impugnazione delibera e mediazione obbligatoria: la domanda va comunicata a cura della parte entro il termine previsto dall’art. 1137 c.c.

E’ quanto stabilito in una recentissima sentenza dalla Corte di Appello di Genova (13 giugno 2018 n. 946), che ha confermato l’orientamento già espresso dal Tribunale della Spezia.

Ai sensi dell’art.5 co.6 D.Lgs.28/2010 la domanda di mediazione dal momento della sua comunicazione alle altre parti impedisce la decadenza.

Nella fattispecie – come ha osservato il Tribunale – la domanda di mediazione è stata depositata dagli attori in data 10.04.15, ma è stata comunicata dall’organismo di mediazione dopo il 29.04.15, quando il termine di trenta giorni di cui all’art.1137 C.C. era già ampiamente decorso.

Per la difesa degli appellanti l’effetto di impedire la decadenza dovrebbe collegarsi non già alla comunicazione, ma alla presentazione della domanda di mediazione. La presentazione della domanda – infatti – dipende dall’iniziativa del soggetto interessato ad impedire la decadenza, mentre la sua comunicazione al convenuto è demandata all’organismo di mediazione, che deve fissare la data del primo incontro, ed è sottratta pertanto all’ingerenza dell’istante.

L’assunto pur distaccandosi dal dato letterale sarebbe conforme ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma in esame ed al principio enunciato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e della stessa Corte Costituzionale, per cui l’effetto di impedire una decadenza si collega, di regola, al compimento da parte del soggetto interessato dell’attività necessaria ad avviare il procedimento di comunicazione alla controparte, non potendo farsi dipendere il rispetto del termine di decadenza dal compimento di attività indipendenti dall’iniziativa dell’istante. 

L’appello è infondato. Il Tribunale ha osservato giustamente che l’istante avrebbe potuto anche di propria iniziativa comunicare la domanda alla controparte in tempo utile ad evitare la decadenza.

Lo prevede l’art.8 del D.Lgs.28/10 per il quale la comunicazione della domanda di mediazione alla controparte può avvenire anche a cura della parte istante, e non necessariamente del mediatore: sicché la parte che intenda giovarsi degli effetti della domanda può rendersi attiva e diligente per effettuare nei termini la comunicazione.

La facoltà della parte istante di provvedere direttamente alla comunicazione della domanda – prevista espressamente dalla legge – salvaguarda l’interpretazione letterale della norma, secondo la quale gli effetti impeditivi della decadenza sono collegati alla comunicazione della domanda di mediazione, non già al suo deposito presso l’organismo prescelto. 

La difesa dell’appellante ha osservato in comparsa conclusionale che la decadenza in questione, di natura sostanziale, non essendo stata eccepita dalla controparte, non poteva essere rilevata d’ufficio dal giudice. Il rilievo è tardivo. Non essendo stato proposto tempestivamente come motivo di appello non può essere preso in considerazione per la decisione della causa. “

© massimo ginesi 14 giugno 2018 

l’amministratore ha obbligo di comunicare i dati dei morosi al creditore che ne faccia richiesta

Lo ha stabilito, in linea con una consolidata giurisprudenza di merito, il Tribunale di Massa con provvedimento del 5 gennaio 2018, emesso a seguito di ricorso ex art 702 bis c.p.c. del creditore.

Il provvedimento fissa anche una somma ex art 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nella esecuzione da parte del condominio.

Il tribunale rileva che, nonostante quanto osservato di recente dalla corte di legittimità in ordine alla possibilità di agire esecutivamente anche in assenza dei dati sugli effettivi condomini morosi, sia comunque interesse del creditore agire in via esecutiva senza esporsi al rischio di possibili opposizoni, ottenendo dall’amministratore le informazioni previste dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

Da sottolineare come  tali informazioni debbano riguardare non i condomini morosi tout court ma quelli che siano inadempienti rispetto al credito espressamente vantato dal soggetto richiedente.

