la braga di scarico. condominialità e manutenzione.

La cassazione torna su un tema di frequente discussione in condominio e  chiarisce  a chi spettino i costi di manutenzione e riparazione della  la c.d. braga di scarico, quel raccordo ad Y che consente alle tubazioni di scarico individuali di innestarsi nella colonna verticale comune.

Cass.Civ. sez. II 17 gennaio 2018 n. 1027 cassa la sentenza di secondo grado emessa dalla Corte di appello di Roma che aveva riconosciuto la condomini9alità del manufatto di scarico: “la Corte d’Appello di Roma con sentenza 6.11.2012 – per quanto ancora interessa in questa sede – in accoglimento dell’appello proposto dal ha riformato la decisione di primo grado rigettando le domande contro di lui proposte e ha dichiarato il Condominio tenuto a riparare la “braga” di collegamento degli scarichi, con ripartizione interna della spesa fra i condomini serviti dalla colonna di scarico”

Osserva il giudice di legittimità che la braga serve unicamente al soggetto che deve allacciarsi e  on alla collettività, salvo che la lesione non intervenga nel tratto verticale della stessa e finisca per attenere al bene comune impedendogli di svolgere la sua ordinaria funzione: “La questione non è nuova nella giurisprudenza di questa Corte, ma merita un’ulteriore riflessione.

A norma dell’articolo 1117 n. 3 cc (nella precedente formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie che ci occupa, ma il principio non è stato modificato) si presumono comuni i canali di scarico solo “fino al punto di diramazione” degli impianti ai locali di proprietà esclusiva.

Partendo dal chiaro tenore del testo normativo, la prevalente giurisprudenza di questa Corte (v. Sez. 2, Sentenza n. 19045 del 03/09/2010 non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 5792 del 2005; Sez. 3, Sentenza n. 583 del 2001 non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 12894 del 18/12/1995 Rv. 495113; nello stesso senso v. anche Sez. 2, Sentenza n. 10584 del 2012 non massimata) ha escluso dalla proprietà condominiale la cd braga (cioè l’elemento di raccordo tra la tubatura orizzontale di pertinenza del singolo appartamento e la tubatura verticale di pertinenza condominiale).

Si è altresì osservato che, mentre la proprietà comune condominiale è tale perché serve all’uso (e al godimento) di tutti i partecipanti, la braga invece, serve soltanto convogliare gli scarichi di pertinenza del singolo appartamento a differenza della colonna verticale, che raccogliendo gli scarichi di tutti gli appartamenti, serve all’uso di tutti i condomini (v. Sez. 2, Sentenza n. 19045 /2010 cit.; Sez. 2, Sentenza n. 5792/2005 cit; Sentenza n. 583/2001 cit; nello stesso senso v. anche Sez. 2, Sentenza n. 10584 del 2012 non massimata).

Il Collegio ritiene senz’altro che tale orientamento sia da ribadire perché:

a) parte proprio da una corretta lettura del dato normativo che fissa con precisione il limite di estensione delle condotte comprese nella presunzione di condominialità e lo individua “fino al punto di diramazione”;

b) considera, altrettanto correttamente, la ragione posta a base del concetto di proprietà condominiale che è appunto l’idoneità all’uso (e al godimento) di tutti i partecipanti concludendo coerentemente, che la braga invece, serve soltanto convogliare gli scarichi di pertinenza del singolo appartamento, a differenza della colonna verticale, che raccogliendo gli scarichi di tutti gli appartamenti, serve all’uso di tutti i condomini;

L’ordinanza di questa sezione n. 778 del 19/01/2012 Rv. 621200 – richiamata dalla Corte d’Appello – era stata emessa in una vicenda in cui il dato decisivo era rappresentato, come riporta la stessa ordinanza, dal fatto che secondo l’apprezzamento dei giudici di merito sulla scorta dei rilievi effettuati dal consulente tecnico, la perdita era stata individuata in “un punto della colonna condominiale verticale” e dal fatto che la perdita d’acqua si verificava “anche quando era fatta scorrere l’acqua di appartamenti sovrastanti“.

