notifiche a mezzo posta: cosa cambia con la legge di bilancio

La legge 27 dicembre 2017, n. 205 (c.d. legge di Bilancio 2018, pubblicata nella G.U. del 29 dicembre 2017)) introduce significative novità in tema di  comunicazioni a mezzo posta, con inevitabili riflessi anche sulla  disciplina delle notificazioni effettuate mediante tale servizio.

Secondo la singolare tecnica che da ormai molti anni caratterizza il nostro legislatore, la legge di bilancio consta di un unico articolo, composto da una serie infinita di commi, che disciplinano le più svariate ed eterogenee materie.

Il comma 461 è dedicato al tema delle notifiche a mezzo posta, vediamo quali sono le novità di maggior interesse.

NON SOLO POSTE ITALIANE – «il servizio deve essere erogato da operatori postali in possesso della licenza di cui all’articolo 5, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, e deve rispettare gli obblighi di qualità minima stabiliti dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ai sensi della legge 4 agosto 2017, n. 124».

Dunque anche terzi operatori, muniti di apposita licenza, potranno erogare il servizio, cambia di conseguenza la modulistica (che dovrà essere approvata dall’Autorità Garante sentito il Ministero della Giustizia) e le  persone fisiche addette al servizio  sono qualificati pubblici ufficiali.

L’INDICAZIONE DEL MITTENTE – «Per le notificazioni in materia penale e per quelle in materia civile e amministrativa effettuate in corso di procedimento, sull’avviso di ricevimento e sul piego devono essere indicati come mittenti, con indicazione dei relativi indirizzi, ivi compreso l’indirizzo di posta elettronica certificata ove il mittente sia obbligato per legge a dotarsene, la parte istante o il suo procuratore o l’ufficio giudiziario, a seconda di chi abbia fatto richiesta della notificazione all’ufficiale giudiziario». 

Ove il mittente non sia obbligato a possedere una PEC, ma ne sia comunque dotato, potrà utilizzarla ai fini previsti dalla norma.

MODULI NON CORRETTI E RIFIUTO DEL SERVIZIO – l’operatore potrà indicare le necessarie correzioni, ove il mittente consegni moduli non adeguatamente compilati o non corretti,e potrà rifiutare il servizio ove il mittente non si adegui.

I TERMINI DI NOTIFICA – il legislatore recepisce le indicazioni di Corte Cost.  n. 477/2002: l’avviso di ricevimento costituisce per il destinatario prova della avvenuta notificazione,  “ fermi restando gli effetti di quest’ultima per il notificante al compimento delle formalita’ a lui direttamente imposte dalle vigenti disposizioni”;

LO SMARRIMENTO DELL’AVVISO DI RICEVIMENTO – la norma disciplina in modo nuovo (e teoricamente efficace per l’utente) l’ipotesi in cui vada smarrita la prova della avvenuta notifica: “Lo smarrimento dell’avviso di ricevimento non da’ diritto ad alcuna indennita’, ma l’operatore postale incaricato e’ tenuto a rilasciare, senza spese, un duplicato o altro documento comprovante il recapito del piego in formato cartaceo e a farlo avere al mittente. Quando il mittente ha indicato un indirizzo di posta elettronica certificata, l’operatore forma una copia per immagine su supporto analogico dell’avviso di ricevimento secondo le modalita’ prescritte dall’articolo 22 del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e provvede, entro tre giorni dalla consegna del piego al destinatario, a trasmettere con modalita’ telematiche la copia dell’avviso al mittente. In alternativa, l’operatore postale genera l’avviso di ricevimento direttamente in formato elettronico ai sensi dell’articolo 21 del codice di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005 e lo trasmette in conformita’ a quanto previsto dal secondo periodo del presente comma”.

E’ comunque prevista una indennità: “Per ogni piego smarrito, l’operatore postale incaricato corrisponde un indennizzo nella misura prevista dall’Autorita’ per le garanzie nelle comunicazioni”

La disposizione entra in vigore il 1 giugno 2018 (le altre invece a far data dalla adozione dei provvedimenti del Ministero dello sviluppo economico sulle  procedure per il rilascio delle licenze di cui all’art. 5, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261.)

