la fantascienza ai tempi del coronavirus

in questi tempi virali si legge un pò di tutto sul web, poiché pare che il timore di contagio abbia ormai dato via libera al bar virtuale, lucidamente preconizzato da Umberto Eco agli albori di internet.

A fronte di un quadro “normativo” semplicemente folle, che negli ultimi mesi ha visto stratificarsi DPCM, decreti legge convertiti con modifiche, decreti ministeriali, ordinanze, circolari e chi più ne ha più ne metta, non è facile districarsi fra le condotte lecite e quelle che invece incombono ex lege a determinati soggetti.

Certamente l’amministratore di condominio, cui è demandata una posizione di garanzia nei limiti di cui all’art. 1130 c.c., si trova ad affrontare un periodo non semplice

Fra le sortite più gustose viste sul web appare questo avviso, con il quale  una delle tante associazioni di settore  sembra invitare a trasmettere l’avviso ai propri amministrati, ai quali  si ricorda  il divieto di ingresso nel condominio per coloro che abbiano la febbre oppure manifestino sintomi influenzali.

All’amministratore che  invita i propri condomini  al rispetto delle norme di prudenza sconsiglieremmo di enfatizzare il messaggio ricordando loro che –  non essendo coscritti su qualche tradotta diretta al Carso –  tutto il resto dovrebbe apparire una sorta di attività ricreativa piacevole. Non tutti potrebbero gradire richiami così forti (e incongrui) e, alla prossima nomina,  qualche condominio un pò più progressista potrebbe guardarsi intorno…

Nel merito sarebbe curioso comprendere come questi solerti tutori della salute pubblica intendano attuare il consiglio: forse chiedendo una autocertificazione al malcapitato sulla propria temperatura, i propri contatti, i propri viaggi (atto che  questo signore non è affatto tenuto a rilasciare ad un privato), oppure mettendo  una guardia armata al posto del portiere che  sottoponga l’ospite al termoscanner (escluderemmo prelievi coattivi con termometri tradizionali…) e poi gli sbarri il passo, ma – soprattutto – quali poteri avrebbero l’amministratore,  il portiere o un condomino di impedire fisicamente l’accesso di  chicchessia al condominio (che sia condomino o privato che si rechi da un condomino)?

Forse è entrata in vigore qualche legge speciale che istituisce il podestà di condominio e che ci è sfuggita?

a noi pareva di ricordare che il DPCM 10 aprile 2020, che dispone proroga delle misure di contenimento e distanziamento sino al 3 maggio p.v., all’art. 1 preveda

b) ai soggetti con sintomatologia  da  infezione  respiratoria  e
febbre (maggiore di 37,5° C) e' fortemente raccomandato  di  rimanere
presso il proprio domicilio e limitare al massimo i contatti sociali,
contattando il proprio medico curante; 
c)  e'  fatto  divieto  assoluto  di  mobilita'   dalla   propria
abitazione o dimora per  i  soggetti  sottoposti  alla  misura  della
quarantena ovvero risultati positivi al virus;

Anche a non voler rilevare che  “fortemente raccomandato” è termine che già solo sotto il profilo sintattico e grammaticale differisce da “è fatto obbligo”, si tratta, in ogni caso, di misure che non consentono di inibire l’accesso ad alcuno ma, semmai, di attivarsi presso la pubblica autorità per segnalare la violazione.

Costoro hanno  poi ritenuto di trasformare la raccomandazione in divieto di accesso, da far rispettare da parte di soggetti sforniti di qualunque qualifica pubblica, che dovrebbero impedire l’ingresso  al condominio di qualcuno febbricitante (perché magari ha un ascesso a un dente…), iniziativa del tutto arbitraria nei conforti di un condomino  che magari in quel fabbricato  possiede un domicilio  ove, per semplici ragioni logistiche, intende trascorrere qualche tempo in questo complesso periodo.

Tecnicamente potrebbe chiamarsi violenza privata, prevista e punita dall’art. 610 cod.pen.

Mala tempora currunt:  paura e disinformazione sono i virus dell’anima e delle idee, attenzione.

© massimo ginesi 17 aprile 2020

Foto di LEEROY Agency da Pixabay

Corte europea: il condominio italiano può giovarsi della tutela del consumatore

La Corte di Giustizia Europea ha stabilito, con sentenza del 2 aprile 2020  che l’applicazione al condominio della tutela dei consumatori non osta con il diritto dell’unione, pur non essendo il  condominio soggetto giuridico che – astrattamente – rientrerebbe in tale previsione.

