a qualcuno poteva venire in mente che il diritto di abitazione del convivente superstite andasse ricondotto al novero dei diritti reali?
Pare di si…
singolare modo di dare notizie nel web… poiché a nessuno, dato il chiarissimo tenore della legge (sarebbe peraltro assai singolare un diritto reale ad personam e ad orologeria…), era sorto il dubbio che potesse trattarsi di un diritto reale e tantomeno tale incertezza pare sussistere in coloro che hanno posto l’interpello e all’agenzia che risponde, che di tutto si occupano tranne che di tale distinzione.
Sempre ammesso che un ente amministrativo possa ius dicere, ma di questo aspetto l’ estensore dell’articolo non si cura ed anzi si ritiene assai soddisfatto che la risposta ad un interpello finalmente chiarisca la portata di una norma.
qualora nel condominio i ponteggi installatati dall’appaltatore abbiano agevolato la commissione di furti in appartamenti, il Giudice dovrà valutare la concorrente responsabilità dell’impresa nella adozione delle necessarie cautele e del condominio quale custode, tenuto a far si che dal bene non derivino conseguenze dannose.
E’ quanto ribadisce Cass.Civ. sez. VI 22 ottobre 2018 n. 26691
la Corte di legittimità (Cass.Civ. sez. II ord. 23 ottobre 2018, n. 26846) ritorna sul tema delle distanze fra costruzioni e ribadisce il proprio orientamento su tale ultimo concetto: anche un singolo pilastro che sporge sul lastrico deve ritenersi manufatto idoneo per il computo delle distanze.
“Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie neppure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. 144/2016; Cass. 19530/2005; Cass. 1556/2005).
A tali effetti, deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (Cass. 22127/2009; Cass. 400/2005). Non sono computabili nelle distanze le sole sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, mentre rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell’edificio, inclusi, come nella specie, gli sporti sorretti da pilastri e i corpi avanzati che seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato (Cass. 4322/1989; Cass. 5795/1979; Cass. 1566/1972; Cass. 452/1970)
La Corte distrettuale doveva quindi tener conto dei pilastri che, elevandosi dal suolo, formano – di regola – parte integrante della facciata del fabbricato (Cass. 2838/1969; Cass. 1393/1968), del piano di calpestio e del piovente del tetto, e calcolare le distanze dai punti della loro massima sporgenza, benché le norme locali contemplassero un diverso criterio di misurazione, il quale, essendo tuttavia in contrasto con la norma primaria (art. 873 c.c.), andava disapplicato.”
alcuni condomini impugnano una delibera con cui il condominio ha ripartito le spese per il risanamento dello spazio fra suolo e soletta dell’edificio, da cui derivava umidità alle unità del piano terra, affermando che si tratti di spese relative a parti che non debbono ritenersi comuni.
La vicenda giunge in Cassazione, che invece ribadisce che – ove nulla risulti dal titolo – si tratta di zone che per funzione, devono ritenersi comuni ex art 1117 cod.civ. in quanto destinate ad isolare l’edificio.
Cass.Civ. sez.II 25/09/2018, n. 22720: “L’art. 1117 c.c. stabilisce una presunzione di comproprietà sulla porzione di terreno sulla quale poggia l’intero edificio: in tale nozione rientrano la superficie e tutta l’area sottostante sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, e non solo l’area sulla quale sono infisse le fondazioni dello stabile.
In argomento, va ribadito che “L’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale – che costituisce il suolo di esso – e la prima soletta del piano interrato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, ed anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini, è comune, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2395 del 17/03/1999, Rv. 524203; conformi, Cass. Sez. 2, Sentenza n.3854 del 15/02/2008, Rv. 602023; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2157 del 14/02/2012, Rv. 621478; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23304 del 30/10/2014, non massimata; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18216 del 24.7.2017, non massimata).
Da quanto precede consegue che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che l’area sottostante al pavimento del piano terreno dell’edificio non fosse ricompresa nell’ambito delle parti comuni dello stabile. Di qui la fondatezza del primo motivo.”
un’interessante sentenza del tribunale capitolino (trib.roma 11 ottobre 2018 n. 19411) affronta la complessa problematica della ripartizione delle spese in supercondominio, sottolineando la particolare ratio che deve sottendere l’imputazione delle spese relative a beni supercondominiali:
“In merito alle tabelle millesimali del supercondominio, i valori delle unità immobiliari vanno poste in relazione con il valore complessivo delle stesse, ma anche i singoli edifici devono ricevere una valutazione diversa in ordine alle loro specifiche caratteristiche architettoniche ed immobiliari, ponderando il reale valore.
