rende la vita impossibile al solo condomino del piano sovrastante o sottostante non è reato: è quanto scrive  Cass. pen. Sez. III 6 luglio 2018 n. 30643.

i giudici di merito avevano ritenuto che anche le orecchie e la quiete di  alcuni condomini meritassero tutela penale e avevano condannato il proprietario del cane molesto.

i condomini, come spesso accade, si erano divisi nelle testimonianze; la Cassazione ha ritenuto inadeguata la motivazione del giudice di merito in ordine all’apprezzamento delle testimonianze posto a fondamento del giudizio di colpevolezza.

© massimo ginesi 18 luglio 2018

i singoli condomini non sono legittimati ad opporre il decreto ingiuntivo ottenuto contro il condominio.

Qualora un terzo creditore del condominio, per un servizio prestato nell’interesse comune, ottenga decreto ingiuntivo contro il condominio in persona dell’amministratore, solo quest’ultimo è legittimato a proporre opposizione, mentre tale legittimazione non può essere riconosciuta ai singoli condomini.

E’ quanto stabilisce  con ordinanza – in linea con analoghe pronunce di legittimitàCass.Civ. sez.VI-2 13 giugno 2018 n. 15567 : “va qui osservato che le parti nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo possono essere: da un lato colui che ha ottenuto il decreto ingiuntivo e, dall’altro colui contro il quale tale decreto ingiuntivo è stato ottenuto (Cass. Civ., 16069 del 18.4.2004).

Ora, da questa considerazione, scaturisce in modo chiaro ed inequivocabile il difetto di legittimazione attiva degli opponenti in quanto il decreto ingiuntivo è stato emesso nei confronti del condominio e, pertanto, solo quest’ultimo ente poteva opporsi e non i singoli condomini, come è avvenuto nel caso in esame, che non possono vantare, nel giudizio in questione, alcuna legittimazione attiva

Non può nemmeno trovare applicazione il principio in base al quale, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalità distinta rispetto a quella dei suoi partecipanti, l’esistenza di un organo rappresentativo unitario non priverebbe i singoli condomini di agire per tutelare i diritti connessi alla loro partecipazione, perchè tale principio trova amplia applicazione solo in materia di controversie aventi ad oggetto azioni reali, che possono incidere sul diritto pro-quota che compete a ciascun condomino sulle parti comuni o su quello esclusivo sulla singola unità immobiliare, ma, al contrario, non può trovare applicazione nelle controversie, aventi ad oggetto la gestione di un servizio comune

Pertanto, posto che nel caso in esame, come emerge dal ricorso (pag. 3 dello stesso) e come è stato evidenziato dal controricorrente (pag. 4 del controricorso) il decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio è stato emesso a danno del Condominio di (OMISSIS), solo l’amministratore del Condominio avrebbe potuto impugnare siffatto decreto.

La mancanza di legittimazione attiva dei condomini oggi ricorrenti, rilevabile in ogni stavo e grado del giudizio, comporta l’annullamento dell’opposizione al decreto ingiuntivo oggetto del presente giudizio.

In definitiva, senza entrare nel merito dell’unico motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382 c.p.c., perchè il processo non poteva essere iniziato da L.P. e C.G., contro il decreto ingiuntivo n. 1919 del 2005 del Tribunale di Genova.”

© massimo ginesi 17 luglio 2018

oggetto della mediazione: una lettura bilanciata delle contrapposte esigenze.

L’istituto della mediazione, a mente dell’art. 5 comma 1 bis D.Lgs. 28/2010, costituisce condizione di procedibilità – fra le altre – per le controversie in tema di locazione.

Si tratta di intervento del legislatore volto ad incentivare le A.D.R. (alternative dispute resolution) a tutto vantaggio della deflazione del contenzioso giudiziario,  esperimento che – invero – negli anni di applicazione non ha dato risultati entusiasmanti.

Accade tuttavia che, troppo spesso, tale istituto (e la connessa condizione di procedibilità) finisca per assumere natura meramente dilatoria nelle mani del convenuto che intenda procrastinare l’esame delle pretese dell’attore, complice anche una lettura spesso assai formale della giurisprudenza di merito.