RIFIUTO O IMPOSSIBILITA’ DI CONSEGNA – Nuova disciplina anche per l’ipotesi in cui il destinatario rifiuti o non possa ricevere la consegna: “«se il destinatario o le persone alle quali può farsi la consegna rifiutano di firmare l’avviso di ricevimento pur ricevendo il piego, ovvero se il destinatario rifiuta il piego stesso o di firmare documenti attestanti la consegna, il che equivale a rifiuto del piego, l’operatore postale ne fa menzione sull’avviso di ricevimento indicando, se si tratti di persona diversa dal destinatario, il nome ed il cognome della persona che rifiuta di firmare nonché la sua qualità, appone la data e la propria firma sull’avviso di ricevimento che è subito restituito al mittente in raccomandazione, unitamente al piego nel caso di rifiuto del destinatario di riceverlo. Analogamente, la prova della consegna è fornita dall’addetto alla notifica nel caso di impossibilità o impedimento determinati da analfabetismo o da incapacità fisica alla sottoscrizione».

MODALITA’ DI CONSEGNA E ATTESTAZIONI – “L’operatore postale consegna il piego nelle mani proprie del destinatario, anche se dichiarato fallito.
2. Se la consegna non puo’ essere fatta personalmente al destinatario, il piego e’ consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene l’atto da notificare, a persona di famiglia che conviva anche temporaneamente con lui ovvero addetta alla casa ovvero al servizio del destinatario, purche’ il consegnatario non sia persona manifestamente affetta da malattia mentale o abbia eta’ inferiore a quattordici anni. In mancanza delle persone indicate al periodo precedente, il piego puo’ essere consegnato al portiere dello stabile ovvero a persona che, vincolata da rapporto di lavoro continuativo, e’ comunque tenuta alla distribuzione della posta al destinatario.
3. L’avviso di ricevimento e di documenti attestanti la consegna debbono essere sottoscritti dalla persona alla quale e’ consegnato il piego e, quando la consegna sia effettuata a persona diversa dal destinatario, la firma deve essere seguita, su entrambi i documenti summenzionati, dalla specificazione della qualita’ rivestita dal consegnatario, con l’aggiunta, se trattasi di familiare, dell’indicazione di convivente anche se temporaneo”

NOTIFICA E GIACENZA – Ove  non sia possibile consegnare il plico perché – in assenza del destinatario – le persone abilitate a riceverlo lo rifiutino oppure nel caso di totale assenza del destinatario,” il piego e’ depositato lo stesso giorno presso il punto di deposito piu’ vicino al destinatario”

la norma prevede che “Del tentativo di notifica del piego e del suo deposito e’ data notizia al destinatario, a cura dell’operatore postale, mediante avviso in busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso di assenza del destinatario, deve essere affisso alla porta d’ingresso oppure immesso nella cassetta della corrispondenza dell’abitazione, dell’ufficio o dell’azienda.

L’avviso deve contenere l’indicazione del soggetto che ha richiesto la notifica e del suo eventuale difensore, dell’ufficiale giudiziario al quale la notifica e’ stata richiesta e del numero di registro cronologico corrispondente, della data di deposito e dell’indirizzo del punto di deposito, nonche’ l’espresso invito al destinatario a provvedere al ricevimento del piego a lui destinato mediante ritiro dello stesso entro il termine massimo di sei mesi, con l’avvertimento che la notificazione si ha comunque per eseguita trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al periodo precedente e che, decorso inutilmente anche il predetto termine di sei mesi, l’atto sara’ restituito al mittente.

Se il soggetto si reca a ritirare il piego prima della scadenza dei dieci giorni, la notifica si ha per seguita in quella data. “La notificazione si ha per eseguita dalla data del ritiro del piego, se anteriore al decorso del termine di dieci giorni di cui al comma 4. In tal caso, l’impiegato del punto di deposito lo dichiara sull’avviso di ricevimento che, datato e firmato dal destinatario o dal suo incaricato che ne ha curato il ritiro, e’, entro due giorni lavorativi, spedito al mittente in raccomandazione.

