la clausola claims made non è vessatoria ma il giudice deve valutarne la meritevolezza
LA SPEZIA – ROMA
In questo bizzarro paese si annunciano decreti legge in conferenza stampa, se ne diffondono le bozze, si attende una settimana per vederli pubblicati in Gazzetta Ufficiale e, quando ciò avviene, si scopre che talune norme sono sparite.
Accade con quanto era previsto in tema di condominio, del tutto depennato nella versione pubblicata, posto che l’art. 221 effettivamente emanato prevede unicamente la seguente modifica, che nulla importa per il condominio
è invece scomparso il testo che prevedeva, quale modifica all’art. 83 d.l. 18/2020 anche la seguente:
“b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti:
21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto
o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condòmini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo.
21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convoca
zione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile.
attenzione dunque: al momento niente proroga per l’incarico dell’amministratore e per il termine di presentazione e approvazione del rendiconto
© massimo ginesi 20 maggio 2020
Questi ultimi due mesi ci hanno abituato ad una pessima prassi normativa, che ha aggravato la già pesante situazione di un paese in cui il legislatore degli ultimi 40 anni non pare dotato di grande efficacia e sintesi (tutti ricorderanno la lievitazione dell’art. 1129 c.c., con la riforma del 2012, da 4 a 16 commi).
La legislazione del periodo covid , con un mix micidiale di decreti legge, decreti ministeriali, ordinanze e – non ultime – le faq sui siti ministeriali, ha definitivamente cancellato nella percezione comune la differenza fra fonti di legge e la loro gerarchia (decreti legge), atti amministrativi (DM e DPCM e ordinanze), atti di indirizzo a mera valenza interna nella pubblica amministrazione (circolari), senza alcun effetto vincolante per il cittadino, e mere informazioni irrilevanti (e spesso fuorvianti), quali le c.d. FAQ.
A ciò si aggiunga una gazzarra di articoli, commenti interpretazioni che da un lato scontano l’effetto web e social (ognuno è libero di dire ciò che pensa, parificando agli occhi del lettore non smaliziato, lo studioso di lungo corso al giocatore di bocce) e dall’altro pagano l’effetto del lockdown, in cui molti hanno cercato di rimanere visibili e presenti (specie fra i portali informatici e associativi), spesso puntando sul mero sensazionalismo.
Quanto alle assemblee di condominio, dal 6 marzo in poi si sono succedute diverse fonti normative di rango diverso (D.L. e DPCM) che hanno vietato riunioni ed assembramenti, senza tuttavia fare mai espressa menzione delle adunanze condominiali.
Abbiamo da sempre sostenuto che dal punto di vista letterale e sistematico tutte quelle disposizioni si applicavano agli eventi pubblici e non alle riunioni private che, sotto il profilo giuridico, ove si svolgano in locali di metratura idonea a garantire le distanze di sicurezza (o meglio ancora all’aperto, in aree sportive o cortilizie condominiali), non potevano ritenersi ex lege vietate.
Tuttavia pur non potendo ritenersi tout court vietata la riunione dell’organo collegiale condominiale, non può non tenersi conto dei limiti ancora oggi posti alla possibilità di movimento delle persone (si pensi al condomino che abita fuori regione o che sia risultato positivo o in quarantena per contatti con positivo), che rendono di fatto impossibile la partecipazione a taluni aventi diritto, con possibile impugnativa della delibera che venisse presa in loro assenza.
Allo stesso modo in molte realtà, specie quelle numerose, appare impossibile reperire aree in cui svolgere le riunioni nel rispetto delle norme di distanziamento sociale, sì che ad oggi – appare consigliabile per l’amministratore evitare di convocare adunanze che non siano più che urgenti o celebrabili senza difficoltà per la natura del condominio e l’entità dei partecipanti.
La delicatezza della vicenda è evidente, tanto che la oggettiva difficoltà di convocare assemblee ha indotto il legislatore ad introdurre nel decreto legge c.d. rilancio, ad oggi non ancora pubblicato in G.U., due norme che – seppur con modalità discutibili – prorogano di sei mesi l’incarico dell’amministratore e di un anno il termine per l’approvazione dei rendiconti, così come fissato dall’art. 1130 n. 10 c.c.
