la tutela delle minoranze condominiali, la convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’art. 96 c.p.c.

Esemplare e godibile pronuncia della cassazione (Cass.civ. Sez. III 5 luglio 2017 n. 16482) , che sanziona pesantemente un ricorrente che ha inteso occupare la giustizia con un procedimento privo di fondamento e per questioni bagatellari.

Accade che durante una assemblea di condominio si verbalizza ciò che accade durante la riunione  ed il condomino X,  dall’animo particolarmente sensibile, si sente leso nella propria dignità dalle espressioni utilizzate da coloro che hanno steso lo scritto; li cita dunque dinanzi al Tribunale di Novara  per sentirli condannare al risarcimento del danno, poiché le espressioni usate sarebbero diffamatorie.

Ecco  le espressioni che il condomino ritiene  meritevoli di sanzione giudiziale, con condanna al risarcimento degli autori: ” a fondamento della domanda dedusse che i convenuti, nel redigere il verbale di assemblea condominiale, avevano adottato espressioni lesive del suo onore della sua reputazione, ed in particolare avevano scritto che:

il controllo dei documenti da parte di X si dilunga oltre ogni ragionevole tempo;

tutti gli altri condomini danno evidenti segni di impazienza;

sorge, come sempre, solita animata discussione tra X e l’amministratore;

I condomini sono loro malgrado testimoni dei fatti;

il signor X giustifica suo voto contrario con le solite motivazioni di tutti gli anni.

Chiunque abbia frequentato una assemblea condominiale o un’aula di giustizia troverà tali espressioni degne di una cena nobiliare britannica, ma tant’è.

Il Tribunale di Novara respinge la domanda per manifesta infondatezza, condannando l’attore X  per lite temeraria ex art. 96 c.p.c.

L’animo sensibile non ha impedito al condomino X di appellare una sentenza che già costituiva una indicazione chiara nel merito; l’impugnazione è dichiarata inammissibile dalla Corte di Appello di Milano, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. (“l’impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”).

Altro significativo segnale nel merito, rimasto inascoltato, poiché il condomino la cui reputazione risulterebbe irrimediabilmente lesa, ricorre in cassazione, con una serie articolata di motivi assai bizzarri, lamentando che

1 – Il tribunale avrebbe violato l’art. 101 c.p.c. poiché avrebbe deciso la causa senza preventivamente sottoporre alle parti la questione, rilevata di ufficio, del “contesto agitato in cui venne redatto il verbale”

La corte rileva che il Tribunale di Novara venne chiamato a stabilire se quel verbale era o meno diffamatorio e non lo ritenne tale, il motivo è dunque infondato in quanto non risulta che la decisione sia fondata su questioni sulle quali le parti non hanno potuto interloquire, e la notazione sul clima teso non è certo motivo di decisione ma semplice nota ad colorandum.

2 – il Tribunale avrebbe violato il giudicato esterno perché il Tribunale di Novara, in una precedente sentenza del 2013, avrebbe accertato che il condomino X non faceva perdere tempo in assemblea (sic!), motivo ritenuto inammissibile poiché il giudicato si forma sull’oggetto della domanda, che in questo caso era la diffamatorietà delle espressioni e non la condotta del condomino X

3 . il terzo motivo di ricorso è il più godibile: il condomino X deduce che il Tribunale avrebbe violato l’art. 2 della Cost. e la gli artt. 10 e 14 CEDU perché ha escluso il carattere diffamatorio degli scritti che avrebbero leso i suoi diritti di persona, avendolo discriminato in quanto minoranza nella assemblea condominiale. la motivazione della Cassazione è lapidaria: “il motivo è manifestamente infondato, non esistendo norma veruna nell’ordinamento nazionale o sovranazionale che tuteli i diritti delle minoranze condominiali”.

4 – con il quarto motivo lamenta che non può sussistere condanna ex art. 96 c.p.c. mancando la malafede: osserva la corte di legittimità che la condanna ex art. 96 III comma c.p.c. non richiede necessariamente malafede, mentre lo stabilire se sussista colpa nella proposizione della domanda è questione riservata al giudice del merito.

Nel respingere il ricorso la Cassazione, oltre a condannare il ricorrente alle spese di giudizio liquidate in tremila euro oltre accessori, traccia una linea netta in ordine alla temerarietà dell’azione, gettando un chiaro monito non solo alla parte sostanziale ma anche al difensore.

LA suprema Corte rileva che il ricorrente “Ha sostenuto tesi giuridicamente molto originali, come quella secondo cui la CEDU tutelerebbe le minoranze condominiali” ed ha in più sostenuto a sproposito l’esistenza del giudicato esterno, chiedendo inoltre un riesame di merito precluso al giudice di legittimità.