Di interesse, almeno teorico, poichè si tratterà di vedere la loro pratica attuazione, appaiono i tempi e le modalità di trattamento della posta in giacenza che dovrebbero consentire al mittente di poter esibire in giudizio tempestivamente le necessarie attestazioni: “Trascorsi dieci giorni dalla data di spedizione della lettera raccomandata, di cui al comma 4, senza che il destinatario o un suo incaricato ne abbia curato il ritiro, l’avviso di ricevimento e’, entro due giorni lavorativi, spedito al mittente in raccomandazione con annotazione in calce, sottoscritta dall’operatore postale, della data dell’avvenuto deposito e dei motivi che l’hanno determinato, dell’indicazione ‘atto non ritirato entro il termine di dieci giorni’ e della data di restituzione.

Interessante anche la possibilità di accesso informatico: “ Fermi i termini sopra indicati, l’operatore postale puo’ consentire al destinatario di effettuare il ritiro digitale dell’atto non recapitato assicurando l’identificazione del consegnatario ed il rilascio da parte di quest’ultimo di un documento informatico recante una firma equipollente a quella autografa”

qui sotto il testo integrale della normativa

notifiche posta

© massimo ginesi 4 gennaio 2018

locazione e forma scritta: quando la nullità è di protezione.

Una recente sentenza di merito (Trib. Massa 15 dicembre 2017) affronta il problema della forma scritta del contratto di locazione e della facoltà, concessa al conduttore in determinate ipotesi, di ottenere conversione di quel contratto in una forma rispondente alle previsioni di legge.

La vicenda fatto prende le mosse dalla concessione in godimento di alcuni mini appartamenti ad un soggetto per la stagione estiva in una località termale e turistica della Garfagnana, mentre la stipulazione del relativo contratto  di locazione subisce alcuni ritardi per ragioni legate alle certificazioni energetiche: “Risulta pacificamente che la signora M. sia stata immessa nella detenzione dei beni immobili dei convenuti all’inizio dell’estate 2016 e che costei abbia versato tre canoni di euro 750 ciascuno nei mesi di giugno, luglio e agosto, come peraltro pacificamente riconosce anche parte convenuta.
I convenuti negano di aver ricevuto altri pagamenti, mentre i documenti prodotti dalla attrice paiono attestare anche il pagamento di euro 750 per il mese di settembre, posto che fra le (non del tutto decifrabili) produzioni di parte attrice si rinvengono: un ordine di bonifico periodico in data 25 maggio 2016 con primo pagamento al 1.7.2017, documento che appare congruente con l’elenco storico dei versamenti in data 1.7.16, 1.8.16 e 1.9.16, ad un ordine di bonifico separato in data 3.6.2016, peraltro compatibile con il fatto che – come risulta dalla esposizione dei fatti resa da entrambe le parti – l’attrice avrebbe utilizzato il bene sin dal giugno 2016.
Ne deriva che lo schema contrattuale astrattamente posto in essere dalle parti è riconducibile alla fattispecie della locazione, che deve necessariamente rivestire forma scritta a pena di nullità ai sensi del dictum di Cass. SS.UU.18241/2015, principio interpretativo che – a mente dell’art. 1 comma 346 L. 30.12.2004 n. 311 – deve ritenersi valere per le locazioni destinate a soddisfare qualunque esigenza.

La tesi che il contratto di locazione, di qualunque natura, richieda forma scritta a pena di nullità è comunque risalente anche nella giurisprudenza di merito, che la  riconduce, ancor prima che alla L. 311/2004, all’art. 1 della L. 431/1998 (Trib. Trani 22.4.2008)

Posto che la forma scritta deve ritenersi requisito imprescindibile di  qualunque contratto di locazione, l’istanza della attrice di veder attuato il rimedio previsto dalla legge – per quelle ipotesi in cui la forma orale sia imposta dal locatore – risulta priva di fondamento.

Va tuttavia rilevato che tale nullità è ascritta alle c.d. nullità di protezione solo nella ipotesi di locazione destinata a soddisfare esigenze abitative ordinarie, come tale sottoposta a regime vincolistico circa durata ed entità del canone, ciò per espressa previsione del combinato disposto dagli artt. 3 comma 2 e 13 commi 6 e 4 L. 431/1998, come eprlatro si ricava agevolmente dalla pronuncia delle Sezioni unite sopra richiamata, che fa riferimento unicamente ai rapporti previsti dall’art. 3 comma 2 del testo normativo del 1998.

In ipotesi di contratto di locazione che non rientri in tale previsione normativa dovrà semplicemente accertarsi – anche d’ufficio – la nullità della pattuizione, senza che sia consentito al conduttore ottenere pronuncia giudiziale che valga in luogo del contratto non perfezionato.

