danno da cosa in custodia: il condominio rimasto contumace in primo grado può difendersi in appello.

Colui che rimane contumace in primo grado decade dalla facoltà di proporre eccezioni ma può avanzare in ogni stato e grado mere difese: sostenere che il marciapiede su cui il danneggiato assume di essere caduto non ha natura condominiale e che, pertanto, non sussiste responsabilità da cosa in custodia non costituisce eccezione ma rientra fra  le mere difese, che possono essere avanzate anche in sede di appello  dal condominio rimasto contumace in primo  grado. 

E’ quanto affermato da Cass.Civ. III sez. 20 dicembre 2017 n. 30545

La vicenda processuale: “R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio (omissis) chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede asseritamente di proprietà del Condominio.
Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in Euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.
2. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.”

il principio di diritto :” Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio”, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dov’è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226).

Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della R. , per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.”

La sentenza di appello è dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte.

© massimo ginesi 22 dicembre 2017

 

impugnazione di delibera assembleare: l’appello contro la sentenza sempre con citazione.

Ormai da tempo la giurisprudenza ha chiarito che l’impugnativa di delibera assembleare va introdotta con citazione (e non con ricorso): l’appello segue lo stesso rito, anche laddove il giudizio di primo grado sia  stato introdotto con ricorso.

In ogni caso, ai fini del rispetto del termine per l’impugnazione, quale che sia il sistema adottato, vale la notifica all’appellato e non il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice di appello.

Il principio è ribadito da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30044.

Il ricorso al giudice di legittimità viene proposto contro una sentenza della Corte di Appello di Napoli: “Con sentenza n. 2684 dei 19/27.6.2013 la corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile il gravame, siccome tardivamente proposto, e condannava gli appellanti alle spese.
Evidenziava la corte che il gravame era stato notificato in data 10.2.2009, ben oltre la scadenza – coincidente con l’1.12.2008 – del termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ..
Evidenziava altresì che nessun rilievo rivestiva la circostanza che il ricorso, con cui l’impugnazione era stata spiegata, era stato depositato in data 1.12.2008; che invero l’appello era da proporre con citazione, sicché la tempestività del gravame era da riscontrare “in base alla data di notifica dell’atto di citazione e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem” (così sentenza d’appello, pag. 3).”

La Cassazione richiama, con ampio excursus, principi che ormai dovrebbero essere noti a qualunque operatore del diritto:” Il ricorso va respinto. Alla data – 1.12.2008 – di deposito del ricorso recante l’atto di gravame avverso la sentenza n. 2225/2007 del tribunale di Nola l’indirizzo giurisprudenziale enunciato in via assolutamente prioritaria da questa Corte di legittimità era ben chiaro e si esprimeva nel senso che l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale, in assenza di previsioni di legge “ad hoc”, va proposto – secondo la regola generale contenuta nell’art. 342 cod. proc. civ. – con citazione;

cosicché la tempestività dell’appello va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice “ad quem” (cfr. Cass. 8.4.2009, n. 8536; Cass. 25.2.2009, n. 4498, secondo cui, nei procedimenti nei quali l’appello, in base al principio di cui all’art. 342 cod. proc. civ., va proposto con citazione, ai fini della “vocatio in ius”, vale la regola della conoscenza dell’atto da parte del destinatario; cosicché se, erroneamente, l’impugnazione, anziché con citazione, venga proposta con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre avere riguardo non alla data di deposito di quest’ultimo, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza; Cass. 11.9.2008, n. 23412, secondo cui, qualora l’appello a sentenza pronunciata in esito ad un giudizio celebrato con rito ordinario (nella specie, impugnazione prevista dall’art. 99 della legge 16.3.1942, n. 267) venga proposto con la forma prescritta per l’appello alle sentenze pronunciate in esito a giudizio camerale, il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale, il quale richiede che l’atto recettizio di impugnazione venga portato a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ., nella forma legale della notificazione e nel luogo indicato dall’art. 330 cod. proc. civ., sicché l’eventuale sanatoria di tale atto nullo è ammissibile soltanto a condizione che non si sia verificata “medio tempore” alcuna decadenza – quale, appunto, quella conseguente all’inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell’atto – che abbia determinato il passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, l’inammissibilità dell’appello; Cass. 11.4.2006, n. 8440, secondo cui in tema di condominio, l’impugnazione della delibera dell’assemblea può avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione, ma in quest’ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 1137 cod. civ., occorre tenere conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento dell’iscrizione a ruolo della causa).

In questo quadro non si delineano i margini dell’”overruling”.

