leasing: il conduttore non è legittimato all’impugnazione ex art. 1137 cod.civ.

un’articolata e complessa ordinanza della Suprema Corte (Cass.Civ. sez. II 25 ottobre 2018 n. 27162 rel. Scarpa) affronta per la prima volta ex professo la rilevanza  della figura del conduttore in leasing di unità immobiliare posta in condominio e i poteri che possono  essergli riconosciuti (giungendo a soluzione totalmente negativa); nell’occasione la Corte trae spunto  per definire le peculiarità dei poteri che, invece, debbono essere riconosciuti al conduttore in locazione ordinaria.

La vicenda trae origine da un’impugnativa di delibera promossa dalla società utilizzatrice in leasing di unità posta in condominio, accolta  dal Tribunale di Biella e rigettata invece – in riforma della sentenza di primo grado –  dalla Corte d’appello di Torino, sull’assunto che all’utilizzatore in leasing non può riconoscersi la titolarità di alcun diritto reale, sì che difetta in primo luogo la sua legittimazione sostanziale;  poiché la società era “semplice conduttrice finanziaria e non trattandosi di ripartizione di contributi per le spese di riscaldamento, la Corte di Torino negò che la società appellata avesse legittimazione a partecipare all’assemblea condominiale, come ad impugnarne le relative delibere (diverse da quelle relative al riscaldamento), così come il Condominio non avrebbe potuto agire contro la conduttrice finanziaria per chiederle i contributi condominiali”

la società ricorre per cassazione, assumendo che vi sia stata da parte del giudice di secondo grado “violazione e/o erronea applicazione delle norme relative al c.d. leasing immobiliare in relazione all’art. 1137 c.c. e mancata applicazione del principio dell’apparenza giuridica”

le ragioni di censura sono tuttavia ritenute totalmente  infondate da parte della Corte, con motivazione di grande interesse e che merita di essere riportata integralmente: “Nel condominio edilizio, così come in ogni forma di comunione, i soli partecipanti hanno la facoltà di impugnare le deliberazioni dell’assemblea. L’art. 1137 c.c. è chiaro nell’affermare che le deliberazioni prese dall’assemblea sono obbligatorie “per tutti i condomini” (comma 1) e che contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni “condomino” assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento (comma 2).

Facendo, pertanto, applicazione dei generali principi enunciati da Cass. Sez. U, 16/02/2016, n. 2951, lo status di condomino, e cioè di “avente diritto” (arg. anche dagli artt. 66 e 67 disp. att. c.c.) a partecipare all’assemblea, e perciò ad impugnarne le deliberazioni, attiene evidentemente alla legittimazione ad agire ex art. 1137 cod.civ. , ovvero al diritto di azione, che spetta a chiunque faccia valere in giudizio un diritto assumendo di esserne titolare.

La legittimazione ad agire per impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea manca, quindi, tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che l’attore non è un condomino, e la relativa carenza può essere eccepita in ogni stato e grado del giudizio e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.

Nel caso in esame, la K. s.r.l. aveva impugnato la deliberazione approvata il 7 maggio 2009 dall’assemblea del Condominio VC in tema di “spese comuni competenza operatori”, esponendo nella propria domanda di essere “proprietaria/utilizzatrice” di un’unità immobiliare compresa nel complesso immobiliare, e poi precisando meglio di essere conduttrice della porzione n. 17 in forza di contratto di locazione finanziaria intercorso con la concedente proprietaria L.   s.p.a.

La Corte d’Appello di Torino, accogliendo sul punto il secondo motivo di gravame del Condominio VC, ha giustamente escluso la legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 1137 e.e. della utilizzatrice K s.r.l., negando che la stessa fosse condomina sulla base della stessa domanda e della prospettazione in essa contenuta.

 E’ inevitabile che l’accertamento del difetto di legittimazione ad impugnare la deliberazione dell’assemblea non sia soggetto a preclusioni, non potendosi accordare siffatta azione a chi, alla stregua della sua stessa domanda, non abbia titolo per farla valere.

