spigolatura, raspollatura, Eco, il condominio e il web…

accade in questi anni futuristici (specie per me che sono cresciuto battendo affascinato i tasti  della Olivetti Ico di mio padre) di girare stupiti per il web, ancora ammirati dalla rapida e copernicana evoluzione dei costumi, dalla massa di dati disponibili, dalla facilità di editazione  di commenti e testi, dalla infinita massa di scritti, studi, nozioni  utilizzabili con grande facilità…

Gli ultimi venti anni sono stati un balzo in qualcosa che nessuno, prima, avrebbe potuto facilmente immaginare. Giusto una trentina di anni fa mi laureavo, con una tesi   scritta con un Commodore64, qualcosa che era potente un millesimo  dell’ultimo dei cellulari scarsi oggi in circolazione ed in compenso era grande dieci volte tanto.

E proprio la mattina della discussione della tesi si scherzava con un compagno di corso marchigiano – chissà dove sarà finito – sulla spigolatura e la raspollatura, due reati tipici di tempi già allora da molto tramontati, e che richiamano prassi e attività che si ponevano come anello ultimo della catena di utilizzazione di un bene.

(Bozzini, il furto  campestre, Bari 1977)  

Ebbene, oggi chi ara il web alla ricerca di notizie e di dati, per studio, per professione, per aggiornamento, per esigenze editoriali o scientifiche, spesso e involontariamente inciampa in autentiche perle, che meritano di non essere trascurate.

Un pò come quelle spighe sfuggite al raccolto e che gli spigolatori e i raspollatori andavano invece a cercare di proposito.

Una volta di più, da queste “arature”, emerge quanto il web e la sua impressionante massa di dati, in assenza di solide cognizioni in capo a chi lo utilizza , possa essere pericoloso e fuorviante.

Del resto solo pochi anni fa  Umberto Eco aveva preconizzato i possibili inconvenienti della “cultura” virtuale: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. E’ l’invasione degli imbecilli”

 

© massimo ginesi 9 luglio 2018 

  

accertamento della qualità di condomino: interesse ad agire e legittimazione passiva.

La domanda con cui il singolo chieda al giudice di accertare la propria qualità di condomino all’interno di un edificio, essendo volta ad accertare la contitolarità di diritti reali va proposta contro gli altri condomini (in regime di litisconsortio necessario) e non contro l’amministratore.

E’ quanto statuisce con ordinanza, ribadendo principi cardine dell’ordinamento,  Cass. civ. Sez. VI-2 25 giugno 2018 n. 16679 rel. Scarpa.

Il provvedimento si sofferma, con interessante argomentazione, anche sull’interesse ad agire del singolo, posto che l’accertamento della situazione di condominialità contiene un interesse implicito, per i diritti ed obblighi che derivano dalla stessa, senza necessità di dimostrazione  di un fine specifico dell’azione .

Come da questa Corte più volte affermato, poichè la tutela giurisdizionale è tutela di diritti, il processo, salvo casi eccezionali predeterminati per legge, può essere utilizzato solo come fondamento del diritto fatto valere in giudizio e non di per sè, per gli effetti possibili e futuri.

Pertanto, non sono proponibili azioni autonome di mero accertamento di fatti giuridicamente rilevanti ma che rappresentino elementi frazionistici della fattispecie costitutiva di un diritto, la quale può formare oggetto di accertamento giudiziario solo nella funzione genetica del diritto azionato e quindi nella sua interezza (Cass. Sez. U, 20/12/2006, n. 27187).

L’interesse ad agire, che conferisce titolo per proporre in giudizio una domanda, a sensi dell’art. 100 c.p.c., inteso quale bisogno inevitabile di ricorrere al giudice per evitare una lesione attuale o parziale del proprio diritto, va quindi valutato sulla base dell’interpretazione e qualificazione dei rapporti e delle situazioni dedotte nel materiale assertivo fornito dalle parti in causa.

Non va dunque condivisa la motivazione della Corte d’Appello secondo cui il M. avrebbe dovuto dedurre quale utilità gli derivasse dall’accertamento della qualità di condomino (e non di mero assegnatario dell’alloggio), dovendosi ravvisare l’interesse ad agire, e quindi ad impugnare, in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento di una pronuncia che riconosca ad un soggetto lo status di condomino, affinchè questi si legittimi di fronte al condominio quale nuovo titolare dei diritti e dei doveri di condominio (agli effetti, ad esempio, della comproprietà delle parti comuni, e quindi dell’uso delle cose e della fruizione dei servizi, nonchè della legittimazione a partecipare alle deliberazioni assembleari e della soggezione all’onere del contributo delle spese).

