art. 1669 cod.civ. – gravi vizi nell’appalto: la responsabilità del venditore, del direttore lavori e la nozione di grave difetto.

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Secondo  un orientamento ormai diffuso della giurisprudenza di legittimità, la disciplina dell’art. 1669 cod.civ. – che prevede una responsabilità decennale dell’appaltatore per i gravi difetti costruttivi – ha natura di ordine pubblico, in quanto volta a garantire la sicurezza  degli edifici, si applica, a determinate condizioni,  anche al venditore che ponga in commercio immobili di nuova costruzione e vede sempre più ampliati i limiti dei difetti che possono rientrare nel perimetro della norma.

Cass.Civ.sez. II, del 24 aprile 2018, n. 10048 compie una ampia disamina sul punto, spingendosi a valutare anche la responsabilità concorrente del direttore lavori, figura che troppo spesso assume invece una posizione defilata nelle controversie in tema di responsabilità del costruttore.

termine per la denunzia – ormai da tempo la giurisprudenza ritiene che il termine per la denunzia dei vizi all’appaltatore (che l’art. 1669 cod.civ. indica in un anno dalla scoperta) decorra da quando il committente (o compratore, nel caso di specie) abbia una chiara conoscenza non solo della manifestazione esteriore del problema ma anche della sua connessione causale con operato dell’appaltatore. sul punto la pronuncia in commento conferma tale orientamento: “il ricorrente principale si duole che la corte territoriale abbia ritenuto avvenuta la scoperta dei vizi – ai fini della decorrenza dei termini per la denuncia e l’azione ex art. 1669 cod. civ. – al momento del deposito della relazione peritale nel corso del procedimento di accertamento tecnico preventivo, in luogo che in uno dei momenti anteriori quali la redazione della relazione del consulente tecnico di parte, ciò che avrebbe imposto di ritenere tardive denuncia e azione. La censura, in entrambe le articolazioni, è infondata. Invero, con motivazione congrua rispetto al parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 primo comma cit. (p. 6 della sentenza), la corte d’appello ha dato atto delle ragioni per le quali si dovesse ritenere che il condominio avesse avuto una conoscenza imperfetta dei vizi e dell’impatto di essi sulla complessiva struttura sino al completamento dell’accertamento tecnico preventivo all’uopo richiesto, non essendo a tanto idonea la parziale consapevolezza prima acquisita, a livello ancora di sospetto.

Tanto, dall’altro punto di vista della conformità al diritto ex n. 3 dell’art. 360 primo comma cit., è in linea con l’orientamento di questa corte (v. ad es. Cass. n. 9966 del 2014) secondo cui il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti nella costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 cod. civ. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua una sicura conoscenza dei difetti e delle loro cause, e tale termine può essere postergato all’esito degli accertamenti tecnici che si rendano necessari per comprendere la gravità dei vizi e stabilire il corretto collegamento causale. L’importanza a tal fine di accertamenti tecnici è stata sottolineata anche (da Cass. n. 1463 del 2008) per il fatto che, ai fini del decorso del termine, è necessaria la piena comprensione del fenomeno e la chiara individuazione ed imputazione delle sue cause, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo”

la responsabilità del venditore/committente – “la parte ricorrente pare attribuire alla sentenza impugnata l’affermazione dell’applicabilità dell’art. 1669 cod. civ. per disciplinare la responsabilità della venditrice, sulla base del riconoscimento all’appaltatrice di un ruolo di nudus minister che, nella sentenza impugnata, non trova riscontro. In questa, piuttosto, si afferma che la s.r.l. venditrice-committente, per avere essa mantenuto autonomia decisionale e sorvegliato i lavori, dovesse ritenersi costruttrice a fianco dell’appaltatrice ai fini dell’art. 1669 cod. civ., e in base a tale ingerenza responsabile…