Questa Corte ha peraltro già affermato, e deve essere qui ribadito, come il diritto di prendere parte all’assemblea ed il potere di impugnare le deliberazioni condominiali competono, per il disposto dell’art. 1137 cod.civ.  (ma si veda anche l’art. 67 disp. att. cod.civ. ) ai soli titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, e ciò anche in caso di locazione della singola unità immobiliare, salvo che per le delibere relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria, per le quali, ai sensi dell’art.10, comma 1, legge n. 27 luglio 1978, n. 392, la decisione e, conseguentemente, la facoltà di adire l’autoritàgiudiziaria, sono attribuite ai conduttori (Cass. Sez.2,23/01/2012,n. 869; Cass. Sez. 3, 22/04/1995, n. 4588; Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8755).

E’ stato anche chiarito come il diritto, attribuito al conduttore dall’art. 10, comma 1, citato, di partecipare, in luogo del proprietario dell’appartamento, alle assemblee dei condomini convocate per deliberare sulle spese di riscaldamento e condizionamento, abbia carattere eccezionale rispetto alla disciplina del condominio degli edifici e non sia, quindi, suscettibile d’interpretazione estensiva (Cass. Sez. 2, 18/08/1993, n. 8755; Cass. Sez. 2, 27/08/1986, n. 5238; Cass. Sez. 2, 14/11/1981, n. 6031).

L’amministratore del condominio, del resto, ha diritto – ai sensi del combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 cod.civ. . e 63, comma 1, disp. att. cod.civ.  – di riscuotere i contributi  e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed  servizi nell’interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, restando esclusa un’azione diretta nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare (contro il quale può invece agire in risoluzione il locatore, ove si tratti  di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente), tant’è che si afferma risolutivamente che “di fronte al condominio esistono solo i condomini” (Cass. Sez.  2, 09/12, 2009, n. 25781; Cass. Sez. 3, 03/02/1994, n. 1104).

Ora, i dati anagrafici dell’utilizzatore in leasing di un appartamento o di un negozio facente parti di un condominio devono essere inseriti nel registro dell’anagrafe condominiale (di cui all’art.  1130, n. 6, cod.civ. ), in quanto identificanti  il titolare di un diritto personale di godimento avente ad oggetto una singola unità abitativa del fabbricato.

Peraltro,  con  riguardo alle eventuali riduzioni in pristino conseguenti alla realizzazione di opere dannose per le parti comuni, sono legittimati passivi necessari sia l’utilizzatore sia il concedente del bene in locazione finanziaria (cfr. Cass. Sez. 2, 30/03/2016, n. 6154).

Tuttavia, non spetta all’utilizzatore di un’unità immobiliare in leasing il generale potere ex art. 1137 cod.civ.  di impugnare le deliberazioni condominiali in tema di spese necessarie per le parti comuni dell’edificio, essendo lo stesso titolare non di un diritto reale, ma di un  diritto personale derivante da un contratto ad effetti obbligatori, che rimette il perfezionamento dell’effetto traslativo ad una futura  manifestazione unilaterale di volontà del conduttore.

 Né, ai fini della legittimazione dell’utilizzatore in leasing alla partecipazione all’assemblea ed alla correlata impugnativa, può rilevare il principio dell’apparenza del diritto, dando valore dirimente al fatto che quegli si comportasse abitualmente “da condomino”.

In giurisprudenza, a far tempo da Cass. Sez. U, 08/04/2002, n. 5035, è consolidato il principio secondo cui la titolarità dei diritti e degli obblighi relativi allo status di condomino spetta  ai proprietari  effettivi delle unità immobiliari e non anche coloro che possano apparire tali, non trovando motivo di applicazione, ai fini, ad esempio delle convocazioni assembleari, i principi di affidamento e di tutela dell’apparentia iuris nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti ad esso (cfr. anche Cass. Sez. 2, 30/04/2015, n. 8824; Cass. Sez. 2, 09/02/2005, n. 2616).

nascita del supercondominio: la cassazione ribadisce principi noti e consolidati

una recente pronuncia di legittimità conferma orientamenti consolidati sulla nascita del supercondominio, peraltro senza nulla aggiungere alla precedente elaborazione .

