impugnazione tabella millesimale non convenzionale: è legittimato passivo l’amministratore.

La Suprema Corte (Cass.civ. sez. II  ord. 4.2.2021 n. 2635 rel. Scarpa) ripercorre l’orientamento interpretativo maturato anteriormente alla entrata in vigore dell’art. 69 disp.att. cod.civ., così come novellato nel 2012.

In forza di principio di diritto affermato dalle sezioni unite del 2010, la tabella millesimale che rispecchi i valori proporzionali delle singole unità e non deroghi in via contrattuale ai criteri previsti dall’art. 1123 c.c. può essere approvata a maggioranza; la sua impugnativa non comporta  litisconsorzio necessario dei singoli condomini ma vede legittimato passivo unicamente l’amministratore.

La pronuncia giudiziale di revisione ha valenza ex nunc e, dunque, non avendo portata retroattiva, comporta che le delibere precedentemente adottate sula scorta delle tabelle oggetto di revisione mantengano piena   validità.

“Non può trovare applicazione nel presente giudizio, che attiene a domanda di revisione dei valori proporzionali espressi nella tabella millesimale proposta con citazione del 19 maggio 2004, l’art. 69 disp. att. c.c., comma 2 nella riformulazione conseguente alla L. 11 dicembre 2012, n. 220.

Non di meno, la sostanziale fondatezza del primo motivo di ricorso e l’erroneità della decisione della relativa questione di diritto operata dalla Corte d’appello di Cagliari (nella parte in cui la sentenza impugnata ha fatto derivare dalla riqualificazione della domanda attorea come revisione delle tabelle la necessità del litisconsorzio) discendono alla stregua dell’interpretazione offerta da Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477.

Tale sentenza chiarì come l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non deve essere deliberato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136 c.c., comma 2, purchè tale approvazione sia meramente ricognitiva dei valori e dei criteri stabiliti dalla legge, e quindi dell’esattezza delle operazioni tecniche di calcolo della proporzione tra la spesa ed il valore della quota o la misura dell’uso.

I criteri legali di ripartizione delle spese condominiali, stabiliti dall’art. 1123 c.c., possono essere derogati, come prevede la stessa norma, mediante convenzione, la quale può essere contenuta o nel regolamento condominiale (che perciò si definisce “di natura contrattuale”), o in una deliberazione dell’assemblea che venga approvata all’unanimità.

Viene, quindi, imposta, a pena di radicale nullità l’approvazione di tutti i condomini per le sole delibere dell’assemblea di condominio con le quali siano stabiliti i criteri di ripartizione delle spese in deroga a quelli dettati dall’art. 1123 c.c., oppure siano modificati i criteri fissati in precedenza in un regolamento “contrattuale” (Cass. Sez. 2, 19/03/2010, n. 6714; Cass. Sez. 2, 27/07/2006, n. 17101; Cass. Sez. 2, 08/01/2000, n. 126). Rivela dunque natura contrattuale soltanto la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ovvero approvare quella “diversa convenzione”, di cui all’art. 1123 c.c., comma 1. Se, invece, sia stata approvata una tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali, e se essa risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni, a tali situazioni può rimediare la maggioranza dell’art. 1136 c.c., comma 2, per ripristinarne la correttezza aritmetica (Cass. Sez. 6 – 2, 25/01/2018, n. 1848; Cass. Sez. 2, 25/10/2018, n. 27159).

La giurisprudenza ha anche tratto le dovute conseguenze di ordine processuale dall’insegnamento di Cass. Sez. U, 09/08/2010, n. 18477.

Una volta affermato il fondamento assembleare, e non unanimistico, dell’approvazione delle tabelle, alcuna limitazione può sussistere in relazione alla legittimazione dal lato passivo dell’amministratore per qualsiasi azione, ai sensi dell’art. 1131 c.c., comma 2, volta alla determinazione giudiziale o alla revisione di una tabella millesimale che consenta la distribuzione proporzionale delle spese in applicazione aritmetica dei criteri legali (tale risultando, nella specie, la domanda proposta da P.L., la quale assume l’erroneità delle tabelle millesimali vigenti in relazione ai valori proporzionali della sua unità immobiliare e di quelle di M.M.M. e di Mo.Al.).

Si tratta, infatti, di controversia rientrante tra le attribuzioni dell’amministratore stabilite dall’art. 1130 c.c. e nei correlati poteri rappresentativi processuali dello stesso, senza alcuna necessità del litisconsorzio di tutti i condomini. Riconosciuta, nella sostanza, la competenza gestoria dell’assemblea in ordine all’approvazione ed alla revisione delle tabelle millesimali, non vi può essere resistenza a ravvisare in materia altresì la rappresentanza giudiziale dell’amministratore (come del resto desumibile poi dal già richiamato art. 69, disp. att. c.c., comma 2 nella riformulazione conseguente alla L. 11 dicembre 2012, n. 220, nella specie non applicabile ratione temporis) (Cass. Sez. 2, 04/08/2017, n. 19651; Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735).

secondo l’orientamento di questa Corte, la portata non retroattiva della pronuncia di formazione o di revisione giudiziale delle tabelle millesimali comporta che non possa affatto affermarsi l’invalidità (o addirittura l’illiceità fonte di danno ex art. 2043 c.c., come ipotizza la ricorrente) di tutte le delibere approvate sulla base delle tabelle precedentemente in vigore, il che provocherebbe, altrimenti, pretese restitutorie correlate alle ripartizioni delle spese medio tempore operate, in applicazione della cosiddetta “teoria del saldo” (Cass. Sez. 2, 10/03/2020, n. 6735; Cass. Sez. 2, 24/02/2017, n. 4844; Cass. Sez. 3, 10/03/2011, n. 5690; Cass. Sez. U, 30/07/2007, n. 16794).”

