mediazione obbligatoria e domanda riconvenzionale, quale disciplina?

in alcune materie, fra le quali condominio e locazioni, la mediazione è condizione di procedibilità per i relativi giudizi ai sensi dell’art. 5 comma 1 bis d.lgs 28/2010 e succ. mod.

Significa che il soggetto che voglia intraprendere una causa in siffatte materie dovrà necessariamente esperire la procedura di mediazione, dovendo altrimenti la sua domanda essere dichiarata improcedibile.

Ove la causa sia introdotta senza il rispetto di tale formalità, il giudice assegna alle parti un termine (che è stato ritenuto non perentorio) per introdurre il procedimento, dichiarando le domande improcedibili ove alla mediazione non venga dato corso.

Poiché la norma estende l’obbligo a chiunque voglia esercitare in giudizio un’azione nelle materie previste dal primo comma di detto art. 5, la previsione si deve ritenere estesa anche al convenuto che, a fronte della domanda principale non si limiti a difendersi ma proponga a propria volta una domanda nei confronti dell’attore (la c.d. domanda riconvenzionale).

Ci si è chiesti come debba essere interpretata la norma sulla procedibilità in tale particolare ipotesi, atteso che l’indicazione con il termine “convenuto” del soggetto che deve eccepire l’improcedibilità, non è apparso dirimente, poiché  lo stesso attore assume la posizione sostanziale e processuale di convenuto rispetto alle domande riconvenzioni avanzate da colui che è stato citato in giudizio.

Con riferimento alla mediazione esperita prima del giudizio, si è ritenuto che, ove poi il convenuto si costituisca avanzando domanda riconvenzionale anche essa sia  soggetta a condizione di procedibilità, sicché il giudice dovrà rimettere le parti dinanzi ad organismo di mediazione.

Più complesso il tema della mediazione cui le parti sono rimesse dal giudice all’esito della fase sommaria di un procedimento speciale quale la convalida di sfratto, ove – emessi i provvedimenti di cui all’art. 665 c.p.c.  – il giudice disponga mutamento del rito e rimetta le parti dinanzi al mediatore.

In tal caso si è argomentato, in giurisprudenza, che entrambe le domande siano soggette a mediazione e che la condizione di procedibilità possa ritenersi avverata per entrambe solo sia demandato al mediatore l’intero oggetto della controversia e non già solo la domanda dell’attore (o del convenuto): in tale ultima ipotesi la parte che non veda investito il mediatore della propria istanza sarà tenuta a propria volta ad attivare un autonomo procedimento, eventualmente da riunire all’altro, a pena di improcedibilità della propria domanda (Trib. Roma 27.11.2014, una pronuncia che merita lettura anche per la singolarità della fattispecie, che non getta buona luce sulla categoria forense…)

TRib_roma 27_11_2014_mediazione

In senso analogo si è pronunciato di recente il Tribunale di Massa, con sentenza 17 luglio 2017, osservando,  con riferimento alla procedibilità della domanda riconvenzionale, che “tale condizione potrà ritenersi assolta ove una delle parti – nell’adire l’organismo di mediazione – abbia devoluto alla sua conoscenza l’intero rapporto oggetto di causa e non solo la propria domanda.
A tal proposito è sufficiente esaminare l’istanza di mediazione depositata in atti dalla attrice, ove alla seconda pagina, sotto la voce “breve descrizione della controversia” si riporta l’intera materia del contendere, ivi compresa la riconvenzionale avanzata dalla B., con ciò mostrando l’intenzione di sottoporre al mediatore tutte le domande azionate nel presente giudizio.
Ragione che induce, pertanto, a ritenere procedibile anche la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta, rilevando la sua mancata adesione non sotto il profilo della procedibilità ma unicamente sotto il profilo della responsabilità e delle conseguenze previste dall’art. 8 D.lgs. 28/2010.”

© massimo ginesi 18 luglio 2017 

mediazione: il termine per l’inizio non è perentorio e non ha natura processuale.

Una pronuncia di buon senso della giurisprudenza di merito, che ha ritenuto non perentorio il termine di quindici giorni assegnato dal giudice per l’inizio del procedimento, atteso che una interpretazione rigida della normativa in tema di risoluzione stragiudiziale delle controversie finirebbe per penalizzare il diritto stesso di accesso alla giustizia.

Pertanto, ove la mediazione sia stata esperita, anche dopo tale termine, dovrà ritenersi avverata la condizione di procedibilità.

Lo ha affermato la Corte di Appello di Milano con sentenza del 24 maggio 2017, riformando la sentenza di primo grado che aveva dichiarato improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo e definitivo il decreto opposto.

Le argomentazioni a sostegno della decisione sono di deciso interesse e qualificano quale unico termine perentorio previsto dal D.lgs 28/2010 quello di sospensione necessaria del processo, pari a tre mesi, per l’esperimento della mediazione.

© massimo ginesi 22 giugno 2017

la Corte europea si pronuncia sulla mediazione obbligatoria prevista dall’ordinamento italiano.

