SUPERCONDOMINIO IN VERSIONE PARTENOPEA: qualche riflessione sulla nomina giudiziale dell’amministratore.

Il Tribunale di Napoli (4 sez. civile 1 marzo 2017) affronta un caso peculiare in materia di supercondominio: alcuni condomini si dolgono che l’amministratore in carica non sia stato ritualmente nominato e chiedono al Giudice la nomina di nuovo amministratore, rappresentando anche che l’attuale avrebbe commesso gravi irregolarità.

Il ricorso non brilla per coerenza, rigore formale  e sistematicità, ed il conseguente provvedimento sembra essere afflitto dagli stessi vizi, pur apparendo sostanzialmente condivisibile nella sostanza e fornendo comunque utili elementi di riflessione su una materia che la legge 220/2012 ha reso più insondabile della stele di Rosetta.

Il giudice partenopeo, chiamato a decidere in sede di volontaria giurisdizione, afferma: ” ante riforma del condominio, attuata con legge 220 del 2012 in vigore da giugno 2013, il parco “S.” era gestito da un amministratore e da un Consiglio della Comunione.

La riforma ha previsto invece che ciascun Condominio debba (nel caso ora in esame) “…designare il proprio rappresentante all’assemblea per la gestione ordinaria delle parti comuni a più condominii e per la nomina dell’amministratore” – art. 67 att. c. c. –

Ciò non è avvenuto perché i Condominii “D.” e “T.” non hanno nominato i loro rappresentanti; frattanto quel Consiglio è decaduto e l’amministratore è scaduto, ma è rimasto in prorogatio.

Questa proroga è divenuta non più compatibile col sistema ma non c’è quell’assemblea dei rappresentanti che dovrebbe provvedere alla conferma dell’amministratore oppure ad una nuova nomina, cosicché i ricorrenti hanno chiesto che sia il Tribunale a provvedere, adombrando pure delle gravi irregolarità del suddetto amministratore.”

Il Tribunale, incidentalmente e assai sommariamente, senza alcuna motivazione, rileva che il regime della prorogatio sarebbe oggi incompatibile con le previsioni della riforma, tesi che appare  non del tutto scontata, posto che l’art. 1129 VII cod.civ. pare applicabile solo alle ipotesi in cui sia stato nominato un successore e – secondo autorevole dottrina (Corona) – parrebbe non incidere sull’istituto della proroga delineato negli anni dalla giurisprudenza (per un interessante approfondimento:  matteo peroni, “in difesa della prorogatio”, con ampio riscontro dottrinale e giurisprudenziale).

I motivi in forza dei quali il ricorso è respinto appaiono comunque condivisibili nel merito, pur a fronte di un argomentare che appare assai schematico e didascalico : il Tribunale sostanzialmente rileva l’inopportuna scelta del mezzo processuale a fronte di rimedi tipici sia per la nomina dei rappresentanti mancanti ex art. 67 disp.att. cod.civ. che per l’eventuale valutazione di condotte irregolari (che comporterebbero revoca), rilevando altresì che solo a fronte dell’inerzia dell’assemblea – che nel caso di specie non si riscontra.. perchè manca la stessa assemblea dei rappresentanti – il Tribunale può intervenire in via succedanea, né può valutare irregolare la condotta dell’amministratore che non abbia reso il conto  ad una assemblea inesistente per difetto dei rappresentanti:  “ se l’assemblea non vi provveda, la nomina di un amministratore è fatta dall’autorità giudiziaria (art. 1129 comma 2° cod. civ.) – Fintanto che l’assemblea non decida sul punto, il Tribunale non può intervenire a nominarlo lui; il suo intervento é solo succedaneo e surrogatorio perchè l’assemblea dei condomini è sovrana e può in ogni momento sostituire l’amministratore nominato dal Tribunale con altri di suo gradimento.

Solo che nel caso in esame questa assemblea non c’è e fintanto che essa non venga costituta e convocata, e si esprima a tal riguardo, il Tribunale non può intervenire .

Non può farlo neppure a norma dell’art. 1105 c. c. in quanto lo stallo assembleare non è dovuto ad una qualche patologia operativa dell’assemblea, che non si riesca a comporre ed a far funzionare, ma soltanto alla mancata attivazione di ben due possibili procedure, ex art. 67 disp. att. (vedi), ad opera di uno solo dei condomini per ciascuno dei Condominii inadempienti oppure ad opera di uno solo dei rappresentanti già nominati.