Per tale motivo vanno redatte due tabelle: una che si riferisce al valore di ogni singolo edificio nei confronti degli altri ed un’altra che ripartisce poi tale quota tra i condomini di ogni singolo edificio in misura proporzionale al valore delle proprietà esclusiva.”.
La sentenza affronta anche il problema dell’errore nella determinazione dei valori e della possibilità di revisione della tabella: “In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento, e la tabella che li esprime è soggetta a emenda solo in relazione a errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.
Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio.“
La sentenza, per la vastità e complessità delle argomentazioni, merita lettura integrale
lo ribadisce Cass.Civ. sez.II ord. 16 ottobre 2018 n. 25833, chiarendo che tale facoltà è concessa all’autorità locale solo ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione. Ove non si tratti di tale ipotesi, la norma locale che violi il disposto di legge nazionale potrà essere semplicemente disapplicata dal giudice ordinario.
“Secondo “l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica”, con la conseguenza che “l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata” (così Cass. 23136/2016).
Quanto all’ipotesi derogatoria contemplata dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, essa riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata (cfr. Cass., sez. un., n. 1486/1997).
Pertanto, il fatto che gli strumenti urbanistici del Comune di Conversano – che possono essere disapplicati ove contrastino con la disciplina di cui al citato art. 9, disciplina che diviene in tal caso direttamente applicabile – consentissero distanze inferiori rispetto a quelle fissate dalla norma, non è sufficiente per ritenere legittima la deroga, ma è necessario accertare, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 9, che le costruzioni fossero incluse in un piano particolareggiato, verifica che non emerge da quanto affermato nella sentenza impugnata.”
La legge 220/20102 ha introdotto l’obbligo per l’amministratore di indicare analiticamente il compenso richiesto, all’atto dell’accettazione e di ogni rinnovo, sì che il costo della sua prestazione risulti chiaro all’altro contraente.
L’art. 1129 comma XIV cod.civ. oggi sanziona con la nullità della nomina il mancato rispetto di tale adempimento. Si tratta di un dato contrattuale che deve emergere inequivocabilmente dall’accordo negoziale che lega condominio e amministratore e che non può essere semplicemente desunto dalla indicazione della relativa voce in preventivo, poichè quest’ultimo dato non ha efficaci vincolante ed è suscettibile di variazioni.
La tesi, già espressa da alcuni giudici di merito, è stata fatta propria – seppur al momento solo in sede cautelare di sospensione della efficiacia della delibera di nomina – con ordinanza Trib. Roma 15 ottobre 2018: “In merito alla nomina dell’amministratore, si ritiene che il Condominio non abbia correttamente adempiuto alle prescrizioni previste dalla novella sul condominio in tema di oneri di comunicazioni a carico del nuovo amministratore; infatti, in aderenza al disposto normativo deve considerarsi nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme (Cfr.Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294).
Ebbene, in sede di ratifica, l’assemblea non ha integrato la documentazione mancante relativa al compenso richiesto e percepito dall’amministratore per l’esercizio 2015;
Quanto alla nuova nomina dello stesso amministratore non si può ritenere sufficiente l’indicazione, nel preventivo del rendiconto di esercizio, della voce “amministrazione”; da un lato ciò non è impegnativo per l’amministratore che ha mancato di dare chiara indicazione del compenso richiesto, dall’altro ben potrebbe il preventivo essere vanificato dalla maggioranza schiacciante di cui gode la società XXXXX, di cui evidentemente l’amministratore è espressione.
Vi è pertanto ragione di sospendere l’esecuzione della delibera nella parte relativa alla nomina dell’amministratore “
una recente sentenza della Corte di Appello di Roma (App. Roma 2 maggio 2018 n. 2779) affronta un tema delicato per la responsabilità dell’amministratore: il mancato pagamento della polizia a copertura del fabbricato condominiale.