Nel caso di specie, la Corte d’Appello di Roma, avendo riscontrato la rottura della braga “nel tratto terminale della stessa….”, si è limitata a prestare pedissequa adesione all’ordinanza n. 778/2012, senza però confrontarsi adeguatamente con la situazione di fatto nel caso ad essa sottoposta e, soprattutto, senza confrontarsi con l’opzione interpretativa fornita con puntuali argomentazioni dalla prevalente giurisprudenza di legittimità ed oggi ribadita da questo Collegio.”

© massimo ginesi 15 marzo 2018

in regime di comunione ciascun comproprietario può agire in giudizio per la tutela del bene comune

Si tratta di principio  ribadito da Cass.Civ. sez. II 22 febbraio 2018 n. 4336.

La vicenda riguarda un terreno di proprietà di più soggetti, uno dei quali – pur nel manifesto dissenso di altro, detentore di una quota maggiore – agisce in giudizio contro il vicino per veder  rimosse alcune opere abusivamente realizzate. La domanda è accolta dal Tribunale di Frosinone e riformata dalla Corte di Appello di Roma, “sul rilievo che T.S., titolare della quota di maggioranza del bene in comunione, non condivideva l’azione giudiziaria esperita dall’altro comproprietario”

La corte di legittimità cassa la sentenza di appello e rinvia ad altra sezione della stessa corte di merito  che dovrà attenersi al principio di diritto espresso in motivazione: ” Come questa Corte ha ripetutamente affermato, ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune e non una frazione della stessa, è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti del terzo o di un singolo condomino (ex multis Cass.28.1.2015 n.1650; 19329/2009; 10219/2012).

Il dissenso dell’altro comproprietario, contrariamente a quanto affermato nell’impugnata sentenza, non era dunque idoneo a paralizzare la pretesa dell’odierna ricorrente, diretta al ripristino della cosa comune nella sua integrità, mediante demolizione del muro di confine e ripristino del fosso di scolo abusivamente eliminato.”

Si tratta di principio che, pur con le necessarie cautele interpretative, è stato ritenuto applicabile anche al condominio per le azioni a tutele del bene comune esperite nei conforti di terzi o di condomini: da ultimo Cass.Civ. sez. VI, 28/01/2015,  n. 1650 ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l’intera cosa comune, e non una frazione della stessa, è legittimato ad agire o resistere in giudizio, anche senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei confronti dei terzi o di un singolo condomino (così Cass. Sez. 6-1 ord 1009/2013; alla quale adde: Cass., Sez. 6-3 ord n. 1009/2013;Cass. Sez. 2 n. 19329/2009; Cass. Sez. 2 n. 10219/2002; Cass. Sez. 2 n. 8546/1998; Cass. Sez. 2 n. 1757/1987).”

© massimo ginesi 14 marzo 2018 

 

consumi acqua potabile e criteri di riparto: un’interessante sentenza milanese.

Trib. Milano 6 febbraio 2018 n. 1208 affronta un tema di grande impatto:i consumi di acqua potabile e i criteri per la loro imputazione ai singoli condomini.

Un condomina impugna la delibera con cui è stato deciso di installare un contatore di sottrazione presso la sua unità, ritenendola illegittima, sia per la natura della decisione che per la mancata adozione di tale strumento in tutte le unità.

Il Tribunale rigetta l’impugnativa con ampia motivazione, su tema che è di grande  rilievo avendo ad oggetto un bene primario come l’acqua.

Il giudice meneghino ricorda innanzitutto l’orientamento di legittimità sul punto, espresso da Cass. 17557/2014: “In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1123, comma 1, c.c., in base ai valori millesimali, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”

Da tale assunto perviene alla conclusione di una obbligatorietà del contatore a sottrazione e della applicabilità dei criteri codicistici in via sussidiaria e solo in assenza di tale strumento, senza che rilevi – sotto il profilo della liceità della delibera – l’installazione solo parziaria degli strumenti di misura.

Si tratta di normativa di natura pubblicistica e dunque inderogabile anche da regolamento contrattuale.

© massimo ginesi 13 marzo 2018

il termine per introdurre la mediazione obbligatoria non è perentorio

Per alcune controversie l’art. 5 D.lgs 28/2010 prevede obbligatoriamente l’esperimento del procedimento di mediazione, che costituisce condizione di procedibilità dell’azione.

