morosità: condominio, locazioni, coronavirus e bufale

 

L’emergenza covid-19 ha, di fatto e per molti, bruscamente interrotto la possibilità di lavorare e, conseguentemente, di incassare i relativi compensi, con una crisi di liquidità generalizzata e più o meno marcata per diverse categorie professionali e commerciali .

D’altro canto gli impegni periodici per coloro che conducono un bene immobile (abitativo o commerciale) o vivono in condominio non sono sospesi e comportano la necessità di effettuare i relativi pagamenti.

Sempre più frequentemente sul web appaiono tesi bizzarre, che possono indurre in errore i soggetti obbligati, facendo ritenere  che la complicata situazione che stiamo vivendo legittimi il differimento o la sospensione dell’adempimento e, ciò che è più grave, è che tali tesi – in maniera suggestiva, quando non radicalmente infondata – vengono veicolate anche da siti specializzati  (o sedicenti tali) che danno luogo a quel fenomeno che Umberto Eco aveva così lucidamente preconizzato alcuni anni addietro (“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel.” La Stampa 11.6.2015)

Non mancano peraltro studiosi che, a fronte di una situazione effettivamente eccezionale, si interrogano sugli strumenti giuridici esistenti e che potrebbero consentire un alleggerimento di obblighi che si fanno pressanti e spesso insostenibili: vi è tuttavia da notare che le analisi serie giungono tutte all’univoca conclusione che, allo stato attuale ed in assenza di interventi legislativi che al momento non vi sono stati, gli obblighi condominiali e locativi vanno adempiuti.

Gli unici aspetti che, nella valanga di decreti, circolari, ordinanze et similia, prodotte dal legislatore  in maniera eterogenea e senza alcun decente criterio normativo e sistematico, possono riguardare le materie della locazione e del condominio, sono la possibilità di sgravio fiscale per le locazioni commerciali (beneficio successivo, previsto dall’art. 65 comma 1 D.L. 18/2020, e che non comporta la sospensione dell’obbligo di versare il canone al proprietario) e la sospensione delle bollette, limitata dall’art. 4 D.L. 9/2020 ai soli comuni della Lombardia inizialmente individuati come c.d. zona rossa (circostanza che, solo in quelle zone, potrebbe in via mediata alleggerire temporaneamente le scadenze condominiali).

CONDOMINIO – nessuna disposizione prevede dunque la sospensione del versamento delle rate condominiali, né peraltro è auspicabile o prevedibile un provvedimento normativo simile, posto che si tratta di rapporti fra privati  volti a garantire l’amministrazione e la gestione di beni comuni agli stessi soggetti che quelle somme sono tenute a versare (salvo che lo Stato, assai improbabilmente, possa ritenere di iniettare liquidità anche in tale settore mediante finanziamenti ad hoc), senza che sussista alcun rapporto sinallagmatico – ovvero di prestazioni corrispettive – fra singolo e condominio (arg. da Cass.civ. sez. un. 26/11/1996, n. 10492).

Dunque nessuna situazione di emergenza consente e legittima la sospensione delle rate già approvate, mentre per ciò che attiene all’esercizio futuro si è già indicato come sia opportuno che l’amministratore si conduca per mantenere una adeguata provvista, con la quale attendere alla ordinaria gestione.

Allo stesso modo è opportuno precisare che non sono affatto sospese le iniziative giudiziarie, posto che l’art. 83 D.L. 18/2020 sospende unicamente i termini e la trattazione dei procedimenti non urgenti, mentre non è affatto inibito il deposito di ricorsi per decreto ingiuntivo (che può avvenire dinanzi al Tribunale in via telematica) anche se è prevedibile ancora una fase di difficoltà in fatto per la richiesta di copie in forma esecutiva (nulla vieta, tuttavia, di estrarre intanto dal fascicolo telematico copia non esecutiva mediante i poteri di certificazione del difensore e provvedere a notifica telematica o a mezzo posta al moroso).