La Corte Europea è stata investita dal Tribunale di Verona della questione di legittimità del D.lgs 28/2010 laddove prevede l’esperimento della mediazione come condizione di procedibilità per determinate materie, ove comporta  obbligatoriamente l’assistenza dell’avvocato e conseguenze sfavorevole nel successivo giudizio di merito connesse  alla condotta tenuta dalle parti nel procedimento di mediazione.

Il contrasto attiene alla direttiva direttiva n. 11/2013, applicabile quando una delle due parti sia un consumatore (ed il Condominio tale è considerato dalla giurisprudenza).

Osserva la Corte di Giustizia UE con sentenza 14 giugno 2017 n. 457 che ” La direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (direttiva sull’ADR per i consumatori), dev’essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che prevede il ricorso a una procedura di mediazione, nelle controversie indicate all’articolo 2, paragrafo 1, di tale direttiva, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale relativa a queste medesime controversie, purché un requisito siffatto non impedisca alle parti di esercitare il loro diritto di accesso al sistema giudiziario.

La medesima direttiva dev’essere invece interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, la quale prevede che, nell’ambito di una mediazione siffatta, i consumatori debbano essere assistiti da un avvocato e possano ritirarsi da una procedura di mediazione solo se dimostrano l’esistenza di un giustificato motivo a sostegno di tale decisione.”

Almeno per quei procedimenti in cui una delle parti sia qualificabile come consumatore la Corte individua dunque elementi di criticità del sistema normativo italiano.

Certamente in contrasto con la norma sovranazionale appare l’obbligo del difensore così come dovrà attentamente essere valutata la circostanza che dalla condotta delle parti in mediazione non derivino conseguenze nel successivo processo: “durante l’udienza, il governo italiano ha dichiarato che l’imposizione di un’ammenda da parte del giudice in un successivo procedimento è prevista soltanto in caso di mancata partecipazione senza giustificato motivo alla procedura di mediazione, e non in caso di ritiro dalla medesima. Se così è, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, la direttiva 2013/11 non osta a una normativa nazionale che consente al consumatore di rifiutare di partecipare a una previa procedura di mediazione solamente per un giustificato motivo, purché egli possa porvi fine senza restrizioni successivamente al primo incontro col mediatore.”

© massimo ginesi 15 giugno 2017

mediazione ed opposizione a decreto ingiuntivo: un tema complesso e dibattuto.

Il legislatore ha previsto che alcune liti, fra cui le controversie in materia bancaria e quelle in tema di condominio, siano sottoposte a procedimento di medizione obbligatoria, a mente dell D.lgs 28/2010 e succ. mod.

L’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità e deve essere attuato su iniziativa delle parti o su ordine del giudice, in difetto  la controversia sarà dichiarata improcedibile.

La ratio dell’istituto è palesemente volta a deflazionare l’enorme carico della giustizia civile, auspicando (con risultati statistici in realtà assai poco  lusinghieri) che le parti possano risolvere il contrasto su basi metagiuridiche e personali – poiché tali sono i presupposti primi della mediazione – prima di arrivare a chiedere tutela giudiziale.

Il procedimento delineato dal D.lgs 28/2010  va in realtà a toccare distretti che attengono alle origini conflittuali e personali che spesso fondano la domanda e, ove condotto da un bravo mediatore, può effettivamente condurre alla risoluzione del conflitto fra le parti e alla rinuncia alle domande che a quel conflitto erano strumentali.

A fronte di tali presupposti appare non priva di fondamento la giurisprudenza sempre più restrittiva che impone la presenza delle parti personalmente al primo incontro, poiché è evidente che la capacità di disporre del diritto e di coinvolgere i distretti emotivi – che spesso sottendono la lite – risulta enormemente affievolita ove all’incontro partecipi un delegato e non la parte.

Vi è però un altro aspetto di grande rilievo e che attiene alla mediazione in  quei procedimenti a contraddittorio differito, quali il decreto ingiuntivo e la successiva eventuale opposizione.

In tal caso l’art. 5 comma 4a del D.lgs 28/2010 prevede che il procedimento di mediazione obbligatoria non si applica “nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione”

Accade quindi che, nella prassi operativa, il Condominio ottenga legittimamente decreto ingiuntivo ex art. 63 disp.att. cod.civ nei confornti del condomino moroso, costui proponga opposizione, alla prima udienza si discuta della eventuale sospensione della esecuzione ex art 649 c.p.c. (fase che ha natura latamente  cautelare) e poi il Giudice, emessi i provvedimenti sulla esecutorietà, rilevi che si tratta di procedimento in cui la mediazione è obbligatoria e rimetta le parti dinanzi al mediatore, affinchè si avveri la condizione di procedibilità.

Ci si è posti il dubbio su  chi debba essere il soggetto onerato di introdurre il procedimento e quali siano gli effetti dell’eventuale inosservanza dell’ordine del giudice: qualora la mediazione non venga esperita si darà luogo alla improcedibilità della sola opposizione o anche alla revoca del decreto ingiuntivo?