Come è noto alla mediazione si sottraggono quelle fasi sommarie o cautelari  che la legge – per la loro natura – affida alla cognizione del giudice ordinario senza alcuna barriera preventiva, fra i vanno annoverati  il procedimento per decreto ingiuntivo e la convalida di sfratto.

Anche tali ipotesi, tuttavia, sussiste obbligo di mediazione una volta esaurita la fase sommaria o cautelare (in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, una volta pronunciati i provvedimenti sulla provvisoria esecutorietà e nella opposizione a convalida di sfratto una volta statuito sull’ordinanza ex art 665 c.p.c. e mutato il rito ai sensi dell’art. 426 c.p.c.).

In quelle ipotesi il giudice dispone che si dia corso a procedimento di mediazione a cura della parte che ne ha interesse, che dovrà provvedere nel termini di quindi giorni.

Si tratta di termine che da una parte (dominante)  della giurisprudenza di merito è stato ritenuto non perentorio, sicché non incorrerà nella improcedibilità della domanda colui  che abbia dato corso in ritardo, purché il procedimento sia stato introdotto prima della udienza di verifica e si sia concluso (o sia prossimo alla conclusione).

In tal senso si è espresso di recente anche Tribunale Massa con sentenza 8.3.2018 n. 202 che ha osservato “quanto alla improcedibilità della domanda, va osservato che questo giudice aderisce alla tesi della non perentorietà dello stesso (Tribunale Roma, sez. XIII 14 luglio 2016, n. 14185), specie laddove la parte abbia ottemperato all’introduzione del procedimento di mediazione non in prossimità dell’udienza di trattazione e il procedimento abbia trovato comunque il suo esaurimento prima di tale data, come avvenuto nel caso di specie.”

© massimo ginesi 12 marzo 2018

terrazza a livello e spese anticipate dal singolo condomino: principi generali e risvolti fiscali.

Un condomino provvede a lavori di ripristino della propria terrazza a livello, dalla quale derivano copiose infiltrazioni all’unità sottostante, e poi chiede in giudizio il rimborso agli altri condomini in ragione delle quote previste dall’art. 1126 cod.civ.; costoro solo in secondo grado contestano la sussistenza dell’urgenza e rilevano anche che l’iniziativa del singolo ha pregiudicato  il loro diritto a beneficiare delle consentite detrazioni fiscali per interventi similari.

Dapprima il Giudice di Pace di Alghero e poi il Tribunale di Sassari accolgono la domanda; contro le statuizioni di merito ricorrono per cassazione i soccombenti, le cui istanze vengono rigettate anche in tale sede (Cass.Civ. sez. II ord. 28 febbraio 2018 n. 4684 rel. Scarpa).

La corte di legittimità ripercorre i principi consolidati in tema di spese anticipate dal singolo, di responsabilità per danni derivanti dal lastrico e sottolinea come la detraibilità fiscale dell’intervento sia una facoltà e non un obbligo, sì che non può ritenersi sussistente  pregiudizio in tal senso.

Non è dubbio che, ai fini dell’applicabilità dell’art 1134 c.c. (nella formulazione qui operante ratione temporis, antecedente alle modifiche introdotte dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), il condomino che ha fatto spese per le cose comuni senza autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente; né può confutarsi che debba considerare “urgente” la sola spesa la cui erogazione non possa essere differita, senza danno o pericolo, fino a quando l’amministratore o l’assemblea dei condomini possano utilmente provvedere.

E’ altresì inevitabile ribadire che la prova dell’indifferibilità della spesa incombe sul condomino che chiede il rimborso, il quale deve dimostrare, a tal fine, la sussistenza delle condizioni che imponevano di provvedere senza ritardo e che impedivano di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini (così da ultimo Cass., Sez. 6 -2, 16/11/2017, n. 27235; e già, tra le tante, Cass. Sez. 2, 12/09/1980, n. 5256).”