L’auspicabile risoluzione alternativa del contendere, con beneficio per le aule di giustizia, non deve tuttavia entrare in conflitto con i diritti di difesa costituzionalmente garantiti, sì che anche l’interpretazione delle norme sulla procedibilità dovrà attenersi a criteri di garanzia che non dimentichino le norme primarie dell’ordinamento.

In tal senso si pone una recente pronuncia apuana (Trib. Massa 6 luglio 2018 n. 496 ) in tema di locazione, svolta all’esito della fase sommaria di convalida, il cui rito è stato mutato per l’opposizione del conduttore,  laddove ritiene la mediazione svolta come idonea ad avverare la condizione di procedibilità in ordine a tutto il dedotto ed il deducibile sul contratto oggetto di contesa.

Va preliminarmente risolta la questione della procedibilità della domanda riconvenzionale, così come sollevata da parte convenuta.

Ammesso che parte convenuta abbia interesse giuridico a sollevare tale eccezione con riferimento ad una propria domanda, laddove il giudice non ne rilevi d’ufficio la sussistenza, va comunque rilevato che si tratta di eccezione priva di fondamento.

L’avveramento della condizione di procedibilità deve, ad avviso di questo giudice, essere oggi inteso in maniera dinamica e costituzionalmente orientata (Trib.Massa 29.5.2018 n. 398 e Trib. Massa 29 giugno 2018 n. 470), sì che dovrà contemperare le esigenze deflattive sottese al D.Lgs 28/2010 con il diritto ad un giusto e rapido processo, in attuazione del precetto costituzionale di cui alll’art. 24 Cost.

Ne consegue che il giudice dovrà apprezzare se alle parti sia stata concessa l’opportunità di svolgere dinanzi al mediatore ogni aspetto relativo alla materia del contendere che giunge al suo esame, con adeguate garanzie volte a permettere la partecipazione personale delle parti, onde poter appieno sollecitare quei distretti metagiuridici che consentono al mediatore di sondare la volontà conciliativa delle parti.

Dalla domanda di mediazione, prodotta da parte attrice in questo giudizio in data 27.10.2017, appare evidente che è stato sottoposto al mediatore l’intero contenuto della controversia  introdotta con rito sommario e rubricata al n. 761/17 RG, dunque anche le eccezioni del convenuto, già ampiamente svolte in quella sede, anche se non ancora formalizzate in espressa domanda riconvenzionale, poi avanzata dal R. solo nella memoria integrativa.

Si deve dunque ritenere che la mediazione abbia avuto portata estesa alla natura e alla durata della locazione dell’immobile, a prescindere dal contratto espressamente richiamato in sede di intimazione di sfratto, consentendo alle parti – ove lo avessero voluto – di comporre la lite su tutti gli aspetti già ampiamente delineati nella fase sommaria, al momento del mutamento del rito.

Tale lettura consente dunque di ritenere compiutamente svolto – senza successo – il preliminare adempimento deflattivo previsto dall’art. 5 comma 1 bis  D.lgs 28/2010, con piena procedibilità di tutte le domande connesse al rapporto locativo (inteso quale rapporto di godimento e detenzione del bene dietro corrispettivo) dedotto in causa, a prescindere dal titolo formale concretamente dedotto dalle parti.

Opinando diversamente, con una lettura drasticamente formale, si sarebbe raggiunto l’unico scopo di duplicare inutilmente un adempimento cui le parti avevano già mostrato di non voler attendere con animo e soluzione positiva riguardo alla stessa fattispecie concreta, senza alcun vantaggio sotto il profilo di risoluzione alternativa voluto dal legislatore e con, invece, una evidente compressione del diritto dell’attore a vedere esaminata la propria domanda in tempi ragionevoli e senza inutili dilazioni.”

 

TribMassa_6luglio2018

copyright massimo ginesi 16 luglio 2018

responsabilità del progettista, del direttore lavori e dell’appaltatore: l’obbligo risarcitorio.

Cass.Civ. sez.III ord. 21 giugno 2018 n. 16323 si sofferma su un tema di diffusa applicazione, richiamando principi stabili  nella giurisprudenza di legittimità e delineando il contenuto del diritto al risarcimento del soggetto che sia incorso in una prestazione inadeguata da parte dell’appaltare e delle figure tecniche allo stesso contigue.

