le azioni reali che non siano mero atto conservativo richiedono delibera assembleare

E’ quanto ribadisce, seguendo un principio consolidato, Cass.Civ. sez. II 23 luglio 2018, n. 19489.

L’ordinanza del giudice di legittimità riguarda una vicenda in cui un condomino, titolare di un box auto, aveva annesso alla sua proprietà un cospicuo tratto della contigua intercapedine condominiale. Il condominio agiva in rivendica e otteneva sentenza favorevole sia in primo che i  secondo grado.

I proprietari delibera box ricorrono in cassazione, ma il ricorso è rigettato: “Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per mancata declaratoria del difetto di legittimazione dell’amministratore del condominio, in relazione all’oggetto del giudizio, trattandosi di azione reale, concernente le parti comuni dell’edificio.
Il motivo è infondato.

In tema di condominio le azioni reali da esperirsi contro i singoli condomini (o contro terzi) e dirette ad ottenere statuizioni relative alla titolarità, al contenuto o alla tutela dei diritti reali dei condomini su cose o parti dell’edificio comune che esulino dal novero degli atti meramente conservativi (al cui compimento l’amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1130 n.4 c.c.) possono essere esperite dall’amministratore solo previa autorizzazione dell’assemblea ex art. 1131 comma 1, adottata con la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c. (Cass. 5147/2003; 40/2015).

Dall’applicazione di tale principio deriva la ritualità dell’azione intrapresa dal condominio, giacché, nel caso di specie, l’iniziativa giudiziaria è stata deliberata all’unanimità, presente la maggioranza dei condomini dei millesimi: detta delibera è pertanto idonea ad attribuire all’amministratore condominiale il potere rappresentativo e la legittimazione processuale.”

© massimo ginesi 25 luglio 2018 

 

terrazze a livello e lastrici solari sono comuni ex art. 1117 cod.civ., se il titolo non dispone diversamente.

La Suprema Corte  (Cass.civ. sez. II ord. 23 agosto 2017, n. 20287  Rel. Scarpa) ribadisce un orientamento consolidato in tema di coperture piane del fabbricato, con una motivazione che – seppur in sintesi – traccia con grande efficacia i contorni della materia.

Il fatto e la vicenda processuale: “La Corte d’Appello di Napoli ha riformato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 21/11/2006 ed ha accolto in parte la domanda, proposta da C.O. , C.R. e C.G. con citazione del 28/04/1997, ordinando a G.M. di rimuovere i manufatti (veranda e relativi paletti di sostegno, muretto portante una stufa, cancello di accesso) realizzati sul lastrico di copertura dei locali terranei di proprietà C. , adibiti ad esercizio commerciale e siti in (omissis) .

In citazione, come si legge nella sentenza impugnata, gli attori avevano allegato che l’area di copertura dei locali terranei di loro proprietà fosse costituita in parte da lastrico impraticabile e per la residua parte da “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “.

Ha affermato la Corte d’Appello che in tal modo gli attori C. avessero riconosciuto al G. solo l’”uso di fatto” della parte adibita a terrazza, e non anche “il titolo giuridico a possedere”.

Il Ctu, si legge ancora nella sentenza impugnata, aveva verificato come il locale terraneo di proprietà C. avesse uno sviluppo di circa 160 mq, mentre il terrazzo pertinente l’appartamento di proprietà G. , avente uno sviluppo complessivo di circa 190 mq, si sovrappone all’immobile C. per circa 110 mq, e la residua superficie di copertura del terraneo è non praticabile. Sempre il Ctu aveva accertato che l’appartamento G. ha un terrazzo che insiste in parte su fabbricato adiacente con titolarità differente e che l’accatastamento della porzione di terrazzo collegata all’appartamento era avvenuta senza titolo di provenienza.

I giudici di appello hanno così concluso che, non avendo il G. allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà superficiaria, la porzione di lastrico sovrastante i terranei di proprietà C. fosse stata abusivamente occupata dal G. con le opere denunciate, “non potendo detta porzione di lastrico, benché di fatto in uso al G. , qualificarsi né comune ex art. 1117 c.c., né di proprietà esclusiva del convenuto”

I principi riaffermati dal giudice di legittimità: “La Corte d’Appello di Napoli, nell’ambito dell’indagine, spettante ai giudici del merito, diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non si è uniformata al tenore meramente letterale della citazione (nella quale, come visto, gli attori avevano allegato l’esistenza di un “terrazzo in uso esclusivo del sig. G.M. “), ma, per converso, avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dagli istanti, ha concluso che gli attori C. riconoscessero al G. un mero “uso di fatto” della parte adibita a terrazza, vantandosi, pertanto, pieni proprietari dell’area abusivamente occupata dai convenuti.