“Ritenuto che – pur potendo il creditore dar corso ad azione esecutiva anche senza conoscere le quote millesimali dei singoli condomini (Cass. 22856/2017) – sia suo pieno interesse, che lo legittima dunque all’azione oggi esperita, ottenere tali dati dall’amministratore onde procedere alla esecuzione dell’obbligazione parziaria che incombe in capo ai singoli obbligati senza il rischio di opposizione da parte dei singoli

Rilevato peraltro che l’obbligo della relativa comunicazione sia posto in capo all’amministratore da espressa previsione di legge (art. 63 disp.att. c.c.) e che pertanto costui debba comunicare al creditore insoddisfatto i dati dei condomini morosi nel pagamento delle rispettive quote del credito per il quale l’informazione è richiesta (Trib. Torre Annunziata 28.6.2017, Trib. Roma 1.2.2017).

Ritenuto che meriti accoglimento anche l’istanza dell’attore di fissare, ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., una somma a carico dell’obbligato per ogni giorno di eventuale ritardo nella esecuzione del presente provvedimento; somma che, tenuto conto dell’importo del credito vantato e del significativo ritardo che la condotta dell’amministratore ha comportato per il soddisfacimento delle pretese del creditore, si determina in € 100 per ogni giorno di ritardo nella esecuzione del provvedimento

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in misura prossima agli importi medi per lo scaglione di valore di pertinenza ex dm 55/2014.

P.Q.M.

Visti gli artt. 702 bis e segg. c.p.c. condanna CONDOMINIO C. in persona amministratore pro tempore a comunicare al ricorrente i dati anagrafici dei condomini morosi rispetto al credito vantato dal ricorrente, nonché il valore millesimale riconducibile a ciascuno di costoro secondo la tabella di ripartizione in uso per tali spese.

Visto l’art. 614 bis c.p.c. dispone che tale comunicazione avvenga entro cinque giorni dalla notifica della presente ordinanza e fissa in cento euro la somma dovuta per ogni giorno di ritardo nella esecuzione del provvedimento

condanna CONDOMINIO C. al pagamento delle spese processuali sostenute dal ricorrente, liquidate in euro 76,50 per spese ed euro 2.200 per compenso professionale (applicati importi ex art 55/2014 in misura prossima a quelli medi previsti per il relativo scaglione di valore) oltre rimb. forf. Iva e Cpa come per legge”

© massimo ginesi 8 gennaio 2018

 

PROCESSO TELEMATICO E IMPUGNAZIONI: ATTENZIONE ALLE COMUNICAZIONI DI CANCELLERIA

Il processo telematico e la progressiva informatizzazione dell’attività delle cancellerie ha comportato significative variazioni nelle modalità di gestione delle normali attività processuali.

Per operatore del diritto molti sono i vantaggi delle nuove modalità operative, a partire dalla possibilità di depositare nel fascicolo telematico in ogni ora, sino alle 24 del giorno di scadenza, atti e memorie che prima era necessario correre a consegnare in cancelleria entro l’orario di chiusura.

Tuttavia la normativa non nasconde insidie, ad esempio in tema di notifiche a mezzo PEC, anch’esse svincolate dai rigidi orari degli sportelli degli Ufficiali Giudiziari ma che mantengono una zona franca dalle 21 alle 7, di tal che la notifica eseguita dopo le 21 si intende effettuata il giorno successivo, senza che si possa applicare alla notifica telematica neanche il differenziarsi degli effetti per notificante e notificato: lo stabilisce  l’art. 16 septies del d.l. 179/2012 il quale ha espressamente previsto che “la disposizione dell’articolo 147 del codice di procedura civile si applica anche alle notificazioni eseguite con modalità telematiche. Quando è eseguita dopo le ore 21, la notificazione si considera perfezionata alle ore 7 del giorno successivo”.

E lo ha confermato, con riguardo agli effetti, anche la Suprema Corte (Cass. civ. sez. lavoro 4 maggio 2016 n. 8886): il citato art. 16-septies d.l. 179/12 “non prevede la scissione tra il momento di perfezionamento della notifica per il notificante ed il tempo di perfezionamento della notifica per il destinatario espressamente disposta, invece, ad altri fini dal precedente art. 16 quater

Oggi il giudice di legittimità ritorna su un aspetto del processo telematico che richiede grande attenzione, ovvero l’idoenità della comunicazione di cancelleria del provvedimento integrale a far decorrere – in taluni casi – il termine breve per l’impugnazione.