Si trattava, nella fattispecie, della realizzazione di un muro di contenimento rivelatosi inidoneo a svolgere la propria funzione.

sugli obblighi  dell’appaltatore: la corte tratteggia, incidentalmente, la sussistenza di “un obbligo in capo all’appaltatore, a fronte di un progetto che sia visibilmente contrario alle regole dell’arte, di individuarne le criticità e farle presenti al committente, rifiutandosi di realizzare un’opera che ad un professionista non possa non apparire non rispondente alle regole dell’arte.

L’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è infatti obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. In mancanza di tale prova, l’ appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori.: v. in questo senso Cass. n. 23594 del 2017.

L’ appaltatore, essendo tenuto alla realizzazione di un’opera tecnicamente idonea a soddisfare le esigenze del committente risultanti dal contratto, ha il conseguente dovere di rendere edotto il committente medesimo di eventuali obiettive situazioni o carenze del progetto, rilevate o rilevabili con la normale diligenza, ostative all’utilizzazione dell’opera ai fini pattuiti (Cass. n. 1981 del 2016).

sulla entità del risarcimento dovuto“Sotto il profilo della responsabilità contrattuale, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, il risarcimento del danno per inadempimento contrattuale deve comprendere sia la perdita subita dal creditore, sia il mancato guadagno, quale conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento, al fine di ristabilire l’equilibrio economico turbato, mettendo il creditore nella stessa situazione economica nella quale si sarebbe trovato se il fatto illecito (inadempienza) non si fosse verificato, e, quindi, la somma liquidata a titolo di risarcimento deve essere equivalente all’effettivo valore dell’utilità perduta (Cass. n. 2458 del 1980; Cass. n 12578 del 1995).

Nel caso di specie, il danno effettivamente patito dal proprietario committente e che possa causalmente ricondursi all’operato del progettista è costituito dai costi di realizzazione dell’opera ( il muro) da questi progettata, inidonea all’uso, e dai costi necessari per l’eliminazione dei danni provocati, costituiti nel caso di specie nei consti necessari per l’eliminazione del predetto muro.

Diversamente opinando, ossia addebitando al ricorrente il costo integrale di realizzazione di un muro nuovo e avente caratteristiche tecniche differenti rispetto a quello progettato e realizzato, ovvero avente le effettive caratteristiche tecniche necessarie per poter svolgere una funzione di contenimento, per un verso si incorrerebbe nella violazione del principio per cui il risarcimento del danno deve tendere alla mera restitutio in integrum (art. 1223 c.c.), e per l’altro si accorderebbe al danneggiato un vantaggio indebito (in violazione dell’art. 2041 c.c.), consistente nell’ottenere un quid pluris rispetto alla sua situazione antecedente, ossia nel venire a fruire gratuitamente della realizzazione di un’opera.

In definitiva, il progettista, in conseguenza della sua errata progettazione, può essere chiamato a rispondere dei costi della progettazione e della realizzazione dell’opera che ha effettivamente progettato, del risarcimento dei danni a terzi eventualmente provocati dall’opera realizzata non a regola d’arte in conformità dell’errore nella progettazione (siano essi terzi estranei o, come in questo caso, lo stesso committente che ha dovuto rimuovere il muro inidoneo alla funzione di contenimento), ma non anche dei diversi costi di esecuzione dell’opera a regola d’arte, perché ciò non costituisce oggetto della prestazione pattuita, né è un danno conseguente all’illecito.”

sulla responsabilità dele diverse figure: Della responsabilità solidale di appaltatore e progettista o direttore dei lavori non si dubita: è consolidata affermazione nella giurisprudenza della Corte (da ultimo, Cass. n. 3651 del 2016), quella per cui in tema di responsabilità risarcitoria, contrattuale ed extracontrattuale, se l’unico evento dannoso è imputabile a più persone, è sufficiente, al fine di ritenere la solidarietà di tutte nell’obbligo al risarcimento, che le azioni e le omissioni di ciascuna abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che costituiscano autonomi e distinti fatti illeciti, o violazioni di norme giuridiche diverse.