© massimo ginesi 24 febbraio 2021

 

 

accertamento della qualità di condomino: la legittimazione passiva è in capo ai singoli condomini

La  Suprema Corte (Cass. civ. VI.2  ord. 21 febbraio 2020 n. 4967 rel. Scarpa) richiama un principio  ormai consolidato  che affonda le proprie radici nel dictum delle Sezioni Unite  n. 25454/2013: l’azione di accertamento della condominialità di un bene (o della qualità di condomino di un soggetto) non va proposta contro l’amministratore ma vede quali legittimati passivi, in regime di litisconsorzio necessario, tutti gli altri condomini.

Come affermato dalla Corte d’Appello di Messina, la domanda di accertamento della qualità di condomino, ovvero dell’appartenenza, o meno, di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo (come avvenuto nella specie), imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.

Invero, l’azione che ha per oggetto l’accertamento positivo o l’esclusione del diritto di condominio sulle parti comuni, esercitata dal titolare di una determinata proprietà immobiliare, rende indispensabile l’integrità del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, giacché tale accertamento o esclusione si risolve comunque in un minore o maggior diritto proporzionale di condominio in capo a coloro cui appartengono le altre unità immobiliari.

La definizione della vertenza postula, dunque, una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione (Cass. Sez. 6-2, 25/06/2018, n. 16679; Cass. Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

Di recente, Cass. Sez. U, 18/04/2019, n. 10934, ha enunciato il principio che, nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condomini sulle parti comuni, ciascun condomino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”. In motivazione, la sentenza n. 10934 del 2019 afferma proprio: “Le Sezioni Unite con la sentenza 25454 del 2013 relativa ad azione di un condomino volta all’accertamento della natura condominiale di un bene hanno già avuto modo di affermare, con un esame approfondito della questione, che occorre integrare il contraddittorio nei riguardi di tutti i condomini qualora il convenuto eccepisca la proprietà esclusiva formulando un’apposita domanda riconvenzionale volta ad ampliare il tema del decidere ed ottenere una pronuncia avente efficacia di giudicato che mette in discussione la comproprietà degli altri soggetti (più di recente v. Cass. n. 6649 del 15/03/2017). Altrettanto vale allorché vi sia espressa azione in tal senso contro il condominio o qualora l’amministratore condominiale introduca un’azione che esula dalle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c., e dalla sfera di rappresentanza attribuitagli dall’art. 1131 c.c.”.

Non induce a diverse conclusioni la considerazione, svolta da dalle ricorrenti nella memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2, secondo cui, a norma dell’art. 1131 c.c., l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, in quanto, proprio per la consolidata interpretazione giurisprudenziale già richiamata, il potere rappresentativo che spetta all’amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni, rimanendone perciò escluse le azioni che incidono sulla condizione giuridica dei beni stessi, e, cioè, sul relativo diritto di comproprietà, che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini. In tal modo, si assicura anche la regolare corrispondenza tra le attribuzioni dispositive dell’amministratore e dell’assemblea e la legittimazione a far valere nel processo le rispettive posizioni dominicali.  “

© Massimo Ginesi 25 febbraio 2020

la richiesta di demolizione di parti comuni comporta litisconsorzio fra i condomini

il giudizio in ordine ad una negatoria servitutis, la cui attuazione comporti demolizione di parti comuni, richiede la partecipazione al giudizio di tutti i comproprietari.

Si tratta di principio consolidato, ribadito da una recente sentenza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  24 ottobre 2019 n. 27361).

correttamente la Corte distrettuale ha richiamato (e fatto proprio) il consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nell’azione negatoria servitutis, se per l’attuazione della tutela richiesta è necessaria la rimozione dello stato di fatto mediante l’abbattimento di un’opera in proprietà o in possesso di più persone, le stesse devono partecipare al giudizio quali litisconsorti necessari, in quanto la sentenza resa nei confronti di alcuno e non anche degli altri comproprietari o compossessori dell’opera sarebbe inutiliter data, per il fatto che la demolizione della cosa pregiudizievole incide sulla sua stessa esistenza e, di conseguenza, sulla proprietà o sul possesso di tutti coloro che sono partecipi di tali signorie di fatto o di diritto sul bene, non essendo configurabile una demolizione limitatamente alla porzione o alla quota del solo comproprietario o compossessore convenuto in giudizio (cfr. ex plurimis, Cass. n. 17663 del 2018; Cass. n. 4685 del 2018; Cass. n. 6622 del 2016; Cass. n. 3925 del 2016; Cass. n. 2170 del 2013).