Cass.Civ.  sez.II ord. 25 ottobre 2018 n. 27084 –  il caso concreta pare interessate più del principio di diritti pacifico espresso dalla suprema corte, poiché mette in luce l’erronea qualificazione dei fatto che ancora troppo spesso avviene in sede condominiale e nelle successive corti di merito: “ il Tribunale di Tivoli, accolto l’appello di P.F. , in riforma della sentenza del giudice di pace della stessa città, revocò il decreto con il quale era stato ingiunto all’appellante il pagamento della somma di Euro 4.697,96, oltre accessori, in favore del Complesso Residenziale (omissis) , già Comunione dei Beni Immobili (omissis) , sulla scorta delle valutazioni di cui appresso:

– mancava la prova dell’esistenza di una comunione, che legittimasse di esigere il pagamento delle spese di gestione;

– con l’assegnazione del lotto all’appellante non erano state trasferite pertinenze, né sussistevano successivi atti di trasferimento;

– a tale mancanza non poteva supplire il regolamento della Comunione del Complesso Residenziale (omissis) , che era stato approvato dall’assemblea generale ordinaria del 9/5/2009″

il motivo di ricorso per cassazione centra il punto cruciale: “la ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 818, 1100, 1105, 1106, 1107, 1109, 1117, 1118, 1137, 1350, 2644, cod. civ., 61 e 62, disp. attuaz. cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., sulla scorta, in sintesi, delle seguenti argomentazioni:

– la società coop. edilizia (omissis) a r.l., previa convenzione di lottizzazione, aveva realizzato un villaggio, composto da ville unifamiliari, da assegnarsi ai soci e l’intero comprensorio era rimasto in gestione della cooperativa fino al commissariamento della stessa, essendosi fatto luogo, da parte gestione commissariale, ad una dichiarazione, ricevuta da notaio, con la quale erano state individuate le numerose pertinenze (pozzi per l’acqua irrigua e relative condutture, depuratore del parco, terreni destinati a verde, impianti di urbanizzazione secondaria, ecc.);

– per mero errore materiale negli atti d’assegnazione non s’era fatto espresso riferimento alle pertinenze, che, in quota costituivano parte dell’unità abitativa, data la loro inscindibilità ope legis;

– non poteva mettersi in dubbio che, secondo i principi di diritto più volte affermati in sede di legittimità, “il comprensorio (omissis) ”costituiva un supercondominio, o, con altra terminologia equivalente, condomino complesso, comunione residenziale, condomino orizzontale e ciò ipso iure et facto “allorché l’originario costruttore del complesso residenziale (…) costruisca su un suolo comune, o proceda con il frazionamento di un’area comune”, militando in tal senso gli artt. 818 e segg., 1477, 1117, 1117 bis, cod. civ.;

– la sentenza impugnata aveva applicato erroneamente l’art. 1350, cod. civ., stante che gli accessori seguono il destino del bene principale, senza necessità di apposita specificazione;

– non era dubbio che si trattava di beni accessori, investendo essi servizi comuni (manutenzione, illuminazione e gestione del complesso, dotato di strade di accesso interne, rete idrica, rete fognaria, depuratore, guardiania, ecc.);

l’ordinanza di legittimità ritiene pertinente la censura: “ l’esposto motivo è fondato, per quanto appresso: a) costituisce principio fermo, al quale il Collegio intende dare continuità, l’affermazione secondo la quale al pari del condominio negli edifici, regolato dagli artt. 1117 e segg. cod. civ., anche il c.d. supercondominio, viene in essere “ipso iure et facto”, se il titolo non dispone altrimenti, senza bisogno d’apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni e tanto meno d’approvazioni assembleari, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano in comune talune cose, impianti e servizi legati, attraverso la relazione di accessorio e principale, con gli edifici medesimi e per ciò appartenenti, “pro quota”, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Sez. 2, n. 17332, 17/8/2011, Rv. 619034; ma già, Sez. 2 n. 2305/08, Rv. 601809);