L’onere di dimostrare che sussista la situazione di fatto sottesa al principio dettato dalle Sezioni Unite del 2015, sopra richiamate, incombe all’attore ex art 2697 I comma c.c. e non pare essere stato assolto dall’odierna ricorrente, né in ordine alla natura delle esigenze per cui è stato dato corso alla locazione priva di forma, né riguardo alla sussistenza di coercizione da parte del locatore in tal senso”

L’attrice, secondo il Tribunale, non ha dato prova degli elementi costitutivi della domanda e – in ogni caso – poichè il bene è risultato del tutto fuori legge per ciò che attiene alla parte impiantistica, con ordinanza sindacale che ne vieta l’uso, al domanda apparirebbe comunque non accoglibile anche sotto tale profilo: “la circostanza che l’immobile sia dotato di impianti elettrici e di riscaldamento che ne rendono del tutto impossibile l’uso anche temporaneo (peraltro oggi accertato – e vietato – espressamente da provvedimento pubblico ord. Comune F. 40/2017) rende di fatto impossibile l’oggetto del contratto, con ulteriore motivo di nullità ex art. 1346 c.c., attenendo ad aspetti che non incidono sulla liceità (che consente comunque la locazione, cass. 4228/1999) ma sulla possibilità della prestazione dedotta.

Circostanza che se da un lato costituisce ulteriore motivo di nullità rilevabile anche d’ufficio ex art. 1421 c.c., dall’altro impedisce al Giudice – anche a voler tacere della assenza di prova in ordine alla riconducibilità della fattispecie all’art. 13 L. 431/1998 – qualunque pronunzia in ordine al godimento di detto bene volta a sostituire l’inattività del proprietario”.

© massimo ginesi 3 gennaio 2018

l’usufruttuario può impugnare la delibera sui lavori straordinari

oggi sul sole240re.

L’usufruttuario può impugnare la delibera sui lavori straordinari | Quotidiano del Condominio – Il Sole 24 Ore

un tema affrontato da una pronuncia del Tribunale di Massa del 6 novembre 2017già commentata su queste pagine per l’aspetto che attiene alla nullità della nomina dell’amministratore in assenza della indicazione del compenso.

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© massimo ginesi 2 gennaio 2018

danno da cosa in custodia: il condominio rimasto contumace in primo grado può difendersi in appello.

Colui che rimane contumace in primo grado decade dalla facoltà di proporre eccezioni ma può avanzare in ogni stato e grado mere difese: sostenere che il marciapiede su cui il danneggiato assume di essere caduto non ha natura condominiale e che, pertanto, non sussiste responsabilità da cosa in custodia non costituisce eccezione ma rientra fra  le mere difese, che possono essere avanzate anche in sede di appello  dal condominio rimasto contumace in primo  grado. 

E’ quanto affermato da Cass.Civ. III sez. 20 dicembre 2017 n. 30545

La vicenda processuale: “R.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Salerno, il Condominio (omissis) chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a causa di una caduta su di un marciapiede asseritamente di proprietà del Condominio.
Rimasto contumace il convenuto il Tribunale, svolta prova per testi ed una c.t.u., accolse la domanda e condannò il Condominio al risarcimento dei danni liquidati in Euro 14.429,63, con rivalutazione, interessi ed il carico delle spese.
2. La pronuncia è stata appellata dal Condominio soccombente e la Corte d’appello di Salerno, con sentenza del 10 marzo 2016, ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che il marciapiede, pur non rientrando tra le parti comuni di un edificio ai sensi dell’art. 1117 cod. civ., può assumere natura condominiale in relazione alla sua destinazione e che comunque il Condominio, essendo rimasto contumace in primo grado, era decaduto dalla possibilità di eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva sostanziale e, di conseguenza, l’assenza di ogni obbligo a suo carico di manutenzione del marciapiede.”

il principio di diritto :” Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza 16 febbraio 2016, n. 2951, hanno stabilito, tra l’altro, che le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti.

