contributi pubblici per la ricostruzione: l’assemblea non ha titolo a deliberarne il riparto

I contributi pubblici erogati ai condomini (nella specie quelli di cui alla L. 61/1998, per la ricostruzione di edifici danneggiati da eventi sismici) attengono ad un rapporto diretto obbligatorio fra la P.A. e il singolo beneficiario, sì che riguardano materia sottratta alle competenze dell’assemblea di condominio, che non potrà deliberare sulla loro imputazione e ripartizione.

E’ quanto stabilito da una recente pronuncia (Cass. civ. II, ord. 28 agosto 2020 n. 18044 rel. Scarpa), che – nell’occasione – ripercorre anche la consolidata giurisprudenza in tema di deroga ai criteri di riparto (attualmente all’esame delle Sezioni Unite quanto alle conseguenze sulla nullità della delibera affetta da tale vizio).

La pronuncia pare interessante anche per la comprensione dei poteri assembleari in tutte quelle ipotesi in cui alla spesa deliberata dalla assemblea sia sotteso un beneficio fiscale in favore del singolo, quale da ultimo il c.d. bonus 110%

Nell’ipotesi all’esame della corte, un condomino aveva impugnato la delibera “che aveva determinato le quote di spettanza dei lavori di riparazione e miglioramento sismico dell’edificio, al netto del contributo statale, senza indicare i criteri di riparto, indicando nel consuntivo voci di spesa generiche e dal contenuto imprecisato” e aveva visto respinta la domanda in primo e secondo grado.

la Corte di legittimità osserva:“Il secondo motivo di ricorso è invece fondato nei limiti in cui prospetta una violazione dell’art. 1123 c.c. Ai fini della decisione su tale motivo non rileva decisivamente la questione rimessa alle Sezioni Unite in forza dell’ordinanza interlocutoria n. 24476 del 01/10/2019, circa la qualificazione in termini di nullità o di annullabilità della deliberazione maggioritaria dell’assemblea con la quale siano meramente disattesi, e non invece espressamente modificati, i criteri legali dettati negli artt. 1123 e ss. c.c.

La Corte d’appello di Perugia ha affermato che l’assemblea del Condominio N.  del 24 febbraio 2010 avesse esplicitamente ripartito le spese di riparazione e miglioramento sismico dell’edificio sulla base di una convenzione in deroga una tantum alle tabelle millesimali, riguardante anche i contributi pubblici erogati, cui hanno aderito i singoli condomini.

Così decidendo, la Corte d’appello non ha considerato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale, se certamente i criteri di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, la relativa convenzione modificatrice della disciplina legale di ripartizione può, tuttavia, essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “contrattuale”), oppure in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità, e cioè col consenso di tutti i condomini (Cass. Sez. 2 , 24/02/2017, n. 4844; Cass. Sez. 2, 17/01/2003, n. 641; Cass. Sez. 2, 05/11/2001, n. 13631).

La natura delle disposizioni contenute negli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c. non preclude, infatti, l’adozione di discipline convenzionali che differenzino tra loro gli obblighi dei partecipanti di concorrere agli oneri di gestione del condominio, attribuendo gli stessi in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà.

Viene, tuttavia, imposta, a pena di radicale nullità l’approvazione di tutti i condomini per le delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento “contrattuale” (Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126).

Come chiarito da Cass. civ. III, n. . Sez. U, 09/08/2010, n. 18477, mentre, allora, la deliberazione che approva le tabelle nnillesimali, non ponendosi come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, non deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini, rivela, viceversa, natura contrattuale la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella «diversa convenzione», di cui all’art. 1123, comma 1, c.c.

La sostanza di tale «diversa convenzione» è, pertanto, quella di una dichiarazione negoziale, espressione di autonomia privata.

Né rileva, come si legge nella sentenza impugnata, che la deroga alle tabelle millesimali sia stata disposta dall’assemblea una tantum, in quanto la “diversa convenzione” richiamata dall’art 1123 c.c., quale titolo derogatorio della norma dispositiva sul criterio legale di ripartizione proporzionale delle spese necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni di un edificio in condominio, può anche essere adottata non in funzione normativa (e cioè per sostituire, nella disciplina relativa, al titolo legale o regolamentare quello convenzionale), bensì con riguardo al riparto di una singola spesa o di una specifica gestione.