Tuttavia, la domanda di accertamento della qualità di condomino, ovvero di appartenenza di un’unità immobiliare in proprietà esclusiva ad un condominioedilizio, in quanto inerente all’esistenza, o meno, del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo (come avvenuto nella specie), imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

copyright massimo ginesi 9 luglio 2018

canna fumaria e decoro architettonico

Cass.Civ.  sez.II 28 giugno 2018 n. 17102 ribadisce un principio consolidato: è consentito al singolo utilizzare i beni comuni (nella fattispecie la facciata) per utilità individuali, purché ciò non alteri statica, decoro e pari uso degli altri aventi diritto; a tal fine il decoro è rappresentato dalla complessiva armonia dell’edificio, quale che sia la sua rilevanza estetica ed architettonica, essendo suscettibili di essere lese anche le linee costruttive  complessive di un edificio non di pregio.

“Costituisce innovazione lesiva del decoro architettonico del fabbricato condominiale, come tale vietata, non solo quella che ne alteri le linee architettoniche, ma anche quella che comunque si rifletta negativamente sull’aspetto armonico di esso, a prescindere dal pregio estetico che possa avere l’edificio. La relativa valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (fattispecie relativa alla realizzazione di una canna fumaria).”

© massimo ginesi 6 luglio 2018 

lite temeraria ex art. 96 comma III c.p.c.: un deterrente alle iniziative sconsiderate, ascrivibile al genus dei punitive damages

Con il termine punitive damages si identificano, negli ordinamenti anglosassoni, istituti volti a riconoscere al danneggiato da una condotta illecita un indennizzo; tale riconoscimento  prescinde dalla prova di un danno effettivo e ha natura sanzionatoria della condotta di mala fede tenuta dal responsabile.

In Italia sono spesso indicati con la locuzione “danni punitivi”, anche se appare più corretto indicarli con indennizzi punitivi (atteso il significato letterale del termine damages al plurale).

L’art. 96 comma III c.p.c., introdotto nel codice di rito dalla L. 18.6.2009 n. 69, è ascritto proprio a tale categoria, poichè consente al giudice, ogni volta che condanna alle spese di lite il soccombente, di condannarlo anche al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, condanna che prescinde dalla istanza di parte, dalla prova di un danno specifico subito dalla parte vittoriosa e della prova dell’elemento soggettivo, elementi invece richiesti dal comma I della norma.

Che tale fattispecie risulti ascrivibile all’istituto di origine anglosassone e abbia diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento è principio espresso già Cass.Civ. sez.un. 5 luglio 2017 n. 16601 (qui per una attenta disamina) .

La suprema corte ritorna sul tema (Cass.Civ. sez.III ord. 26 giugno 2018 n. 16801), ribadendo la funzione deterrente e sanzionatoria della norma, volta a scoraggiare iniziative giudiziali prive di costrutto.

© massimo ginesi 5 luglio 2018

luci e vedute sul cortile comune: non si applicano le norme sulle distanze

La giurisprudenza di legittimità ( Cass.Civ. sez.II ord. 27 giugno 2018 n. 17002)  conferma l’applicabilità relativa delle norme in tema di distanze all’interno del condominio e, in particolare, la specialità dell’art. 1102 cod.civ. rispetto a tali precetti,  laddove si intendano aprire vedute dalla proprietà esclusiva su aree condominiali o comuni.

i fatti e il processo di merito: “con atto di citazione notificato in data 11 marzo 2005 L.A. conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Sondrio, P.M. e A. chiedendo che le opere da questi eseguite sul fabbricato sito nel Comune di (…) (f. (…), mapp. (…)) contiguo alla propria casa (f. (…), mapp. (…) ora (…)) e alla corte comune (f. (…) mapp. (…)), realizzate in sopraelevazione dell’edificio in violazione delle vigenti N.T.A. e del P.R.G., con apertura di vedute, luci e balconi sulla corte comune senza il rispetto delle relative distanze o senza i requisiti di legge, venissero demolite o riportate nei limiti della legalità…

il Tribunale di Sondrio, respinta ogni altra domanda ed eccezione, condannava i convenuti alla eliminazione delle nuove vedute dirette e dei balconi realizzati sulla corte comune, mapp. (…), nonché alla regolarizzazione delle luci aperte sulla medesima corte, sulla scorta del dettato di cui gli artt. 901 e 902 c.c…con sentenza depositata il 15 maggio 2013, la Corte d’appello di Milano rigettava entrambi gli appelli e confermava la sentenza del Tribunale di Sondrio”