Ovviamente l’amministratore non è tenuto ad adempiere ove il condominio non abbia costituito la necessaria provvista (id est, ove i condomini non abbiano versato le quote necessarie) né, tantomeno, è tenuto ad anticipare in proprio le somme necessarie, tuttavia il giudice capitolino osserva che – ove l’amministratore sia stato inadempiente nel predisporre tempestivamente la richiesta di pagamento delle quote e quindi non sia stato diligente nel procurarsi il denaro necessario – può essergli imputata la responsabilità del mancato pagamento, dalla quale può discendere la sua eventuale responsabilità anche per i danni che la copertura avrebbe dovuto garantire (nel caso specifico si era verificato un incendio).
la vicenda: “il giudice monocratico del Tribunale di Roma ha rigettato la domanda con la quale (…), quale proprietario di un appartamento (intt. 10 e 11) sito nello stabile condominiale di via (…) aveva chiesto accertarsi l’esclusiva responsabilità dell’amministratore del Condominio, avv. (…), ai sensi dell’art. 2043 c.c., per il mancato pagamento, da parte della società assicuratrice del condominio, dell’indennizzo per i danni subiti a causa di un incendio verificatosi il 10.6.2007 ( determinato dal perito dell’assicurazione in complessivi Euro 74.000.00 ovvero in Euro 65.000,00) per inoperatività della copertura assicurativa determinata dall’omesso versamento de premio annuale scaduto il 14.3.2007 e corrisposto solo il 12.6.2007, e ha compensato interamente le spese di lite fra tutte le parti. “
il giudizio della Corte di Appello: “Il giudice monocratico, con la sentenza impugnata, rigettava la domanda attrice, osservando che il (…), quale amministratore e , quindi, mandatario, non poteva ritenersi responsabile del mancato pagamento del premio assicurativo, in quanto i condomini/ mandatari non gli avevano fornito le risorse necessarie per poter provvedere al pagamento – non essendovi in cassa fondi sufficienti – e considerata la stretta contiguità temporale fra la materiale presa in consegna della gestione condominiale e la data di scadenza del rateo.
…
Invero, il (…) ha agito nei confronti del (…), quale ex amministratore del condominio, deducendo di aver subito un danno ingiusto a seguito dell’illecito comportamento omissivo del predetto (mancato pagamento del premio annuale relativo alla polizza assicurativa fabbricati), che aveva determinato l’inoperatività della garanzia e il mancato pagamento dell’indennizzo da parte della compagnia assicuratrice, nonostante questa avesse già fatto effettuare una stima dei danni e concordato con il danneggiato il pagamento di un indennizzo per Euro 65.000,00, chiedendo di essere da questi risarcito.
Non vi è dubbio che la responsabilità da fatto illecito extracontrattuale di cui all’art. 2043 c.c., viene a configurarsi anche a seguito di una condotta omissiva ogni qualvolta un soggetto- che abbia un preciso obbligo giuridico, specifico o generico, che impone la tenuta di quella condotta che avrebbe impedito il verificarsi dell’evento lesivo di cui si discute – non pone in essere la condotta dovuta. …
Come correttamente rilevato dal primo giudice, rientra sicuramente fra i compiti dell’amministratore del condominio quello di provvedere all’ordinaria gestione e pertanto di curare il pagamento delle utenze e delle rate delle polizze assicurative in corso.
Il giudice di prime cure ha, però, ritenuto che, nel caso di specie, non fosse ravvisabile un comportamento negligente imputabile all’amministratore e, quindi, una sua responsabilità per le conseguenze patrimoniali derivate al (…) dall’omesso pagamento del premio in scadenza, sul presupposto che essendo pacifico che il rapporto che si instaura fra l’amministratore e il condominio costituisce un contratto di mandato, fosse onere della compagine condominiale, ai sensi dell’art. 1719 c.c., rendere disponibili al mandatario le risorse necessarie per l’esecuzione dell’incarico ricevuto.
Ha, quindi, ritenuto che, essendo documentalmente provato, che alla data di scadenza della rata del premio assicurativo(14.3.2007) non vi fossero in cassa risorse sufficienti per il pagamento e che , “considerata l’immediata contiguità temporale tra la materiale presa in consegna, da parte del (…) , della gestione del condominio… e la data di scadenza del detto rateo”, è pervenuto al convincimento che non potesse addebitarsi al (…) alcuna negligenza.
Il ragionamento del primo giudice non convince.
Rileva la Corte che , pur essendo vero – come documentalmente provato- che il (…) ha assunto l’incarico di amministratore del Condominio in data 13.2.2007; che solo in data 6.3.2007 ha ricevuto in consegna dall’amministratore uscente la documentazione e la giacenza di cassa (a mezzo assegno); che in cassa non vi era il denaro sufficiente ad effettuare il pagamento del premio assicurativo; che non vi era il tempo necessario per procurarsi il denaro entro la data di scadenza del 14.3.2007, non può però revocarsi in dubbio che fosse compito del (…), al fine di eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia, di adoperarsi presso i condomini per ottenere, nel più breve tempo possibile – anche eventualmente a rata già scaduta – il denaro necessario per il pagamento, al fine di rendere il periodo di inoperatività della polizza il più breve possibile essendo notorio che la polizza assicurativa si riattiva al momento del pagamento del premio, anche se effettuato in ritardo, fino alla scadenza successiva.