Per cui, altrettanto correttamente, la Corte distrettuale ha concluso che, “con riferimento al caso di specie, la innegabile necessità di un intervento di abbattimento coinvolgente le strutture portanti dell’edificio, quali i pilastri, i solai e i muri comuni, come desumibile dal contenuto della svolta c.t.u., avrebbe dovuto comportare, alla stregua degli enunciati principi, la integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti proprietari dei beni sui quali tale intervento era destinato a incidere”

© Massimo Ginesi 28 ottobre 2019 

 

l’accertamento sulla titolarità di un box prevede litisconsorzio necessario fra tutti i condomini

le domande che hanno ad oggetto l’accertamento, con efficacia  di giudicato, in ordine alla titolarità esclusiva di un bene posto in condominio devono essere proposte non contro l’amministratore ma nei confronti di tutti i singoli condomini.

E’ quanto ribadisce Cass.civ. sez. II  ord. 16 ottobre 2019 n. 26208.

fatti e processoCon atto di citazione del 22/10/2002 F.A. conveniva in giudizio il (omissis) , chiedendo che venisse accertato il suo esclusivo diritto di proprietà sul locale terraneo adibito a box, facente parte del fabbricato condominiale, con conseguente condanna del Condominio al rilascio e allo sgombero dello stesso. Il convenuto, costituendosi, eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, dovendo la causa essere istaurata nei confronti dei singoli condomini e, nel merito, deduceva che il bene rivendicato era di proprietà condominiale.
Il Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Afragola, con sentenza n. 166/2008 rigettava l’eccezione di legittimazione e accoglieva la domanda, accertando il diritto di piena proprietà dell’attore sul bene oggetto di causa e condannando il Condominio all’immediato rilascio dello stesso.
2. Avverso la pronuncia, chiedendone l’integrale riforma, proponeva appello il (omissis) , anzitutto contestando la decisione del Tribunale di ritenere passivamente legittimato il Condominio.
Con sentenza 30 gennaio 2013, n. 332, la Corte d’appello di Napoli riteneva fondata l’eccezione, formulata dall’appellato, di difetto di legittimazione dell’amministratore del Condominio per mancanza di deliberazione autorizzativa dell’assemblea alla proposizione dell’impugnazione, non trattandosi di causa che l’amministratore poteva autonomamente proporre ex art. 1130 c.c., n. 4 e dichiarava così inammissibile l’appello.

principio di diritto ” Preliminare rispetto all’esame dell’unico motivo di ricorso – con cui si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1130, 1131 c.c. e art. 75 c.p.c., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte di appello ritenuto necessaria, ai fini della proposizione dell’appello da parte dell’amministratore del Condominio, la previa deliberazione dell’assemblea dei condomini o, quantomeno, la ratifica successiva del suo operato, non rientrando la controversia tra quelle che l’amministratore poteva autonomamente proporre – è il rilievo della non integrità del contraddittorio.

L’azione fatta valere da F.A. è di accertamento del suo esclusivo diritto di proprietà su un immobile – azione reale che non diviene personale, come aveva sostenuto il giudice di primo grado, per il fatto che oltre all’accertamento del diritto sia stata conseguentemente chiesta la condanna del Condominio a restituire l’immobile – ed incide sul diritto di ciascun condomino, che deve pertanto essere convenuto in giudizio.

Come ha infatti precisato questa Corte, la domanda di un terzo il quale, agendo contro il condominio, si affermi proprietario esclusivo e pretenda di farlo con una domanda mirante al giudicato di accertamento e di condanna al rilascio del bene si deve svolgere in contraddittorio con tutti i condomini, “stante la condizione di comproprietari dei beni comuni e la portata delle azioni reali, che incidono sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, avente reale interesse a contraddire” (così Cass. n. 3575/2018, che ha sviluppato quanto affermato da Cass., sez. un., n. 25454/2013).

Va quindi dichiarata la nullità delle pronunzie di merito e dei relativi procedimenti per mancata instaurazione del contraddittorio nei confronti dei singoli condomini; pertanto, cassata per l’effetto la sentenza impugnata, la causa va rinviata al giudice di primo grado, che provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.”

© Massimo Ginesi 21 ottobre 2019  

sconfinamenti fra edifici condominiali contigui: il principio dell’accessione prevale sulla presunzione di comunione.

Una recentissima pronuncia della Cassazione ( Cass.civ. sez. VI-2 25 giugno 2019 n. 17022 rel. Scarpa) affronta un tema davvero singolare e che ben si attaglia ai tipici fabbricati liguri (anche se la vicenda di causa ha luogo in toscana).

In due edifici condominiali contigui (ma costituenti autonomi e distinti condomini) taluni condomini provvedono a sopraelevare e a modificare la consistenza delle proprie unità, sforando  nell’edificio vicino e quindi giovandosi di parti comuni dell’altro fabbricato (quali tetto e strutture): la causa origina dalla impugnazione di delibera del condominio “invaso” dall’ampliamento  con la quale si dava mandato all’amministratore di agire per il recupero delle quote di spesa nei confronti di uno di questi soggetti, sull’assunto che lo stesso fosse divenuto – in forza di dette modifiche – condomino anche di tale fabbricato.

Il Tribunale di Firenze ha annullato la delibera, rigettando la richiesta  avanzata dall’impugnante volta ad accertare che non era condomino di quel fabbricato che pretendeva di imputargli oneri di manutenzione;la Corte di Appello di Firenze – sul gravame proposto dalla società impugnante – ha invece ritenuto che questa fosse divenuta condomina di quel fabbricato in virtù delle opere svolte che, pacificamente, debordavano nel condominio vicino.