Quindi il Tribunale è stato adito non per superare uno scoglio ma per aggirare un ostacolo superabile in un duplice modo , e questo non è consentito.

Per quanto poi attiene alla condotta dell’amministratore, è pur vero che egli debba “…redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e convocare l’assemblea per la relativa approvazione entro centottanta giorni” (art. 1130 n. 1O e.e.) ed inoltre “…costituisce grave irregolarità l’omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto” (art. 1129 comma 12 n. 1)

Ma questa “assemblea” è quella dei rappresentanti dei Condominii, che non c’è, e che costituisce un “collegio perfetto”, non in grado di operare se manca un suo componente. E’ ovvio che, frattanto, l’amministratore non possa pretendere di non rendere conto a nessuno del suo operato. Pare che abbia ovviato presentando all’assemblea di ciascun fabbricato la sua quota di partecipazione alle spese (ovviamente di gestione ordinaria), rimedio tutto sommato accettabile.

Per il resto, le gravi irregolarità vanno rapportate agli obblighi nascenti dal contratto di mandato che lega l’amministratore al Condominio , cosicché la sua condotta deve essere negligente e l’inadempimento deve essere importante nel suo contesto generale, tale per cui, all’esito di un ordinario giudizio di cognizione dovrebbe comportare una pronuncia di risoluzione del contratto stesso.

Prima e fuori di tale momento processuale , e nell’interesse dei condomini tutti, il Tribunale interviene, in sede di volontaria giurisdizione, allo scopo di ricondurre subito la gestione del condominio a livelli di ordinaria e corretta operatività. Nel caso in esame non ricorrono  le suddette condizioni con riguardo alle altre segnalate inadempienze”

Un ringraziamento all’amico avvocato Ghigo Giuseppe  Ciaccia del foro di Napoli, difensore vittorioso dell’amministratore in carica, che mi ha segnalato il provvedimento.

© massimo ginesi 8 marzo 2017

la revoca dell’amministratore non incide sul suo rendiconto già approvato dall’assemblea.

Corte di Cassazione, sez. II Civile,  11 gennaio 2017, n. 454  Relatore Scarpa

una sentenza che affronta un tema  inusuale e che denota quanto possa essere complessa la materia condominiale (e articolata la fantasia giudiziale dei condomini).

Il giudice territoriale  aveva respinto la domanda di impugnativa della delibera di approvazione del  consuntivo predisposto dall’amministratore successivamente revocato:  i ricorrenti lamentano che ” la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che i due precedenti amministratori del Condominio erano stati revocati per le irregolarità compiute”.

Osserva a tal proposito la Suprema Corte ” è priva di decisività la circostanza che i bilanci consuntivi approvati con la delibera oggetto di impugnazione fossero stati predisposti da amministratori di seguito revocati giudizialmente.
Il provvedimento in camera di consiglio, statuente la revoca dello amministratore del condominio, ha efficacia, ai sensi dell’art. 741 c.p.c., dalla data dell’inutile spirare del termine per il reclamo avverso di esso, sì che gli atti compiuti dall’amministratore in data anteriore a quella d’inizio dell’efficacia del provvedimento camerale dispositivo della sua revoca non sono viziati da alcuna automatica invalidità e continuano a produrre effetti e ad essere giuridicamente vincolanti nei confronti del condominio (cfr. Cass. Sez. L, Sentenza n. 666 del 01/02/1990).”

La Cassazione sottolinea che, poiché  la revoca giudiziale dell’amministratore  ha efficacia da quando il relativo provvedimento diviene “definitivo”, gli atti da costui compiuti sino a quel momento devono ritenersi validi, salvo specifici motivi di censura che non possono essere ricondotti in via automatica al solo fatto che la condotta dell’amministratore sia stata affetta da irregolarità che ne hanno determinato la successiva revoca .

La sentenza, ritenuto infondato il primo peculiare motivo di ricorso, esamina anche le altre censure, ritornando su principi ormai consolidati, seppur espressi con una  sfumatura di novità dovuta alla particolarità dell’impugnativa.

I ricorrenti si dolgono che le spese approvate a consuntivo dall’assemblea non siano state oggetto di precedente approvazione a preventivo,   avevano inoltre  proposto al giudice territoriale una censura nel merito di dette spese, chiedendo che ne venisse accertata la superfluità.

