l’amministratore di condominio in tempi virali

 

Il rincorrersi scomposto di norme del più vario rango gerarchico, che dettano, raccomandano, sanzionano, invitano rappresenta un unicum (deteriore) del nostro sistema normativo, che non appare giustificato neanche della emergenza- certamente straordinaria e di vasta scala – legata alla diffusione del virus covid-19.

In particolare l’amministratore di condominio è soggetto che si trova investito di poteri e doveri di tutela, cautela e conservazione delle parti comuni (a mente dell’art. 1130 c.c.), fra le quali certamente rientrano quegli interventi urgenti volti a preservarne il funzionamento, ma anche quelli più latamente intesi a garantirne la sicurezza e la conservazione, nel cui perimetro è lecito inscrivere le iniziative volte ad attuare quelle misure di contenimento, igienizzazione e interdizione che gli stessi testi normativi in tema di diffusione del virus dispongono (si pensi alla chiusura di impianti ricreativi comuni – piscine, campi da tennis, sale riunioni – oppure alla gestione e al controllo della sanificazione delle zone e degli impianti comuni, primo fra tutti l’ascensore).

E’ lecito dunque chiedersi come debba porsi il professionista che amministri stabili in condominio di fronte al susseguirsi di disposizioni che il legislatore continua ad emanare a ciclo continuo e, in particolare, all’ultimo sconcertante (per la tecnica normativa) DPCM 22 marzo 2020, che dispone il fermo di talune attività produttive e commerciali. 

Va in primo luogo osservato che l’amministratore di condominio non esercita nè attività produttiva nè commerciale ma, specie dopo la novella del 2012 (art. 71 bis disp.att. cod.civ.) e la L.4/2013, è ascrivibile a pieno titolo alla categoria delle libere professioni non ordinistiche. 

Ne deriva che, a mente   dell’art. 1 del DPCM 22 marzo 2020, anche solo dal punto di vista dell’interpretazione letterale, l’attività dell’amministratore non sia sospesa, posto che la norma esclude espressamente dalla sospensione le attività professionali. 

LA norma infatti prevede che “ 1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi  del  virus COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate le  seguenti misure: a) sono sospese  tutte  le  attivita’  produttive  industriali  e commerciali, ad eccezione di quelle indicate nell’allegato 1 e  salvo quanto di seguito  disposto.  Le  attivita’  professionali  non  sono sospese e restano ferme le previsioni di cui all’articolo 1, punto 7, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 marzo 2020.”

I professionisti, dunque, potranno esercitare la loro attività tenendo conto delle raccomandazioni previste del DPCM 11 marzo 2020 (rispetto delle distanze interpersonali, etc). E’ importante evidenziare che la norma parla genericamente di professioni, di talchè la discriminante di iscrizione ad albi non appare applicabile al caso di specie.

Il richiamo poi ai codici ATECO, cui la norma correla il fermo e che certamente ingenera inutile confusione, appare effettuata unicamente con riferimento alle attività produttive e commerciali, pertanto l’amministratore potrà farvi riferimento per comprendere – fra i fornitori del condominio – quali attività non siano sospese (peraltro il codice del condominio, ad abundantiam, è inserito nell’elenco allegato al decreto).

L’ultimo decreto legge (19/2020), recependo finalmente in una forma gerarchica adeguata le indicazioni restrittive di diritti fondamentali, prima contenute in meri atti amministrativi, non muta – anche in prospettiva – il quadro testè delineato, estendendo all’art. 1 lett.  g e z la possibilità di reiterare soluzioni analoghe per i prossimi mesi:  gg) previsione che le attivita’  consentite  si  svolgano  previa assunzione da parte del titolare o del gestore  di  misure  idonee  a evitare assembramenti di  persone,  con  obbligo  di  predisporre  le condizioni per garantire il  rispetto  della  distanza  di  sicurezza interpersonale predeterminata e adeguata a  prevenire  o  ridurre  il rischio di contagio; per i servizi di  pubblica  necessita’,  laddove non sia possibile rispettare tale distanza interpersonale, previsione di protocolli di sicurezza anti-contagio, con adozione  di  strumenti di protezione individuale;  z) limitazione o  sospensione  di  altre  attivita’  d’impresa  o professionali,  anche  ove  comportanti  l’esercizio   di   pubbliche funzioni, nonche’ di lavoro autonomo, con possibilita’ di  esclusione dei servizi di pubblica necessita’ previa assunzione di protocolli di sicurezza anti-contagio e, laddove non sia  possibile  rispettare  la distanza di sicurezza  interpersonale  predeterminata  e  adeguata  a prevenire o ridurre il rischio di contagio come principale misura  di contenimento,  con  adozione  di  adeguati  strumenti  di  protezione individuale”

Va peraltro rilevato che, aldilà dell’inquadramento normativo, l’aspetto sanzionatorio elaborato in questo periodo contro coloro che violano le disposizioni è quanto di più insensato e improduttivo si potesse predisporre: non vi è dubbio che l’ampia diffusione mediatica dei divieti e delle sanzioni avesse il primario scopo metagiuridico di allertare la popolazione e di dissuadere i riottosi dall’inosservanza delle misure di precauzione sanitaria.