Il giudice di legittimità rileva in primo luogo che l’accertamento sulla qualità di condomino, ove richiesto con efficacia di giudicato, debba vedere litisconsorzio necessario fra gli altri condomini, difettando legittimazione passiva dell’amministratore in ordine a tali domande, mentre ben può costituire mero accertamento incidentale volto a statuire unicamente sulla validità della delibera impugnata: “ la  domanda  di accertamento  della  qualità di  condomino, ovvero dell’appartenenza, o meno, di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva ad un condominio edilizio, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 e.e., non va proposta nei confronti della persona che svolga l’incarico di amministratore del condominio medesimo, imponendo, piuttosto, la partecipazione quali legittimati passivi di tutti condomini in una  situazione  di  litisconsorzio necessario.

La definizione della vertenza postula, invero, una decisione implicante un accertamento in ordine a titoli di proprietà confliggenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso condominio in discussione (Cass. Sez.  6-2,  25/06/2018,  n. 16679;  Cass.  Sez. 6-2, 17/10/2017, n. 24431; Cass. Sez. 6-2, 22/06/2017, n. 15550; Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez.  2,  01/04/1999,  n. 3119). 

Ne consegue che, nel giudizio di impugnazione avverso una delibera assembleare, ex art. 1137 e.e. (quale quello in esame, relativo alla deliberazione dell’assemblea 26 settembre 2003 del Condominio di Via dei N.) in cui la legittimazione passiva spetta all’amministratore, l’allegazione, ad opera della ricorrente, della estraneità degli immobili di sua proprietà esclusiva ad un condominio può formare oggetto di un accertamento meramente incidentale, funzionale alla decisione della  sola causa  sulla  validità  dell’atto  collegiale  ma  privo di efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei diritti reali dei singoli (arg. da Cass. Sez. 2, 31/08/2017, n. 20612).”

Quanto all’acquisto della qualità di condomino, la Cassazione evidenzia come la stessa possa operare solo ove le modifiche intervengano interiormente alla costituzione del condominio o comunque su area già comune anche ai condomini che effettuano la nuova costruzione, mentre ove lo sconfinamento avvenga su area che già appartiene pro indiviso solo ad altri soggetti, debba prevalere il regime dell’accessione: ” La presunzione legale di comunione di talune parti dell’edificio condominiale, stabilita dall’art. 1117 c.c., si basa sulla loro destinazione all’uso ed al godimento comune, destinazione che deve sussistere anche per le parti nominativamente elencate in detta norma e risultare da elementi obiettivi, cioè dalla  attitudine funzionale della parte di cui trattasi al servizio od al godimento collettivo, intesa come relazione strumentale necessaria tra questa parte e l’uso comune.

La presunzione di condominialità è applicabile (come conferma ora l’art. 1117 bis c.c., introdotto dalla legge n. 220/2012) anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all’uso od al servizio di tali edifici, ancorché insistenti su un’area appartenente al proprietario  (o  ai proprietari) di uno solo degli immobili; in simile ipotesi, però, la presunzione è invocabile solo se l’area e gli edifici siano appartenenti ad una stessa persona – od a più persone “pro­ indiviso” – nel momento della costruzione della cosa o del suo adattamento o trasformazione all’uso comune, mentre, nel caso in cui l’area sulla quale siano state realizzate le opere destinate a  servire i due edifici  sia  appartenuta  sin dall’origine  ai proprietari di uno solo di essi, questi ultimi acquistano per accessione la proprietà esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e/o col contributo economico dei  proprietari degli altri edifici.

Così, al fine di accertare se un fabbricato adiacente ad altro edificio faccia parte dei beni condominiali, ai sensi dell’art. 1117 c.c., è necessario stabilire  se  siano sussistenti i presupposti per l’operatività della presunzione di proprietà comune con riferimento al momento della nascita del condominio, restando escluso che sia determinante il collegamento materiale tra i due immobili, se eseguito successivamente all’acquisto. 

  Alla stregua di tali criteri non può essere condivisa l’affermazione della Corte di  Firenze  secondo cui le fondazioni, i muri maestri ed il tetto  dell’edificio condominiale di Via dei N. siano divenuti comuni  ai proprietari  di  unità  immobiliari  comprese  nell’edificio   limitrofo di via della M.,  per il solo  fatto che alcuni condomini  di  via Dei N., sopraelevando il tetto e “sfondando” il muro perimetrale, avessero debordato, con le costruzioni, dall’area di loro spettanza ed invaso l’area di proprietà  del vicino edificio di  via della M, non avendo i costruttori in tal modo  conseguito l’attribuzione della proprietà  dello  spazio  occupato, né soccorrendo più al momento di tali opere la  presunzione  ex art. 1117 c.c., in quanto il suolo e gli edifici all’epoca della costruzione appartenevano ormai a proprietari diversi, sicché dovevano piuttosto trovare applicazione – in difetto di apposita convenzione scritta, o di maturata  usucapione    le  norme relative all’accessione e alla  forma  richiesta  ad substantiam  per il trasferimento dei diritti reali immobiliari (cfr. Cass. Sez. 2, 26/04/1993, n. 4881; Cass. Sez. 2, 26/04/1990,  n.  3483;  Cass. Sez. 2, 18/03/1968, n. 863; Cass. Sez.  2,  22/10/1975, n. 3501; Cass. Sez. 2, 23/09/2011, n. 19490).”