Poiché essa comunque incide comunque sulla misura degli obblighi dei singoli partecipanti al condominio, non può fondarsi che su una deliberazione unanime, non limitata ai presenti all’assemblea (Cass. Sez. 2, 23/05/1972, n. 1588).

Nel caso in esame, tanto meno poteva ritenersi consentito all’assemblea del 24 febbraio 2010 di ripartire a maggioranza i lavori di manutenzione dell’edificio, redistribuendo anche i contributi per la riparazione ed il miglioramento sismico attribuiti ai proprietari degli immobili distrutti o danneggiati ai sensi delle legge 30 marzo 1998, n. 61 (recante interventi urgenti in favore delle zone terremotate delle regioni Marche e Umbria), atteso che tali contributi derivano da rapporti obbligatori individuali tra il comune ed i singoli proprietari di ciascuna unità immobiliare, ognuno dei quali subordinato alle condizioni soggettive ed oggettive previste dalla legge citata e sottoposte a separato accertamento (arg. da Cass. Sez. 1, 12/07/2013, n. 17260), sicché essi rimangono sottratti alle attribuzioni deliberative dell’assemblea, la quale, giacché destinata ad esprimere la volontà collettiva dei partecipanti nelle materia di interesse comune, non può comunque adottare provvedimenti volti a perseguire una finalità extracondominiale o a regolamentare diritti ed obblighi appartenenti in via esclusiva ai singoli condomini.”

© massimo ginesi 31 agosto 2020

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l’amministratore scaduto non è revocabile

L’amministratore che prosegue nell’incarico in regime di prorogatio e che non è stato ritualmente nominato dall’asemblea non è passibile di revoca per gravi irregolarità, posto che in ogni momento l’assembela può provvedere a nominare altro soggetto e ciascun condomino può chiederne la nomina in via giudiziale, ove l’organo collegiale  non si attivi.

E’ quanto ha statuito il Tribunale di Massa con provvedimento depositato il 27 luglio 2020.

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© massimo ginesi 10 agosto 2020

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richiesta dati condomini morosi : è legittimato passivo il condominio

Il Tribunale apuano con provvedimento ex art 702 bis c.p.c. (Trib. Massa 29.7.2020) ha ritenuto che legittimato passivo della domanda avanzata dal terzo creditore, e volta a conoscere il nominativo dei condomini morosi, sia il condominio e non l’amministratore personalmente.

Il provvedimento, assai articolato, merita integrale lettura per l’accuratezza e l’analiticità della motivazione e conferma il medesimo orientamento già in precedenza espresso dallo stesso Tribunale.

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© massimo ginesi 6 agosto 2020

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mediazione, opposizione a decreto ingiuntivo e legittimazione dell’amministratore

Una recente sentenza del tribunale apuano (Trib. Massa 27 luglio 2020 n. 379) affronta il complesso tema della legittimazione processuale dell’amministratore, sia con riguardo all’opposizione a decreto ingiuntivo promossa nei confronti dell’ex amministratore (che agiva per il pagamento di propri corrispettivi e anticipazioni) che al successivo procedimento di mediazione, promosso per ordine del giudice, trattandosi di materia sottoposta a condizione di procedibilità obbligatoria ex art 5 bis D.lgs 28/2010.

La decisione  trae spunto dalla recente pronuncia di legittimità (Cass. civ. III, n. . 6 giugno 2020 n. 10846 rel. Scarpa) che ha affrontato in maniera netta la portata dell’art. 71 quater disp.att. cod.civ., chiarendo che – per accedere alla mediazione – l’amministratore non si giova di alcuna legittimazione autonoma per le materie previste dall’ art 1130 c.c. ma deve sempre munirsi di delibera assembleare.