Il problema è stato affrontato e risolto da Cassazione civile, sez. III, 03/12/2015,  n. 24629, con una pronuncia che chi scrive trova condivisibile ma – indubitabilmente – unisce considerazioni di natura giuridica a riflessioni di politica giudiziaria: “La disposizione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, di non facile lettura, deve essere interpretata conformemente alla sua ratio. La norma è stata costruita in funzione deflattiva e, pertanto, va interpretata alla luce del principio costituzionale del ragionevole processo e, dunque, dell’efficienza processuale. In questa prospettiva la norma, attraverso il meccanismo della mediazione obbligatoria, mira – per cosi dire – a rendere il processo la estrema ratio: cioè l’ultima possibilità dopo che le altre possibilità sono risultate precluse. Quindi l’onere di esperire il tentativo di mediazione deve allocarsi presso la parte che ha interesse al processo e ha il potere di iniziare il processo. Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l’opposizione, la difficoltà di individuare il portatore dell’onere deriva dal fatto che si verifica una inversione logica tra rapporto sostanziale e rapporto processuale, nel senso che il creditore del rapporto sostanziale diventa l’opposto nel giudizio di opposizione. Questo può portare ad un errato automatismo logico per cui si individua nel titolare del rapporto sostanziale (che normalmente è l’attore nel rapporto processuale) la parte sulla quale grava l’onere. Ma in realtà – avendo come guida il criterio ermeneutico dell’interesse e del potere di introdurre il giudizio di cognizione – la soluzione deve essere quella opposta. Invero, attraverso il decreto ingiuntivo, l’attore ha scelto la linea deflattiva coerente con la logica dell’efficienza processuale e della ragionevole durata del processo. E’ l’opponente che ha il potere e l’interesse ad introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. E’ dunque sull’opponente che deve gravare l’onere della mediazione obbligatoria perchè è l’opponente che intende precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perchè premierebbe la passività dell’opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo. E’, dunque, l’opponente ad avere interesse ad avviare il procedimento di mediazione pena il consolidamento degli effetti del decreto ingiuntivo ex art. 653 c.p.c.. Soltanto quando l’opposizione sarà dichiarata procedibile riprenderanno le normali posizioni delle parti: opponente convenuto sostanziale, opposto – attore sostanziale. Ma nella fase precedente sarà il solo opponente, quale unico interessato, ad avere l’onere di introdurre il procedimento di mediazione; diversamente, l’opposizione sarà improcedibile.”

Non sono mancate pronunce di merito di segno opposto, alcune recenti, altre precedenti alla conclusione del giudice di legittimità.

Il Tribunale di Benevento, con pronuncia del 23 gennaio 2016, è pervenuto a soluzione diametralmente opposta, discostandosi dall’orientamento della suprema corte con argomenti ampi e che – tuttavia – non convincono: il giudice campano, criticando l’orientamento espresso da Cass. 24629/2015, afferma” Tali asserzioni sono difficilmente compatibili col testo dell’art. 5, co. 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28: «I commi 1-bis e 2 non si applicano: a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione; [OMISSIS]».
Ciò significa che: 1) non è vero che l’opponente abbia inteso «precludere la via breve per percorrere la via lunga»: l’opponente, infatti, prima della pronunzia sulle istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione, non deve esperire la mediazione: sicché non gli si può imputare di averla omessa; 2) non è vero che al creditore sia imposto «l’onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà opposizione allo stesso decreto ingiuntivo»: la questione, infatti, che si pone nei casi come quello di specie, non è certo se il creditore, che abbia depositato il ricorso monitorio, debba proporre la domanda di mediazione prima che la controparte abbia sollevato l’opposizione (e, dunque, senza neppure sapere se opposizione sorgerà): il problema, invece, è di verificare quale delle parti debba esperire la mediazione medesima, ma solo una volta proposta l’opposizione ed esaurita la fase attinente alla concessione, od alla sospensione, della provvisoria esecuzione. Una volta che le argomentazioni della motivazione della sentenza in esame siano ritenute contrastanti con la disciplina della mediazione, che potrebbe essere stata fraintesa, l’intera decisione non può più essere condivisa.
Si deve, dunque, tornare al testo della legge: il più volte menzionato co. 1 bis dell’art. 5, d. lgs. 28/2010, onera della mediazione «Chi intende esercitare in giudizio un’azione»: ed è jus receptum che, nel caso del procedimento monitorio, seguito da opposizione, chi esercita l’azione, ossia l’attore, è il creditore, che insta per l’emanazione del decreto ingiuntivo (e, del resto, la pendenza della lite tra ricorrente e debitore risale, ai sensi dell’art. 643, co. 3, c.p.c., alla notificazione del ricorso e del decreto): anzi, prim’ancora, che chiede al Giudice l’attribuzione di un bene della vita. L’opponente, al contrario, subisce la domanda, ed appare anomalo e vessatorio imporgli di adempiere ad un onere, posto come condizione di procedibilità, quando, evidentemente, nessun interesse esso nutre, contrariamente al creditore opposto, all’emissione di una condanna contro di lui. Il principio affermato dalla S.C., del resto, troverebbe applicazione in ogni altro caso, nel quale la mediazione è differita ad un momento successivo all’introduzione della controversia (art. 5, comma 4, d. lgs. 4.3.2010, n. 28, lettere ‘b’ e ‘d’), ossia «nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile», e «nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile»: così dilagando in ulteriori ambiti, nei quali si propagherebbe la deroga al principio secondo cui la procedibilità della domanda è onere di chi pretende un bene della vita, e non certo di chi si limita a resistere. La conseguenza di quanto affermato, allora, è che l’improcedibilità non colpisce la domanda dell’opponente (domanda che tale non è, salve le riconvenzionali), bensì quella dell’opposto: e, pertanto, il decreto ingiuntivo dev’essere revocato.”