Nel caso in esame, l’obbligazione risarcitoria del Condominio”, sia ai sensi dell’art. 2043 che dell’art. 2051 cod. civ., intanto può essere in astratto prospettabile in quanto risulti che lo stesso è titolare di un diritto di proprietà sul marciapiede dov’è avvenuto l’incidente, dovendosi altrimenti indirizzare la domanda risarcitoria nei confronti del Comune (come di regola avviene, v. la sentenza 3 agosto 2005, n. 16226).

Ne consegue che la titolarità di un diritto dominicale sul marciapiede teatro dell’incidente costituisce presupposto ineliminabile per l’accoglimento della domanda della R. , per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto affermare la tardività della contestazione in conseguenza della contumacia del Condominio in primo grado, non trattandosi di un’eccezione in senso stretto.”

La sentenza di appello è dunque cassata, con rinvio ad altra sezione della stessa corte.

© massimo ginesi 22 dicembre 2017

 

impugnazione di delibera assembleare: l’appello contro la sentenza sempre con citazione.

Ormai da tempo la giurisprudenza ha chiarito che l’impugnativa di delibera assembleare va introdotta con citazione (e non con ricorso): l’appello segue lo stesso rito, anche laddove il giudizio di primo grado sia  stato introdotto con ricorso.

In ogni caso, ai fini del rispetto del termine per l’impugnazione, quale che sia il sistema adottato, vale la notifica all’appellato e non il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice di appello.

Il principio è ribadito da Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30044.

Il ricorso al giudice di legittimità viene proposto contro una sentenza della Corte di Appello di Napoli: “Con sentenza n. 2684 dei 19/27.6.2013 la corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile il gravame, siccome tardivamente proposto, e condannava gli appellanti alle spese.
Evidenziava la corte che il gravame era stato notificato in data 10.2.2009, ben oltre la scadenza – coincidente con l’1.12.2008 – del termine lungo ex art. 327 cod. proc. civ..
Evidenziava altresì che nessun rilievo rivestiva la circostanza che il ricorso, con cui l’impugnazione era stata spiegata, era stato depositato in data 1.12.2008; che invero l’appello era da proporre con citazione, sicché la tempestività del gravame era da riscontrare “in base alla data di notifica dell’atto di citazione e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice ad quem” (così sentenza d’appello, pag. 3).”

La Cassazione richiama, con ampio excursus, principi che ormai dovrebbero essere noti a qualunque operatore del diritto:” Il ricorso va respinto. Alla data – 1.12.2008 – di deposito del ricorso recante l’atto di gravame avverso la sentenza n. 2225/2007 del tribunale di Nola l’indirizzo giurisprudenziale enunciato in via assolutamente prioritaria da questa Corte di legittimità era ben chiaro e si esprimeva nel senso che l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una delibera dell’assemblea condominiale, in assenza di previsioni di legge “ad hoc”, va proposto – secondo la regola generale contenuta nell’art. 342 cod. proc. civ. – con citazione;

cosicché la tempestività dell’appello va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non alla data di deposito dell’atto di gravame nella cancelleria del giudice “ad quem” (cfr. Cass. 8.4.2009, n. 8536; Cass. 25.2.2009, n. 4498, secondo cui, nei procedimenti nei quali l’appello, in base al principio di cui all’art. 342 cod. proc. civ., va proposto con citazione, ai fini della “vocatio in ius”, vale la regola della conoscenza dell’atto da parte del destinatario; cosicché se, erroneamente, l’impugnazione, anziché con citazione, venga proposta con ricorso, per stabilirne la tempestività occorre avere riguardo non alla data di deposito di quest’ultimo, ma alla data in cui lo stesso risulta notificato alla controparte unitamente al provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza; Cass. 11.9.2008, n. 23412, secondo cui, qualora l’appello a sentenza pronunciata in esito ad un giudizio celebrato con rito ordinario (nella specie, impugnazione prevista dall’art. 99 della legge 16.3.1942, n. 267) venga proposto con la forma prescritta per l’appello alle sentenze pronunciate in esito a giudizio camerale, il deposito del ricorso, pur se tempestivo, non è idoneo alla costituzione di un valido rapporto processuale, il quale richiede che l’atto recettizio di impugnazione venga portato a conoscenza della parte entro il termine perentorio stabilito dall’art. 325 cod. proc. civ., nella forma legale della notificazione e nel luogo indicato dall’art. 330 cod. proc. civ., sicché l’eventuale sanatoria di tale atto nullo è ammissibile soltanto a condizione che non si sia verificata “medio tempore” alcuna decadenza – quale, appunto, quella conseguente all’inosservanza del termine perentorio entro il quale deve avvenire la ricezione dell’atto – che abbia determinato il passaggio in giudicato della sentenza e, quindi, l’inammissibilità dell’appello; Cass. 11.4.2006, n. 8440, secondo cui in tema di condominio, l’impugnazione della delibera dell’assemblea può avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione, ma in quest’ultima ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all’art. 1137 cod. civ., occorre tenere conto della data di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, anziché di quella del successivo deposito in cancelleria, che avviene al momento dell’iscrizione a ruolo della causa).