© massimo ginesi 27 giugno 2019 

 

il giudizio di appello deve svolgersi nel contraddittorio di tutte le parti del primo grado

una recente sentenza della corte di legittimità (Cass.Civ. sez.II 28 marzo 2019 n. 8695 rel. Scarpa)  fa applicazione piana di un principio cardine del nostro ordinamento processuale, rilevando un difetto di integrità del contraddittorio nel giudizio di appello, rispetto alle parti che avevo preso parte al primo grado.

La vicenda processuale è decisamente complessa: ” Nel corso del giudizio di primo grado intervennero adesivamente rispetto alla posizione del Condominio attore i singoli condomini F, A, S, A e T, nei cui confronti fu quindi pronunciata la sentenza del Tribunale di Roma dell’8 marzo 2010. Proposero poi appello principale il Condominio di Viale P., (i condomini)  F, A e S, ma tale appello venne notificato unicamente alla Is.r.I., alla A s.r.l.  ed alla B s.r.I., e non anche ad A ed a T.

Deve riaffermarsi che, nell’ambito di giudizio promosso dall’amministratore di condominio con riguardo alla tutela delle parti comuni condominiali (nella specie, per far valere l’illegittima realizzazione di canne fumarie apposte sulla facciata dell’edificio, adibite all’esercizio di attività di ristorazione, in violazione dell’art. 844 c.c., nonché di un divieto contenuto nel regolamento di condominio), ciascuno dei partecipanti al condominio può spiegare intervento a difesa della proprietà comune, connotandosi tale intervento come “adesivo autonomo” (così Cass. Sez. 2, 23/06/1976, n. 2341; Cass. Sez. 3, 18/02/1980, n. 1191), ovvero (sul presupposto che il condomino che intervenga personalmente nel processo, in cui sia presente l’amministratore, non si comporta come un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei) quale costituzione di una delle parti originarie in senso sostanziale determinatasi a far valere le proprie ragioni direttamente, e non più tramite il rappresentante comune (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 27/01/1997, n. 826; Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6813; Cass. Sez. 2, 30/06/2014, n. 14809).

Tale profilo non è direttamente coinvolto dalla decisione, rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 27101 del 2017, sulla più generale questione di diritto concernente la permanente legittimazione del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) all’impugnazione di qualsiasi sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, alla luce dei principi enunciati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014.

A seguito dell’intervento volontario del singolo condomino nel giudizio promosso dall’amministratore di condominio per la tutela delle parti comuni, si configura allora un unico giudizio con pluralità di parti, il quale si definisce con la stessa sentenza rispetto alle parti principali ed agli intervenuti, il che dà luogo ad un litisconsorzio necessario processuale.

La causa deve perciò considerarsi inscindibile anche in grado di appello nei confronti dell’interventore, con la conseguenza che, ove l’atto di impugnazione non sia notificato nei suoi confronti ed il giudice non abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c., si determina la nullità, rilevabile di ufficio pure in sede di legittimità, dell’intero processo di secondo grado e della sentenza che lo ha concluso (arg. da Cass. Sez. 2, 09/05/2018, n. 11156; Cass. Sez. 3, 19/10/2015, n. 21070; Cass. Sez. 2, 06/05/2015, n. 9150; Cass. Sez. 1, 03/04/2007, n. 8350; Cass. Sez. 3, 05/05/2004, n. 8519).

La mancata notificazione dell’atto di impugnazione della sentenza di primo grado a taluno dei condomini intervenuti nella causa promossa dall’amministratore di condominio vizia, dunque, la sentenza di appello che sia stata emessa senza l’integrazione del contraddittorio con i condomini pretermessi e tale vizio può essere fatto valere come motivo di ricorso per cassazione, in quanto, per un verso, la sentenza di primo grado non passa in giudicato nei confronti dei pretermessi in presenza dell’impugnazione di altre parti e, per altro verso, la sentenza che non sia pronunciata nei confronti di tutti i comproprietari risulta comunque ineseguibile e, quindi, inutiliter data (arg. da Cass. Sez. 2, 18/11/2008, n. 27412).

La Corte osserva, con argomenti di grande interesse,  che non ha rilievo la circostanza che taluno dei condomini pretermessi sia poi intervenuto con controricorso nel giudizio di cassazione, poiché rimane il dato oggettivo che costui non ha comunque preso parte al secondo grado di processo.

Si assume, invero, che, allorché in una causa, concernente le cose condominiali, siano costituiti sia uno o alcuni soltanto dei condomini, sia l’amministratore del condominio, la rappresentanza di quest’ultimo resta inevitabilmente limitata agli altri condomini, sicché, ove avvenga piuttosto la costituzione in giudizio di tutti i singoli partecipanti, occorre procedere all’estromissione dell’amministratore, per. sopravvenuto difetto della sua legittimazione passiva (cfr. Cass. Sez. 2, 18/01/1973, n. 184).

Ciò comporta che, allorché il condomino intervenga personalmente nel processo in tema di tutela delle parti comuni, in cui sia già presente l’amministratore, connotandosi quale parte in senso sostanziale del rapporto dedotto in lite che non si avvale più della rappresentanza ex art. 1131 c.c. dell’amministratore stesso, non vale il principio per cui il giudicato, formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condomini non intervenuti nel giudizio (Cass. Sez. 3, 24/07/2012, n. 12911; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12343), e l’esigenza di scongiurare eventuali giudicati contrastanti nella stessa materia e tra soggetti già parti del giudizio (il condomino intervenuto ed il condominio in persona dell’amministratore) viene preservata, in ipotesi di impugnazione, proprio dal meccanismo di cui all’art. 331 c.p.c.