Sulla rilevanza della mediazione in tema di opposizione a decreto ingiuntivo si è stratificata numerosa giurisprudenza di merito; in senso contrario a quanto  indicato dalla Suprema Corte nel 2015 si segnalano sentenze del  Tribunale di Firenze: due in data  12 febbraio 2015 (estensore Guida), una del 24 settembre 2014 (estensore Guida) e una del 17 marzo 2014 (estensore Scionti), nonché pronunce del  Tribunale di Varese (estensore Buffone; 18 maggio 2012) e  del Tribunale di Verona (estensore Vaccari; 28 ottobre 2014), pronunce che fanno propria la tesi che per attore deve intendersi l’attore in senso sostanziale ossia l’opposto.

Di diverso avviso altri Tribunali, che si sono attenuti al principio poi espresso dal giudice di legittimità: Tribunale di Nola (estensore Frallicciardi), 24 febbraio 2015, Tribunale di Firenze 30 ottobre 2014 (estensore Ghelardini), Tribunale di Prato del 18 luglio 2011 (estensore Iannone), Tribunale di Siena  25 giugno 2012 (estensore Caramellino),  Tribunale di Rimini 17 luglio 2014 (estensore Bernardi); in tal senso anche una recente ordinanza del Tribunale di Massa 13.4.2017.

Si è detto di condividere la pronuncia della Suprema Corte del 2015 e di non ritenere convincenti le tesi dei giudici di merito che hanno espresso argomenti e decisioni  contrarie: le ragioni che inducono a tale lettura sono essenzialmente di ordine sistematico e prescindono da considerazioni deflative e di politica giudiziaria.

L’impianto processuale previsto dagli artt. 633 c.p.c. e seguenti prevede che il creditore, in determinate condizioni e a fronte della produzione di  documentazione espressamente indicata dalle norme, possa ottenere decreto ingiuntivo.

L’art. 63 disp.att. cod.civ., in materia condominiale, prevede  che tale provvedimento sia ottenuto dal condominio in forma provvisoriamente esecutiva, su istanza dell’amministratore, dietro la presentazione dei riparti ritualmente approvati.

Il decreto è ottenuto in assenza di contraddittorio e costituisce provvedimento di condanna anticipata in sé perfetto, suscettibile di divenire definitivo in assenza di opposizione, che l’ingiunto può proporre entro quaranta giorni dalla notifica. Si ritiene che il modello italiano sia ispirato al  c.d procedimento monitorio documentale, sicché “il provvedimento emesso dal giudice, diversamente rispetto al modello del procedimento monitorio puro, è risolutivamente condizionato alla proposizione di una eventuale opposizione e, dunque, può avere fin da subito efficacia esecutiva, e il giudizio che viene ad instaurarsi a seguito dell’opposizione risulta assimilabile ad una impugnazione”.

Dunque, ove l’ingiunto non si attivi, la condanna emessa in sede monitoria acquista definitività (art. 647 c.p.c.), al pari di qualunque titolo giudiziale e solo l’iniziativa dell’ingiunto (convenuto sostanziale) è idonea ad introdurre un ordinario giudizio di merito a cognizione piena, che condurrà alla emanazione di una sentenza in contraddittorio fra le parti, avente ad oggetto l’intero  merito della controversia.

Ne deriva che, poiché il legislatore ha ritenuto il decreto suscettibile di divenire cosa giudicata in assenza di attività dell’ingiunto, abbia poco senso rifarsi alle posizioni di attore e convenuto sostanziale contrapposte a quelle di attore e convenuto processuale, atteso che l’unica parte che ha interesse ad introdurre l’opposizione – al fine di  contestare la pretesa azionata in via monitoria e sottoporre al giudice il merito della vicenda – risulta  l’opponente e che la sua inerzia conduce , ex lege, alla definitività del decreto.

Ne consegue in via del tutto logica, ad avviso di chi scrive, che onerato della mediazione – in quanto soggetto interessato alla proposizione e prosecuzione del giudizio  di merito – non possa essere che l’opponente, atteso che il legislatore ha fornito il provvedimento emesso in via monitoria di una ossatura iniziale autoportante, idonea ad esser scalfita solo dalle iniziative dell’ingiunto e suscettibile di sopravvivere in via autonoma anche alle vicende estintive della causa di opposizione.