“Il ricorrente, in definitiva, ha proposto un ricorso in parte manifestamente infondato, ed in parte manifestamente inammissibile.

Da ciò deriva che delle due l’una: o il ricorrente – e per lui suo legale, del cui operato ovviamente il ricorrente risponde, nei confronti della controparte processuale, ex articolo 2049 c.c. – ben conosceva l’insostenibilità della propria impugnazione, ed allora ha  agito sapendo di sostenere una tesi infondata (condotta che, ovviamente, l’ordinamento non può consentire);

ovvero non ne era al corrente, ed allora ha tenuto una condotta gravemente colposa, consistita o nel non essersi adoperato con la exacta  diligetia esigibile (in virtù del generale principio desumibile dall’articolo 1176 comma II c.c.)  da chi è chiamato ad adempiere una prestazione professionale altamente qualificata,  quale è quella dell’avvocato in generale, e dell’avvocato cassazionista in particolare.

Il ricorrente va dunque, condannato di ufficio ai sensi dell’articolo 96, comma III c.p.c., al pagamento in favore delle parti intimate, in aggiunta alle spese di lite, d’una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno. Tale somma va determinata assumendo a parametro di riferimento l’importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio e – tenendo conto del numero dei controcorrenti – nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell’importo di euro 10.000″

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© Massimo Ginesi 7 luglio 2017  

dare del bugiardo all’amministratore non è reato…

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…soprattutto se è vero.

La Cassazione (Cass. Pen. sez. V – 5 ottobre 2016 n. 41785) assolve un condomino dal reato di diffamazione, ritenendo che la distribuzione di volantini con l’immagine di pinocchio, in cui si afferma che l’amministratore è un incompetente in materia fiscale, costituisca esercizio del diritto di critica, specie ove l’amministratore abbia tenuto condotte che denotano una conoscenza non adeguata della normativa di settore (nel caso di specie aveva sostenuto la detraibilità di somme in favore del condominio, beneficio  che, successivamente, l’Agenzia delle entrate ha smentito).

L’utilizzo dell’immagine di Pinocchio riportata sui volantini, inoltre,  rappresenta legittimo esercizio del diritto di critica e satira.

Il limite che la Suprema Corte ha ritenuto rispettato è quello della continenza, un profilo delineato dalla giurisprudenza in più occasioni e che separa  la legittima doglianza nei confronti di un soggetto da cui si pretende una condotta professionale alla aggressione pura e semplice con termini e modi che finiscono per essere volti unicamente a gettare discredito sulla persona del destinatario.

La sentenza merita lettura integrale  per la curiosa vicenda ed i risvolti quasi fumettistici: il condomino creatore dei volantini si firmava in maniera anonima con una pseudonimo molto simile al suo cognome, cui aveva semplicemente aggiunto una k  (come paperinik).

© massimo ginesi 7 ottobre 2016

 

 

scrivere all’amministratore che è un mentecatto può essere diffamazione.

la vicenda trae origine da una lettera inviata da un tecnico all’amministratore di una multiproprità, in cui costui  appellava come  “mentecatto” il destinatario, rivendicando onorari che l’offeso riteneva non dovuti.

Va rilevato che l’ingiuria, ai sensi del Dlgs 7/2016, è stata depenalizzata ed è divenuta  illecito con sanzione amministrativa, mentre la diffamazione mantiene rilevanza penale.

La Corte di Cassazione penale, V sez., con sentenza 15 marzo 2016 n. 18919 ha affermato che nel caso «l’offesa sia contenuta in una missiva diretta ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone, proprio per la non contestualità del recepimento delle offese medesime per la conseguente maggiore diffusione delle stesse».

La Corte sottolinea che deve ritenersi sussistente il reato di diffamazione poiché  la lettera era stata indirizzata ad un soggetto senza la certezza che quel soggetto fosse ancora l’amministratore del Condominio, inviata a costui impersonalmente e senza la dicitura “personale riservata” e, quindi, «nella piena consapevolezza che la stessa poteva essere posta a conoscenza anche di altre persone e che comunque sarebbe stata protocollata agli atti dell’amministrazione a disposizione di chiunque vi potesse accedere» (Cassazione, sentenza 18919/2016).

Sulla diffamazione in condominio la Suprema Corte si è già espressa in diverse occasioni: è stato ritenuto responsabile di diffamazione l’amministratore che aveva riportato in una lettera diretta a tutti i condomini espressioni ingiuriose pronunciate durante l’assemblea nei confronti di due condomini. (Cass. Pen.  n. 44387/2015); è stato ritenuto penalmente illecito anche l’aver affisso nel portone del condominio i nominativi dei morosi perché «non vi è alcun interesse da parte di terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri» (Cass. Pen. n. 39986/2014).

qui la sentenza del 2016

© massimo ginesi giugno 2016