Del resto, per consolidata giurisprudenza “l’adempimento del mandato esige e ricomprende non solo il diligente compimento, da parte del mandatario, degli atti per il quali il mandato stesso è stato conferito, ma anche degli arti preparatori e strumentali, nonché di quelli ulteriori che, dei primi, costituiscano il necessario completamento, e comporta, altresì, il dovere di informare tempestivamente il mandante della eventuale mancanza o inidoneità dei documenti occorrenti all’esatto espletamento dell’incarico (Cass. 2149/2000).
Pertanto, era onere del (…), ai sensi dell’art. 1708 c.c., informare tempestivamente i condomini della situazione determinatasi e richiedere ai medesimi di effettuare, nel più breve tempo possibile, un’integrazione dei pagamenti per poter far fronte alle spese di ordinaria gestione.
Del resto il (…), stante il titolo professionale di avvocato, non poteva non sapere che la polizza assicurativa, rimasta sospesa per il mancato pagamento del premio, riprende a decorrere , ai sensi dell’art. 1901 c.c., dalle ore 24 del giorno in cui il contraente paga quanto dovuto, con riduzione del periodo di scopertura della garanzia.
Il (…), per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto, quindi, dimostrare di aver fatto tutto il possibile (informazione condomini, fissazione assemblea condominiale, recupero somme presso i morosi) per procurarsi il denarosufficiente e di aver eseguito il pagamento non appena messo in condizione, dalla compagine condominiale, di poterlo fare. “
La pronuncia si chiude poi in maniera salomonica, posto che la Corte ritiene comunque non provato il danno nel suo ammontare e quindi, pur riconoscendo fondata la responsabilità dell’amministratore, respinge la domanda nei suoi confronti, con spese compensate.
L’art. 1124 cod.civ. prevede che le spese per scale ed ascensori siano ripartite per metà in funzione della quota millesimale di ciascuna unità e per metà in funzione dell’altezza dal suolo.
La riforma del 2012 ha recepito nel tessuto normativo l’indicazione giurisprudenziale che estendeva la norma al riparto delle spese di manutenzione e sostituzione degli ascensori ed ha specificato, con riguardo all’altezza dal suolo, che metà della spesa dovrà essere imputata “esclusivamente” in funzione di quel parametro.
Ci si è chiesti se, in presenza di più unità poste allo stesso piano, queste rispondano per la metà suddivisa in funzione dell’altezza in misura paritaria oppure se, ferma l’identità di piano, la quota relativa dovesse tener conto anche della diversa estensione millesimale.
Nel primo caso 4 unità poste al terzo piano avrebbero risposto per metà della spesa in misura uguale, nel secondo la spesa – fermo il coefficiente di piano – sarebbe stata comunque ripartita in funzione del diverso valore millesimali delle quattro unità.
E’ il tema affrontato da un recente sentenza del Tribunale apuano (Trib. Massa 12 ottobre 2018 n. 712) che pronuncia in via definitiva su una complessa vicenda che ha visto l’accertamento della proprietà comune di una scala:“… i due punti controversi attengono unicamente alla imputazione delle spese ai fondi terranei (e dunque alla attribuzione di un valore nella relativa tabella per il riparto degli oneri relativi alle scale) e le modalità di calcolo del coefficiente di altezza con riguardo al 50% che l’art. 1124 c.c. prevede sia calcolato secondo tale parametro.
Con riguardo ai fondi terranei posti nel condominio C., va osservato che tale complesso edilizio appare formato – come già rilevato nella sentenza che ha accertato la proprietà comune delle scale a tutti i condomini – da diversi corpi di fabbrica, serviti da diverse copertura che tuttavia, per la loro natura e ubicazione, non appaiono riconducibili ad ipotesi di parzialità ex art 1123 comma III c.c., come ha ampiamente documentato il CTU, che pure ha tenuto conto nella valutazione delle specifiche caratteristiche di ubicazione di ogni immobile.
Ne deriva che la scala per cui è causa va ritenuto comune anche ai fondi terranei poiché, aldilà della sua specifica idoneità ad accedere al tetto, rappresenta comunque un elemento strutturale ed indispensabile per accedere all’edificio multipiano, le cui strutture (non solo di copertura) rimangono comunque beni comuni a tutti ex art 1117 c.c.