Cass. civ., sez. II, ord. 27 settembre 2017 n. 22274 rel. Scarpa, con riferimento al procedimento ex art. 702 bis c.p.c,  chiarisce che “E’ tuttavia di per sé conforme ai principi costantemente affermati da questa Corte in tema di comunicazioni e notificazioni, la conclusione secondo cui la comunicazione telematica di un provvedimento del giudice emesso in formato cartaceo, effettuata in data antecedente all’entrata in vigore del comma 9-bis dell’art. 16 bis d.l. n. 79/2012, seppur priva della firma digitale del cancelliere, deve ritenersi validamente avvenuta, ai fini della decorrenza del termine perentorio di trenta giorni di cui all’art. 702-quater, c.p.c., in presenza dell’attività del cancelliere consistita nel trasmettere all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il testo integrale dell’ordinanza, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera che vi sia comunque certezza che il provvedimento sia stato portato a compiuta conoscenza delle parti e sia altresì certa la data di tale conoscenza (si veda indicativamente Cass. Sez. 3, 19/12/2016, n. 26102, che ha ritenuto superflua per la regolarità delle notifica del ricorso per cassazione la sottoscrizione con firma digitale della copiai nformatica dell’atto originariamente formato su supporto analogico, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all’originale).”

Si tratta di ipotesi peculiare, relativa al solo procedimento sommario di cognizione, ma che è opportuno tenere in debito conto: “L’art. 702 quater c.p.c. stabilisce che, in tema di procedimento sommario di cognizione, l’ordinanza emessa ai sensi del sesto comma dell’articolo 702-ter c.p.c. produce gli effetti di cui all’articolo 2909 del codice civile se non è appellata (con citazione, ovvero comunque avendo riguardo alla data di notifica dell’atto di gravame alla controparte) nel rispetto del termine di trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione.

Ai fini della decorrenza del termine di trenta giorni, occorre quindi far riferimento alla data della notificazione del provvedimento ad istanza di parte ovvero, se anteriore, della sua comunicazione di cancelleria, comunicazione che deve avere ad oggetto il testo integrale della decisione, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera da consentirne alla parte destinataria la piena conoscenza (Cass. Sez. 3 – 23/03/2017, n. 7401; Cass. Sez. 6 – 2, 09/05/2017, n. 11331).

Tale comunicazione dell’ordinanza emessa ai sensi del comma 6 dell’art. 702-ter c.p.c. può essere eseguita anche a mezzo posta elettronica certificata: questa Corte ha infatti già chiarito come il periodo aggiunto in coda al secondo comma dell’art. 133 c.p.c. dall’art. 45 del d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito in legge 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c., è finalizzato a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come appunto l’art. 702 quater c.p.c.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria (cfr. Cass. Sez. 6 – 3, 05/11/2014, n. 23526).

Il caso concreto, posto all’attenzione della Corte, consente di meglio comprendere il principio di diritto esposto in apertura, onde  mantenere costante attenzione alle nuove modalità telematiche che, fra le molte agevolazioni, nascondono non poche insidie, evitando una interpretazione eccessivamente formale delle norme .

Nel caso in esame, la ricorrente ha ricevuto comunicazione telematica del testo integrale dell’ordinanza del Tribunale di Catanzaro in data 21 gennaio 2014, ma deduce la violazione dell’art. 15, comma 4, del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44, secondo cui “se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica nei formati previsti dalle specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34 e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico, apponendovi la propria firma digitale”.

Dalla mancanza della firma digitale del cancelliere la ricorrente desume la nullità della comunicazione e quindi l’inidoneità della stessa a far decorrere il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c. Va detto che il comma 9-bis dell’art. 16 bis d.l. n. 79/2012, convertito con modificazioni in legge n. 221/2012 (norma però aggiunta in epoca successiva al compimento della comunicazione per cui è causa – e ciò ai fini del principio tempus regit actum – dall’art. 52, d.l. n. 90/2014, convertito in legge n. 114/2014, poi ancora modificato dal d.l. n. 83/2015, convertito in legge n. 132/2015) dispone che “Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonchè dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale (…)” (si veda al riguardo Cass. Sez. 6 – 3, 22/02/2016, n. 3386).”