In questo quadro non si delineano i margini dell’”overruling”.

Viepiù giacché l’insegnamento, di segno contrario, espresso da questa Corte con la pronuncia n. 18117 del 26.7.2013 (secondo cui in tema di impugnazione delle deliberazioni assembleari del condominio, qualora il giudizio di primo grado sia stato introdotto con ricorso, anziché con citazione, può essere introdotto con ricorso anche il giudizio di appello, e, in questo caso, il rispetto del termine di gravame è assicurato già dal deposito del ricorso in cancelleria, a prescindere dalla sua successiva notificazione) non solo è evidentemente minoritario, ma risulta “contraddetto” dal successivo arresto n. 23692 del 6.11.2014 di questo stesso Giudice del diritto (secondo cui l’appello avverso la sentenza che abbia pronunciato sull’impugnazione di una deliberazione dell’assemblea di condominio, ai sensi dell’art. 1137 cod. civ., va proposto, in assenza di specifiche previsioni di legge, mediante citazione in conformità alla regola generale di cui all’art. 342 cod. proc. civ., sicché la tempestività del gravame va verificata in base alla data di notifica dell’atto e non a quella di deposito dello stesso nella cancelleria del giudice “ad quem”) esattamente conforme al prioritario indirizzo ricostruttivo già consolidatosi in precedenza e comunque consolidato alla data dell’1.12.2008 (nel medesimo senso cfr. ulteriormente Cass. (ord.) 5.4.2017, n. 8839).

Al cospetto del riferito “stato” dell’elaborazione giurisprudenziale ben avrebbero potuto e dovuto i ricorrenti alla data dell’1.12.2008 (allorché ebbero a depositare nella cancelleria della corte d’appello di Napoli il ricorso recante atto di gravame avverso la sentenza di prime cure del tribunale di Nola) aver piena cognizione dell’indirizzo giurisprudenziale del tutto prioritario e su tale scorta proporre l’atto di gravame nella forma “dovuta”, cioè mediante atto di citazione, o quanto meno notificare il ricorso entro l’1.12.2008.”

© massimo ginesi 21 dicembre 2017

 

regolamento contrattuale e innovazioni: quando la valutazione è rimessa ad un terzo.

un caso singolare giunge all’esame della corte di legittimità (Cass.Civ. II sez. 19 dicembre 2017 n. 30528 rel. Scarpa): un regolamento di natura contrattuale rimette al progettista del fabbricato (o ad altro architetto) la valutazione di ammissibilità delle  future innovazioni destinate ad incidere  sul prospetto dell’edificio.

Il motivo di contesa riguarda una serra solare realizzata sul giardino di proprietà esclusiva e in aderenza alla facciata condominiale dal condomino del piano terreno; la vicenda è stata decisa nel merito dal giudice di secondo grado di Milano “La Corte d’Appello ha affermato che l’art. 25 del Regolamento condominiale rimettesse ogni opera, che potesse variare le caratteristiche delle facciate, al “preventivo ed insindacabile benestare scritto” dell’architetto E. Z., progettista dell’edificio (ovvero in futuro ad altro architetto da nominare).

Ciò, secondo la Corte di Milano, significava rimettere, mediante scelta condivisa con l’accettazione del regolamento all’atto dell’acquisto delle singole unità, ad un “soggetto qualificato” la verifica “del rispetto del requisito che la legge impone”.