Particolare attenzione deve inoltre essere posta  in questo periodo dall’amministratore nel valutare le richieste di dilazione che avanzano i condomini in difficoltà, poiché certamente la situazione richiede una valutazione attenta ed elastica delle reali possibilità di ciascuno e, tuttavia, la facoltà di concedere dilazioni nei pagamenti della quota non compete all’amministratore ma unicamente all’assemblea (Tribunale di Roma  13.9.2019, Tribunale di Milano 5.5.2017 n. 4000).

Certamente, in tali ipotesi, la sensibilità individuale del professionista e la conoscenza della comunità rappresentata dallo specifico fabbricato in cui opera consentiranno di scegliere gli strumenti più opportuni per pervenire  ad una soluzione di garanzia, soprattutto per il professionista che deve evitare di porsi  in situazioni di responsabilità o, peggio, di revoca.

LOCAZIONI – in tema di locazioni il tema appare più complesso, poiché la gravità e la causa dell’inadempimento rilevano certamente in tema abitativo, mentre nelle locazioni commerciali si è assai riflettuto sull’incidenza della serrata obbligatoria, imposta dai provvedimenti di questo periodo, quale causa di impossibilità sopravvenuta o di eccessiva onerosità.

I commentatori più avveduti concordano tuttavia su un dato inequivocabile, ovvero l’inapplicabilità di tali istituti allo schema della locazione in funzione della sospensione dell’obbligazione in capo al conduttore, sia in ragione di principi generali del diritto, sia per l’incongruenza del rimedio rispetto allo scopo (salvo che il conduttore non intenda pervenire, per quella via, alla risoluzione del vincolo).

Quanto alla impossibilità sopravvenuta di cui all’art. 1467 c.c. (“.Quando la prestazione di una parte e’ divenuta solo parzialmente impossibile, l’altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e puo’ anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.”) non può non evidenziarsi come nessuna delle due prestazioni corrispettive del contratto di locazione commerciale (concessione del bene contro versamento del canone) sia resa impossibile dall’emergenza, di talchè il bene rimane nella disponibilità del conduttore che pure lo utilizza per l’allocazione delle risorse e degli strumenti necessari all’esercizio della propria attività, momentaneamente sospesa, quanto è semplicemente divenuta momentaneamente e parzialmente  impossibile l’attività del conduttore, elemento ictu oculi diverso sia dalla sua prestazione nei  confronti del locatore che da quella cui è tenuto il proprietario dell’immobile.

Analoghe riflessioni affliggono il richiamo all’art. 1258 c.c., relativo alla impossibilità parziale della prestazione (“Se la prestazione è divenuta impossibile solo in parte, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile”).

Anche riflettere sulla sopravvenuta impossibilità parziale o totale della causa o dell’oggetto, quali elementi essenziali del contratto, conduce comunque a soluzioni che comportano la cessazione del rapporto.

(tali rimedi appaiono invece applicabili a diverse fattispecie contrattuali, ove la prestazione è effettivamente resa impossibile dalle norme intervenute, si pensi all’artista impedito a recarsi in teatro per rendere la propria performance)

Ancor peggiore si rivela il richiamo alla eccessiva onerosità sopravvenuta, di cui all’art. 1467 c.c., strumento peraltro volto alla risoluzione del vincolo, con esiti diametralmente opposti a quelli invece auspicabili in  questa fase, ovvero il mantenimento del rapporto contrattuale e la temporanea sospensione della prestazione del conduttore.

Nè potrà sfuggire che ricorrere agli ordinari criteri civilistici della forza maggiore o del fatto eccezionale finirebbe  per scaricare su una parte privata, il locatore, gli effetti economici nefasti di una emergenza pubblica.

Quanto ai rimedi processuali, non deve trarre in inganno quanto previsto dall’art 103 comma 6 del D.L. 17 marzo 2020 , n. 18, ove  viene disposto il rinvio degli sfratti al 30 giugno 2020: “L’esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo, è sospesa fino al 30 giugno 2020.