Ciò premesso, in termini di prova, la sentenza impugnata ha penalizzato il G. per non aver egli allegato e provato un titolo di acquisto della proprietà esclusiva della terrazza sovrastante i terranei C. , negando altresì che la stessa potesse presumersi come comune agli effetti dell’art. 1117 c.c..

Nella sua decisione, la Corte d’Appello ha così malamente applicato l’art. 1117 c.c., alla stregua dell’interpretazione affermata da Cass. Sez. 2, 22/11/1996, n. 10323, che il Collegio intende qui ribadire.

Invero, l’art. 1117, n. 1, c.c. menziona tra i beni comuni i tetti ed i lastrici solari, i quali sono parti essenziali per l’esistenza del fabbricato, in quanto per la struttura e per la funzione servono da copertura all’edificio e da protezione per i piani o per le porzioni di piano sottostanti dagli agenti atmosferici, mentre tale disposizione non fa espresso riferimento alle terrazze a livello, le quali, tuttavia, pur offrendo rispetto al lastrico utilità ulteriori, quali il comodo accesso e la possibilità di trattenersi, svolgono altresì le medesime funzioni di copertura dell’edificio e di protezione dagli agenti atmosferici, e devono perciò ritenersi di proprietà comune proprio ai sensi dell’art. 1117, n. 1, c.c., rimanendo attribuite in condominio ai proprietari delle singole unità immobiliari.

Tale identità di funzione tra terrazza a livello e lastrico solare è, del, resto alla base della comune pacifica applicazione ad entrambi dell’art. 1126 c.c.

Quest’ultima norma, nel prevedere la possibilità di “uso esclusivo” del lastrico solare o della terrazza (espressione identica a quella adoperata dagli attori in citazione), non specifica la natura giuridica di tale diritto, il quale può avere carattere reale o personale, ma deve comunque risultare dal titolo; in mancanza di titolo attributivo di un siffatto uso esclusivo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della terrazza – lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell’edificio condominiale, e che tale regime non è escluso dal solo fatto che dal bene uno o più comproprietari traggano utilità maggiori rispetto agli altri (così Cass. Sez. 2, 09/08/1999, n. 8532; Cass. Sez. 2, 21/05/1974, n. 1501).

È del resto ammissibile, per quanto si desume dall’art. 61 disp. att. c.c., che, pur in presenza di fabbricati che presentino elementi di congiunzione materiale, allorché vengano costituiti condomini separati per le parti aventi i connotati di autonomi edifici, uno dei titolari di porzioni esclusive si ritrovi proprietario di un immobile ricadente in entrambi i condomini (arg. da Cass. Sez. 6 – 2, 23/03/2017, n. 7605; Cass. Sez. 2, 01/03/1995, n. 2324; Cass. Sez. 2, 07/08/1982, n. 4439).

In definitiva, la deroga all’attribuzione legale al condominio e l’attribuzione in proprietà o uso esclusivo della terrazza a livello possono derivare solo dal titolo, mediante espressa disposizione di essi nel negozio di alienazione, ovvero mediante un atto di destinazione da parte del titolare di un diritto reale.

Non è determinante considerare la terrazza a livello come pertinenza dell’appartamento da cui vi si accede, in quanto ciò supporrebbe l’autonomia ontologica della terrazza e l’esistenza del diritto reale su di essa, che consenta la sua destinazione al servizio dell’appartamento stesso, in difformità dall’attribuzione ex art. 1117 c.c., laddove, a norma dell’art. 819 c.c., la destinazione al servizio pertinenziale non pregiudica i diritti dei terzi, e quindi, non può pregiudicare i diritti dei condomini sulla cosa comune.

D’altro canto, la Corte di Napoli, una volta interpretata la domanda come un’azione di rivendica, in quanto fondata sull’affermazione della proprietà della terrazza di copertura in capo agli attori, e rivolta nei confronti di chi detenesse “di fatto” la cosa per ottenerne la restituzione, avrebbe dovuto onerare proprio gli attori di fornire la rigorosa prova piena del loro diritto esclusivo, dimostrando il loro titolo di acquisto e quello dei loro danti causa, sino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario.”

La sentenza di merito è dunque cassata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di appello.

© massimo ginesi 30 agosto 2017

il lastrico solare conteso da luogo ad azione di rivendicazione.