Ove la parte ricorrente principale abbia, invece, inteso contestare l’applicazione di tale regula iuris, quale innanzi ricostruita, essa peraltro non è difforme dall’orientamento applicativo di questa corte, che in più pronunce – anche richiamate dalla corte di merito – ha affermato che la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. trova applicazione, anche in via concorrente, quando il venditore- costruttore abbia realizzato l’edificio servendosi dell’opera di terzi, se la costruzione sia a esso riferibile, in tutto o in parte, per aver partecipato in posizione di autonomia decisionale, mantenendo il potere di coordinare lo svolgimento di attività altrui o di impartire direttive e sorveglianza, sempre che i difetti siano riportabili alla sua sfera di esercizio e controllo (così ad es. Cass. n. 16202 del 2007), accogliendo in tal senso una nozione di riferibilità più ampia rispetto a quella tra committente dominante e nudus minister; in tal senso l’art. 1669 cod. civ., mirando a finalità di ordine pubblico, è applicabile non solo nei casi in cui il venditore abbia con propria gestione di uomini e mezzi provveduto alla costruzione, ma anche nelle ipotesi in cui, pur avendo utilizzato l’opera di soggetti professionalmente qualificati, come l’appaltatore, il progettista, il direttore dei lavori, abbia mantenuto il potere di impartire direttive o di sorveglianza sullo svolgimento dell’altrui attività, sicché anche in tali casi la costruzione dell’opera è a lui riferibile (così Cass. n. 567 del 2005).”

responsabilità del direttore lavori – “DG contesta poi l’affermazione di sua responsabilità quale direttore dei lavori contenuta nella sentenza impugnata, e tanto con copia di massime giurisprudenziali in ordine al riparto dell’onere della prova in tema di danno extracontrattuale quale quello ex art. 1669 cod. civ., all’ambito di controllo sui lavori edili lasciato al professionista officiato quale direttore di essi, nonché all’esigenza che – anche per completezza della motivazione – sussistano elementi che facciano emergere scelte tecniche erronee o mancato controllo sull’esecuzione. Contesta, in particolare, la natura a suo dire meramente presuntiva delle affermazioni contenute in sentenza.

La sentenza impugnata sfugge alle mosse censure. Essa si diffonde adeguatamente sulla figura e sul ruolo dell’arch. DG, figlio del legale rappresentante e socio di maggioranza della F s.r.I., “con studio nello stesso stabile ove questa aveva sede”; afferma come altamente verosimile quindi che questi svolgesse non solo l’alta sorveglianza sui lavori, ma anche “ulteriori e più pregnanti controlli e più specifiche e ingerenti direttive per realizzare l’interesse della società e del genitore”, ponendo anche in luce il nesso tra il suo legame e la tutela interessi della F s.r.I., che egli “rappresentava a tutti gli effetti” nelle “assemblee di condominio ove si trattava dei vizi e difetti, proponendo soluzioni tecniche, interventi riparatori o anche proposte conciliative”. La corte locale, poi, integrando sul punto la decisione del tribunale, si è rettamente posta il problema – al di là del richiamo del principio di corresponsabilità del direttore dei lavori – di individuare “la prova, quantomeno presuntiva, del contributo causale in concreto ascrivibile”; nel ciò fare, ha richiamato ampiamente le considerazioni già svolte circa il ruolo dell’architetto eccedente “l’espletamento dei compiti istituzionali del direttore dei lavori” (che venivano citati), con lo svolgimento di “ulteriori e più incisive ingerenze sotto il profilo della sorveglianza e delle direttive alla ditta appaltatrice” . La sentenza è poi passata a considerare “la tipologia, la consistenza e la natura dei vizi e difetti” oggetto di lite, e ha – categoria per categoria di opere – diffusamente giustificato l’affermazione di responsabilità di un professionista non avvedutosi che nessuna impermeabilizzazione era stata adottata, che mancavano le protezioni di copertura, che sussistevano disfunzioni dell’impianto fognario e di adduzione del gas con utilizzo di tubazioni non appropriate e scorretta collocazione di pozzetti e connessioni. Ha concluso dunque reputando che la responsabilità non fosse “affermata in modo automatico, come sostiene nei suoi atti difensivi” l’arch. G.”

la natura dei gravi difettiil ricorrente lamenta che fra i vizi ricondotti all’art. 1669 cod.civ. vi sia anche la realizzazione della condotta di adduzione gas, non di proprietà del condominio ma dell’ente erogatore, che è stata tuttavia realizzata dall’appaltatore.