Appare tuttavia scellerato che sia sia rimesso in un primo tempo alla polizia giudiziaria la contestazione (del tutto discrezionale e, spesso, arbitraria) di contravvenzioni ex art 650 c.p., con l’unico effetto di ingolfare le Procure di decine di migliaia di procedimenti destinati a sfumare nel nulla. 

Lo strumento correttivo adottato con il D.L. 19/2020, che qualifica le condotte come mere violazioni amministrative, pur nello scopo di snellire le procedure e di adottare sanzioni immediatamente percepibili sotto il profilo applicativo – aldilà dei dubbi interpretativi che già ha mosso sotto il profilo processuale e strettamente penale – appare destinato a sfumare miseramente in un prossimo futuro, a fronte delle prevedibili opposizioni ex art 6 D.Lgs 150/2011 che intaseranno le aule di giustizia.

Appare ictu oculi evidente che il contestare una condotta illecita a fronte di una norma che vieta gli spostamenti “salvoche per comprovate esigenze lavorative, di assolutaurgenzaovveroper motivi di salute” (DPCM 22 marzo 2020, per lo spostamento fra comuni) oppure che prevede di “evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonche’ all’interno dei medesimi territori, salvo che perglispostamentimotivatida comprovate esigenze lavorativeosituazionidinecessita’ovvero spostamenti per motivi di salute” (DPCM 8 marzo 2020, esteso all’intero territorio con DPCM 9 marzo 2020) o, peggio, che consente l’attività motoria “in prossimità dell’abitazione” (ordinanza Ministro della Salute 22.3.2020) significa violare il più elementare parametro precettivo della norma, ossia individuare una fattispecie tipica e oggettivamente circoscrivibile. 

Il precetto penale (“Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con…” art 575 cod.pen.) individua una condotta oggettiva ed un evento privo di connotazioni discrezionali, mentre saranno poi le norme in tema di elemento soggettivo del reato e di scriminanti a tratteggiare la rilevanza della condotta sotto il profilo penale, fino ad escluderla ove esistano cause di giustificazione.

Le norme attuali, viceversa, contengono in se il germe della loro inefficacia (rectius, della loro inutilità)  laddove considerano illecita una condotta “salvo che…”

Non servirà sottolineare che la comprovata esigenza di lavoro o la situazione di necessità è aspetto che potrà essere accertato solo a posteriori a seguito di un processo ed è modalità destinata a naufragare nel mare della discrezione: quante volte è lecito andare a fare la spesa?, l’andare a consegnare i dpi al portiere è comprovata esigenza di lavoro?, il recarsi in studio a prelevare moduli e bollette lo è altrettanto? andare ad affiggere in bacheca avvisi ai condomini scrimina la condotta?

L’adozione di 4 modelli di modulo di autocertificazione in pochi giorni la dice lunga sull’attitudine dei soggetti demandati alla gestione di questa emergenza…

Allora l’indicazione, più di buon senso che di diritto, che può essere data è quella di adottare una condotta il più cautelativa possibile, rendendo virtuali la più parte degli adempimenti, evitando assemblee ed incontri, avvisando i condomini, se non con avvisi in bacheca, quantomeno con informative via mail, fornendo eventuali dipendenti del condominio di tutte le informazioni e i dispositivi necessari, limitando gli spostamenti all’essenziale (muniti di opportuna autocertificazione) e  vigilando comunque sulle parti comuni.

A tal ultimo proposito si è fatto ricorso ad affermazioni forti, anche da parte di commentatori autorevoli, anche in tema di privacy, su cui tuttavia le norme attuali non hanno al momento introdotto deroghe. Si è detto che l’amministratore abbia l’obbligo di informare i condomini della presenza di soggetti positivi all’interno del condominio, perché la tutela della salute prevarrebbe sulle esigenze della privacy. 

Riteniamo che sia affermazione che non trova riscontro normativo e che vira pericolosamente verso un regime poliziesco di controllo e delazione. Certamente chi risulta positivo è destinatario di un precetto specifico che vieta di uscire dalla propria abitazione (“ c) divieto assoluto  di  mobilita’  dalla  propria  abitazione  o dimora per i soggetti sottoposti alla misura della quarantena  ovvero risultati positivi al virus” art. 1 DPCM 8 marzo 2020) ma non compete all’amministratore alcun compito nè di polizia sanitaria nè delazione nè alcuna norma oggi consente di derogare ai criteri che impediscono la divulgazione di dati sensibili. 

Certo è che l’amministratore, ove sia a conoscenza di tale circostanza e verifichi che soggetti con simili caratteristiche violino il precetto (da intendersi plausibilmente come divieto di uscire dall’abitazione in senso stretto, ergo anche di recarsi nelle zone comuni, essendo la ratio quella di contenere a diffusione di agenti virali e il contagio),  potrà unicamente segnalarlo all’Autorità al pari di qualunque altro cittadino.

Gli avvisi in bacheca sulle condizioni di salute e le abitudini dei condomini rimangono (per fortuna) assolutamente vietati ed espongono a gravi conseguenze, anche penali.  

© massimo ginesi 27 marzo 2020

Foto di Felix Dilly da Pixabay