La corte ribadisce tuttavia che il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. vale anche nel processo dinanzi al Giudice di Pace, di talchè correttamente il tribunale di Sassari aveva ritenuto provata la circostanza: “Quanto tuttavia residui come fatto incontroverso tra le parti, rimane per ciò solo non bisognoso di prova; di tal che, pure il fatto dell’urgenza ex art. 1134 c.c., posto dall’attore a fondamento della domanda di rimborso delle spese anticipate, se non contestato dal convenuto, deve essere considerato incontroverso e non richiedente una specifica dimostrazione, né la contestazione di fatti originariamente non contestati può poi essere ammessa in appello.

I ricorrenti, avendo la sentenza impugnata rilevato che essi avevano tenuto in primo grado una condotta processuale di non contestazione, avrebbero pertanto dovuto innanzitutto allegare e dimostrare l’erroneità di tale statuizione, indicando specificamente in ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., gli atti difensivi in cui fosse stata sin dall’inizio opposta l’insussistenza dell’urgenza ex art. 1134 c.c. (cfr. tra le tante Cass. Sez. 3, 09/08/2016, n. 16655; Cass. Sez. 6 – 1, 12/10/2017, n. 24062). Ric. 2014″

Osserva ancora la Corte che “l’infondatezza delle censure articolate deriva altresì dall’operatività del principio già affermato in giurisprudenza, per cui il dovere di contribuzione dei condomini ai costi di manutenzione di un terrazzo di proprietà esclusiva non fonda sull’applicazione degli artt. 1110 e 1134 c.c., siccome postulanti spese inerenti ad una cosa comune, ma trova la propria ragione, ex art. 1126 c.c., nell’utilità che i condomini sottostanti traggono dal bene, fermo poi il diverso profilo della qualificazione dell’azione che garantisca il rimborso delle somme eventualmente anticipate per intero dal titolare del diritto esclusivo (così Cass. Sez. 2, 09/01/2017, n. 199).

Quanto alla questione posta col terzo motivo, ove si lamenta che il V. avrebbe dovuto dimostrare che i danni non erano dovuti a fatti a lui imputabili, vale piuttosto il principio enunciato da Cass. Sez. U, 10/05/2016, n. 9449, per cui qualora l’uso del lastrico solare o della terrazza a livello non sia comune a tutti i condomini, dei danni da infiltrazioni nell’appartamento sottostante rispondono sia il proprietario, o l’usuario esclusivo, quale custode del bene ai sensi dell’art. 2051 c.c., sia, appunto, il condominio in forza degli obblighi inerenti l’adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni incombenti sull’amministratore ex art. 1130, comma 1, n. 4, c.c., nonché sull’assemblea dei condomini ex art. 1135, comma 1, n.4, c.c., tenuta a provvedere alle opere di manutenzione straordinaria.”

In merito alle agevolazioni fiscali il giudice di legittimità sottolinea che “neppure può incidere sulla sussistenza e sulla misura del credito del V. per il rimborso delle quote anticipate, con riguardo alla riparazione del terrazzo a livello, l’allegata circostanza che lo stesso controricorrente non si fosse avvalso delle detrazioni in ragione della spesa sostenuta per l’intervento edilizio, in forza dell’art.1 della legge 27 dicembre 1997, n. 449.

Tale detrazione è, infatti, oggetto di una facoltà, e non di un obbligo, per il creditore; peraltro, di essa, sempre che si tratti di lavori eseguiti su parti condominiali, possono beneficiare tutti i comproprietari che abbiano in concreto provveduto ai relativi pagamenti, salva la regolamentazione dei loro rapporti interni e la delega conferita ad uno di essi ad eseguire i bonifici.”

© massimo ginesi 8 marzo 2018

 

quando il condomino richiede copie di documenti all’amministratore: modalità e costi.

Una recente pronuncia della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II ord. 28.2.2018 n. 4686 rel. Scarpa) affronta due temi interessanti, consolidando  principi che riprendono orientamenti più volte espressi.

La pronuncia ha il pregio di statuire puntualmente, più di altre, su aspetti di sicuro rilevo pratico e di quotidiana incidenza sulla vita del condominio e dei soggetti  che con esso si interfacciano, sia sotto il profilo sostanziale che processuale.