© massimo ginesi 28 settembre 2017

 

le notificazioni effettuate tramite posta privata sono nulle

Qualora la legge richieda che una comunicazione o notificazione sia effettuata mediante posta raccomandata, tale servizio può esser reso solo da poste italiane, mentre è stato ritenuto non idoneo quello  svolto da servizi di posta privata.

Per tali ragioni un creditore si è visto respingere l’opposizione alla mancata ammissione di un credito al passivo fallimentare, inviata al curatore con un servizio di posta diverso da poste italiane.

E’ quanto ha affermato Cassazione civile, sez. I, 01/06/2017,  n. 13870: “L’art. 97, comma 2 L. fall. (nel testo, qui da applicarsi, anteriore alle modifiche introdotte nel 2012), là dove prescrive che la comunicazione in questione “sia data tramite raccomandata con avviso ricevimento”, fa implicito riferimento al disposto del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 4, secondo cui “per esigenze di ordine pubblico, sono affidati in via esclusiva al fornitore del servizio universale: a) i servizi inerenti le notificazioni di atti a mezzo posta e di comunicazioni a mezzo posta connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla L. 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni; b) i servizi inerenti le notificazioni a mezzo posta di cui al D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 201)”.

Fornitore del servizio universale (art. 1 D.Lgs. n. 261 cit.) è l’Ente Poste.

Ciò posto, dalla verifica (cui questa Corte può e deve procedere quando, come nella specie, è denunziato un error in procedendo) in ordine alla comunicazione in questione emerge come in effetti essa sia stata eseguita dal Curatore mediante posta privata (cfr.doc.1 fasc.opp. della ricorrente).

Ne deriva, alla stregua dell’orientamento più volte espresso sul punto da questa Corte (cfr.ex multis: Cass.n.2262 del 31/01/2013; n.2035 del 30/01/2014), che il Collegio condivide, la nullità della comunicazione, atteso che le attestazioni redatte dagli incaricati di un servizio di posta privata non sono assistite dalla funzione probatoria che il già richiamato D.Lgs. n. 261 ricollega alla nozione di “invii raccomandati”. Sì che, in mancanza di valida prova in ordine alla data di decorrenza iniziale -corrispondente a quella di consegna della comunicazione-, il termine per proporre l’opposizione non può considerarsi decorso al momento della proposizione.”

© massimo ginesi 14 giugno 2017

L’erede che non comunica la propria qualità all’amministratore non può impugnare le delibere per vizio di convocazione

Una recente sentenza di merito  (Trib. Roma 2.12.2016 n. 22422) sancisce un principio che potrà rivelarsi assai interessante per l’amministratore.

I fatti sono tanto semplici semplici quanto di frequente accadimento.

Una condomina muore e le succedono i figli. Anni dopo viene notificato all’erede decreto ingiuntivo per quote condominiali scadute e non pagate,  ottenuto sulla scorta di consuntivi approvati negli anni antecedenti da assemblea cui l’ingiunto non era mai stato convocato.

Alla notifica del decreto costui impugna i deliberati, posti a fondamento della richiesta monitoria, assumendo che sussista vizio di convocazione.

Afferma il Tribunale che “Per quanto riguarda, poi, la doglianza concernente la mancata convocazione all’assemblea alle quali sono state approvate le delibere impugnate, il condominio convenuto a precisato che in quel periodo l’attore, in base all’anagrafe condominiale, non risultava appartenere al condominio, in quanto la titolarità dell’appartamento de quo risultava essere della signora X, madre dell’odierno attore; ne era pervenuta al condominio una comunicazione del decesso della signora e della successiva accettazione dell’eredità da parte degli eredi.

E poiché nel marzo 2008 il unità immobiliare della signora X facenti parte del patrimonio sottratto i creditori venivano sottoposto a sequestro conservativo dal tribunale civile di Roma, consegnate al custode giudiziario e, successivamente vendute all’asta, allo stesso custode giudiziario  era stato consegnato l’avviso di convocazione all’assemblea di cui trattasi.

Ciò posto, devesi osservare  che, a fronte di tale contestazione, era onere dell’attore fornire la prova di aver effettuato le dovute comunicazioni al condominio, circa il decesso della signora X e dell’accettazione della eredità con la conseguente assunzione dei diritti degli obblighi condominiali.