il principio di diritto: “secondo la prevalente e più recente giurisprudenza di questa Corte, la regolamentazione generale sulle distanze è applicabile quando lo spazio su cui si apre la veduta sia comune, in quanto in comproprietà tra le parti in causa o in condominio, soltanto se compatibile con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, dovendo prevalere in caso di contrasto la fondamentale regola di cui all’art. 1102 c.c., in ragione della sua specialità, a termini della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, senza alterarne la destinazione o impedire agli altri partecipanti di farne pari uso (Cass. 19 dicembre 2017, n. 30528; Cass. 9 giugno 2010, n. 13874; Cass. 19 ottobre 2005, n. 20200, risultando superato l’orientamento risalente a Cass. 21 maggio 2008, n. 12989, secondo cui la qualità comune del bene su cui ricade 13 veduta non esclude il rispetto delle distanze predette);

che sulla base del principio nemini res sua servit e della considerazione che i cortili condominiali o, comunque, comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo, dai proprietari del bene comune o dai condomini, tenuti solo al rispetto dell’art. 1102 c.c. (Cass. n. 20200/2005);

che, pertanto, nell’ambito delle facoltà riconosciute rientra anche quella di praticare aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte dagli artt. 901-907 c.c. a garanzia della libertà dei fondi confinanti di proprietà esclusiva, della riservatezza e sicurezza dei rispettivi titolari, considerato che tali modalità di fruizione del bene comune ordinariamente non comportano ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizi agli immobili di proprietà esclusiva;

che, pertanto, erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la deroga alla normativa sulle vedute, sui balconi e sulle luci riguardi soltanto i fabbricati condominiali, ovvero i casi in cui già sussisteva un’analoga servitù di veduta, trovando applicazione i principi richiamati anche nell’ipotesi di proprietà comune di un cortile non condominiale, essendo l’art. 1102 c.c. dettato per regolare il godimento del bene in comunione“.

© massimo ginesi 3 luglio 2018 

il condomino che ha anticipato spese non urgenti non ha mai diritto a rimborso.

Laddove il giudice ritenga che la spesa effettuata dal singolo condomino per un intervento non urgente su parti comuni non sia riconducibile alla fattispecie prevista dall’art. 1134 cod.civ., il relativo onore rimarrà in capo a chi ha effettuato l’esborso né costui potrà giovarsi di altri rimedi quali l’arricchimento senza causa.

Il principio (condivisibile) è affermato da Cass.Civ. sez.III ord. 28 giugno 2018 n. 17027 che sottolinea come, altrimenti, riconoscere un diritto alla ripetizione delle somme significherebbe in qualche modo legittimare l’iniziativa del condomino, in contrasto  con l’art. 1134 cod.civ.

il carattere di sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa postula che l’attore ex ante non abbia a disposizione altra azione per farsi indennizzare dal pregiudizio subito.

Tanto non si è verificato nel caso di specie, nel quale, ex ante ed in astratto, il condomino che abbia affrontato spese urgenti, al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute, può avvalersi del rimedio di cui all’art. 1134 c.c.. E dall’intervenuto rigetto della domanda di rimborso, in concreto avanzata dal Ro. ai sensi di detto articolo, non può evincersi ex post l’inesperibilità di un’azione specifica e, quindi, l’esperibilità da parte del Ro. dell’azione sussidiaria di arricchimento senza causa.

D’altronde, per principio generale, l’azione di arricchimento senza causa non può rappresentare uno strumento per aggirare divieti di rimborsi o di indennizzi posti dalla legge; mentre, nel caso di specie (nel quale le opere sono state ritenute non urgenti), opinando diversamente, si finirebbe con l’ammettere l’iniziativa non autorizzata del singolo condomino nell’amministrazione del Condominio.

In definitiva, va ribadita la giurisprudenza di legittimità (cfr., di recente, Sez. 2, sent. n. 20528 del 30/08/2017, Rv. 645234-01) secondo la quale al condomino – al quale non sia riconosciuto il diritto al rimborso delle spese sostenute per la gestione delle parti comuni, per essere carente il presupposto dell’urgenza (richiesto dall’art. 1134 c.c.) – non spetta neppure il rimedio sussidiario dell’azione di arricchimento senza causa: sia perché detta azione non può essere esperita in presenza di un divieto legale di esercitare azioni tipiche in assenza dei relativi presupposti sia perché – nel caso in cui la spesa, per quanto non urgente, sia necessaria – il condomino interessato ha facoltà di agire perché sia sostenuta, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1133cc (con ricorso all’assemblea) e 1137 e 1105 (con ricorso all’autorità giudiziaria), con conseguente inesperibilità dell’azione ex art. 2041 c.c. per difetto del carattere della sussidiarietà.”

© massimo ginesi 2 luglio 2018