Non si comprende dunque per quali ragioni, a fronte di tale quadro sistematico, l’improcedibilità della opposizione per mancata proposizione della mediazione da parte dell’unico soggetto che ha interesse a coltivare la causa in via ordinaria, debba condurre alla revoca del decreto.

Un tale orientamento, tra l’altro, fornirebbe all’opponente dotato di un certo grado di disinvoltura l’opportunità di proporre opposizioni del tutto garibaldine – in materie in cui la mediazione è condizione obbligatoria di procedibilità, qual’è il condominio  – lasciando poi al creditore l’onere di coltivare la procedibilità della opposizione, pena la revoca del decreto: una vera e propria contraddizione in termini.

© massimo ginesi 27 aprile 2017 

mediazione ed opposizione a decreto ingiuntivo: una tesi innovativa.

La afferma il Tribunale di Pavia che, con ordinanza 9 marzo 2017, ha stabilito – dissentendo dall’orientamento della cassazione – che, in caso di opposizione a decreto ingiuntivo in cui sia stata negata la provvisoria esecutorietà, il giudice può disporre la mediazione stabilendo che sia l’opposto a dover dare formale inizio al procedimento e che – ove ciò non avvenga – verrà dichiarata l’improcedibilità della opposizione e revocato il decreto.

Con lo stesso provvedimento il Tribunale lombardo ha anche ordinato che al procedimento di mediazione partecipi un terzo che non è parte del processo, ma dalla cui posizione può dipendere l’esito positivo della mediazione e che il mediatore debba verbalizzare al primo incontro le ragioni che impediscono la prosecuzione della mediazione.

“Considerato che la mediazione è una procedura informale che consente, con l’accordo delle parti, di chiamare in mediazione anche soggetti diversi da quelli coinvolti nel giudizio, specie se con la loro partecipazione a quella procedura essi possono oggettivamente aiutare le parti processuali nella ricerca di una soluzione amichevole della causa in corso e, nel contempo, prevenire la formazione di ulteriore contenzioso giudiziario, rispetto al quale la definizione giudiziale della presente opposizione sarebbe l’antecedente logico;

Valutato preliminarmente che la parte onerata dell’avvio della procedura di mediazione, come stabilito da Cass. 24629/15, sarebbe normalmente l’opponente e che il mancato avvio della mediazione determinerebbe la sanzione della conferma del decreto, ex art. 653, co. 1, cpc;

Ritenuto tuttavia che, da un lato, con ordinanza del 17.09.2015 non era concessa la provvisoria esecuzione del decreto di consegna della documentazione fideiussoria, emesso in sede monitoria e, dall’altro, che residua al magistrato la discrezionalità, da applicare nel caso di specie, di ritenere più opportuno porre l’onere dell’avvio in capo al convenuto opposto, dissentendo motivatamente da quanto stabilito dalla citata Cass 24629/15, che non aveva mai preso in considerazione la pur rilevante distinzione tra decreti ingiuntivi ai quali è concessa la provvisoria esecuzione (che da una prima valutazione possono apparire fondati) e decreti ai quali tale provvisoria esecuzione è stata negata (che da una prima valutazione possono invece apparire infondati), come appunto verificatosi nella specie;

Ritenuto infine che per imprescindibili motivi di organizzazione del ruolo, l’udienza di precisazione conclusioni, già programmata per il 9.03.2017 deve necessariamente essere rinviata al 2018;

Ciò premesso, visto l’art. 5, co. 2, D.Lgs. 28/2010, dispone Che le parti partecipino a una procedura di mediazione, invitando la parte più diligente ad avviare la procedura ma ponendo l’onere formale dell’avvio in capo al convenuto opposto, avvisandolo che in difetto la sua domanda di merito sarà dichiarata improcedibile e il decreto sarà revocato;

Viste le particolarità del presente giudizio, si invita la parte che avvia la procedura di mediazione a convocare avanti al mediatore sia la controparte processuale che il terzo, debitore principale, dal quale dipende, secondo le prospettazioni della banca opponente, l’impossibilità giuridica di produrre la documentazione chiesta dall’opposto con l’ingiunzione di pagamento;

Ritenuto che il regolare ed effettivo svolgimento della mediazione sarà condizione di procedibilità del giudizio, si avvisa che non sarà considerata soddisfatta la condizione con un mero incontro preliminare tra i difensori delle parti e il mediatore, essendo all’uopo necessaria la personale presenza delle parti o di loro procuratori ad negotia, muniti del potere di concludere l’accordo;

Si invitano le parti, ove una di esse dichiarasse la propria impossibilità di partecipare o di proseguire nella mediazione oltre il primo incontro, e ove in tale eventualità non fosse disposto un rinvio per consentirle di partecipare, a chiedere che il mediatore verbalizzi quali ostacoli oggettivi impediscono la partecipazione al primo incontro o si frappongono alla prosecuzione della mediazione oltre il primo incontro. Tale verbalizzazione non sarà considerata in violazione della riservatezza, riportando elementi valutabili ai fini delle decisione, ex art. 116, co. 2, cpc.”