La Suprema Corte, nel ribadire che compete all’autorità giudiziaria unicamente un sindacato di legittimità sulle delibere condominiali e che il giudice non può entrare nel merito della spesa discrezionalmente deliberata dell’assemblea, compie una esaustiva e interessante disamina in diritto sulle facoltà  dell’assemblea in tema di approvazione della spesa e sui poteri dell’amministratore relativamente alla ordinaria gestione.

Va poi considerato che, secondo consolidato orientamento di questa Corte, per la validità della delibera di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo, invece, sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; né si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1405 del 23/01/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9099 del 07/07/2000).

Spetta, comunque, all’assemblea dei condomini approvare il conto consuntivo, come confrontarlo con il preventivo ovvero valutare l’opportunità delle spese affrontate d’iniziativa dell’amministratore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8498 del 28/05/2012). Com’è noto, il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere delle assemblee condominiali non può estendersi alla valutazione del merito ed al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità. Ne consegue che non è suscettibile di controllo da parte del giudice, attraverso l’impugnativa di cui all’art. 1137 c.c., l’operato dell’assemblea condominiale in relazione alla questione inerente alla approvazione in sede di rendiconto di spese che si assumano superflue. “

Rileva ancora la Corte che, una volta provare legittimamente le spese a consuntivo, non può avere alcun rilievo che le stesse non avessero ricevuto una preventiva deliberazione, atteso che la facoltà di erogare le spese ordinarie rientra fra i poteri dell’amministratore e che a legittimare tale attività è più che sufficiente l’approvazione del rendiconto: ” Infine, è funzione tipica del consuntivo proprio l’approvazione della erogazione delle spese di manutenzione ordinaria e di quelle relative ai servizi comuni essenziali, le quali non richiedono la preventiva approvazione dell’assemblea dei condomini, in quanto trattasi di esborsi ai quali l’amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell’assemblea.

L’approvazione di dette spese è richiesta soltanto in sede di consuntivo, giacché con questo poi si accertano le spese e si approva lo stato di ripartizione definitivo che legittima lo amministratore ad agire contro i condomini per il recupero delle quote poste a loro carico (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5068 del 18/08/1986).
Nella specie, la Corte di Roma ha accertato, con motivazione logica e perciò non emendabile, che le voci di spesa e di entrata erano intelligibili e non estranee alla gestione del condominio. Con specifico riguardo ai lavori di impermeabilizzazione la Corte di Appello di Roma ha ritenuto, inoltre, che, per la loro natura e consistenza, avessero natura di opere di ordinaria manutenzione destinate alla conservazione della cosa comune e che rientrassero, perciò, nelle attribuzioni dell’amministratore “

© massimo ginesi 13 gennaio 2017 

costituisce appropriazione indebita la mancata consegna di cassa e documenti

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L’amministratore revocato che trattiene la cassa condominiale e i documenti relativi al fabbricato commette il reato di appropriazione indebita, previsto dall’art. 646 c.p., anche se ritiene che la sua revoca sia illegittima.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione II sez. penale con sentenza 38660/2016, decisa all’udienza del 10 giugno  2016 e depositata in data 19 settembre 2016.

I fatti: “Con sentenza del 22/20/2015 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la pronuncia del Tribunale di Palermo che il 29/11/2014 aveva riconosciuto la penale responsabilità di C. A. in ordine al reato di cui agli artt. 646 e 61 n. 1 cod. pen. per essersi appropriato, abusando della sua nomina di amministratore condominiale dello stabile sito in Palermo al viale Regione Siciliana n. 476, della somma di euro 2.050,00, di tutti i libri contabili e della documentazione amministrativa in suo possesso

I motivi di ricorso: adduce il ricorrente che sussisterebbe “violazione degli artt. 646 cod. pen., 125 e 546 cod. pen. per avere la Corte territoriale omesso di considerare che ai fini della configurazione del reato contestato è necessario che la restituzione della cosa posseduta venga rifiutata senza alcuna legittima ragione, da ravvisarsi invece nel caso di specie nell’irritualità della convocazione dell’assemblea condominiale chel’aveva revocato dalla carica di amministratore, sicché doveva ritenersi che lo stesso condominio era ancora amministrato dal ricorrente in regime di prorogatio imperii, tanto che lo stesso ricorrente aveva convocato una nuova assemblea

Adduce ancora il ricorrente che non sussisterebbe prova che le somme versate dai condomini siano state destinate a suo profitto e che sussisterebbe comunque particolare tenuità del fatto.