Tali principi, così come la possibilità concreta – anche alla luce della legislazione vigente – di poter tenere assemblea con il collegamento da remoto per taluni condomini o a svolgere in modalità virtuale l’intera riunione, non ostando a tale fine l’indicazione del del luogo (non necessariamente oggettivo) previsto dall’art. 66 disp.att. cod.civ. paiono trasparire anche dall’interpretazione recente di autorevolissima dottrina. *
A fronte di tali premesse, nessuna modifica di rilievo introducono i D.L. 33/2020 e l’annunciato DPCM sula ripresa delle attività, laddove il primo prescrive , all’art. 1 “ 1. A decorrere dal 18 maggio 2020, cessano di avere effetto tutte le misure limitative della circolazione all’interno del territorio regionale di cui agli articoli 2 e 3 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, e tali misure possono essere adottate o reiterate, ai sensi degli stessi articoli 2 e 3, solo con riferimento a specifiche aree del territorio medesimo interessate da particolare aggravamento della situazione epidemiologica.” e prevede che le riunioni possano tenersi con la distanza interpersonale di un metro, poichè si tratta di norme che si riferiscono ad eventi tenuti in luogo pubblico o aperto al pubblico e non alle assemblee di condominio a cui, già in precedenza, non poteva ritenersi applicabile sic et simpliciter la disciplina emergenziale di divieto.
Rimangono invece intatti (per il momento sino al 2 giugno p.v. i limiti di circolazione regionale, con possibilità di deroga restrittiva da parte degli enti territoriali, nonchè gli obblighi e le limitazioni sanitarie per taluni soggetti) sì che restano del tutto identici gli aspetti che consigliano di non celebrare ad oggi assemblee di condominio, se non in quei casi in cui si possa effettivamente garantire la partecipazione in sicurezza dei condomini e, soprattutto, tutti gli aventi diritto possano effettivamente essere in condizioni di intervenire.
Ne deriva che la notizia che dal 18 maggio p.v. il condominio riparta a pieno regime e gli amministratori debbano precipitarsi a convocare assemblee non è solo destituita di fondamento, è semplicemente pericolosa. Certamente vi è, in prospettiva, una necessità di riprendere l’ordinaria vita amministrativa, iniziative tuttavia da effettuare con l’osservanza di tutte le cautele e gradualità che le situazioni concrete e le disposizioni normative di volta in volta emanate consiglieranno.
* Scarpa “Decreto Rilancio: è davvero invalida l’assemblea virtuale di condominio?”, su “il quotidiano giuridico, WK, 15 maggio 2020
© massimo ginesi 17 maggio 2020
aggiornamento – il DPCM reso pubblico in serata non incide su alcuna delle questioni sopra esaminate, costituendo – quanto alle misure di prevenzione e sicurezza – un modesto riassembelaggio delle norme sino ad oggi emanate, salvo l’espressa previsione di cui all’art. 2 comma 2 che prevede l’espresso obbligo di mascherina per i luoghi chiusi e aperti al pubblico in cui non sia possibile mantenere la distanza interpersonale, misura che appare ragionevole ritenere applicabile anche al condominio (e che peraltro già derivava da buone prassi sanitarie raccomandate da mesi).
Prosegue la pessima prassi di annunciare in conferenza stampa provvedimenti legislativi, che vengono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale diversi giorni dopo.
Il 13 maggio 2020 il consiglio dei ministri ha approvato il cosiddetto Decreto Rilancio (con l’altra discutibile prassi di denominare i provvedimenti normativi con nomi propri), nel quale sarebbero contenute due norme di rilievo per il mondo condominiale.