Viepiù giacché l’insegnamento, di segno contrario, espresso da questa Corte con la pronuncia n. 18117 del 26.7.2013 (secondo cui in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, qualora il giudizio di primo grado sia stato introdotto con ricorso, anziché con citazione, può essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, e, in questo caso, il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione) non solo è evidentemente minoritario, ma risulta “contraddetto” dal successivo arresto n. 23692 del 6.11.2014 di questo stesso Giudice del diritto (secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem”) esattamente conforme al prioritario indirizzo ricostruttivo già consolidatosi in precedenza e comunque consolidato alla data dell’1.12.2008 (nel medesimo senso cfr. ulteriormente Cass. (ord.) 5.4.2017, n. 8839).

Al cospetto del riferito “stato” dell’elaborazione giurisprudenziale ben avrebbero potuto e dovuto i ricorrenti alla data dell’1.12.2008 (allorché ebbero a depositare nella cancelleria della corte d’appello di Napoli il ricorso recante atto di gravame avverso la sentenza di prime cure del tribunale di Nola) aver piena cognizione dell’indirizzo giurisprudenziale del tutto prioritario e su tale scorta proporre l’atto di gravame nella forma “dovuta”, cioè mediante atto di citazione, o quanto meno notificare il ricorso entro l’1.12.2008.”

© massimo ginesi 21 dicembre 2017

 

regolamento contrattuale e innovazioni: quando la valutazione è rimessa ad un terzo.

un caso singolare giunge all’esame della corte di legittimità (Cass.Civ. II sez. 19 dicembre 2017 n. 30528 rel. Scarpa): un regolamento di natura contrattuale rimette al progettista del fabbricato (o ad altro architetto) la valutazione di ammissibilità delle  future innovazioni destinate ad incidere  sul prospetto dell’edificio.

Il motivo di contesa riguarda una serra solare realizzata sul giardino di proprietà esclusiva e in aderenza alla facciata condominiale dal condomino del piano terreno; la vicenda è stata decisa nel merito dal giudice di secondo grado di Milano “La Corte d’Appello ha affermato che l’art. 25 del Regolamento condominiale rimettesse ogni opera, che potesse variare le caratteristiche delle facciate, al “preventivo ed insindacabile benestare scritto” dell’architetto E. Z., progettista dell’edificio (ovvero in futuro ad altro architetto da nominare).

Ciò, secondo la Corte di Milano, significava rimettere, mediante scelta condivisa con l’accettazione del regolamento all’atto dell’acquisto delle singole unità, ad un “soggetto qualificato” la verifica “del rispetto del requisito che la legge impone”.

I giudici di appello definivano la serra realizzata “funzionale ad accrescere la vivibilità dell’appartamento e ad assicurare la fruibilità per qualsiasi occasione anche di svago e di tempo libero”, ed escludevano l’applicabilità dell’art. 907 c.c. in tema di distanze dalle vedute, come anche la violazione dell’art. 1102 c.c., trattandosi di opera realizzata a piano terra, nel giardino di proprietà esclusiva, in aderenza alla facciata condominiale e non preclusiva del pari uso del bene comune”.

in via preliminare il giudice di legittimità osserva che “L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie del vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355).”

La Corte rileva che ad avviso del giudice di merito il regolamento non costituisce deroga alla disciplina codicistica: “A pagina 3, la sentenza impugnata ha spiegato di intendere l’art. 25 del Regolamento di condominio non come “deroga alla norma civilistica”, quanto come “scelta condivisa con l’accettazione del regolamento condominiale”, diretta a “rimettere ad un soggetto particolarmente qualificato” la constatazione della non alterazione del decoro architettonico riferibile agli interventi sulla facciata dell’edificio.

Questa Corte ha già spiegato in passato come la disposizione di cui al quarto comma dell’art. 1138 c.c., secondo cui le norme del regolamento di condominio (anche in ipotesi di cosiddetto regolamento contrattuale) non possono in nessun caso derogare, tra l’altro, a quanto stabilito nell’art. 1120 dello stesso codice, impedisce comunque l’esecuzione di opere e lavori lesivi del decoro dell’edificio condominiale o di parte di esso (Cass. Sez. 2, 26/05/1990, n. 4905; Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175).

Tuttavia, una clausola del regolamento condominiale, quale quella in esame, che, per le modifiche esterne ed interne delle proprietà individuali incidenti sulle facciate dell’edificio, richieda il benestare scritto dell’architetto progettista del fabbricato, ovvero di altro architetto da nominare, non costituisce deroga agli artt. 1120 e 1122 c.c., dando luogo, piuttosto, a vincoli di carattere reale tipici delle servitù prediali (e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria), nel senso di specificare i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (cfr. Cass. Sez. 2, 16/10/1999, n. 11688), mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, espressione di autonomia privata, che pone nell’interesse comune una peculiare modalità di definizione dell’indice del decoro architettonico.