Le motivazioni della Cassazione sono di grande rigore e devono richiamare con particolare energia l’attenzione degli amministratori su un momento cruciale, quale il passaggio delle consegne, e su condotte delle quali, troppo spess,o si ignorano le possibili conseguenze a rilievo penale.

Afferma infatti il Giudice di legittimità che: “ai fini della configurazione del delitto di appropriazione indebita non può ritenersi determinante la ritualità o meno della convocazione dell’assemblea che aveva revocato il ricorrente dalla carica di amministratore del condominio, convocazione alla quale, peraltro, lo stesso aveva risposto esternando comunque la volontà di dimettersi da tale carica, risultando evidenziato dalla sentenza che comunque il Chetta non ebbe a restituire la somma percepita ed i libri contabili neanche successivamente, nemmeno a seguito della richiesta formulatagli con raccomandata speditagli dal legale del condominio”

Infondati anche gli altri motivi di ricorso: quanto al profitto la Corte rileva che i giudici di merito hanno ritenuto correttamente e senza contraddizioni che il mancato versamento delle ritenute di acconto per il Condominio, relativamente alle quali l’amministratore aveva ricevuto i denari necessari dai condomini integrasse la prova della distrazione a proprio profitto  per costui.

Quanto alla particolare tenuità del fatto, non riconosciuta dai giudici di merito e che comporterebbe la non punibilità ai sensi dell’art. 131 bis  c.p., la Cassazione sottolinea che la modestia delle somme non è solo elemento di rilevanza: “Per la giurisprudenza di questa Corte di Cassazione, condivisa dal Collegio, infatti, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo. La sentenza impugnata risulta essersi rigorosamente attenuta a tali principi, atteso che non solo, nel determinare la pena, ha sottolineato la “pervicacia” del C., per essersi questo “..addirittura spinto a lamentare la mancanza di pagamenti a suo favore da parte del condominio, nonché esponendo il medesimo all’eventuale pagamento della sanzione amministrativa cui la stessa difesa ha fatto riferimento”.

© massimo ginesi 20 settembre 2016

art. 1129 cod.civ. e revoca – una lettura di buon senso

L’art. 1129 cod.civ., così come novellato dalla L. 220/2012, indica una serie di irregolarità tipiche (anche se non tassative e vincolanti) che possono indurre il Giudice alla revoca dell’amministratore che se ne renda colpevole.

Si è più volte sottolineato da parte della giurisprudenza e della dottrina che tale norma non è affatto vincolante per il Tribunale, né sotto il profilo delle condotte indicate né sotto quello della loro automatica rilevanza, così che il Giudice dovrà sempre valutare l’effettiva gravità della condotta e la sua idoneità ad incidere sul rapporto fiduciario che è sotteso all’incarico di amministratore.

E’ tuttavia vero che la nuova formulazione della norma è spesso usata in maniera strumentale dai condomini e che taluni tendono a  trasformarla  con frequenza in una sorta di spada di Damocle che pende sulla testa dell’amministratore, attraverso la quale ottenere soddisfazione alle proprie richieste.

Una   recente pronuncia del Tribunale di Avellino contribuisce a contenere la portata della norma entro criteri di razionalità e adeguatezza, chiarendo che l’amministratore non ha obblighi di procurarsi consensi  volti alla modifica delle tabelle millesimali e che – soprattutto – il mancato invio di copia dei documenti giustificativi di spesa (di cui ogni condomino o titolare di diritto reale e personale di godimento può prendere visione ed estrarre copia a proprie spese ai sensi dell’art. 1130 bis cod.civ. ) non costituisce irregolarità tipica ai sensi dell’art. 1129 cod.civ. e neanche condotta grave in forza della quale il Giudice possa comunque procedere a revoca, ove la richiesta sia connotata da intenti sostanzialmente pretestuosi ed emulativi.

© massimo ginesi giugno 2016

 

le gravi irregolarità che danno luogo a revoca – il rapporto fiduciario

Come è noto le gravi irregolarità che possono dar luogo a revoca indicate nell’art. 1129 cod.civ. costituiscono un mero elenco esemplificativo che non vincola il Giudice, che è sempre chiamato a valutare nel merito l’effettiva gravità della violazione contestata.