Il differimento riguarda unicamente l’attuazione coattiva dei provvedimenti di rilascio già emessi ma non riguarda la facoltà del locatore di agire in via giudiziale per l’accertamento della morosità e la risoluzione del vincolo, anche se sino al 15 aprile 2020 (e salvo ulteriori proroghe) la trattazione dei procedimenti di sfratto è sospesa, non rientrando tale materia fra quelle ritenute urgenti ex art 83 comma 3 dello stesso testo normativo.

Si è anche opportunamente rilevato che non può ritenersi sospeso il c.d. termine di grazia ex art 55 L. 392/1978, che può essere concesso dal giudice a fronte di comprovate difficoltà del conduttore, poiché “una ulteriore eccezionale dilazione snaturerebbe del tutto la funzione dell’istituto che finirebbe per risultare squilibrato – e, quindi, passibile di rilievi in punto di legittimità costituzionale –  in favore di una sola parte (il conduttore) senza neanche   il “bilanciamento”  costituito dalla valutazione, rimessa al giudice, in ordine alla sussistenza delle documentate, precarie condizioni economiche del richiedente il beneficio.”

Va dunque affermato che, allo stato e in assenza di ulteriori provvedimenti normativi che prevedano un intervento statuale di supporto economico, l’unica modalità che può prevedere  la sospensione o riduzione del canone è l’accordo fra conduttore e locatore.

E’ tuttavia auspicabile che, alla ripresa della attività giudiziaria, quando è prevedibile che i procedimenti di sfratto per morosità possano subire un marcato incremento, i giudici valutino con particolare accortezza e sensibilità sia le istanze ex art 55 L. 392/1978 nelle locazioni abitative, cercando di bilanciare le contrapposte esigenze di chi ha visto la propria situazione economica improvvisamente peggiorata dalla emergenza covid19 ed anela a mantenere una sistemazione abitativa e quelle di chi, titolare di un bene immobile, per le stesse ragioni, vede in quella risorsa una possibile fonte di sostentamento in un periodo economicamente complesso, sia la gravità dell’inadempimento ex art. 1455 c.c. ai fini della domanda di risoluzione, che alla luce del nuovo contesto emergenziale dovrà necessariamente prevedere parametri più articolati rispetto a quelli ordinariamente stratificati nella giurisprudenza di merito e di legittimità.

Va tuttavia sottolineato che non potranno essere delegati alla magistratura la soluzione di una situazione eccezionale ed il bilanciamento dei contrapposti interessi, che potranno  vedere adeguato temperamento solo con l’istituzione normativa di specifici fondi volti ad alleviare la morosità incolpevole, che prevedano modalità celeri e semplificate (che non vuol dire indiscriminate…) di accesso.

© massimo ginesi 1 aprile 2020

 

Foto di Orna Wachman da Pixabay

il curioso ossimoro del “condomino acquirente”…

il 22 giugno 2017 è stata presentata proposta di legge n. 4560, con cui si intende modificare due profili introdotti dalla legge 220/2012 nella disciplina condominiale, ovvero il divieto di conferire delega all’amministratore e la responsabilità solidale dell’acquirente di unità immobiliare per le quote relative all’esercizio in corso e a quello precedente prevista dall’art. 63 disp.att. cod.civ.

L’abrogazione dell’inciso dell’art. 67 disp.att. cod.civ. è sicuramente auspicabile, atteso che il conferimento di delega all’amministratore – lungi dal rappresentare un momento di conflitto di interesse – è stato per decenni uno strumento risolutivo per una efficace celebrazione delle assemblee.

Più curioso il concetto di “condomino acquirente”, utilizzato dal latore della proposta, che vorrebbe obbligare chi acquista per i contributi maturati nei cinque anni antecedenti la vendita.

Non sfuggirà che condomino è colui che sia titolare di un diritto reale  all’interno della compagine condominiale, dunque il condomino acquirente è un sorta di creatura mitologica che non può esistere. 