Né è sostenibile che le parti intervenute nel giudizio di primo grado, le quali, pur sussistendo un litisconsorzio necessario, non siano state evocate nel giudizio d’appello, possano poi volontariamente intervenire nel giudizio di cassazione e accettare, come avvenuto nel caso in esame, espressamente senza riserve il contenuto della sentenza di secondo grado che, accogliendo l’appello proposto da altri litisconsorti dei pretermessi, abbia riformato la pronuncia impugnata e così posto nel nulla l’iniziale soccombenza che accomunava i medesimi litisconsorti, in maniera da ripristinare, ora per allora, la condizione di integrità del contraddittorio cui era subordinata la pronuncia di appello (a differenza di quanto si afferma nell’ipotesi in cui il litisconsorte necessario pretermesso intervenga volontariamente in appello ed accetti. la causa nello stato in cui si trova, non essendovi in tal caso rischi di possibili contrasti di giudicato: Cass. Sez. 2, 06/11/2014, n. 23701; Cass. Sez. 1, 04/05/2011, n. 9752; Cass. Sez. 2, 05/08/2005, n. 16504).

Poiché la nullità derivante dalla mancata integrazione del contraddittorio nelle ipotesi di cui all’art. 331 c.p.c. si ricollega ad un difetto di attività del giudice di appello, al quale incombeva l’obbligo di adottare un provvedimento per assicurare la regolarità del processo, ed è, come detto, rilevabile d’ufficio pure in sede di legittimità, non opera nemmeno il temperamento stabilito dall’art. 157, comma 3, c.p.c., secondo il quale la nullità non può essere opposta dalla parte che vi abbia dato causa (Cass. Sez. 3, 16/05/1975, n. 1911; Cass. Sez. 2, 04/04/2001, n. 4948; Cass. Sez. 6 – 2, 18/02/2014, n. 3855 ).

© massimo ginesi 2 aprile 2019 

condominio autonomo dei box e decreto ingiuntivo.

Una recentissima ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. VI-2 17 ottobre 2017 n. 24431 rel. Scarpa)  affronta un tema consolidato in giurisprudenza (ovvero le vicende ed eccezioni che possono essere fatte valere in sede di opposizione a decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio per le quote scadute), con riferimento alla peculiare situazione in cui i box costituiscano ente condominiale autonomo rispetto all’edificio che li sovrasta.

I fatti ed il processo di merito – la vicenda inizia con un giudizio di opposizione dinanzi al giudice di pace, proseguito dinanzi al Tribunale quale giudice di appello: “Il giudizio era iniziato con ricorso per decreto ingiuntivo relativo a spese condominiali dovute dalla condomina MFB per C 924,00, approvate in sede di bilanci per gli esercizi 2008 e 2009 con delibere del 4 febbraio 2008 e del 10 febbraio 2009, e relative alla proprietà dei box nn. 1, 2, 3, 7 e 8 del complesso.

Il Tribunale di Roma nella sentenza impugnata ha posto in evidenza come nell’atto di acquisto dei box di proprietà B del 4 ottobre 2007, prodotto in atti, la gestione delle parti comuni dei medesimi box fosse oggetto di autonoma regolamentazione rispetto a quella del sovrastante edificio di via S. A M n. 70, Roma (come da regolamento dell’Il luglio 2007, che l’acquirente aveva dichiarato di accettare).

Il Tribunale superava perciò la resistenza della B., che contestava la distinta legittimazione attiva a riscuotere i contributi del Condominio Box via V 83-85. Parimenti, il giudice dell’appello negava la rilevanza pregiudiziale del giudizio pendente tra MFB e la E R s.r.I., incidente su tre dei box di proprietà B.”

La Corte di legittimità rigetta il ricorso, in quanto manifestamente infondato, con ampia e puntuale motivazione, che non si discosta da principi generali consolidati.

nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo concernente il pagamento di contributi per spese, il condominio soddisfa l’onere probatorio su esso gravante con la produzione del verbale dell’assemblea condominiale in cui sono state approvate le spese, nonché dei relativi documenti (Cass. Sez. 2, 29 agosto 1994, n. 7569). Nello stesso giudizio di opposizione, il condomino opponente non può far valere questioni attinenti alla annullabilità della delibera condominiale di approvazione dello stato di ripartizione.

Tale delibera costituisce, infatti, titolo sufficiente del credito del condominio e legittima non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma anche la condanna del condominio a pagare le somme nel processo oppositorio a cognizione piena ed esauriente, il cui ambito è, dunque, ristretto alla verifica della (perdurante) esistenza della deliberazione assembleare di approvazione della spesa e di ripartizione del relativo onere (Cass. Sez. U., 18 dicembre 2009, n. 26629; Cass. Sez. 2, 23/02/2017, n. 4672).

Tanto meno può essere oggetto dell’opposizione a decreto ingiuntivo inerente il pagamento di spese condominiali, emesso sulla base di delibera assembleare di approvazione del relativo stato di ripartizione, la questione dell’autonoma esistenza del condominio intimante e della sua appartenenza ad esso del condomino opponente, il quale neppure abbia provveduto all’impugnazione della medesima delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione.