I giudici di appello definivano la serra realizzata “funzionale ad accrescere la vivibilità dell’appartamento e ad assicurare la fruibilità per qualsiasi occasione anche di svago e di tempo libero”, ed escludevano l’applicabilità dell’art. 907 c.c. in tema di distanze dalle vedute, come anche la violazione dell’art. 1102 c.c., trattandosi di opera realizzata a piano terra, nel giardino di proprietà esclusiva, in aderenza alla facciata condominiale e non preclusiva del pari uso del bene comune”.

in via preliminare il giudice di legittimità osserva che “L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie del vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, 23/01/2007, n. 1406; Cass. Sez. 2, 14/07/2000, n. 9355).”

La Corte rileva che ad avviso del giudice di merito il regolamento non costituisce deroga alla disciplina codicistica: “A pagina 3, la sentenza impugnata ha spiegato di intendere l’art. 25 del Regolamento di condominio non come “deroga alla norma civilistica”, quanto come “scelta condivisa con l’accettazione del regolamento condominiale”, diretta a “rimettere ad un soggetto particolarmente qualificato” la constatazione della non alterazione del decoro architettonico riferibile agli interventi sulla facciata dell’edificio.

Questa Corte ha già spiegato in passato come la disposizione di cui al quarto comma dell’art. 1138 c.c., secondo cui le norme del regolamento di condominio (anche in ipotesi di cosiddetto regolamento contrattuale) non possono in nessun caso derogare, tra l’altro, a quanto stabilito nell’art. 1120 dello stesso codice, impedisce comunque l’esecuzione di opere e lavori lesivi del decoro dell’edificio condominiale o di parte di esso (Cass. Sez. 2, 26/05/1990, n. 4905; Cass. Sez. 2, 15/01/1986, n. 175).

Tuttavia, una clausola del regolamento condominiale, quale quella in esame, che, per le modifiche esterne ed interne delle proprietà individuali incidenti sulle facciate dell’edificio, richieda il benestare scritto dell’architetto progettista del fabbricato, ovvero di altro architetto da nominare, non costituisce deroga agli artt. 1120 e 1122 c.c., dando luogo, piuttosto, a vincoli di carattere reale tipici delle servitù prediali (e non a limitazioni di portata meramente obbligatoria), nel senso di specificare i limiti di carattere sostanziale delle innovazioni (cfr. Cass. Sez. 2, 16/10/1999, n. 11688), mediante predisposizione di una disciplina di fonte convenzionale, espressione di autonomia privata, che pone nell’interesse comune una peculiare modalità di definizione dell’indice del decoro architettonico.

E’ poi costante l’orientamento di questa Corte ad avviso del quale la disciplina dettata dall’art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute non trova applicazione in ambito condominiale (Cass. Sez. 2, 03/08/2012, n. 14096; anche Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1989).

Più in generale, nell’applicare in materia di condominio le norme sulle distanze legali (nella specie con riferimento al diritto di veduta), spetta al giudice di merito, con apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., tener conto in concreto della struttura dell’edificio, delle caratteristiche dello stato dei luoghi e del particolare contenuto dei diritti e delle facoltà spettanti ai singoli condomini, verificando, nel singolo caso, come fatto dalla Corte di Milano, la compatibilità dei rispettivi diritti dei condomini (Cass. Sez. 2, 11/11/2005, n. 22838).

Così come la realizzazione da parte di un condomino di una modifica nella sua proprietà esclusiva (nella specie, realizzazione di una serra) in aderenza alla facciata dell’edificio quale pertinenza del rispettivo appartamento, ai fini dell’utilizzo delle parti comuni, rimane sottoposta, ai sensi dell’art. 1102 c.c., al divieto di alterare la destinazione della cosa comune, nonché a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto; ma l’accertamento se l’opera del singolo condomino, mirante ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, sia conforme o meno alla destinazione della cosa comune, è compito del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (e la Corte d’Appello ha ben spiegato a pagina 4 della sentenza le ragioni per cui la realizzazione della serra potesse essere considerata esplicazione del normale uso della cosa comune).

sulle distanze la Corte osserva ancora che “la Corte di Milano ha invece affermato che l’art. 27 del Regolamento edilizio del Comune di Milano non trovasse applicazione al caso in esame, trattandosi comunque di nuova costruzione avvenuta all’interno di un edificio condominiale, con ciò facendo ancora una volta applicazione del principio giurisprudenziale per il quale le norme sulle distanze sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale soltanto se compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (Cass. Sez. 2, 18/03/2010, n. 6546).”