Il giudice apuano osserva che  “ il Condominio ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo ottenuto dal precedente amministratore, per il pagamento di pregresse competenze, e – in quella sede – ha avanzato domanda riconvenzionale di restituzione somme e risarcimento danni nei confronti di costui. 

Trattandosi di materia sottoposta a mediazione obbligatoria ex art 5 bis D.Lgs 28/2010 le parti – su ordine del giudice – hanno  dato corso, non appena statuito sulle richieste di provvisoria esecutorietà del decreto, a procedimento di mediazione, concluso con verbale negativo del 25.9.2018. 

Il nuovo difensore dell’convenuto opposto, costituito con comparsa 8.1.2020 ha eccepito che nessuna di queste attività fosse stata assistita da idonea delibera assembleare e che l’amministratore le abbia poste in essere in piena autonomia. 

L’eccezione circa la legittimazione dell’amministratore a partecipare al procedimento di mediazione su disposizione del giudice nelle cause che, per materia, prevedono tale adempimento come condizione di procedibilità  appare ontologicamente diverso dalla eccezione di improcedibilità per mancato esperimento, che si ritiene temporalmente limitata – a pena di decadenza – alla prima udienza di trattazione, sia per il giudice che per le parti (Cass. 32797/2019).

Viceversa l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono l’avveramento di quella condizione, ove l’accesso alla mediazione sia stato disposto per ordine giudiziale, attiene alla verifica dei requisiti che consentono la legittima prosecuzione del giudizio, ove le parti abbiano correttamente adempiuto ad instaurare nei termini il procedimento di ADR. 

In particolare, nell’ipotesi di opposizione a decreto ingiuntivo, questo Giudice ritiene – in linea con parte della giurisprudenza di legittimità e di merito – che competa all’opponente dar attuazione all’ordine del giudice, instaurando legittimamente il procedimento, a pena di improcedibilità della opposizione (in forza delle ragioni espresse da Cass. 23003/2019 e in attesa che sul punto si pronuncino le Sezioni Unite sulla scorta di Cass. 18741/2019).

Era dunque onere del Condominio opponente procedere alla instaurazione del procedimento, adempimento cui l’amministratore ha dato corso come da produzioni effettuate il 29/8/2018.

A seguito dell’eccezione sollevata dall’opposto, è emerso che l’amministratore abbia agito non sorretto da alcuna delibera in proposito, non potendo rilevare a tal fine (e neanche a quelli successivi di cui si dirà, relativi alla fase giudiziale) la circostanza che costui all’assemblea 13.7.2018  abbia informato i presenti della avvenuta notifica del decreto da parte del precedente amministratore e della proposizione della opposizione, trattandosi di mera informativa cui non è conseguita alcuna delibera dell’organo collegiale.

Con riguardo poi, al procedimento di ADR, non potrà non rilevarsi quanto statuito dall’art. 71 quaterdisp.att.c.c. e assai di recente chiarito dalla suprema Corte: “L’art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, lettera, porta, allora, a concludere, identicamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Roma, che la condizione di procedibilità della “controversie in materia di condominio” non possa dirsi realizzata allorchè, come avvenuto nel caso in esame, all’incontro davanti al mediatore l’amministratore partecipi sprovvisto della previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. comma 2, non essendo in tal caso “possibile” iniziare la procedura di mediazione e procedere con lo svolgimento della stessa, come suppone il D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 8, comma 1. Non rileva nel senso di escludere la necessità della delibera assembleare ex art. 71 quater disp. att. c.c., comma 3, il fatto che si tratti, nella specie, di controversia che altrimenti rientra nell’ambito delle attribuzioni dell’amministratore, in forza dell’art. 1130 c.c., e con riguardo alla quale perciò sussiste la legittimazione processuale di quest’ultimo ai sensi dell’art. 1131 c.c., senza necessità di autorizzazione o ratifica dell’assemblea. Pur in relazione alle cause inerenti all’ambito della rappresentanza istituzionale dell’amministratore, questi non può partecipare alle attività di mediazione privo della delibera dell’assemblea, in quanto l’amministratore, senza apposito mandato conferitogli con la maggioranza di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, è altrimenti comunque sprovvisto del potere di disporre dei diritti sostanziali che sono rimessi alla mediazione, e, dunque, privo del potere occorrente per la soluzione della controversia (arg. da Cass. Sez. 3, 27/03/2019, n. 8473). Tale evenienza non corrisponde, dunque, all’ipotesi contemplata dal D.Lgs. 4 marzo 2010, n. 28, art. 5, comma 2 bis, il quale dispone che “quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo”, in quanto, ancor prima che mancato, qui l’accordo amichevole di definizione della controversia è privo di giuridica possibilità. Spetta infatti all’assemblea (e non all’amministratore) il “potere” di approvare una transazione riguardante spese d’interesse comune, ovvero di delegare l’amministratore a transigere, fissando gli eventuali limiti dell’attività dispositiva negoziale affidatagli (cfr. Cass. Sez. 2, 16/01/2014, n. 821; Cass. Sez. 2, 25/03/1980, n. 1994).” (Cass. 10846/2020 e, fra le pronunce di merito, Trib. Romasez. V 10.9.2018 n. 17024)