Tale prova non risulta fornita; ne risultano elementi dei quali si possa desumere che l’amministratore del condominio convenuto fosse a conoscenza del decesso della signora X. Deve ritenersi, pertanto, in sussistente il vizio di omessa convocazione lamentato da parte attrice”

La situazione all’esame del Tribunale capitolino è certamente peculiare, poichè all’epoca delle assemblee contestate  il compendio immobiliare era sottoposto a sequestro conservativo (certamente trascritto e a conoscenza dell’amministratore) e l’avviso di convocazione era stato correttamente inviato al custode.

Il principio affermato è tuttavia interessante laddove pone un onere di informazione in capo al condomino, pena l’impossibilità di dolersi della mancata convocazione.

La tesi affermata pone qualche dubbio di coordinamento – pur attenendo a diversa fattispecie – con l’orientamento di legittimità che, ormai oltre un decennio fa, ha spazzato via la tesi del condomino apparente, affermando l’onere del condominio di accertare l’effettiva titolarità del diritto in capo al singolo, trattandosi di posizioni giuridiche soggettive soggette a regime di pubblicità legale (da ultimo Cassazione civile, sez. II, 30/04/2015, n. 8824: “Nelle assemblee condominiali deve essere convocato il condomino, cioè il vero proprietario, e non chi si comporta come tale senza esserlo, non potendo invocare il principio dell’apparenza il condominio che abbia trascurato di accertare la realtà sui pubblici registri.” ).

Nel caso in commento , plausibilmente, all’epoca delle convocazioni contestate  non era ancora sussistente  un atto a regime pubblico (quale la denuncia di successione), da cui l’amministratore potesse desumere l’effettiva titolarità del bene (evidentemente poi accertata, posto che il decreto è stato correttamente indirizzato all’effettivo proprietario).

In ogni caso la pronuncia romana appare indiscutibile e ferrea applicazione del principio introdotto nell’art. 1130 cod.civ. dal legislatore del 2012: “:” Ogni variazione dei dati deve essere comunicata all’amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l’amministrazione acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili”.

© massimo ginesi 17 gennaio 2017  

invio convocazione e verbale a mezzo posta: la cassazione ci ripensa

La Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza 14 dicembre 2016 n. 25791 fornisce una interpretazione decisamente più rigida rispetto ad un orientamento che sembrava ormai consolidato.

Afferma la Corte che, quando il destinatario della raccomandata è assente, non  può ritenersi avverata la presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 cod.civ. con il recapito del plico al suo domicilio, poiché l’avviso che lascia il postino, relativo al deposito presso l’ufficio postale, non contiene alcuna indicazione sui contenuti della lettera e come tale è inidoneo a rendere edotto i destinatario.

Ne consegue che, bilanciando gli interessi del mittente con quelli del destinatario, ad avviso della Corte – applicando un principio analogo a quello degli atti giudiziari – potrà ritenersi  perfezionata la comunicazione decorsi dieci giorni di giacenza presso l’ufficio postale (oppure nel momento intermedio in cui il soggetto si reca a ritirare effettivamente il plico presso l’ufficio).

La vicenda nasce dall’invio  di un verbale di assemblea, successivamente impugnato da un condomino nei trenta giorni dal ritiro della relativa raccomandata:  i giudici di primo grado e di appello avevano considerato tardiva l’impugnazione, in applicazione del precedente orientamento che faceva decorrere il termine dal rilascio dell’avviso di giacenza, mentre l’odierna pronuncia ha ritenuto l’impugnativa tempestivamente promossa.

La sentenza, seppur con implicazioni pratiche di rilievo, afferma principi che paiono astrattamente condivisibili e garantisti – rispetto al precedente orientamento che indubitabilmente comprimeva molto i diritti del destinatario – e merita integrale lettura.

Rappresenta in ogni caso motivo di grande attenzione per  gli amministratori, che dovranno tenere conto di questa lettura – ove non rimanga episodio isolato – soprattutto nell’invio degli avvisi di convocazione, onde non incorrere nella violazione del termine previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ.