Dalle bozze reperibili in internet risulterebbe la seguente formulazione
“Art.212-ter Modifiche all’art. 83 del decreto legge 17 marzo 2020, n. 18
1. All’articolo 83 del decreto-legge 17 marzo 2020 n. 18 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, sono apportate le seguenti modificazioni:
…
b) dopo il comma 21, sono aggiunti i seguenti: “21-bis. Quando il mandato dell’amministratore è scaduto alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto o scade entro tre mesi dalla stessa alla data, l’incarico dell’amministratore è rinnovato per ulteriori sei mesi dalla scadenza in deroga a quanto previsto dall’articolo 1129 del codice civile, fermo il diritto dei condomini di procedere alla revoca nella prima assemblea successiva al rinnovo.
21-ter. In deroga a quanto stabilito dall’articolo 1130, comma primo, numero 10), del codice civile, il termine per la convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale annuale con data di chiusura successiva al 31 luglio 2019 è differito di 12 mesi dalla data di chiusura dell’esercizio contabile”.
La scarsa tecnica legislativa che ha caratterizzato i provvedimenti dell’era covid affligge anche queste disposizioni che, da un lato, sono volte a prorogare i poteri dell’amministratore in scadenza in questo periodo (a fronte della difficoltà, laddove non se ne ritenga sussistente un vero e proprio divieto, di convocare assemblee) e, dall’altro a estendere il termine per la convocazione della assemblea per l’approvazione del rendiconto, fissato in 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio a mente dell’art. 1130 n. 10 c.c.
Giova osservare che la norma dispone di fatto una proroga, che tuttavia definisce rinnovo (che invece presuppone il decorso di un nuovo rapporto contrattuale). Trattandosi di proroga straordinaria disposta ex lege, è da ritenere che l’amministratore mantenga intatti tutti i poteri (e il diritto al compenso) e non solo quelli ordinari previsti in caso di protrazione del mandato ex art. 1129 comma VI c.c.
La proroga decorrerà dalla data di scadenza dell’incarico originario.
Ancor meno felice appare la formulazione della norma sull’estensione del termine per l’approvazione dei rendiconti, che prevede che l’ampliamento di dodici mesi non decorra dalla scadenza del termine di cui all’art. 1130 n. 10 c.c. ma dalla chiusura del rendiconto, nascendo così già assai monco rispetto a quelle chiusure che si collocano alla fine del 2019.
© massimo ginesi 15 maggio 2020
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Una recente pronuncia del Tribunale capitolino (Trib. Roma Sez.V 4 maggio 2020 n. 6847) appare interessante per l’amministratore che si trovi a gestire mutamenti nella compagine condominiale: il Giudice romano afferma che l’amministratore è tenuto a convocare i soggetti che risultano dai registri di anagrafe tenuti debitamente aggiornati, senza necessità di compiere ogni volta particolari ricerche immobiliari ed essendo onere dei condomini interessati comunicare eventuali mutamenti di titolarità.
è stato più volte sostenuto, in giurisprudenza, che, nell’ipotesi di subingresso nella titolarità di una porzione particolare di edificio condominiale, affinché il nuovo proprietario si legittimi, di fronte al condominio, quale avente diritto a partecipare alle assemblee, occorre almeno, pur nel silenzio della legge al riguardo, una qualche iniziativa, esclusiva dell’avente causa o concorrente con quella del dante causa, che, in forma adeguata, renda noto al condominio detto mutamento di titolarità.
È ben vero, tuttavia, che (secondo il perspicuo chiarimento fornito da Cass., 30 aprile 2015, n. 8824): «come è stato affermato in più occasioni da questa Corte (sent. n. 7849 del 2001, n. 2616 del 2005, in coerenza con il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5032 del 2002), alle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condòmini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo. Nei rapporti tra il condominio e i singoli partecipanti allo stesso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.
D’altra parte, e in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità e apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondendo alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma, proprio per ciò, stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità». Orbene, quantunque non si possano, certamente, intendere i menzionati precedenti nel senso di affermare l’esistenza (fin quando non vi sia un’adeguata comunicazione dell’avvenuto mutamento di titolarità) di una legittimazione sostitutiva giustificata dall’apparenza (tale, cioè, che l’“ex” proprietario, da un lato, possa, a buon diritto, continuare a reclamare per sé lo status di condomino – con le annesse prerogative in ordine alla convocazione e alla partecipazione alle assemblee –; dall’altro, possa continuare a essere perseguito, anche giudizialmente, dall’amministratore per il pagamento dei contributi condominiali), nondimeno il “nuovo”, che (e fin tanto che) abbia omesso di assolvere l’onere di segnalare il proprio subingresso nella posizione dominicale, non può pretendere il riconoscimento della sua qualità dal Condominio e, soprattutto, dolersi di non essere stato invitato a partecipare all’assemblea ordinaria, impugnandone – soltanto se e quando gliene venga data formalmente “notizia” – le deliberazioni in merito alle spese condominiali (cfr. Cass., 29 maggio 1998, n. 5307).