essendosi ulteriormente chiarito che non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore, né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, venendo il medesimo in essere “ipso iure et facto”, se il titolo o il regolamento condominiale non dispongono altrimenti; si tratta di una fattispecie legale, in cui una pluralità di edifici, costituiti o meno in distinti condomini, sono ricompresi in una più ampia organizzazione condominiale, legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale di accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, ecc.) in rapporto di accessorietà con i fabbricati, cui si applicano in pieno le norme sul condominio, anziché quelle sulla comunione (Sez. 2, n. 19939, 14/11/2012, Rv. 624475; conf., di recente, Sez. 2, n. 27094, 15/11/2017, Rv. 645955);

b) il Tribunale, quale giudice dell’appello, omettendo del tutto di verificare se la situazione fattuale, corrispondesse all’assunto dell’appellata, nei termini sopra riportati, non ha preso in considerazione il principio sopra enunciato, valorizzando un profilo argomentativo (nell’atto di trasferimento non si era fatto espresso riferimento alle pertinenze) che non ha alcuna refluenza sul modo di costituzione del condomino e, quindi, anche del supercondominio, di talché, senza necessità di verificarne la tenuta giuridica, risulta non pertinente”

© massimo ginesi 29 ottobre 2018

nel favoloso mondo delle amelie condominiali…

a qualcuno poteva venire in mente che il diritto di abitazione del convivente superstite andasse ricondotto al novero dei diritti reali?

Pare di si…

singolare modo di dare notizie nel web… poiché a nessuno, dato il chiarissimo tenore della legge (sarebbe peraltro assai singolare un diritto reale ad personam e ad orologeria…), era sorto  il dubbio che potesse trattarsi di un diritto reale e tantomeno tale incertezza pare sussistere in coloro che hanno posto l’interpello e all’agenzia  che risponde, che di tutto si occupano tranne che di tale distinzione.

Sempre ammesso che un ente amministrativo possa ius dicere, ma di questo aspetto l’ estensore dell’articolo non si cura ed anzi si ritiene assai soddisfatto che la risposta ad un interpello finalmente chiarisca la portata di una norma.

Risposta+n.+37+del+2018

© massimo ginesi 26 ottobre 2018 

furto e ponteggi: responsabilità concorrenti dell’impresa e del condominio

qualora nel condominio i ponteggi installatati dall’appaltatore abbiano agevolato la commissione di furti in appartamenti, il Giudice dovrà valutare la concorrente responsabilità dell’impresa nella adozione delle necessarie cautele e del condominio quale custode, tenuto a far si che dal bene non derivino conseguenze dannose.

E’ quanto ribadisce Cass.Civ. sez. VI 22 ottobre 2018 n. 26691

© massimo ginesi 26 ottobre 2018

cassazione: anche un pilastro è “costruzione” ai fini delle distanze

la Corte di legittimità (Cass.Civ. sez. II ord. 23 ottobre 2018, n. 26846) ritorna sul tema delle distanze fra costruzioni e ribadisce il proprio orientamento su tale ultimo concetto: anche un singolo pilastro che sporge sul lastrico deve ritenersi manufatto idoneo per il computo delle distanze.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, la nozione di costruzione, agli effetti dell’art. 873 cod. civ., è unica e non può subire deroghe da parte delle norme secondarie neppure al limitato fine del computo delle distanze legali, in quanto il rinvio contenuto ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass. 144/2016; Cass. 19530/2005; Cass. 1556/2005).

A tali effetti, deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo (Cass. 22127/2009; Cass. 400/2005).
Non sono computabili nelle distanze le sole sporgenze estreme del fabbricato che abbiano funzione meramente ornamentale, di rifinitura od accessoria di limitata entità, mentre rientrano nel concetto civilistico di “costruzione” le parti dell’edificio, inclusi, come nella specie, gli sporti sorretti da pilastri e i corpi avanzati che seppure non corrispondono a volumi abitativi coperti, sono destinate ad estendere ed ampliare la consistenza del fabbricato (Cass. 4322/1989; Cass. 5795/1979; Cass. 1566/1972; Cass. 452/1970)

La Corte distrettuale doveva quindi tener conto dei pilastri che, elevandosi dal suolo, formano – di regola – parte integrante della facciata del fabbricato (Cass. 2838/1969; Cass. 1393/1968), del piano di calpestio e del piovente del tetto, e calcolare le distanze dai punti della loro massima sporgenza, benché le norme locali contemplassero un diverso criterio di misurazione, il quale, essendo tuttavia in contrasto con la norma primaria (art. 873 c.c.), andava disapplicato.”