© massimo ginesi 31 marzo 2017

mediazione: giurisprudenza di merito sempre più rigida sull’obbligo di partecipazione personale.

Una articolata sentenza del Tribunale di Pavia del 20 gennaio 2017  aderisce al sempre più diffuso orientamento dei giudici di merito sull’obbligo di partecipazione personale della parte al procedimento, pena l’improcedibilità del giudizio ove ciò non avvenga.
Le conseguenze sono particolarmente gravi, come nel caso di specie, ove è stata dichiarata improcedibile l’opposizione a decreto ingiuntivo poichè l’opponente non ha preso parte alla mediazione demandata dal giudice, limitandosi a comunicare i motivi di tale mancata partecipazione.

Il Tribunale ha ritenuto che  tale condotta fosse ingiustificata e risultasse avere conseguenze analoghe al mancato esperimento della mediazione, poichè la parte opponente “non partecipando al primo incontro avanti al mediatore  nella mediazione avviata dalla parte convenuta opposta – parte più diligente ma non onerata per legge – ha anch’essa posto in essere una inattività qualificata che determina il passaggio in giudicato del decreto opposto”

Afferma ancora il giudice lombardo che “se ne deve dedurre che l’opponente – onerato per legge dello svolgimento della mediazione, inteso non solo come avvio ma anche come corretta partecipazione – non ha voluto assolvere all’onere di realizzare la condizione di procedibilità, che si sostanzia nell’obbligo di iniziare e/o partecipare in modo attivo alla procura di mediazione, salvo il richiamo all’esistenza di ostacoli oggettivi che impediscono la sua partecipazione.”

Per il giudice la parte che ha solo mandato il difensore al primo incontro, incaricandolo di dichiarare che non intendeva aderire alla mediazione, ha così dimostrato di non con siderale la mediazione con sufficiente impegno e serietà; di ritenerla invece un mero e inutilmente costoso adempimento burocratico da assolvere con la semplice presenza avanti al mediatore del difensore munito di procura e per un semplice incontro informativo. Sintomo del comportamento della parte che, sottovalutando la mediazione, abusa invece del processo. Si ritiene che la sanzione applicabile nella specie, sia l’improcedibilità della domanda giudiziale, ex art. 5 comma 2 D.lgs 28/2010, intesa come domanda giudiziale che formula l’opponente verso i decreti ingiuntivi opposti”

La sentenza è assai articolata e merita integrale lettura per l’ampia disamina dell’istituto della mediazione e delle ragioni sottese ad un orientamento così  rigido.

Non può tuttavia dettare perplessità una giurisprudenza che sembra sacrificare sull’altare delle esigenze di speditezza e deflazione il diritto di difesa e accesso alla giurisdizione che l’art. 24 Costituzione garantisce come presupposto fondamentale dell’organizzazione sociale.

© massimo ginesi 25 gennaio 2017

mediazione: attenzione alla mancata partecipazione, anche se motivata.

I tribunali delineano confini sempre più stringenti all’obbligo di mediazione, sicché si considera ingiustificata la partecipazione – con tutte le conseguenze che ne derivano sotto il profilo processuale – della parte che, antecedentemente al primo incontro, comunica mediante pec inviata all’organismo la propria volontà di non partecipare, fornendone motivazione.

E’ quanto afferma il Tribunale di Vasto con ordinanza 6 dicembre 2016: “la condotta della parte che non si reca al primo incontro di mediazione e si limita a rappresentare per iscritto all’organismo di mediazione la decisione di non partecipare allo stesso, eventualmente anche illustrandone le ragioni, va interpretata alla stregua di una assenza ingiustificata della parte invitata, che la espone al rischio di subire le conseguenze sanzionatorie, sia sul piano processuale che su quello pecuniario, previste dall’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10. Questo perché, nello spirito della norma che disciplina lo svolgimento del procedimento di mediazione (art. 8), la partecipazione delle parti, sia al primo incontro che agli incontri successivi, rappresenta una condotta assolutamente doverosa, che le stesse non possono omettere, se non in presenza di un giustificato motivo impeditivo che abbia i caratteri della assolutezza e della non temporaneità. Posta in questi termini l’obbligatorietà della partecipazione, deve ritenersi che la prassi, talora adottata dalla parte invitata, di anticipare per iscritto il proprio rifiuto di partecipare al primo incontro, costituisce un atto di mera cortesia, che però non ha alcuna idoneità a giustificare la deliberata assenza della parte e ad esonerarla dalle conseguenti responsabilità