Il testo del DDL è il seguente: “Chi subentra nei diritti di un condòmino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi già maturati fino al quinquennio antecedente al trasferimento. L’amministratore deve fornire anche al condòmino acquirente, che ne faccia richiesta, quanto previsto dall’articolo 10 punto 9 della legge 11 dicembre 2012 n° 220. Tale attestazione va allegata al contratto che determina il trasferimento del diritto di proprietà su unità immobiliari”.

La relazione accompagnatoria promette – con l’introduzione di tale modifica – una drastica diminuzione delle liti.

Restano tuttavia insolute due questioni  fondamentali: l’acquirente (che non è ancora, evidentemente, condomino) potrebbe dimostrare  tale sua qualità all’amministratore – onde richiedere l’attestazione relativa allo stato dei pagamenti – solo tramite un contratto preliminare che già lo obbligherebbe all’acquisto, senza che l’eventuale attestazione possa a quel punto costituire motivo di risoluzione del vincolo obbligatorio.

In diversa ipotesi si consentirebbe a chiunque si affermasse promissario acquirente, di ottenere informazioni sul condominio e sui morosi, ovvero dati non divulgabili a soggetti diversi da quelli previsti dall’art. 1130 n. 9 cod.civ.

E’ evidente che il senso della modifica si avrebbe solo ove si consentisse, a colui che intende acquistare, di calibrare le obbligazioni con il venditore sulla scorta anche degli oneri condominiali insoluti e ciò prima di divenire, tecnicamente, un “promissario acquirente”, ovvero prima di stipulare alcun vincolo.

Si potrebbe ipotizzare  che il promissario acquirente  ottenga  tali dati con il consenso del condomino venditore, ma in tal caso non occorre  alcuna modifica alla legge, atteso che – ovviamente – il condomino ha titolo a conoscere lo stato dei pagamenti e potrà poi divulgarlo a chi ritiene più opportuno, sotto la propria responsabilità.

Curioso anche l’obbligo di allegazione all’atto di acquisto della attestazione che otterrebbe il fantomatico “condomino acquirente”: con la sottoscrizione dell’atto e la prestazione del consenso  le parti danno comunque luogo all’effetto traslativo, pur in assenza della ipotetica attestazione; in assenza di alcuna specifica conseguenza prevista dalla norma per la mancata allegazione, l’inadempimento  – non essendo riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dagli artt. 1477 cod.civ. o 1490 cod.civ. – sembrerebbe  lasciare aperta l’unica via risarcitoria (pur con qualche dubbio, visto che comunque l’acquirente si determina ad acquistare pure in sua assenza), soluzione che appare destinata ad innalzare il contenzioso più che a sopirlo.

proposta_legge

© massimo ginesi 25 luglio 2017 

il concetto di comoda divisibilità dell’immobile

Schermata 2016-07-19 alle 08.06.48

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 11 aprile – 13 luglio 2016, n. 14343
Presidente Petitti – Relatore Scalisi

il concetto di comoda divisibilità di un immobile a cui fa riferimento l’art. 720 cod. civ. postula, sotto l’aspetto strutturale, che il frazionamento del bene sia attuabile mediante determinazione di quote concrete suscettibili di autonomo e libero godimento che possano formarsi senza dover fronteggiare problemi tecnici eccessivamente costosi e, sotto l’aspetto economico – funzionale, che la divisione non incida sull’originaria destinazione del bene e non comporti un sensibile deprezzamento del valore delle singole quote rapportate proporzionalmente al valore dell’intero, tenuto conto della normale destinazione ed utilizzazione del bene stesso. D’altra parte e, al contrario, come è stato già detto da questa Corte (cass. n. 14577 del 21/08/2012) in materia di divisione giudiziale, la non comoda divisibilità di un immobile, può ritenersi legittimamente sussistente solo quando risulti rigorosamente accertata la ricorrenza dei suoi presupposti, costituiti dall’irrealizzabilità del frazionamento dell’immobile, o dalla sua realizzabilità a pena di notevole deprezzamento, o dall’impossibilità di formare in concreto porzioni suscettibili di autonomo e libero godimento, tenuto conto dell’usuale destinazione e della pregressa utilizzazione del bene stesso.