“…quanto all’inclusione tra i danni risarcibili di quelli all’impianto di adduzione del gas, che non rileva a fini risarcitori l’assetto proprietario di un bene, quanto la circostanza che l’utilità data da quel bene sia persa per l’utilizzatore, per cui rettamente la corte di merito ha considerato priva di rilievo l’opinione del c.t.u., su cui si impernia un’argomentazione di DG, secondo cui il risarcimento idoneo a ricostruire tubazioni da realizzarsi dal costruttore sarebbe incompatibile con l’eventuale ricadere in proprietà delle stesse (per accessione o altrimenti) in capo all’ente erogatore (e senza che il c.t.u. si sia posto il problema del se dette opere, pur accedute in proprietà altrui, fossero state realizzate dall’appaltatrice). Quanto alle dilavazioni e ai percolamenti, poi, con congrua motivazione la corte d’appello ha posto in luce che essi, lungi dall’essere un dato secondario, rivelavano il grave difetto della mancanza di protezioni di copertura sulle murature, con imbibizione delle strutture sottostanti”

il condominio ha avanzato un unico motivo di controricorso, relativo alle cavillature in facciata, ritenute della corte territoriale non ascrivibili alla disciplina dell’art. 1669 cod.civ. : “Secondo il condominio (che richiama l’opinione del proprio consulente di parte) dette fessurazioni sulle facciate sarebbero suscettibili anche in relazione ai fenomeni di dilavamento di causare rigonfiamenti di intonaci e infiltrazioni, e sarebbero da qualificarsi come gravi vizi.

Il motivo è fondato e va accolto. Fermo restando che compete al giudice del merito, con accertamento in fatto insuscettibile di riesame in sede di legittimità, qualificare in concreto una determinata anomalia costruttiva di edificio, va richiamato che al fine di distinguere dal punto di vista giuridico il concetto di vizi che incidano sulla conservazione e funzionalità dell’edificio ex art. 1669 cod. civ. dalla diversa nozione di vizi dell’opera ex art. 1667 cod. civ. questa corte è di recente intervenuta a sezioni unite (Cass. sez. U n. 7756 del 2017) chiarendo che sono gravi difetti dell’opera, rilevanti ai fini dell’art. 1669 c.c., anche quelli che riguardino elementi secondari ed accessori (come impermeabilizzazioni, rivestimenti, infissi, etc.), purché tali da comprometterne la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

Ciò posto, va considerato che, al fine di pervenire all’esclusione delle cavillature in concreto accertate dal novero delle poste risarcibili, la corte milanese – dopo aver ricordato che il c.t.u. aveva distinto due tipologie di cavillature “entrambe non … dovute a debolezza della struttura” e non tali da provocare “infiltrazioni all’interno delle abitazioni” – ha affermato, con valutazione che, come si dirà, concreta error in iudicando pur se costituente citazione di precedenti (ora superati) di questa corte, che “l’articolo 1669 cod. civ. non trova applicazione per quei vizi che non incidano negativamente sugli elementi strutturali essenziali … e, quindi, sulla … solidità, efficienza e durata, ma solamente sul[V] … aspetto decorativo ed estetico” del manufatto (p. 4 della sentenza impugnata).

Tale affermazione contrasta con la linea interpretativa fatta propria dalle sezioni unite (alla cui pronuncia del 2017 cit. si rinvia per i richiami, tra i quali, ad es., quello a Cass. n. 22553 del 2015 concernente fessurazioni incidenti però in maniera infiltrativa).

Secondo l’indirizzo ora accolto anche vizi che riguardino elementi secondari ed accessori, come i rivestimenti, devono ritenersi tali da compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene, secondo la destinazione propria di quest’ultimo.