Pertanto nel caso di danno risentito dal committente di un opera, per concorrenti inadempimenti del progettista e dell’appaltatore, sussistono le condizioni di detta solidarietà, con la conseguenza che il danneggiato può rivolgersi indifferentemente all’uno o all’altro per il risarcimento dell’intero danno e che il debitore escusso ha verso l’altro corresponsabile azione per la ripetizione della parte da esso dovuta.”

sulla transazione conclusa con uno soltanto dei responsabili: ” in ordine al legame di solidarietà che lega i due professionisti, questa Corte ha recentemente puntualizzato (Cass. n. 23418 del 2016, che richiama la pronuncia a Sezioni Unite n. 30174 del 2011) che in presenza di una transazione tra il creditore ed uno dei debitori in solido, è anzitutto da accertare se la transazione abbia riguardato l’intero debito o, invece, abbia avuto ad oggetto unicamente la quota del debitore con cui essa è stata stipulata, riferendosi la previsione dell’art. 1304 c.c. alla prima fattispecie.

Mentre nel primo caso – transazione per l’intero – gli altri debitori possono dichiarare di volerne profittare, come previsto dalla menzionata disposizione, con l’effetto che anche per essi opera l’estinzione del debito, nel secondo caso – transazione pro quota – si determina lo scioglimento della solidarietà passiva unicamente rispetto al debitore che vi aderisce, corrispondentemente riducendosi il debito per gli altri.

La ratio di tale norma, allorché il negozio transattivo riguardi l’intero debito, risiede nella comunanza dell’oggetto della transazione, che consente al condebitore in solido di avvalersene, pur non avendo partecipato alla sua stipulazione e, quindi, in deroga al principio dell’art. 1372 c.c. secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti. Viceversa, tale fondamento non sussiste in presenza di una transazione interna per la singola quota, la quale non può coinvolgere gli altri condebitori, che non avrebbero alcun titolo per profittarne e per vedere estendere nei loro confronti l’effetto estintivo della obbligazione: ma, in ogni caso, ne consegue la riduzione del loro debito per effetto di quanto pagato dal debitore transigente. Nel nostro caso, all’accoglimento del motivo di ricorso consegue la caducazione dell’accertamento, contenuto nella sentenza impugnata, secondo la quale l’appaltatore avrebbe transatto non l’intero debito ma solo la quota di sua spettanza, ed anche la conseguente esclusione dell’applicabilità dell’art. 1304 c.c.

Deve al contrario affermarsi che, poiché nel caso di specie l’obbligazione risarcitoria del progettista comprende le stesse voci risarcitorie a carico dell’appaltatore, che sono comprese nell’accordo transattivo e coperte dalla transazione (pari ai costi sostenuti per la costruzione del muro, conforme al progetto ma inidoneo all’uso e per la sua eliminazione), il progettista si possa utilmente giovare – come richiesto fin dal primo grado – della transazione conclusa dal suo condebitore solidale onde ritenere estinta anche nei suoi confronti l’obbligazione risarcitoria”

© massimo ginesi 11 luglio 2018

uso illecito del bene comune e danno.

L’uso illecito del bene comune da parte di un singolo in violazione dell’art. 1102 cod.civ., nella fattispecie parcheggiando per oltre un anno la propria auto in una zona comune del garage impedendo agli altri di farne pari uso, da luogo certamente ad un danno patrimoniale risarcibile, mentre incombe al danneggiato provare che da tale condotta sia derivato anche  danno non patrimoniale .

Lo afferma Cass.Civ. sez.VI-2 4 luglio 2018 n. 17460 rel. Scarpa, richiamando un pacifico orientamento giurisprudenziale di legittimità.

© massimo ginesi 10 luglio 2018 

la servitù servente e la servitù dominante…

 

in diritto la forma non è un inutile orpello ma un ben preciso requisito che vale ad identificare aspetti sostanziali della fattispecie.

La definizione di servitù servente e di servitù dominante è in effetti straordinaria, specie se usata da chi si definisce ‘centro studi nazionale’.

Non è comunque difficile reperire nel web indicazioni corrette ed utili alla risoluzione del problema.

@ massimo ginesi 10 luglio 2018