La giurisprudenza di merito che da ultimo ha affrontato il tema  appare tranquillizzante.

Ne emerge una lettura della norma non rigoristica e non formale da parte dei Giudici, che affermano che la gravità deve esser tale da incidere in maniera sostanziale sul rapporto fiduciario che sta alla base del mandato ad amministrare condominii e che l’accertamento della violazione non può avere conseguenze automatiche.

In particolare Tribunale di Mantova, con sentenza  22.10.2015, afferma che compete al giudice la valutazione sulla gravità concreta della condotta: “l’art. 1129 c.c. prevede che l’Autorità Giudiziaria, in presenza di gravi irregolarità, può disporre la revoca dell’amministratore ciò che impone al Giudice di verificare se, pur ricorrendo in astratto una ipotesi rientrante nell’ambito della previsione normativa, sussista nel caso concreto un comportamento contrario ai doveri imposti per legge, con esclusione pertanto di ogni automatismo”; il Tribunale aggiunge  che il mero ritardo formale rispetto al termine previsto dall’art. 1130 n. 10 cod.civ. appare comunque, pur costituendo irregolarità, non così grave da giustificare la revoca, atteso che nel caso specifico  sussistevano motivi che lo hanno provocato e di cui l’amministratore ha fornito prova e giustificazione. Aggiunge infine il giudice lombardo, nel rigettare il ricorso per la revoca: ” che, nel caso in esame, benchè non risulti formalmente rispettato il termine previsto dall’art. 1130 n. 10 c.c., la grave irregolarità in concreto non è ravvisabile atteso che il ritardo nel dare corso alla predisposizione del rendiconto e alla convocazione dell’assemblea non fu dovuto a colpevole inerzia da parte dell’ing. B. nell’adempimento dei suoi doveri ma risulta giustificato dalla esigenza di fare piena chiarezza su una voce importante della contabilità del condominio, rilevandosi altresì che l’amministratore si è ripetutamente attivato per sollecitare i dovuti chiarimenti da parte del fornitore senza ottenerli, che, comunque, della questione aveva tenuto informato il Consiglio di Condominio ed infine che nessun pregiudizio risulta essere derivato alla compagine condominiale”.

In sostanza i Giudici ancorano la loro valutazione al pregiudizio effettivamente arrecato al Condominio dalla asserita violazione della regola di condotta e mostrano di non considerare la violazione grave ove tale pregiudizio non vi sia o sia minimo.

Va tuttavia osservato che, ove la condotta sia ritenuta grave, non vale a sanarla neanche la successiva ratifica assembleare, come accade nel caso del Tribunale di Taranto (Decreto 21.9.2015); nel caso di specie  l’amministratore  ha reso il conto per oltre due anni e viene revocato nonostante l’assemblea abbia successivamente approvato il rendiconto cumulativo: “Che una singola violazione, cioè il non aver presentato il conto relativo ad un esercizio, sia grave e come tale giustifichi la revoca giudiziale non può quindi revocarsi in dubbio. Né poi l’amministratore resistente adduceva giustificazioni a siffatto ritardo intollerabile. Anzi emerge anche una sorta di recidiva, se si considera che anche nel settembre 2012 l’approvazione assembleare aveva ad oggetto ancora una volta due esercizi cumulativi e cioè il periodo 2010-2012… La circostanza che pur se in ritardo l’assemblea abbia approvato i due rendiconti non esclude la gravità della violazione addebitata all’amministratore resistente e la conseguente ricorrenza del presupposto per la sua revoca giudiziale.”

E’ ancora opportuno  segnalare  l’interessante pronuncia  del Tribunale di Santa MAria CApua a Vetere (decreto 26.5.2015), ove si  riafferma l’obbligo dell’amministratore di ricevere anche i pagamenti i contanti dai condomini (entro al soglia prevista per legge, che è con ogni evidenza cosa diversa dall’obbligo di far transitare le somme ricevute o erogate attraverso il conto corrente condominiale, così come prevede l’art. 1129 cod.civ). Anche in tal caso, comunque, l’invito alla condomina ad effettuare bonifico, seppur irregolare, non è stato ritenuto sufficiente per la revoca.

© massimo ginesi aprile 2016