Come noto, in edilizia il rivestimento (verticale o murale e orizzontale, quest’ultimo se sottostante definito pavimento – v. per l’utilizzo delle nozioni ad es. art. 1125 cod. civ.) è applicato agli elementi strutturali di un edificio con finalità di accrescimento della resistenza alle aggressioni degli agenti chimico-fisici, anche da obsolescenza, e atmosferici, svolgendo anche funzioni estetiche; in tale quadro le fessurazioni o microfessurazioni (tra le quali le cavillature) di intonaci (o anche di altri tipi di rivestimento), se non del tutto trascurabili, a prescindere dalla possibilità di dar luogo o no a infiltrazioni, realizzano comunque nel tempo una maggiore esposizione alla penetrazione di agenti aggressivi sugli elementi strutturali, per cui esse – pur se ascrivibili a ritrazione dei materiali – sono prevenute mediante idonee preparazioni dei rivestimenti in senso compensativo e idonea posa.

A prescindere da ciò, peraltro, quand’anche le fessurazioni o crepe siano inidonee a mettere a rischio altri elementi strutturali e quindi impattino solo dal punto di vista estetico, e siano eliminabili con manutenzione anche meramente ordinaria (Cass. n. 1164 del 1995 e n. 1393 del 1998), esse – in quanto incidenti sull’elemento pur accessorio del rivestimento (di norma, l’intonaco) – debbono essere qualificate in via astratta, ove non siano del tutto trascurabili, idonee a compromettere la funzionalità globale e la normale utilizzazione del bene e, quindi, a rappresentare grave vizio ex art. 1669 cod. civ. (così Cass. sez. U n. 7756 del 2017).

In tal senso, deve ritenersi superato, all’esito dell’arresto nomofilattico richiamato, il precedente indirizzo – cui si è invece ispirata la sentenza impugnata – per cui lesioni – anche sottoforma di microfessurazioni – ai rivestimenti (pur se d’intonaco) possano considerarsi irrilevanti in quanto incidenti solo dal punto di vista estetico (v. ad es. Cass. n. 13268 del 2004 e n. 26965 del 2011, ma in senso contrario v. già n. 12792 del 1992). Ciò, del resto, è coerente anche con il sempre maggior rilievo che il decoro degli edifici svolge ai fini del loro godimento e commerciabilità secondo l’evoluzione sociale.”

© massimo ginesi 2 maggio 2018

appalto e cantieri: il committente rimane responsabile dell’infortunio del dipendente dell’appaltatore.

La pronuncia non riguarda espressamente l’ambito del condominio, tuttavia  lo svolgimento di appalti e l’apertura di cantieri è vicenda di tale frequenza anche in ambito condominiale che i principi espressi meritano di essere conosciuti.

Cassazione Civile, Sez. Lav., 13 gennaio 2017, n. 798Ai sensi tanto dell’art. 2087 c.c. quanto dell’art. 7 d.lgs. n. 626/94 (applicabile ratione temporis all’infortunio in esame, occorso il 22.6.07), che disciplina l’affidamento di lavori in appalto all’interno dell’azienda, il committente nella cui disponibilità permanga l’ambiente di lavoro è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità e la salute dei lavoratori, ancorché dipendenti dell’impresa appaltatrice, misure che consistono nel fornire adeguata informazione ai singoli lavoratori circa le situazioni di rischio, nel predisporre tutte le misure necessarie a garantire la sicurezza degli impianti e nel cooperare con l’appaltatrice nell’attuazione degli strumenti di protezione e prevenzione dei rischi connessi sia al luogo di lavoro sia all’attività appaltata, tanto più se caratterizzata dall’uso di macchinari pericolosi (cfr., ex aliis, Cass. n. 21694/11; Cass. n. 19494/09).