D’altro canto, ove si intenda controvertere sull’esistenza, o meno, in ordine ad una serie di unità immobiliari integranti porzioni di un complesso edilizio, di un condominio unico e distinto dal sovrastante complesso immobiliare, e, quindi, sulla riconducibilità di talune delle strutture della costruzione di cui si tratta alle parti comuni dell’edificio condominiale di cui all’art. 1117 c.c., con conseguente ripartizione delle spese tra i proprietari delle varie unità, è necessaria la partecipazione di tutti costoro a ciascuna delle fasi del giudizio, in una situazione di litisconsorzio necessario.

L’infondatezza del ricorso è, dunque, ancor più palese ove si consideri che non potesse comunque essere oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 63, comma 1, disp. att. c.c., l’agitata questione dell’accertamento dell’inesistenza di un “condominio autonomo” con riferimento alle distinte unità immobiliare realizzate nel piano interrato e destinate ad autorimesse, trattandosi di domanda da rivolgersi non nei confronti dell’amministratore, e che avrebbe, piuttosto, imposto il litisconsorzio necessario di tutti quei singoli condomini (Cass. Sez. 2, 18/04/2003, n. 6328; Cass. Sez. 2, 01/04/1999, n. 3119).

Il Tribunale di Roma, con argomentazione a rilevanza decisoria che la ricorrente non confuta, ha aggiunto che avesse effetto vincolante per la B. la volontà negoziale dalla stessa manifestata nell’atto di acquisto del 4 ottobre 2007 di adesione alla gestione autonoma delle parti comuni dei box.

Non sussiste, infine, omessa pronuncia in ordine al dedotto rilievo pregiudiziale delle altre cause pendenti, avendo sul punto la sentenza impugnata espressamente motivato alle pagine 6 e 7. Basterà qui aggiungere che, per consolidate interpretazioni di questa Corte : 1) il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di oneri condominiali non si intende legato da nesso di pregiudizialità, tale da giustificare la sospensione del procedimento di opposizione ex art. 295 c.p.c., nemmeno con la controversia avente ad oggetto l’impugnazione della delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione stessa (da ultimo, Cass. Sez. 2 , 23/02/2017, n. 4672); 2) ai fini della sospensione necessaria del giudizio ai sensi dell’art. 295 c.p.c., occorrono l’identità delle parti in entrambi i processi e l’obiettiva esistenza di un rapporto di pregiudizialità giuridica, non essendo sufficiente che tra le due controversie sussista una mera pregiudizialità logica (Cass. Sez. 2, 16/03/2007, n. 6159); 3) il provvedimento di riunione previsto dall’art. 274 c.p.c., relativo a cause diverse ma connesse (riunione facoltativa), ovvero dettato da motivi di economia processuale, essendo strumentale e preparatorio rispetto alla futura definizione della controversia, è rimesso al potere discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità.”

© massimo ginesi 18 ottobre 2017

ciascun condomino può agire a tutela delle distanze rispetto al fabbricato condominiale.

Lo afferma, recependo un consolidato orientamento, Corte di Cassazione, sez. II Civile,  26 aprile 2017, n. 10304, rel. Giusti con una pronuncia in cui chiarisce anche che la cotruzione in aderenza no  è ammessa ove non sia espressamente prevista dai regolamenti locali.

La vicenda nasce come una delle classiche liti di vicinato:” PI.Io. , quale procuratrice speciale di PI.Ma.Lu., Z.A., M.G. , D.F.M. , D.F.B. e Pa.An. , premesso di essere proprietari degli appartamenti costituenti l’edificio di via (omissis), convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Velletri, sezione distaccata di Anzio, P.E., per sentirlo condannare all’arretramento del terrazzo, costituente copertura dei locali sottostanti, realizzato a ridosso della parte condominiale in violazione della normativa in tema di distanze, oltre al risarcimento del danno.
Si costituiva il convenuto, resistendo e spiegando domanda di condanna degli attori al risarcimento dei danni per lite temeraria.”

Il Tribunale respingeva la domanda degli attori, condannati anche ex art. 96 c.p.c., pronuncia ribaltata in secondo grado dalla Corte di Appello di Roma, che condannava il convenuto all’arretramento della costruzione.

Giunto il giudizio in sede di legittimità, la Corte afferma, quanto alla legittimazione e alla inesistenza idi litisconsortio:

Ciascun condomino è legittimato a ricorrere per la violazione delle distanze fra costruzioni con riguardo all’edificio condominiale, senza che sia necessaria la integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa degli altri condomini, trattandosi di azione a tutela del diritto di proprietà dalla quale nessun nocumento può derivare agli altri con titolari (Cass., Sez. II, 11 marzo 1992, n. 2940; Cass., Sez. II, 22 maggio 1995, n. 5612).”

Quanto alle costruzioni in aderenza: “La decisione impugnata è corretta, avendo fatta puntuale applicazione del condiviso principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte (Cass., Sez. II, 9 settembre 1998, n. 8945; Cass., Sez. II, 12 settembre 2000, n. 12045), secondo cui, quando, come nel caso in esame, il piano particolareggiato esecutivo prescrive le distanze dal confine, non è consentita – salvo concreta, diversa previsione della norma regolamentare – la costruzione in aderenza, perché dette norme regolamentari sono integrative del codice civile per tutta la loro disciplina, tal che la norma di cui all’art. 873 cod. civ. cede alla norma regolamentare, che, prescrivendo l’osservanza, per le costruzioni, di una determinata distanza dal confine, implica il divieto di costruire in appoggio od in aderenza, in deroga alla disciplina del codice civile.”