E’ poi costante l’orientamento di questa Corte ad avviso del quale la disciplina dettata dall’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute non trova applicazione in ambito condominiale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14096; anche Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1989).

Più in generale, nell’applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta), spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso, come fatto dalla Corte di Milano, la compatibilità dei rispettivi diritti dei condomini (Cass. Sez. 2, 11/11/2005, n. 22838).

Così come la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva (nella specie, realizzazione di una serra) in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; ma l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della cosa comune, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (e la Corte d’Appello ha ben spiegato a pagina 4 della sentenza le ragioni per cui la realizzazione della serra potesse essere considerata esplicazione del normale uso della cosa comune).

sulle distanze la Corte osserva ancora che “la Corte di Milano ha invece affermato che l’art. 27 del Regolamento edilizio del Comune di Milano non trovasse applicazione al caso in esame, trattandosi comunque di nuova costruzione avvenuta all’interno di un edificio condominiale, con ciò facendo ancora una volta applicazione del principio giurisprudenziale per il quale le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 18/03/2010, n. 6546).”

© massimo ginesi 20 dicembre 2017 

sussiste condominio anche fra più corpi di fabbrica che hanno copertura comune.

E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte con recentissima decisione (Cass.Civ. II sez. ord. 18 dicembre 2017 n. 30307): ove un complesso immobiliare sia costituito da più corpi di fabbrica coperti da un unico lastrico tale bene dovrà ritenersi comune ed assoggettato al regime del condominio.

Osserva la corte che

il giudice di merito aveva ritenuto che il complesso immobiliare costituisse una struttura funzionalmente unica

Il regime di presunzione  per destinazione funzionale previsto dall’art. 1117 cod.civ.  opera in assenza di titolo che disponga diversamente

ai fini della valutazione sulla condominiali del solaio è poi indifferente che il bene preveda un uso concreto da parte di tutti i condomini, essendo sufficiente a tal fine la sua attitudine  funzionale

© massimo ginesi 18 dicembre 2017

 

balconi aggettanti: valenza decorativa e litisconsortio necessario fra i condomini.

La Suprema Corte ha delineato in più occasioni la natura dei balconi aggettanti, ascrivendoli alla proprietà esclusiva del singolo, salvo per quelle componenti che – contribuendo a costituire il prospetto del fabbricato – debbano essere ritenute comuni.

La Corte ritorna sul tema (Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30071 rel. Scarpa), rilevando – sotto il profilo processuale -che ove si chieda al giudice un provvedimento diretto ad incidere sul diritto di proprietà di quelle parti comuni del balcone, sussista litisconsortio necessario di tutti i condomini.

I FATTI –  “A. C., proprietario di appartamento in Benevento, via L.M. di S. 25, ha proposto ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza 24 giugno 2015, n. 2859/2015, resa dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale, in accoglimento dell’impugnazione formulata da V.P., ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Benevento in data 22 gennaio 2009 per difetto di litisconsorzio necessario.

Il giudizio aveva avuto inizio con citazione del 20 luglio 2006 con cui A. C. aveva convenuto davanti al Tribunale di Benevento V.P.., per sentire condannare quest’ultimo ad eliminare le cause della caduta d’acqua dal balcone dell’unità immobiliare di sua proprietà sul sottostante balcone di proprietà C.. Il Tribunale, accogliendo la domanda di A. C., aveva condannato V. P. ad eseguire le necessarie opere indicate dal CTU per l’eliminare il denunciato inconveniente.

La Corte d’Appello di Napoli accertava, tuttavia, che i parapetti aggettanti dei balconi dell’edificio di via L. M. di S. n. 25, Benevento, per loro forma, materiali e colore, avessero funzione di accrescere la gradevolezza estetica del fabbricato, e perciò rientrassero tra le parti comuni ex art. 1117 c.c., di proprietà di tutti i condomini, con conseguente difetto del necessario contraddittorio e rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c.”

IL PRINCIPIO DI DIRITTO – A.C. ricorre in cassazione, contestando la natura comune del parapetto. LA corte rigetta il ricorso, osservando che “Per orientamento consolidato di questa Corte, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’ art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, nè essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 21/01/2000, n. 637 del; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576; Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624).

L’accertamento del giudice del merito che il parapetto del fronte dei balconi degli appartamenti di un edificio assolva prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio (quale, nella specie, quello operato dalla Corte d’Appello di Napoli, alla tregua delle risultanze della CTU) costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Ciò premesso, l’azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto degli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, relativi ai frontali ed ai parapetti), costituenti, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, Ric. 2015 n. 27722 sez. 52 – ud. 25-10-2017 -4- c.c., va proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data” (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11109 del 15/05/2007).