© massimo ginesi 22 dicembre 2016

IL DISSENSO DEI CONDOMINI RISPETTO ALLE LITI

jacovitti-04-oreste-665x855

L’intera vita condominiale si fonda sul principio espresso dall’art. 1137 I comma cod.civ. che prevede l’obbligatorietà delle delibere assembleari per tutti i condomini.
Si tratta di norma che consente ad una collettività di esprimere una volontà rappresentativa idonea a gestire unitariamente gli interessi comuni su base maggioritaria.
Il principio vede due sole eccezioni, l’una in tema di innovazioni (art. 1121 cod.civ. ) e l’altra in tema di liti (art. 1132 cod.civ. ).
In tali casi il legislatore ha ritenuto di accordare la possibilità ai dissenzienti di sottrarsi al potere vincolante della delibera.
L’art. 1132 cod.civ. prevede che il condomino, esprimendo dissenso da comunicare entro trenta giorni dalla delibera che decide di promuoverla o di resistervi, può separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di soccombenza.
Il dissenso è atto recettizio che deve essere inviato all’amministratore ed è un quid pluris rispetto al semplice voto contrario in assemblea, che ne è presupposto logico e giuridico ma che da solo non produce effetto dissociativo.
LA giurisprudenza ha affermato che il dissenso non richiede la forma solenne che sembra richiamare la norma (notificazione) ma può essere espresso dall’assente e dal dissenziente entro trenta giorni dalla delibera, con comunicazione all’amministratore idonea a rendere incontrovertibile termine e contenuto (raccomandata, pec, consegna a mani).
La suprema corte (Cass. civ., sez. II, 18/06/2014,  n. 13885) ha anche affermato che il dissenso può trovare applicazione solo nelle cause che vedano quali parti il condominio e un terzo, non in quelle interne (ovvero fra condominio e uno o più condomini); in dottrina è invece diffusa la tesi che il dissenso possa riguardare anche queste ultime.
Una volta esercitato legittimamente il dissenso, la delibera che ponga a carico del dissenziente le spese di lite è affetta da nullità e non da semplice annullabilità (Cass. civ. sez. II, 15/05/2006 n. 11126).
E’ ormai pacifico che il dissenso possa essere esercitato solo per quel liti che vedano una deliberazione antecedente (o di successiva ratifica) e che, alla luce di CAss. SS.UU. 18331/2010 e della nuova formulazione dell’art. 1131 cod.civ., comprendono le controversie che esulano dai poteri dell’amministratore individuati dall’art. 1130 cod.civ., mentre per queste ultime può agire senza necessità di avvallo assembleare.
Del resto lo stesso art. 1132 cod.civ. ancora il dies a quo per esprimere il dissenso alla data della delibera e quindi la possibilità di esercitare il dissenso pare necessariamente ancorata alla sussistenza di una volontà assemblare espressa.
Appare comunque ragionevole estendere tale facoltà anche a quelle liti che, pur rientrando nei poteri dell’amministratore, abbiano visto comunque una delibera legittimante.
I giudici hanno invece ritenuto non applicabile la norma ove la lite venga conclusa da transazione, che vincolerà anche il dissenziente (Cass. civ. sez. II, 16/01/2014,  n. 821)
Resta invece notevolmente controversa la portata dello “scudo” predisposto dalla norma.
LA giurisprudenza di legittimità ha sempre sostenuto la mera rilevanza interna della norma (ossia l’impossibilità di opporre il dissenso direttamente al creditore, limitando i suoi effetti al diritto di regresso verso gli altri condomini), affermando altresì che la stessa preservi solo dalle spese che il Condominio è tenuto a pagare alla controparte, lasciando intatto l’obbligo per le spese sostenute dal Condomino per la propria difesa.
Di recente acuta e attenta dottrina (Celeste/Scarpa) ha evidenziato come la mera valenza interna dei criteri di riparto fosse legata alla impostazione solidaristica dell’obbligazione condominiale, tesi venuta meno con CAss. SS.UU. 9148/2008.
Ne consegue che se le Sezioni Unite hanno evidenziato la rilevanza esterna nei confronti del creditore dei criteri di riparto (rilievo che pare sussistere anche oggi a fronte del meccanismo di escussione previsto dal novellato art. 63 disp.att. cod.civ.), non vi sarebbe ragione per non riconoscere tale valenza anche all’art. 1132 cod.civ.
Allo stesso modo, se la ratio della norma è quello di consentire al dissenziente di sottrarsi agli obblighi derivanti da una delibera che non condivide, tale esonero dovrebbe riguardare tutti gli obblighi derivanti da quella delibera e non solo le spese liquidate alla parte vittoriosa.