L’attore ex art. 1137 cod. civ., infatti, ha pur sempre l’onere di dimostrare il vizio di cosostituzione: nel senso, però, non già di non aver materialmente ricevuto la comunicazione cui aveva senz’altro diritto (perché sarebbe, semmai, il condominio a dover provare di avergliela inviata – cfr., e pluribus, Cass. ord., 14 settembre 2017, n. 21311; Cass., 21 ottobre 2014, n. 22685 – e di averla recapitata al suo indirizzo – cfr. Cass., 25 marzo 2019, n. 8275 –), ma di essere egli effettivamente tra coloro che (a norma dell’art. 1136, 6° comma, cod. civ.) deve constare siano stati regolarmente invitati alla riunione, poiché il compito istituzionale dell’amministratore, da un lato, può considerarsi assolto e il procedimento di convocazione dell’assemblea, dall’altro, può considerarsi corretto, allorché l’invito alla partecipazione sia stato rivolto a tutti coloro (non già che siano stati individuati – in vista di ogni assemblea – con una puntuale ed esaustiva consultazione dei registri immobiliari, ma) che risultano nel registro anagrafico dei condòmini, adeguatamente tenuto e regolarmente aggiornato secondo le variazioni, di volta in volta, comunicate da chi ne abbia il titolo e l’onere ovvero, comunque, acquisite, con l’uso della normale diligenza, da chi lo gestisce e ne ha la custodia.
Nel caso particolare, poi, del decesso del condomino, poiché, fra l’altro, non sarebbero sufficienti (per l’individuazione dei chiamati e – men che meno – degli eredi) neanche la notizia dell’apertura della successione o l’esame della relativa denunzia (che non implica accettazione della delazione ex lege o ex testamento) né si può ritenere sussistente, in capo all’amministratore, un dovere di provocare la nomina di un curatore dell’eredità giacente, è onere di chi sia subentrato, mortis causa, nella qualità di condomino in luogo del defunto (con la conseguente assunzione dei diritti e obblighi correlativi) darne idonea comunicazione, in mancanza della quale, pertanto, egli non può denunziare il vizio di costituzione dell’assemblea condominiale, così come convocata dall’amministratore sulla base dei dati in suo possesso (costui, anzi – secondo Cass., 22 marzo 2007, n. 6926 –, pur essendo «a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualità, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non sarà tenuto a inviare alcun avviso» ovvero – così la più risalente Cass., 29 luglio 1978, n. 3798 – invierà «l’avviso all’ultimo domicilio» noto, dove si possa verosimilmente trovare qualcuno – successore oppure no – in grado di portare l’avviso a conoscenza degli interessati, «sincerandosi, quindi, della [avvenuta] ricezione dell’avviso» medesimo «da parte di persona addetta a quel domicilio», senza che poi rilevi che la persona consegnataria lo recapiti effettivamente agli eredi)
La pronuncia affronta anche il tema della irrilevanza dei vizi di annullabilità della delibera, non tempestivamente impugnata nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, tema contiguo a quello più controverso della rilevabilità d’ufficio della nullità della delibera in quella sede e del possibile contrasto di giudicati fra relativo al giudizio di opposizione a decreto e di impugnazione della delibera, questioni rimesse alla valutazione delle Sezioni Unite nello scorso autunno.
L’ampia rassegna giurisprudenziale, richiamata dal Tribunale romano sul primo aspetto, può rendere interessante la lettura dell’intero provvedimento.
© massimo ginesi 11 maggio 2020