La Cassazione ( Cass. civ. II sez. 18 gennaio 2017 n. 1210 rel. Scarpa) affronta un tema complesso e che tocca il cuore della disciplina dei diritti reali: come va qualificata l’azione di colui che agisce per vedersi riconosciuto proprietario di un bene e per far cessare attività di terzi che ne pregiudicano l’utilizzazione esclusiva ?

La vicenda riguarda un lastrico solare conteso fra più condomini: “Con citazione del 20 aprile 2004 F.G. e Bo.Ro. convenivano davanti al Tribunale di Milano B.S. e il Condominio di via (omissis) , chiedendo che fosse accertato il diritto di proprietà indivisa, in capo agli attori stessi ed al B. , della terrazza costituita dal lastrico solare, soprastante una porzione al piano terreno dello stabile condominiale, terrazza alla quale avevano accesso, attraverso le rispettive porte finestre, gli attori e il convenuto B. , proprietari di unità immobiliari ad essa adiacenti”

Osserva la corte che “F.G. e Bo.Ro. hanno invocato nel presente giudizio la loro qualità di comproprietari, insieme al convenuto B.S. , del terrazzo esistente tra le unità immobiliari di loro rispettiva titolarità esclusiva, comprese nell’edificio condominiale di via (omissis) . Su tale terrazzo gli attori hanno lamentato che il convenuto avesse costruito arbitrariamente un lucernaio che pregiudicava il loro utilizzo del bene comune, e perciò ne chiedevano la demolizione con il ripristino dell’originaria pavimentazione.”

in forza di tale qualificazione viene tratteggiato il principio di diritto applicabile. Pare che la Suprema Corte si orienti verso una disciplina probatoria unitaria (e restrittiva) per ogni azione che presupponga una controversia sul diritto di proprietà, sfumando pressoché completamente il labile confine fra accertamento e rivendica: “Secondo, quindi, l’orientamento di questa Corte, erroneamente ritenuto non applicabile nel caso di specie dalla Corte d’Appello di Milano, gli attori dovevano soggiacere all’onere di offrire la prova rigorosa prescritta in tema di azione di rivendica della proprietà ex art. 948 c.c., avendo agito per ottenere – previo accertamento della comunione – il recupero della piena utilizzazione della terrazza, mediante demolizione del lucernaio costruito dal convenuto che pregiudicava il loro utilizzo del bene comune e ripristino della situazione dei luoghi, ovvero allo scopo di conseguire un provvedimento che consentisse loro l’esercizio dei poteri spettanti ai comunisti nell’uso del bene e quindi disponesse la modifica dello stato di fatto (cfr. da ultimo Cass. 11 maggio 2016, n. 9656, non massimata; Cass. 24 febbraio 2004, n. 3648).
È stato effettivamente affermato in passato da questa Corte che colui il quale proponga un’azione di mero accertamento della proprietà di un bene non abbia l’onere della “probatio diabolica”, ma soltanto quello di allegare e provare il titolo del proprio acquisto, quando l’azione non miri alla modifica di uno stato di fatto, bensì unicamente all’eliminazione di uno stato di incertezza circa la legittimità del potere di fatto sulla cosa di cui l’attore è già investito (Cass. 14 aprile 2005, n. 7777; Cass. 9 giugno 2000, n. 7894; Cass. 4 dicembre 1997, n. 12300). In altre pronunce, viceversa, si è negata ogni attenuazione dell’onere probatorio del titolo del preteso dominio della proprietà, rispetto all’azione di rivendica, per chi proponga un’azione di accertamento della proprietà di un bene (Cass. 22 gennaio 2000, n. 696). Quest’ultima più rigorosa interpretazione potrebbe ora trovare corroborazione pure negli argomenti posti da Cass. sez. un. 28 marzo 2014, n. 7305, nel senso di non ammettere alcuna elusione dall’onere della probatio diabolica ogni qual volta sia proposta un’azione, quale appare pure quella di accertamento, che trovi il proprio fondamento comunque nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione.
Rimane comunque che F.G. e Bo.Ro. , sia perché chiedono l’accertamento della (com)proprietà del terrazzo, sia perché comunque mirano ad ottenere una modifica dello stato di compossesso del bene, con ordine al convenuto B. di demolire un manufatto da questo realizzato, essendo soggetti al medesimo onere probatorio prescritto per l’azione di rivendica, debbano dare la prova della proprietà del bene, risalendo, anche attraverso i propri danti causa, con la sequela degli acquisti a titolo derivativo (inter vivos o mortis causa) fino a chi abbia acquistato in via originaria (ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione, mediante il cumulo dei successivi possessi uti dominus).”

© massimo ginesi 20 gennaio 2016