la gestione separata del servizio di riscaldamento non da luogo ad autonomo condominio

Accade con frequenza che all’interno di complessi immobiliari si dia luogo ad una separata gestione di alcuni servizi, fra i quali il riscaldamento, affidandone la cura a diverso  amministratore e – in taluni casi – fornendo quella gestione di autonomo e separato codice fiscale rispetto al complesso cui si riferisce.

Tale soluzione può essere legittima sotto il profilo gestionale ma non da luogo, in punto di diritto, ad un nuovo condominio, ragione per cui la legittimazione processuale e sostanziale per le vicende relative a tale soggetto coincide con quella dell’intero condominio a cui si riferisce.

il tema è affrontato da Cass.Civ.  sez. VI-2 21 giugno 2018 n. 16385 rel. Scarpa con ordinanza di rigetto: ” La Corte d’Appello di Roma, uniformandosi agli insegnamenti sul punto di questa Corte, ha apprezzato in fatto che, pur sussistendo beni e servizi comuni in uso a più edifici condominiali compresi nel complesso di via G., Roma, non fosse ravvisabile l’esistenza di un “ente di gestione autonomo”, ovvero di un “condominio autonomo” inerente alla sola Gestione Riscaldamento e Parti Comuni.

D’altro canto, la situazione di fatto che viene a verificarsi nei condomini complessi, in ordine a determinati beni o servizi appartenenti soltanto ad alcuni edifici, o ai separati rapporti gestori interni alla collettività dei partecipanti (sempre in base alla disciplina antecedente a quella posta dall’ora vigente comma 3 dell’art. 67 disp. att. c.c., qui non applicabile ratione temporis), non comporta l’attribuzione di autonome legittimazioni processuali in sostituzione dell’intero condominio in ordine all’impugnazione delle relative deliberazioni assembleari (arg. da Cass. Sez. 2, 04/05/1993, n. 5160; Cass. Sez. 2, 16/02/1996, n. 1206; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 17/02/2012, n. 2363).

Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. i ricorrenti ribadiscono che il Condominio di via G, Roma, “non esiste” e che, a seguito dell’assemblea del 12 novembre 2007, sarebbe stato individuato il nuovo “ente di gestione del servizio di riscaldamento e delle parti comuni” denominato Condominio Gestione Riscaldamento e Parti Comuni Edifici A-B-N-0, con un proprio codice fiscale, evento poi confermato dalla documentazione contabile ed amministrativa prodotta.

Queste considerazioni non tengono conto della consolidata interpretazione giurisprudenziale secondo cui la costituzione di condomini separati in luogo dell’originario unico condominio costituito da un edificio o da un gruppo di edifici è regolata dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c., e suppone che l’immobile o gli immobili oggetto dell’iniziale condominio possano dividersi in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, quand’anche restino in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall’art 1117 c.c.

Tale disciplina esclude di per sé che il risultato della separazione si concreti in una autonomia meramente amministrativa o fiscale, giacché la costituzione di più condomini postula, piuttosto, la divisione del complesso immobiliare in parti distinte, aventi ciascuna una propria autonomia strutturale (che va apprezzata in fatto dai giudici del merito), indipendentemente dalle semplici esigenze di carattere gestorio o contabile (arg. da Cass. Sez. 2, 18/04/2005, n. 8066; Cass. Sez. 2, 05/01/1980, n. 65; Cass. Sez. 2, 18/07/1963, n. 1964).

La disposizione di cui all’art. 61 disp. att. c.c., prevedendo la possibilità di scissione, in base a deliberazione assembleare adottata a maggioranza, di un unico condominio originario in più condomini, ha, del resto, natura eccezionale, in quanto deroga al principio secondo il quale la divisione può essere attuata solo per atto di un’autonomia privata, ovvero con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione (così Cass. Sez. 2, 28/10/1995, n. 11276).”

© massimo ginesi 29 giugno 2018

quando l’appartamento fa parte di due condominii diversi

E’ il caso affrontato da Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 23 marzo 2017 n. 7605, Relatore Scarpa.

I fatti “La Corte d’Appello di Roma, sulla scorta delle richiamate risultanze della CTU, ha affermato che una porzione dell’appartamento di LF, ubicato al piano attico dell’edificio di via QN 152, si estende anche sul corpo di fabbrica dell’adiacente edificio condominiale di via delle TC15. In particolare, i solai di calpestio dell’unità immobiliare di proprietà F. costituiscono la copertura del sottostante fabbricato di via TC, per un’estensione di mq 148,26 di area coperta e di mq 42,81 di area scoperta. Il CTU ha quindi evidenziato conclusivamente che tale appartamento sia “parte integrante” di entrambi i condominii.”

Propone ricorso la condomina, ritenendo che la propria unità immobiliare debba essere ricondotta ad un solo fabbricato e propone ricorso incidentale il Condominio, che si duole della compensazione delle spese applicata dal Giudice di merito.

Osserva la Corte che Al fine di stabilire se un appartamento sia compreso in un condominio edilizio, è infatti necessario verificare, con riferimento al momento della nascita del condominio (salvo eventuale titolo negoziale contrario, il cui apprezzamento è comunque affidato alle prerogative del giudice di merito: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3084 del 03/09/1976), se, con riguardo alla struttura ed alla conformazione di esso, e, dunque, in base ad elementi obiettivamente rilevabili, sussista il presupposto della permanente ed oggettiva destinazione al suo servizio ed al suo godimento dei beni di quell’edificio elencati nell’art. 1117 c.c., restando escluso che sia determinante pure l’esistenza di un collegamento materiale o di una via diretta di accesso tra parti condominiali e singola unità immobiliare.

E’ d’altro canto certamente ammissibile, per quanto si desume dall’art. 61 disp. att. c.c., che, pur in presenza di fabbricati che presentino elementi di congiunzione materiale, allorchè vengano costituiti condominii separati per le parti aventi i connotati di autonomi edifici, uno dei titolari di porzioni esclusive si ritrovi proprietario di un appartamento ricadente in entrambi i condominii (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2324 del 01/03/1995; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4439 del 07/08/1982).

Il ricorso di L.F., pur deducendo una censura per violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., si sostanzia, in realtà, nella prospettazione di una ricostruzione degli elementi materiali della fattispecie diversa da quella accolta dalla Corte del merito, e dunque invoca un giudizio di mero fatto, del tutto estraneo al sindacato di legittimità.”

 

Quanto alle spese: “La Corte d’Appello di Roma ha compensato le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio, ponendo a carico delle parti la metà ciascuno delle spese di CTU, “stante l’opinabilità della questione, che peraltro ha necessitato di accertamenti tecnici”. Il Condominio di via delle TC 15, Roma, denuncia al riguardo la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per difetto delle “gravi ed eccezionali ragioni” ex art. 92, comma 2, c.p.c.

Tuttavia, nei giudizi, quale quello in esame, instaurati anteriormente all’entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69, la compensazione delle spese può essere disposta – ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 45, comma 11, di detta legge – per “giusti motivi esplicitamente indicati dal giudice nella motivazione della sentenza”, e non per “gravi ed eccezionali ragioni esplicitamente indicate nella motivazione”. Nella vigenza di tale formulazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., la scelta di compensare le spese processuali rimane riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito, la cui statuizione può essere censurata in sede di legittimità soltanto quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione, ipotesi nella specie certamente non sussistente.”

© massimo ginesi 24 marzo  2017