© massimo ginesi 12 ottobre 2016

QUANDO IL TERMINE NON DECORRE. UNA RECENTISSIMA PRONUNCIA SULL’ART. 1137 COD.CIV.

Schermata 2016-08-05 alle 07.45.54

E’ orientamento costante, a far data da Cass.Civ. SS.UU. 07/03/2005 n. 4806, che la mancata convocazione di un condomino all’assemblea dia luogo ad annullabilità del relativo deliberato, vizio che l’interessato può far valere in giudizio nel termine di trenta giorni.

L’art. 1137 cod.civ. prevede che il termine – oggi definito perentorio – decorra “dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti” (la L. 220/2012 ha modificato la norma ma ha lasciato immutato tale inciso, prima collocato nel terzo comma ed oggi trasferito nel secondo)

Ove il verbale non venga mai inviato al condomino assente il termine non inizierà mai a decorrere: se tale condizione si verifica potrà quindi accadere che il Condominio richieda un decreto ingiuntivo sulla scorta di quelle delibere, rimaste ancora impugnabili dall’interessato.

E’ il caso affrontato da Cass. civ. II sez. 2. 8.2016 n. 16081, relatore Scarpa: Il condomino assente ha proposto impugnazione delle delibere che mai gli erano state comunicate sino alla richiesta del decreto (non opposto per ragioni di opportunità).

Nella fase di merito Il Condominio si è difeso sostenendo che per l’assente il termine doveva comunque ritenersi decorso dalla data del deposito del ricorso, poiché da quel momento le delibere prodotte divenivano per lui conoscibili, tesi accolta dalla Corte d’Appello di Milano.

La Suprema Corte cassa la pronuncia di merito, interpretando letteralmente l’art. 1137 II comma cod.civ. e sottolineando che l’onere di comunicazione del verbale deve avere carattere attivo e positivo.

La Suprema Corte pone dunque l’accento sul concetto di conoscenza e non su quello di conoscibilità (conoscenza adeguata e sufficiente che potrà anche derivare aliunde, ma in tal caso il Giudice dovrà congruamente motivarne la ritenuta sussistenza in capo al condomino).

La pronuncia conferisce valenza dirimente alla conoscenza effettiva che deriva dalla ricezione del verbale, sottolineando che non può invece porsi a carico del condomino assente “un dovere di attivarsi per conoscere le decisioni adottate dall’assemblea ove difetti la prova dell’avvenuto recapito, al suo indirizzo, del verbale che le contenga”; E’ unicamente in forza di tale ultimo adempimento che “sorge la presunzione, iuris tantum, di conoscenza posta dall’art. 1335 cod.civ., e non già in conseguenza del mancato esercizio, da parte dello stesso destinatario del verbale assembleare, della diligenza nel seguire l’andamento della gestione comune e nel documentarsi su di essa”

Osserva ancora la Cassazione che l’art. 1137 cod.civ. “impone la trasmissione del verbale all’indirizzo del condomino assente destinatario” e che tale dovere in capo all’amministratore non “è surrogabile nel senso di ampliare l’autoresponsabilità del condomino ricevente fino al punto di obbligarlo ad acquisire immediate informazioni sul testo di una deliberazione prodotta dal condominio in sede monitoria”

© massimo ginesi 5 agosto 2016

condomino apparente e dissenso alle liti, una discutibile sentenza di merito…

Schermata 2016-07-11 alle 08.49.03

Il legislatore del 2016 ha ritenuto, assai inopportunamente, di attribuire la competenza esclusiva della materia condominiale al giudice di pace, o meglio a quella ibrida figura che esce dalla discutibile riforma della magistratura onoraria introdotta con la L. 57/2016.