Non potrà non rilevarsi che l’instaurazione del procedimento e la partecipazione al primo incontro di mediazione,  in assenza di espresso mandato assembleare, appare tamquam non esset (ed insuscettibile di ratifica, aldilà del tempo in cui tale ratifica interviene), poiché in quella sede l’amministratore che agisca iure proprio è privo del potere di disporre dei diritti sostanziali in contesa e, dunque, di introdurre l’istanza e di partecipare all’incontro volto alla transazione su quei diritti.

Né si potrà ritenere quel potere suscettibile di ratifica, una volta concluso il procedimento e venuta meno la condizione di procedibilità (anche non voler considerare, poiché aspetti rilevabili ad istanza di parte, che la delibera 29.1.2020 è stata assunta su argomento non all’ordine del giorno e con maggioranze inidonee), così come – a fronte di erronea introduzione del procedimento per negligenza dell’istante – non si potrà ritenere reiterabile la concessione del termine (Trib. Massa 20 luglio 2018 n. 546).

Il disposto attuativo di cui all’art. 71 quater disp. att. c.c. prevede pertanto la necessità che l’assemblea conferisca all’amministratore il potere di partecipare (e, a maggior ragione, di dar inizio ) al procedimento di mediazione per ogni controversia, anche quelle che ai sensi del combinato disposto dagli artt.  1130  e 1131 c.c. rientrerebbero nella sua sfera di legittimazione autonoma, anche se merita rilevare che  l’odierna controversia , sia per gli aspetti volti a paralizzare la domanda monitoria, sia per quelli azionati in via riconvenzionale (competenze del precedente amministratore e domanda di risarcimento dei danni da costui provocati) non rientrerebbe comunque nelle materie per cui all’amministratore può essere riconosciuto un autonomo potere di gestione della lite (arg. da CAss. 12525/2018).

Da quanto sin qui argomentato, consegue l’improcedibilità dell’opposizione e delle domande riconvenzionali con la stessa avanzate.

Va peraltro rilevato che le ragioni sin qui evidenziate pregiudicherebbero anche l’ammissibilità della domanda giudiziale, posto che si tratta di controversia che esula dai poteri dell’amministratore, che la carenza di legittimazione può essere rilevata d’ufficio o eccepita in qualunque fase e grado, che l’eccezione è stata svolta in comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata in data 8.1.2020, che in data 27.1.2020 si è tenuta udienza di discussione (all’esito della quale la causa è stata rimessa in istruttoria) e che la delibera con cui l’assemblea ratifica l’operato dell’amministratore è stata assunta il 29.1.2020: poiché l’eccezione è stata sollevata dal convenuto era onere della parte produrre immediatamente la delibera di ratifica, sì che quella assunta in data posteriore alla udienza successiva alla sollevata eccezione deve ritenersi tardiva (arg. da Cass. 12525/2018 e CAss. 2179/2011.”

© massimo ginesi 4 agosto 2020

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