© massimo ginesi 25 ottobre 2018

l’intercapedine fra suolo e soletta dell’edificio è comune

alcuni condomini impugnano una delibera con cui il condominio ha ripartito le spese per il risanamento dello spazio fra suolo e soletta  dell’edificio, da cui derivava umidità alle unità del piano terra, affermando  che si tratti di spese relative a parti che non debbono ritenersi comuni.

La vicenda giunge in Cassazione, che invece ribadisce che  – ove nulla risulti dal titolo – si tratta di zone che per funzione, devono ritenersi comuni ex art 1117 cod.civ. in quanto destinate ad isolare l’edificio.

Cass.Civ. sez.II 25/09/2018,  n. 22720: “L’art. 1117 c.c. stabilisce una presunzione di comproprietà sulla porzione di terreno sulla quale poggia l’intero edificio: in tale nozione rientrano la superficie e tutta l’area sottostante sulla quale poggia il pavimento del pianterreno, e non solo l’area sulla quale sono infisse le fondazioni dello stabile.

In argomento, va ribadito che “L’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale – che costituisce il suolo di esso – e la prima soletta del piano interrato, se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole proprietà, ed anzi in quelli del piano terreno e seminterrato non è neppure menzionata tra i confini, è comune, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2395 del 17/03/1999, Rv. 524203; conformi, Cass. Sez. 2, Sentenza n.3854 del 15/02/2008, Rv. 602023; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2157 del 14/02/2012, Rv. 621478; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23304 del 30/10/2014, non massimata; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 18216 del 24.7.2017, non massimata).

Da quanto precede consegue che la Corte territoriale ha errato nel ritenere che l’area sottostante al pavimento del piano terreno dell’edificio non fosse ricompresa nell’ambito delle parti comuni dello stabile. Di qui la fondatezza del primo motivo.”

© massimo ginesi 24 ottobre 2018

supercondominio e tabelle millesimali

un’interessante sentenza del tribunale capitolino (trib.roma 11 ottobre 2018 n. 19411) affronta la complessa problematica della ripartizione delle spese  in supercondominio, sottolineando la particolare ratio che deve sottendere l’imputazione delle spese relative a beni supercondominiali:

In merito alle tabelle millesimali del supercondominio, i valori delle unità immobiliari vanno poste in relazione con il valore complessivo delle stesse, ma anche i singoli edifici devono ricevere una valutazione diversa in ordine alle loro specifiche caratteristiche architettoniche ed immobiliari, ponderando il reale valore.

Per tale motivo vanno redatte due tabelle: una che si riferisce al valore di ogni singolo edificio nei confronti degli altri ed un’altra che ripartisce poi tale quota tra i condomini di ogni singolo edificio in misura proporzionale al valore delle proprietà esclusiva.”.

La sentenza affronta anche il problema dell’errore nella determinazione dei valori e della possibilità di revisione della tabella: “In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento, e la tabella che li esprime è soggetta a emenda solo in relazione a errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori.

Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio.

La sentenza, per la vastità e complessità delle argomentazioni, merita lettura integrale

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© massimo ginesi 23 ottobre 2018 

la norma comunale non può derogare alla legge nazionale in tema di distanze fra edifici

lo ribadisce Cass.Civ. sez.II ord. 16 ottobre 2018 n. 25833, chiarendo che tale facoltà è concessa all’autorità locale solo ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione. Ove non si tratti di tale ipotesi, la norma locale che violi il disposto di legge nazionale potrà essere semplicemente disapplicata dal giudice ordinario.