Il giudice Europeo osserva che “Nel caso di specie, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la Corte suprema di cassazione ha sviluppato un orientamento giurisprudenziale volto a tutelare maggiormente il consumatore estendendo l’ambito di applicazione della tutela prevista dalla direttiva 93/13 a un soggetto giuridico, quale il condominio nel diritto italiano, che non è una persona fisica, conformemente al diritto nazionale.

Orbene, un tale orientamento giurisprudenziale s’inscrive nell’obiettivo di tutela dei consumatori perseguito dalla summenzionata direttiva (v., in tal senso, sentenza del 7 agosto 2018, Banco Santander e Escobedo Cortés, C‑96/16 e C‑94/17, EU:C:2018:643, punto 69).

Ne consegue che, anche se una persona giuridica, quale il condominio nel diritto italiano, non rientra nella nozione di «consumatore» ai sensi dell’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13, gli Stati membri possono applicare disposizioni di tale direttiva a settori che esulano dall’ambito di applicazione della stessa (v., per analogia, sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România, C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 40), a condizione che una siffatta interpretazione da parte dei giudici nazionali garantisca un livello di tutela più elevato per i consumatori e non pregiudichi le disposizioni dei trattati.

Alla luce di quanto precede, alla questione sollevata occorre rispondere che l’articolo 1, paragrafo 1, e l’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13 devono essere interpretati nel senso che non ostano a una giurisprudenza nazionale che interpreti la normativa di recepimento della medesima direttiva nel diritto interno in modo che le norme a tutela dei consumatori che essa contiene siano applicabili anche a un contratto concluso con un professionista da un soggetto giuridico quale il condominio nell’ordinamento italiano, anche se un simile soggetto giuridico non rientra nell’ambito di applicazione della suddetta direttiva.”

La pronuncia legittima le numerose interpretazioni dei giudici italiani, di merito e legittimità (Cass. 22 maggio 2015, n. 10679; conformi, tra le altre, Cass. 12 gennaio 2005, n. 452 e Cass. 24 luglio 2001, n. 10086), che avevano ritenuto applicabile al condominio il c.d. codice del consumo, e tacita talune voci dissonanti in dottrina, che tali erano talvolta in maniera acritica e inutilmente capziosa.

© massimo ginesi 15 aprile 2020

 

Foto di Albrecht Fietz da Pixabay

Il presente del Coronavirus e gli avvocati fantasma. Cosa accade (e cosa accadrà) per i magistrati?

Belle e condivisibili riflessioni di Gianluca Denora sul portale DIRITTO E GIUSTIZIA, su un paese ormai ingessato più dall’emergenza sociale e burocratica che da quella sanitaria.
E’ auspicabile che chi ci governa e gli operatori del pianeta giustizia, siano essi difensori o magistrati, si interroghino al più resto sulla ripresa dell’attività, rifuggendo situazioni di immobilismo.
L’idea di non precipitare dalla sospensione virale a quella feriale dovrebbe rappresentare un elementare principio minimo di efficienza  in questo contesto.
Del resto eri sera la virologa Capua, in una nota trasmissione televisiva e andando palesemente contro il mainstream della comunicazione terroristica, con molta semplicità, ha rappresentato che vi sono notizie scientifiche certe sul fatto che il virus circoli in Italia da dicembre, che è plausibile che un numero significativo della popolazione lo abbia già preso in forma lieve o asintomatica; costoro, che non sono più nè virali nè contagiabili, ben possono riprendere a lavorare e a vivere, mentre il resto della popolazione potrebbe tranquillamente convivere con una malattia gestibile da una sanità appena efficiente e con la consapevolezza che in questa, come in altre malattie, esistono una minoranza di forme gravi per le quali si può anche morire. fa parte della vita.