© massimo ginesi 20 dicembre 2017 

sussiste condominio anche fra più corpi di fabbrica che hanno copertura comune.

E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte con recentissima decisione (Cass.Civ. II sez. ord. 18 dicembre 2017 n. 30307): ove un complesso immobiliare sia costituito da più corpi di fabbrica coperti da un unico lastrico tale bene dovrà ritenersi comune ed assoggettato al regime del condominio.

Osserva la corte che

il giudice di merito aveva ritenuto che il complesso immobiliare costituisse una struttura funzionalmente unica

Il regime di presunzione  per destinazione funzionale previsto dall’art. 1117 cod.civ.  opera in assenza di titolo che disponga diversamente

ai fini della valutazione sulla condominiali del solaio è poi indifferente che il bene preveda un uso concreto da parte di tutti i condomini, essendo sufficiente a tal fine la sua attitudine  funzionale

© massimo ginesi 18 dicembre 2017

 

balconi aggettanti: valenza decorativa e litisconsortio necessario fra i condomini.

La Suprema Corte ha delineato in più occasioni la natura dei balconi aggettanti, ascrivendoli alla proprietà esclusiva del singolo, salvo per quelle componenti che – contribuendo a costituire il prospetto del fabbricato – debbano essere ritenute comuni.

La Corte ritorna sul tema (Cass.Civ. II sez. 14 dicembre 2017 n. 30071 rel. Scarpa), rilevando – sotto il profilo processuale -che ove si chieda al giudice un provvedimento diretto ad incidere sul diritto di proprietà di quelle parti comuni del balcone, sussista litisconsortio necessario di tutti i condomini.

I FATTI –  “A. C., proprietario di appartamento in Benevento, via L.M. di S. 25, ha proposto ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza 24 giugno 2015, n. 2859/2015, resa dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale, in accoglimento dell’impugnazione formulata da V.P., ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Benevento in data 22 gennaio 2009 per difetto di litisconsorzio necessario.

Il giudizio aveva avuto inizio con citazione del 20 luglio 2006 con cui A. C. aveva convenuto davanti al Tribunale di Benevento V.P.., per sentire condannare quest’ultimo ad eliminare le cause della caduta d’acqua dal balcone dell’unità immobiliare di sua proprietà sul sottostante balcone di proprietà C.. Il Tribunale, accogliendo la domanda di A. C., aveva condannato V. P. ad eseguire le necessarie opere indicate dal CTU per l’eliminare il denunciato inconveniente.

La Corte d’Appello di Napoli accertava, tuttavia, che i parapetti aggettanti dei balconi dell’edificio di via L. M. di S. n. 25, Benevento, per loro forma, materiali e colore, avessero funzione di accrescere la gradevolezza estetica del fabbricato, e perciò rientrassero tra le parti comuni ex art. 1117 c.c., di proprietà di tutti i condomini, con conseguente difetto del necessario contraddittorio e rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c.”

IL PRINCIPIO DI DIRITTO – A.C. ricorre in cassazione, contestando la natura comune del parapetto. LA corte rigetta il ricorso, osservando che “Per orientamento consolidato di questa Corte, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’ art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, nè essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 21/01/2000, n. 637 del; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576; Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624).

L’accertamento del giudice del merito che il parapetto del fronte dei balconi degli appartamenti di un edificio assolva prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio (quale, nella specie, quello operato dalla Corte d’Appello di Napoli, alla tregua delle risultanze della CTU) costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.

Ciò premesso, l’azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto degli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, relativi ai frontali ed ai parapetti), costituenti, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117, n. 3, Ric. 2015 n. 27722 sez. 52 – ud. 25-10-2017 -4- c.c., va proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data” (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11109 del 15/05/2007).

Si consideri, infine, che la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve essere valutata non “secundum eventum litis” (ovvero, come assume il ricorrente, sulla base delle diverse modalità attuative dell’intervento tecnico di ripristino del balcone che il giudice potrebbe disporre), ma al momento in cui l’azione sia proposta, valutando se la stessa, sulla base del “petitum” (e, cioè, del risultato perseguito in giudizio dall’attore con la sua domanda), sia potenzialmente diretta anche ad una modificazione della cosa comune.”

© massimo ginesi 18 dicembre 2017