Secondo “l’ormai consolidato orientamento di questa Corte, in tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, comma 2, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica”, con la conseguenza che “l’adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la citata norma fa insorgere l’obbligo per il giudice di merito non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma proprio di applicare immediatamente la disposizione del menzionato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico, in sostituzione della norma illegittima che è stata disapplicata” (così Cass. 23136/2016).

Quanto all’ipotesi derogatoria contemplata dall’ultimo comma dell’art. 9 del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente ai comuni di prescrivere distanze inferiori a quelle previste dalla normativa statale ove le costruzioni siano incluse nel medesimo piano particolareggiato o nella stessa lottizzazione, essa riguarda soltanto le distanze tra costruzioni insistenti su fondi che siano inclusi tutti in un medesimo piano particolareggiato o per costruzioni entrambe facenti parte della medesima lottizzazione convenzionata (cfr. Cass., sez. un., n. 1486/1997).

Pertanto, il fatto che gli strumenti urbanistici del Comune di Conversano – che possono essere disapplicati ove contrastino con la disciplina di cui al citato art. 9, disciplina che diviene in tal caso direttamente applicabile – consentissero distanze inferiori rispetto a quelle fissate dalla norma, non è sufficiente per ritenere legittima la deroga, ma è necessario accertare, come prescrive l’ultimo comma dell’art. 9, che le costruzioni fossero incluse in un piano particolareggiato, verifica che non emerge da quanto affermato nella sentenza impugnata.”

© massimo ginesi 19 ottobre 2018

è nulla la nomina che dell’amministratore che indica il compenso solo a preventivo

La legge 220/20102 ha introdotto l’obbligo per l’amministratore di indicare analiticamente il compenso richiesto, all’atto dell’accettazione e di ogni rinnovo, sì che il costo della sua prestazione risulti chiaro all’altro contraente.

L’art. 1129 comma XIV cod.civ. oggi sanziona con la nullità della nomina il mancato rispetto di tale adempimento. Si tratta di un dato contrattuale che deve emergere inequivocabilmente dall’accordo negoziale che lega condominio e amministratore e che non può essere semplicemente desunto dalla indicazione della relativa voce in preventivo, poichè quest’ultimo dato non ha efficaci vincolante ed è suscettibile di variazioni.

La tesi, già espressa da alcuni giudici di merito, è stata fatta propria – seppur al momento solo in sede cautelare di sospensione della efficiacia della delibera di nomina – con ordinanza Trib. Roma 15 ottobre 2018: “In merito alla nomina dell’amministratore, si ritiene che il Condominio non abbia correttamente adempiuto alle prescrizioni previste dalla novella sul condominio in tema di oneri di comunicazioni a carico del nuovo amministratore; infatti, in aderenza al disposto normativo deve considerarsi nulla la nomina dell’amministratore di condominio – con conseguente nullità della delibera in parte qua – in assenza della specificazione analitica del compenso a quest’ultimo spettante per l’attività da svolgere, in violazione dell’art. 1129, comma 14, c.c. Tale norma, che mira a garantire la massima trasparenza ai condomini e a renderli edotti delle singole voci di cui si compone l’emolumento dell’organo gestorio al momento del conferimento del mandato, si applica sia nel caso di prima nomina dell’amministratore che nel caso delle successive riconferme (Cfr.Tribunale Milano, sez. XIII, 03/04/2016, n. 4294). 

Ebbene, in sede di ratifica, l’assemblea non ha integrato la documentazione mancante relativa al compenso richiesto e percepito dall’amministratore per l’esercizio 2015; 

Quanto alla nuova nomina dello stesso amministratore non si può ritenere sufficiente l’indicazione, nel preventivo del rendiconto di esercizio, della voce “amministrazione”; da un lato ciò non è impegnativo per l’amministratore che ha mancato di dare chiara indicazione del compenso richiesto, dall’altro ben potrebbe il preventivo essere vanificato dalla maggioranza schiacciante di cui gode la società XXXXX, di cui evidentemente l’amministratore è espressione.

Vi è pertanto ragione di sospendere l’esecuzione della delibera nella parte relativa alla nomina dell’amministratore “

© Massimo Ginesi 18 ottobre 2018