La responsabilità del committente è esclusa, a priori neanche da una condotta negligente del  soggetto infortunato ma solo da iniziative abnormi che – da sole – possano aver costituito antecedente causale unico dell’evento: “In tema di infortuni sul lavoro e di c.d. rischio elettivo, premesso che la ratio di ogni normativa antinfortunistica è proprio quella di prevenire le condizioni di rischio insite negli ambienti di lavoro e nella possibile negligenza, imprudenza o imperizia degli stessi lavoratori, destinatari della tutela, la responsabilità esclusiva del lavoratore sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento, creando egli stesso condizioni di rischio estraneo a quello connesso alle normali modalità del lavoro da svolgere. In assenza di tale contegno da parte del lavoratore, l’eventuale suo coefficiente colposo nel determinare l’evento è irrilevante sia sotto il profilo causale sia sotto quello dell’entità dei risarcimento dovuto.

© massimo ginesi 19 gennaio 2017

il committente è responsabile dei danni a terzi in solido con l’impresa.

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La cassazione, con una recente sentenza (Cass. Civ. III sez. 10 novembre 2016 n. 22884) ha affrontato il problema relativo alla responsabilità del committente – in caso di danni cagionati a terzi durante l’esecuzione di lavori edili – ove non provveda alla nomina del Direttore Lavori.

La vicenda origina in Liguria e riguarda danni subiti da un appartamento durante le opere di ristrutturazione della unità immobiliare sovrastante.

La corte d’appello di Genova aveva rilevato che, ove il committente decida di non nominare un direttore dei lavori per le opere ove ciò è consentito, e l’impresa assuma in proprio la responsabilità della esecuzione dei lavori svolti, rimane comunque sussistente un profilo di responsabilità del committente.

In particolare la corte territoriale aveva rilevato che il committente ha “Affidato all’appaltatore l’esecuzione di interventi di natura strutturale senza disporre di un progetto e senza nemmeno affidare ad un professionista abilitato la direzione dei lavori, che pertanto sono stati eseguiti dall’impresa appaltatrice sotto la direzione e responsabilità diretta concorrente degli stessi committenti”.

Il giudice di legittimità ha ritenuto che il giudizio di fatto espresso dal giudice di merito fosse adeguatamente motivato e non fosse più suscettibile di esame in cassazione ed ha rigettato il ricorso.

Pur non statuendo direttamente in punto di diritto, rimane interessante la valutazione complessiva che emerge dalla vicenda processuale: il committente mantiene un autonomo grado di responsabilità anche quando si affida completamente alla impresa per l’esecuzione concreta delle opere.

© massimo ginesi 11 novembre 2016

impresa e direttore lavori rispondono in solido per la cattiva esecuzione dell’opera

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Il Condominio fa causa all’impresa e al direttore dei lavori che hanno provveduto a importanti lavori di rifacimento del tetto, chiedendo che entrambi vengano condannati al risarcimento dei danni, in via solidale fra loro.

Il Tribunale di Torino, e poi la Corte di appello sabauda, accolgono la domanda con condanna condanna che viene confermata dalla Cassazione, II sezione civile, 21 settembre 2016 n. 18521.

La Suprema corte ha  ribadito  che quando emerga una concorrente responsabilità per negligenza del professionista che ha diretto i lavori, costui risponde in solido con l’appaltatore dei danni subiti dal committente, essendo sufficiente a tal fine che le due condotte – seppur autonome – abbiano concorso in modo efficiente a produrre l’evento, a nulla rilevando che le stesse costituiscano violazione di norme distinte o fatti illeciti autonomi e diversi.

© massimo ginesi 22 settembre 2016

il committente che non verifica l’idoneità dell’appaltatore risponde di omicidio colposo

E’ obbligo del committente accertarsi che l’impresa scelta per i lavori abbia i requisiti di idoneità richiesti per lo svolgimento dell’opera che gli viene affidata e che in cantiere vengano rispettate le norme minime di sicurezza, poiché ove così non sia e accada un infortunio mortale di tale evento sarà chiamato a risponderà anche chi ha commissionato l’opera.

Lo ha ribadito la Cassazione penale, con una lunga ed articolata disamina, nella sentenza 263/2016 della quarta sezione penale depositata in data 1.6.2016.