Non soccorre neanche esporre le ragioni del rifiuto: “Quanto, poi, alla enunciazione dei motivi della mancata partecipazione, ove essi – come sovente accade – non riguardino le cause che impediscono oggettivamente alla parte (che pure vorrebbe, ma non ha la materiale possibilità) di essere presente al primo incontro, ma invece concernino le ragioni per cui la stessa ritenga di non volere iniziare la procedura di mediazione, occorre chiarire che, nell’attuale sistema normativo, non è mai consentito alle parti di anticipare la discussione sul tema della possibilità di avviare la mediazione, senza avere prima partecipato personalmente al primo incontro e recepito le informazioni che il mediatore è tenuto a dare circa la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione. In altri termini, il diniego del consenso ad intraprendere un percorso di mediazione può essere validamente espresso solo se la manifestazione di volontà negativa che la parte esprime sia: a) innanzitutto, preceduta da un’adeguata opera di informazione del mediatore circa la ratio dell’istituto, le modalità di svolgimento della procedura, i possibili vantaggi rispetto ad una soluzione giudiziale della controversia, i rischi ragionevolmente prevedibili di un eventuale dissenso e l’esistenza di efficaci esiti alternativi del conflitto; b) per altro verso, supportata da adeguate ragioni giustificatrici che siano non solo pertinenti rispetto al merito della controversia, ma anche dotate di plausibilità logica, prima ancora che giuridica, tali non essendo, ad esempio, quelle fondate sulla convinzione della insuperabilità dei motivi di contrasto (cfr., sul punto, precedente pronuncia di questo tribunale sulle caratteristiche del rifiuto di proseguire oltre il primo incontro – Trib. Vasto, ord. 23.04.2016). Parafrasando una terminologia invalsa in ambito medico, il dissenso alla mediazione, ai fini della sua validità, deve essere non solo personale, ma anche consapevole, informato e, soprattutto, motivato. Orbene, quando la parte invitata, senza partecipare alle attività informative e di interpellanza da espletarsi al primo incontro, annuncia per iscritto la propria assenza, provvedendo ad illustrare le ragioni che la inducono a decidere di non voler iniziare una mediazione, si deve ritenere che il dissenso così manifestato non sia stato validamente espresso, perché – a prescindere dalla validità delle argomentazioni giustificative – la parte non si è posta nelle condizioni di esprimere una volontà consapevole ed informata. Ne deriva che l’organismo di mediazione non è tenuto a prendere in considerazione o ad esaminare nel merito detta comunicazione scritta, se non a fini strettamente attinenti a profili organizzativi e logistici per la celebrazione del primo incontro.”

Il Giudice abruzzese è poi particolarmente severo in ordine alle conseguenze, ritenendo immediatamente applicabile la sanzione del contributo e riservandosi di valutare la condotta anche all’esito del procedimento: “Per tali motivi, visto che la parte invitata non ha partecipato senza giustificato motivo al procedimento di mediazione, ricorrono i presupposti per adottare, ai sensi dell’art. 8, comma 4 bis, del D. Lgs. n. 28/10, una pronunciata di condanna della stessa (che si è ritualmente costituita in giudizio) al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio. La lettera della citata disposizione, in virtù dell’uso da parte del legislatore del tempo indicativo presente, induce a ritenere obbligatoria la pronuncia di condanna in questione ogniqualvolta la parte che non ha partecipato al procedimento non fornisca una idonea giustificazione alla propria condotta. Sulla questione della applicabilità della predetta disposizione anche in corso di causa, questo giudicante ritiene che l’irrogazione della sanzione pecuniaria prescinda del tutto dall’esito del giudizio e non sia necessariamente subordinata alla decisione del merito della controversia. Conformemente a quanto affermato da una parte della giurisprudenza di merito (cfr., Trib. Termini Imerese, 09/05/2012; Trib. Mantova, 22/12/2015), la sanzione pecuniaria in questione può, dunque, ben essere irrogata anche alla prima udienza o, comunque, in un momento temporalmente antecedente rispetto alla pronuncia del provvedimento che definisce il giudizio.  In disparte della irrogazione della sanzione pecuniaria, questo giudice si riserva di valutare la condotta della banca di ingiustificata renitenza alla mediazione, sia ai fini della ammissione di eventuali mezzi di prova che ai fini della successiva decisione della causa, ai sensi degli artt. 116, secondo comma e 96, terzo comma, c.p.c., tanto più alla luce del successivo comportamento processuale assunto dalla banca convenuta, che in prima udienza ha chiesto, unitamente all’attore, un rinvio per effettuare un tentativo di definizione bonaria della causa, così manifestando un atteggiamento di apertura ad un possibile esito conciliativo della controversia, che avrebbe dovuto trovare la sua sede naturale di sperimentazione non all’interno del processo, bensì nell’ambito della procedura di mediazione, nella quale le parti potevano cogliere l’opportunità di arrivare ad una soluzione concordata del conflitto con possibilità di successo sicuramente maggiori di quelle raggiungibili nel corso del processo.”

© massimo ginesi 14 dicembre 2016


	

il termine per introdurre la mediazione non è perentorio?

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Il d. lgs 28/2010 all’art. 5  ha introdotto il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità per le cause in ” materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilita’ medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicita’, contratti assicurativi, bancari e finanziari,”

La norma è stata dichiarata incostituzionale con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272 e, con prassi poco commendevole, reinserita con con L. 98/2013.