Ora, nel caso concreto, la Corte distrettuale non sembra abbia applicato con rigore questi principi perché da un verso non ha tenuto conto che la creazione di un vano di disimpegno tra le due porzioni dell’immobile, oltre che a creare un’evidente servitù di accesso nell’atrio condominiale, soprattutto, avrebbe sottratto uno spazio ad un appartamento in sè considerato di modeste dimensioni (circa 100 mq) per altro, non sembra che la Corte abbia verificato se il valore dell’appartamento di cui si dice sarebbe rimasto inalterato con la prospettata divisione, ovvero se il valore dei due appartamenti sarebbe stato sovrapponibile al valore dell’immobile prima della divisione. La Corte territoriale non avrebbe, neppure, tenuto conto che i due mini appartamenti non sarebbero risultati con identiche qualità e dotati entrambi di servizi essenziali (diversa sarebbe l’esposizione dei due piccoli appartamenti, nulla veniva specificato in ordine agli impianti idrici e alle utenze elettriche e di gas, di cui uno non sarebbe risultato dotato e, non è dato sapere se avesse potuto sopperire a tale mancanza).
Non vi è dubbio che l’art. 720 cod. civ., che per molti aspetti può essere indicato come esempio di una norma che richiede per la sua applicazione un’analisi economica dei risultati che concretamente possono essere perseguiti (si potrebbe dire che è una norma che apre il mondo giuridico alle regole e ai principi della cc. analisi economica dei fenomeni, ovvero ad interpretazione delle norme giuridiche diretta ad ottenere la massima efficienza, e quindi la situazione ottimale per un uso «razionale» delle risorse) induce a considerare la situazione che l’eventuale divisione dell’appartamento di cui si dice determinerebbe, in termini rigorosi e, comunque, in termini economici più che in termini di possibilità geometrica“.

© massimo ginesi 19 luglio 2016

nel giudizio di divisione spetta al giudice stabilire cosa tocca a ciascuno

Una articolata sentenza della Suprema Corte (CAss. civ. Sez. II 12482/2016) fa il punto sulla divisione giudiziale di un compendio immobiliare e ribadisce il potere del Giudice di stabilire, con adeguata motivazione, le modalità di formazione dei lotti – che possono anche avere natura disomogenea – onde soddisfare al meglio il diritto di ciascun condividente.

La vicenda origina in terra ligure (Sestri Levante) sino ad arrivare al Palazzaccio.

Afferma la Suprema Corte che “il contenuto del diritto dei condividendi ad una porzione di beni immobili comuni, qualitativamente omogenea all’intero, consiste nella proporzionale divisione degli immobili considerati nel genere e non in un frazionamento quotistico delle singole entità immobiliari (fabbricati, terreni, ecc.) comprese nella massa da dividere, sicchè non è sindacabile in sede di legittimità la decisione con cui il giudice di merito abbia ritenuto che taluni dei beni immobili oggetto di comunione possano essere assegnati per l’intero ad una quota ed altri, sebbene aventi caratteristiche diverse, invece ad altra quota, stimando comunque omogenee tra loro le quote stesse quanto al valore dei singoli cespiti, come attestato dall’esiguità dei conguagli, in relazione al valore dell’intero asse (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27405 del 06/12/2013). Pertanto, nell’ipotesi in cui, come nel caso di specie, nel patrimonio comune vi siano più immobili da dividere, spetta al giudice del merito accertare se il diritto del condividente ad una porzione in natura dei beni in comunione sia meglio soddisfatto attraverso il frazionamento delle singole entità immobiliari oppure attraverso l’assegnazione di interi immobili ad ogni condividente, salvo conguaglio”

© massimo ginesi giugno 2016 

Schermata 2016-06-20 alle 10.10.40