La pronuncia compie una accurata disamina degli obblighi del committente, con riferimento al principio della culpa in eligendo e della cupola in vigilando e merita attenta lettura anche da parte dell’amministratore di Condominio che, con frequenza, può trovarsi ad impersonare quel ruolo che implica ben precise responsabilità  anche sotto il profilo penale.

Osserva in particolare  la corte che, ai fini della responsabilità,   “rilevanti devono considerarsi i criteri seguiti dal committente per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera (quale soggetto munito dei titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di espletamento della stessa); fondamentale è poi l’accertamento di situazioni di pericolo così evidenti e macroscopiche da non poter essere ignorate da un committente sovente presente in cantiere”.

Il giudice di legittimità sottolinea che “Sul punto, deve rilevarsi che l’art. 3, co. 1, d. lgs. 495/96 richiama il committente a d attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’art. 3 del d. lgs. 6 26/ 94 e che, parallelamente, il comma 9 lett. a) dell’art. 90 citato prevede, in a dempimento dell’obbligo di verifica da parte del committente, la presentazione, da parte del datore di lavoro, del certificato d’iscrizione alla Ca mera di commercio, industria e artigia nato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato però dalla autocertificazione sul possesso degli altri requisiti di cui all’allegato X VII.
Il citato allegato riguarda, per l’appunto, l’idoneità tecnico professiona le dell’impresa e contiene un espresso richiamo alla documenta zione minima che il datore di lavoro deve esibire al committente o al responsabile dei lavori, ove nominato. Vi figurano, oltre alla iscrizione alla camera di commercio, industria e artigianato, anche il il documento di valutazione dei rischi (lett. b), la specifica documentazione attesta nte la conformità alle disposizioni di cui al decreto dispositivi di protezione individuali forniti ai lavora tori (lett. d), la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione e delle altre figure preposte alla prevenzione dei rischi nel cantiere ( lett. e), gli attestati inerenti la formazione (lett. g), oltre all’elenco dei lavora tori e al documento unico di regolarità contributiva (lett. h e i).”

Anche in presenza di opere che non comportano l’obbligo di nomina di soggetti responsabili per la sicurezza, al committente rimane un obbligo di vigilanza sia in sede di scelta dell’impresa che durante l’esecuzione delle opere: la responsabilità va individuata “sia con riferimento alla scelta della ditta appaltatrice, tenuto conto degli obblighi di verifica imposti dall’art. 3 co. 8 del d lgs. 494/96, che sulla scorta dell’omesso controllo dell’adozione, da parte del datore di lavoro, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro, nel caso di specie totalmente omesse. Tali misure non devono essere approntate dal committente, rientrando certamente nel novero degli obblighi propri del datore di lavoro, ma la loro concreta adozione da parte di costui deve essere verificata e, in caso di accertata omissione, pretesa dal committente.”

Importante il passaggio in cui la Corte sottolinea la rilevanza causale della condotta del committente nella verificazione dell’evento: “La riscontrata inadeguatezza dimensionale dell’impresa con impiego di lavoratori \ irregolari, a fronte della entità e tipologia dell’opera in esecuzione, in uno con le macroscopiche irregolarità del cantiere, palesemente ed immediatamente evidenti, ) imponevano l’esercizio dei poteri di inibizione propri del committente, la cui attivazione avrebbe pertanto scongiurato l’evento verificatosi proprio a causa di tali inadeguatezze ed inadempienze. “

Suona strano sottolinearlo nell’anno 2016, ma nel caso di specie si trattava di lavori edili eseguiti in maniera  del tutto garibaldina da parte di un appaltatore che utilizzava lavoratori “in nero” e senza alcuna protezione in lavorazioni in quota, circostanza che – da sola – è idonea ad evidenziare profili in cui l’amministratore professionista non dovrebbe mai trovarsi, senza necessità dell’analisi giurisprudenziale.

Tuttavia i principi generali espressi dalla Corte si rivelano di grande interesse al fine di  comprendere con chiarezza gli obblighi e le responsabilità connesse ad un ruolo di grande delicatezza.

© massimo ginesi giugno 2013