La legge  prevede inoltre che ” il giudice, anche in sede di giudizio di appello, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione e il comportamento delle parti, puo’ disporre l’esperimento del procedimento di mediazione”.

Il testo stabilisce infine che in tutte le ipotesi in cui il Giudice dispone procedersi a mediazione concede alle parti termine di quindici giorni per il suo inizio e che il mancato esperimento della mediazione comporta l’improcedibilità della domanda.

Sulla perentorietà di detto termine la giurisprudenza di merito ha mostrato orientamenti ondivaghi, con Tribunali che hanno ritenuto che il mancato esperimento della mediazione nel termine assegnato comportasse la dichiarazione di improcedibilità (Trib. Firenze, 9 giugno 2015, Trib. Napoli Nord, 14 marzo 2016) ed altri che hanno invece ritenuto che si tratti di termine di natura non processuale, il cui mancato rispetto non possa comportare definizione del giudizio nel rito (Trib. Firenze, 17 giugno 2015, Trib. Roma, 14 luglio 2016, Trib. Milano, 27 settembre 2016).

La Corte di Appello di Milano, nel giudizio di appello alla sentenza 156/2016 del Tribunale di Monza, ha affermato la natura meramente ordinatoria del termine concesso dal Giudice per procedere a mediazione, procedendo quindi alla istruzione della causa di opposizione a decreto ingiuntivo che il giudice di primo grado aveva invece dichiarato improcedibile. (App. Milano ordinanza 28.6.2016).

Un provvedimento  di sicuro interesse, a fronte dei sempre più ampi e faticosi paletti che il cittadino incontra nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

© massimo ginesi 27 ottobre 2016

 

 

il mancato esperimento della mediazione travolge anche il decreto ingiuntivo

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Lo afferma il Tribunale di Grosseto con una sentenza recentissima (7 giugno 2016).

Il Tribunale toscano osserva che il D.lgs. 28/2010 prevede che il procedimento monitorio, anche per le materie in cui l’esperimento della mediazione costituisce condizione di procedibilità, sia  svincolato dall’obbligo iniziale di integrare detta condizione.

In ambito condominiale, le esigenze di celerità e di corretta amministrazione che costituiscono la ratio dell’art. 63 disp.att. cod.civ., consentono di ottenere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (e così l’ingiunto potrà proporre opposizione) senza alcun obbligo preventivo di mediazione, almeno sino alla fase di decisione cautelare sulla sospensione o meno della provvisoria esecutorietà.

Esaurita la fase preliminare ed emanati in sede di opposizione i provvedimenti sulla eventuale sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, la controversia assume una naturale connotazione di procedimento di merito sulla pretesa creditoria avanzata dal condominio che, pur assumendo nel giudizio di opposizione  veste formale di convenuto, rimane l’attore sostanziale del procedimento (ovvero colui che aziona la pretesa creditoria).

L’opponente potrebbe a sua volta, in quella sede, avanzare domande ulteriori che assumono natura riconvenzionale, pur avendo a sua volta veste formale di attore (in opposizione).

L’onere di proporre la mediazione, esaurite le fasi preliminari, incombe dunque all’attore sostanziale e, laddove abbia proposto domanda riconvenzionale, anche all’ingiunto che propone opposizione.

Ove nessuno dei due si attivi, afferma il Tribunale toscano, il giudice dovrà dichiarare l’improcedibilità della domanda (statuizione che chiude il procedimento, ma non incide sull’azione che può essere successivamente  proposta con nuova domanda) e tale sanzione dovrà travolgere sia il giudizio di opposizione che il provvedimento monitorio.

La tesi non è pacifica in giurisprudenza e ha visto, anche di recente, orientamenti opposti ( Tribunale Vasto )

© massimo ginesi 7 luglio 2016 

 

mediazione, ancora condanne per mancata partecipazione

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Si va sempre più affermando nella giurisprudenza di merito una interpretazione  rigorosa ed estesa della mediazione quale strumento di risoluzione della controversia alternativa alla lite.

Accade così che i giudici  si spingano a ritenere la mancata comparizione delle parti equivalente ad un tentativo di mediazione non esperito, così come affermano di  ritenere  la mancata e ingiustificata partecipazione della parte  elemento qualificante della sua condotta procesuale, tanto da condurre alla condanna sia al pagamento della sanzione pari al contributo unificato in favore dell’Erario sia – ai sensi dell’art. art. 96 III comma c.p.c. – nei confronti della parte vittoriosa.

Lo ha deciso il Tribunale di Roma    con sentenza del 23 giugno 2016, che merita di essere letta per intero.

L’amministratore di condominio – a fronte di tale giurisprundenza – potrà dunque  rappresentare all’assemblea, chiamata a decidere ai sensi dell’art. 71 quater disp. att. cod.civ., l’opportunità  di partecipare comunque alla prima comparizione dinanzi al mediatore, onde non incorrere in conseguenze processuali che potrebbero essere assai spiacevoli, fatta  salva comunque  la possibilità di esporre in quella sede le ragioni per cui si ritiene inutile procedere oltre.

© massimo ginesi giugno 2016