Per tali ragioni le relative spese andranno imputate anche ai fondi, secondo un orientamento della giurisprudenza che appare ormai consolidato (ex multis Cass. 12 settembre 2018 n. 22157, Cass. 20 aprile 2017 n. 9986, Cass. 10 luglio 2007 n. 15444); appare peraltro evidente che tali unità contribuiranno unicamente per la metà relativa al valore millesimale (App. Napoli 1.6.2017 n. 2404), essendo pari a zero il coefficiente di altezza, secondo principi già espressi nella relazione al codice del 1942 e come è chiaramente espresso dall’art. 1124 comma II c.c.
Più complessa appare la problematica relativa all’applicazione del parametro altezza previsto dall’art. 1124 c.c., posto che talune delle parti in causa – ovviamente in funzione del vantaggio che alle stesse ne deriva – sostengono che fra più unità poste allo stesso piano debba comunque valutarsi anche la loro diversa consistenza ed altre ritengono invece che il parametro dell’altezza – in base al quale va ripartito il 50% delle spese – vada considerato puro, ovvero calcolando il solo dato della elevazione dal suolo, indipendentemente dalla diversa caratura millesimale delle unità ivi poste.
Tale ultima soluzione appare più rispondente alla ratio della norma, che considera già la diversa consistenza delle unità immobiliari imputando metà delle spese secondo i valori generali previsti dall’art. 1123 c.c.
Quanto all’altra metà delle spese, l’art. 1124 c.c. – così come modificato dalla novella del 2012 – prevede siano calcolate “esclusivamente” in base all’altezza dal suolo.
L’introduzione dell’avverbio esclusivamente pare collocarsi in un’ottica di continuità e ulteriore conferma rispetto a quanto già era contenuto nella relazione del Guardasigilli al codice civile del 1942 ove si affermava “”per quanto riguarda le scale ho abbandonato il sistema del codice del 1865 che poneva le relative spese a carico dei proprietari di quei piani a cui serviva ciascun tratto di scala, in ragione del valore dei piani stessi… Ho ripartito invece le spese per la manutenzione e ricostruzione tra i proprietari dei diversi piani, a cui le scale servono, per metà in ragione dei singoli piani e per l’altra metà in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo. E’ giusto che i proprietari degli ultimi piani contribuiscano in misura maggiore, perché è da presumere che con il maggior uso diano luogo a maggior consumo delle scale”
Tale criterio misto rappresenta indubbiamente una applicazione ponderata della norma generale di cui all’art. 1123 comma II c.c., con predeterminazione della quota di contribuzione parametrata alla diversa utilità tratta dal bene a seconda della posizione della unità immobiliare a cui la scala serve (Cass. 12.1.2007 n. 432)
La diversa consistenza delle unità e quindi la necessità di evitare disparità con riguardo a beni di diversa entità, valore e ampiezza è già considerata nella metà della spesa che l’art. 1124 c.c. impone di ripartire secondo i principi generali di proporzionalità previsti dall’art. 1123 comma I c.c., sì che parrebbe un’ulteriore e non consentita reiterazione di tale principio – con diluzione del parametro di piano voluto dal legislatore – tornare a distinguere, per la determinazione della quota ripartita in funzione dell’altezza, il valore delle singole unità poste a quel piano; non appare secondario, in tal senso, tenere conto della attuale indicazione della norma (“esclusivamente”), che pare ribadire e puntualizzare i principi generali sottesi alla adozione del precetto sin dal codice del 1942, tenuto conto che, per il parametro dell’altezza, deve valere unicamente il criterio del maggior uso e della maggior utilità – in senso potenziale – effettuato dai condomini dei piani alti, criteri con riferimento ai quali la estensione delle relative unità poste a ciascun livello non ha diretta ed effettiva incidenza (arg. dalle cit. cass. 22157/2018 e Cass. 432/2007).
Peraltro che il criterio dell’altezza di piano debba essere applicato in maniera pura, con riguardo a quelle utilità che si ritraggono in funzione della posizione della unità di proprietà individuale all’interno dell’edificio in condominio, è principio che pare conforme alla natura mista della norma codicistica che, da un lato, valorizza il parametro legato all’uso e alle utilità potenziali (che certamente le unità collocate ai piani alti traggono in misura maggiore) e, dall’altro, tiene comunque conto del valore millesimale delle diverse unità poiché, come si è osservato acutamente in dottrina, “il legislatore sa pure che il godimento delle scale non è bene perfettamente misurabile, e, dunque, è irrinunciabile tenere in considerazione paritariamente la quota millesimale”