Stress test: è un’espressione di moda, ma non la scelgo per questo; trovo che possa introdurre l’esigenza di indicazioni e risposte utili (anche) ad affrontare il funzionamento della giustizia (e in particolar modo della magistratura) nell’emergenza attuale, e in quella che verrà (alla ripresa). Se è vero che, oggi, tutti abbiamo il diritto di chiedere giustizia, non è meno vero che pochi hanno il potere di rispondere e quasi nessuno ha la possibilità di darla. In concreto, nell’attuale scenario gli avvocati stanno da una parte, i giudici dall’altra, e la separatezza è marcata più che mai, in disparte fatui corporativismi.
Dalla parte degli avvocati, si percepiscono esigenze da prima pagina (non solo sulla stampa specializzata), il che non meraviglia affatto: da un lato, gli avvocati sono i collettori di istanze che pervadono l’intera società; dall’altro, un esercito di oltre duecentomila combattenti (noi avvocati) fa baccano anche sulle brande. Non è un’ipotesi di scuola né uno scenario virtuale; è vera la narrazione di un’impossibilità di ricevere i clienti, di incontrare i colleghi per l’extra moenia delle controversie, di gestire scadenze processuali inghiottite dal buco nero del chissà domani.
Oggi, 14 aprile 2020, gli studi legali riaprono (lo dice il DPCM 10 aprile 2020, nell’allegato 3, sub 69 “attività legali”) ma saranno studi fantasma, nei quali la presenza sarà di fatto interdetta ad altre persone. Per i clienti, infatti, vale la regola generale dell’art. 1 (Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale), comma 1: «a) sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigente lavorative o situazioni di necessità ovvero per motivi di salute e, in ogni caso, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in un comune diverso rispetto a quello in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute e resta anche vietato ogni spostamento verso abitazioni diverse da quella principale comprese le seconde case utilizzate per vacanza». Come si diceva in apice, virtuosismi linguistici: la stessa eccezione al divieto di spostamenti è qui ripetuta due volte, con le stesse parole, semmai dovessimo distrarci.
In concreto, la regola è «avvocati in studio, rigorosamente soli»; una nota di folclore.
In alternativa, la regola è «avvocati in studio, con clienti a distanza di sicurezza»; ci si arriva forzando l’interpretazione della norma, per concepire studi aperti al pubblico, purché si rispettino le opportune distanze. La prospettiva è persino peggiore, atteso che genererebbe un’odiosa sperequazione tra studi piccoli e studi grandi, a danno dei primi, che non potrebbero garantire il distanziamento.
In ogni caso, vale la regola «avvocati in tribunale per le urgenze», che non è fatto nuovo.
In questi termini, presente e futuro dell’emergenza sembrano polarizzati sulla classe forense (e sugli assistiti, in special modo nel processo penale). I giudici vivono nel limbo di un presente a rallentatore, ma poi?
I magistrati lavorano per le urgenze, sicuramente più di noi avvocati; altrove a propria discrezione (scrivere i provvedimenti è astrattamente possibile in emergenza sanitaria, che non coinvolga direttamente il magistrato o suoi familiari); complessivamente, essi danno ai cittadini una risposta da moviola. Il sistema è ingessato per tutti, senza appartenenze, fermo restando che la pausa dagli adempimenti non definisce una sosta inesorabile; vale per molti, o forse per alcuni.
Per i magistrati, la quarantena ha assunto (e assume) una connotazione particolare; essi sono in una condizione di riposo forzato, ma non del tutto e non tutti. Lo scenario non è incoraggiante anche da un raffronto con contesti diversi, per esempio scuola e istruzione a vari livelli; qui si celebra un inadempimento parziale alle prestazioni contrattuali, da ambo le parti; i fruitori diventano meno fruitori (la smart school impegna meno i discenti) e i fornitori diventano meno fornitori (lo smart working affranca almeno dal problema dell’accesso ai luoghi di lavoro); a velocità ridotta, il sistema funziona.
Nel sistema giustizia, la flessione forzosa della domanda, da parte dei cittadini, e della risposta, da parte dei magistrati, è inevitabile. Cosa accadrà domani? Il profluvio di norme fast food non ha lasciati soli i magistrati; ce n’è anche per loro, istituzionalmente gravati del dovere di gestire lavoro e scadenze, riorganizzati da provvedimenti di appannaggio delle singole curie, facile presagio di contese di ogni tipo, anche strumentali e capziose. Un allarme si scorge facilmente nella ripresa: dopo poche settimane dal via (oggi previsto per il giorno 11 maggio) arriverà il c.d. periodo cuscinetto (dal 15 luglio), che di fatto aprirà il periodo della sospensione estiva, una nuova palude. Alla ripresa, l’ingorgo sarà tale da precipitare il già pessimo risultato della macchina processuale; non c’è dubbio che molte norme saranno strumenti dilatori anche quando (e se) udienze e adempimenti vari torneranno a regime.
Alterum datur: scrivere norme eccezionali per organizzare il lavoro dei magistrati nei mesi che vengono, sotto il comune denominatore della liberalizzazione delle ferie. Lo spirito è già tra le pieghe dell’ultimo DPCM (sempre nell’art. 1) in termini di turnazione interna.
I problemi organizzativi presenti e futuri sono sul tappeto, così come le soluzioni, ma non tutto allontana; l’emergenza ci fa riflettere sull’identità del giurista, sui vuoti che rendono più pieni i pieni, sulla possibilità di riconoscerci tutti nelle idealità che hanno segnato le nostre scelte professionali; la (buona) lettura giuridica è sterminata: sarebbe bello ritrovarci tutti nel rito dello Shabbat.”

da Diritto e Giustizia, portale Giuffrè

Foto di Joshua Woroniecki da Pixabay