Si consideri, infine, che la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve essere valutata non “secundum eventum litis” (ovvero, come assume il ricorrente, sulla base delle diverse modalità attuative dell’intervento tecnico di ripristino del balcone che il giudice potrebbe disporre), ma al momento in cui l’azione sia proposta, valutando se la stessa, sulla base del “petitum” (e, cioè, del risultato perseguito in giudizio dall’attore con la sua domanda), sia potenzialmente diretta anche ad una modificazione della cosa comune.”

© massimo ginesi 18 dicembre 2017

azione contrattuale contro l’appaltatore: i poteri dell’amministratore e dei singoli condomini.

Ove sia stato stipulato contratto di appalto per opere di sistemazione delle aree verdi condominiali, l’amministratore è legittimato ad agire per far valere l’inadempimento dell’appaltatore mentre i singoli condomini possono intervenire, iure proprio, nello stesso giudizio per far valere il danno subito individualmente a causa di tale inadempimento.

E’ principio espresso da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30038, che -nel decidere una vicenda nata in terra savonese e poi vagliata dalla Corte di appello di Genova – affronta anche il tema del potere del giudice di qualificazione della domanda in forza  delle difese svolte dalle parti: il condominio che aveva inizialmente svolto domanda di adempimento, si è visto riconoscere il diritto al pagamento per equivalente, ad avviso della corte di legittimità in maniera perfettamente legittima.

La sentenza – seppur sintetica -merita lettura integrale.

30038_appalto_legittimazione

© massimo ginesi 15 dicembre 2017 

impugnativa di delibera e legittimazione processuale: se l’amministratore non agisce, non è consentito farlo ai singoli condomini.

La suprema corte (Cass.Civ. II sez. 12 dicembre 2017 n. 29748 rel. Scarpa) conferma un orientamento ormai consolidato: per le controversie attinenti alla gestione comune sussiste legittimazione esclusiva dell’amministratore, dovendosi esclude la concorrente facoltà del singolo condomino.

La vicenda trae origine, nel merito, dalla impugnativa di una delibera assembleare che, a detta dei condomini che hanno fatto ricorso al giudice, ripartiva erroneamente alcune spese. La Corte di Appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, aveva annullato la delibera, con pronuncia resa nei conforti del condominio in persona dell’amministratore: avverso detta sentenza alcuni condomini propongono ricorso per cassazione.

Osserva la corte che: “Per consolidato orientamento di questa Corte, spetta in via esclusiva all’amministratore del condominio la legittimazione passiva a resistere nei giudizi promossi dai condomini per l’annullamento delle delibere assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni (Cass. Sez. 2, 20/04/2005, n. 8286; Cass. Sez. 2, 14/12/1999, n. 14037; Cass. Sez. 2, 19/11/1992, n. 12379).

Nella specie, si tratta di impugnativa di deliberazione dell’assemblea condominiale relativa alla ripartizione di spese per un servizio comune. L’impugnativa è fondata sull’assunta violazione dei criteri di suddivisione stabiliti dalla legge, ed è quindi volta ad ottenere una pronuncia di invalidità della deliberazione assembleare, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun condomino, e, passivamente, come accennato, soltanto l’amministratore del condominio, senza necessità di partecipazione al giudizio dei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 15/04/1994, n. 3542).

La legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla ripartizione delle spese per le cose ed i servizi collettivi promossi dal condomino dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi (Cass. Sez. 2, 11/08/1990, n. 8198).

Da ciò consegue che, nelle controversie concernenti impugnativa ex art. 1137 c.c. delle deliberazioni dell’assemblea relative alla ripartizione delle spese per le cose e per i servizi comuni, nelle quali è unico legittimato passivo l’amministratore di condominio, non è ammissibile il gravame avanzato dal singolo condomino avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio.

Il potere di impugnazione del singolo condomino va, infatti, riconosciuto nelle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche nelle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante.

Mentre (secondo l’orientamento del tutto prevalente di questa Corte, che il collegio intende qui ribadire) non va consentita l’impugnazione individuale relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un bene o un servizio comune, bensì la gestione di esso, intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunità condominiale, nelle quali non v’è correlazione immediata con l’interesse esclusivo d’uno o più condomini, quanto con un interesse direttamente plurimo e solo mediatamente individuale, giacché, nelle cause di quest’ultimo tipo, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo finisce per escludere la possibilità d’impugnazione da parte del singolo condomino (Cass. Sez. 2, 21/09/2011, n. 19223; Cass. Sez. 2, 04/05/2005, n. 9213; Cass. Sez. 2, 03/07/1998, n. 6480; Cass. Sez. 2, 12/03/1994, n. 2393).”

il ricorso è dunque dichiarato inammissibile.

© massimo ginesi 13 dicembre 2017