La materia del condominio ancora una volta patisce l’ingiusta qualificazione di diritto minore, quando invece sottende l’applicazione di alcuni fra i più complessi istituti del diritto civile (diritti reali, obbligazioni, responsabilità extracontrattuale) nella peculiare realtà di un contesto plurisoggettivo.

Del resto l’intervento frequentissimo delle Sezioni Unite della Cassazione in questa materia altro non è che indice della sussistenza di contrasti anche al massimo livello, che sono l’indice evidente di una grande complessità dei temi di decisione.

Spesso accade, nelle corti di merito, di trovare pronunce che sembrano uscite da un’altra epoca e che lasciano spiazzati, a fronte di orientamenti giurisprudenziali di legittimità che affermano da anni principi contrari.

E’ il caso di una sentenza del Tribunale di Firenze, che esprime due valutazioni su cui l’amministratore e il difensore accorti faranno bene a non fare eccessivo affidamento.

A proposito di condomino apparente, il giudice fiorentino afferma che ove il vecchio condomino non abbia provveduto a comunicare all’amministratore l’avvenuta cessione della propria unità a terzi, ai fini dell’aggiornamento della anagrafe condominiale, l’amministratore potrà continuare a convocare legittimamente il vecchio propritario. E’ pur vero che la L. 220/2012 ha introdotto nell’art. 1130 cod.civ. l’obbligo di tale comunicazione in capo al cedente – con contestuale possibilità di autonomo accertamento da parte dell’amministratore a spese dell’inadempiente – e che l’art. 63 u.s. disp.att. cod.civ. ha previsto che in difetto il vecchio proprietario rimarrà solidalmente responsabile per le quote dovute, ma non pare di leggere nella riforma alcuna altra conseguenza diretta né tantomeno una deroga ai criteri che prevedono la partecipazione all’assemblea degli effettivi aventi diritto.

Non pare quindi che la riforma del 2012 vada ad incidere su un consolidato orientamento giurisprudenziale che sin dagli inizi degli anni 2000, a fronte del regime di pubblicità dei registri immobiliari, ha escluso la rilevanza di qualunque apparenza, sia per quel che attiene alle azioni recupero dei crediti sia per ciò che attiene alla convocazione.  “In caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, è passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possaapparire tale come il venditore il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà (non comunicato all’amministratore), abbiacontinuato a comportarsi da proprietario -, difettando, nei rapporti fra condominio, che è un ente di gestione, ed i singolipartecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente adesigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, ed essendo, d’altra parte, il collegamento della legittimazionepassiva alla effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale” Cass. SS.UU.  8 aprile 2002 n. 5035

“In tema di convocazione dell’assemblea condominiale deve essere convocato solo il vero proprietario della porzioneimmobiliare e non anche colui che si sia comportato, nei rapporti con i terzi, come condomino senza esserlo, difettando neirapporti tra il condominio (nella specie, l’amministratore) ed i singoli partecipanti ad esso, le condizioni per l’operatività delprincipio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente all’esigenza di tutela dei terzi in buona fede”.
Cass. Sez. II 22 ottobre 2007 n. 22089

Ancor più singolari le tesi fiorentine sull’espressione del dissenso alle liti ai sensi dell’art. 1132 cod.civ.

Se appare condivisibile la valutazione che, in caso di unità di proprietà di più soggetti, tale dissenso debba essere unitariamente espresso da tutti costoro e non sia ammesso pro quota, decisamente singolare appare il richiamo unicamente alle forme di cui all’art. 1132 cod.civ., ritengo che non valga invece la sua comunicazione una assemblea: in tal senso la Cassazione si è espressa da tempo immemore “La manifestazione di dissenso di un condomino, rispetto alla promozione di lite deliberata dall’assemblea, va notificata all’amministratore senza bisogno di forme solenni comprese fra queste quelle previste dal codice di procedura civile”. Cassazione civile, sez. II, 15/06/1978, n. 2967

Giova invece segnalare l’opportuna notazione del Giudice fiorentino delle spese di coibentazione del lastrico di proprietà esclusiva a tutti i condomini in quanto si tratta di intervento che, pur eseguito su un bene di proprietà esclusiva, è diretto a produrre vantaggi per tutti i condomini.

© massimo ginesi 11 luglio 2016