Quanto alla richiesta di copie di documenti, la suprema corte sottolinea alcuni principi cardine (e spesso disattesi dagli interessati condomini o amministratore): l’attività di verifica, controllo e richiesta copie può svolgersi in qualunque momento e non solo in vista della assemblea, non può tuttavia costituire aggravio per l’attività dell’amministratore, chi la richiede deve sopportare i costi delle copie mentre l’attività in tal senso prestata dall’amministratore è compresa nel suo mandato e non può essere oggetto di ulteriore compenso se non espressamente pattuito al momento del conferimento dell’incarico.

Ove ciò sia avvenuto, non è consentito al giudice sindacare la misura di tale compenso, salvo che per entità non finisca per ostacolare in maniera significativa il diritto del singolo, circostanza che potrebbe tradursi in un vizio di legittimità per violazione di legge della delibera che lo ha approvato.

L’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012 (nella specie inapplicabile, ratione temporis), prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, su preventiva richiesta, possa, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata.

E’ quindi vieppiù meritevole tuttora di conferma l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 6 – 2, 18/05/2017, n. 12579; Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19/09/2014, n. 19799).

 l’esercizio della facoltà del singolo condomino di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili non deve risolversi in un onere economico per il condominio, sicché i costi relativi alle operazioni compiute devono gravare esclusivamente sui condomini richiedenti a vantaggio della gestione condominiale (Cass. Sez. 2, 29/11/2001, n. 15159), e non invece costituire ragione di ulteriore compenso in favore dell’amministratore, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale (arg. da Cass. Sez. 2, 28/04/2010, n. 10204; Cass. Sez. 2, 12/03/2003, n. 3596).

Quanto poi al profilo di doglianza secondo cui il compenso deciso per il rilascio di copia degli atti fosse di “elevatisimo ed oscillante importo”, e rivelasse perciò un “carattere dissuasivo e deterrente” rispetto all’esercizio dello stesso diritto di controllo sulla gestione attribuito al singolo partecipante, viene così di fatto sollecitato un controllo non sulla legittimità della scelta operata dall’assemblea, ma sulla congruenza economica della stessa, e quindi sul merito, controllo esulante dai limiti consentiti al sindacato giudiziale ex art. 1137 c.c., se non quando l’eccesso di potere dell’organo collegiale arrechi grave pregiudizio alla cosa comune ed ai servizi che ne costituiscono parte integrante (da ultimo, Cass. Sez. 6 – 2, 17/08/2017, n. 20135).”

La corte affronta anche la questione relativa al contenuto della domanda di annullamento della delibera laddove connota il petitum e la causa petendi.

“E’ nota la ripartizione tra cause di nullità e di annullabilità delle delibere condominiali autorevolmente operata da Cass. Sez. U, 07/03/2005, n. 4806. La sussistenza di un vizio di annullabilità della delibera condominiale comporta la necessità di espressa e tempestiva domanda “ad hoc” proposta dal condomino interessato nel termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c.

Va aggiunto che l’assemblea dei condomini, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione indicate nell’ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, con la conseguente astratta configurabilità di ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra delibera.

Di tal che, ogni domanda di declaratoria di invalidità di una determinata delibera dell’assemblea dei condomini si connota per la specifica esposizione dei fatti e delle collegate ragioni di diritti, ovvero per una propria “causa petendi”, che rende diversa, agli effetti degli artt. 183 e 345 c.p.c., la richiesta di annullamento di una delibera dell’assemblea per un motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo motivo difforme da quello inizialmente dedotto in giudizio, e che allo stesso tempo impedisce al giudice la dichiarazione di annullamento della deliberazione dell’organo collegiale per un motivo di contrarietà alla legge o alle regole statutarie distinto da quello indicato dalla parte (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1378 del 18/02/1999; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5101 del 20/08/1986).

Ne consegue che la prospettazione in domanda e poi come motivo di appello di una ragione di invalidità della deliberazione assembleare impugnata, consistente, nella specie, nella dedotta illegittimità del compenso riconosciuto all’amministratore per il recupero forzoso del credito e per l’impedimento nella lettura del contatore obbliga il giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), a prendere in esame la questione oggetto di doglianza”