Osserva ancora la Corte che la circostanza dirimente in ordine al divieto di costruire in aderenza è che il piano locale preveda una distanza minima dal confine: “Non viene in gioco nella specie il principio enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte, a composizione di contrasto, con la sentenza 19 maggio 2016, n. 10318, perché nella presente fattispecie il regolamento edilizio locale non si limita a stabilire un distacco minimo fra le costruzioni maggiore rispetto a quello contemplato dall’art. 873 cod. civ., ma prescrive proprio una distanza minima delle costruzioni dal confine.”

Sottolinea infine che tali norme sono inderogabili, come è ovvio, in via negoziale, rimanendo irrilevante che  sia stata comunque rilasciata concessione edilizia: “la Corte d’appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati, e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Cass., Sez. II, 23 aprile 2010, n. 9751).”

© massimo ginesi 2 maggio 2017

per l’azione di nullità del regolamento contrattuale non vi è legittimazione passiva dell’amministratore

Il regolamento di natura contrattuale è una convenzione intercorsa fra più soggetti, nei cui unici confronti – e non dell’amministratore del condominio – va introdotta l’azione per farne dichiarare la nullità.

Quel tipo di regolamento, proprio per la sua natura contrattuale, è idoneo anche ad identificare le parti comuni ai partecipanti al condominio, anche in deroga all’art. 1117 cod.civ., sicché anche un corpo di fabbrica esterno al condominio – che abbia in comune con questo solo un cortile – ben potrà essere soggetto alle spese per la manutenzione delle parti comuni, anche ove quelle non siano strumentali all’uso di quella unità, se così  sia previsto da quel tipo di regolamento.

Sono i due principi espressi da Cass.Civ. II sez. 21 febbraio 2017 n. 4432 rel. Scarpa: un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale, quali ne siano il meccanismo di produzione ed il momento della sua efficacia, si configura, dal punto di vista strutturale, come un contratto plurilaterale, avente cioè pluralità di parti e scopo comune; ne consegue che l’azione di nullità del regolamento medesimo è esperibile non nei confronti del condominio (e quindi dell’amministratore), carente di legittimazione in ordine ad una siffatta domanda, ma da uno o più condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12850 del 21/05/2008).”

“la costituzione di un condominio, che comprenda eventualmente anche soggetti i quali non fossero già comproprietari dei beni che lo stesso art. 1117 c.c. attribuisce automaticamente per la loro accessorietà alle proprietà esclusive, è comunque possibile per effetto del consenso unanime di quelli, ovvero quale conseguenza dell’espressione di autonomia privata, che determini ex contractu l’insorgenza del diritto di comproprietà, e quindi anche la proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlate. Perciò, con il regolamento di condominio di fonte e contenuto contrattuale ben può essere attribuita la comproprietà delle cose, incluse tra quelle elencate nell’art. 1117 cod. civ., a coloro cui appartengono alcune determinate unità immobiliari, indipendentemente dalla sussistenza di fatto del rapporto di strumentalità che determina la costituzione ex lege del condominio edilizio (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1366 del 10/02/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15794 del 11/11/2002)”.

© massimo ginesi 24 febbraio 2017 

art. 1122 cod.civ. : l’azione è imprescrittibile e va proposta nei confronti di tutti i comproprietari

Un condomino costruisce delle pensiline sul proprio terrazzo, propone un’azione di impugnativa di una delibera e il Condominio, in via riconvenzionale, richiede al Tribunale che ordini la rimozione delle pensiline che assume essere lesive del decoro del fabbricato.

La domanda in via riconvenzionale ha successo (non l’impugnativa proposta in via principale) e il Tribunale di Trani, sez. dist. di Andria, nel lontano 2005, ordina la rimozione delle pensiline ritenute pregiudizievoli per il decoro e lesive dell’art. 7 del regolamento e dell’art. 1120 cod.civ.

La Corte di Appello di Bari, nel 2012, rigetta l’impugnativa proposta dal condomino, che ricorre in cassazione lamentando – fra i vari motivi – un difetto di integrità del contraddittorio.

Il motivo di natura processuale risulta  fondato, tuttavia  la motivazione del Giudice di legittimità ( Cass.civ. sez. II  17 febbraio 2017 n. 4193, rel. Scarpa) appare puntuale e di grande interesse anche sotto i profili sostanziali.

Sono occorsi 13 anni di giudizio per arrivare al giudizio di cassazione ove, rilevato un vizio nella rituale costituzione del contraddittorio, viene disposto  rinvio al giudice di primo grado.

1 “L’azione a tutela del decoro architettonico dell’edificio in condominio, nella specie riconducibile, per quanto emerge dagli atti, all’articolo 1122 codice civile, trattandosi di opere realizzate da un condomino nella porzione di proprietà esclusiva (e non, quindi, all’articolo 1120 codice civile, che attiene all’innovazione delle parti comuni) ha natura reale, costituendo estrinsecazione di facoltà insita nel diritto di proprietà, ed è perciò imprescrittibile, in applicazione del principio per cui “in facultativis non datur praescriptio (cfr Cass. II sez. 7727/ 2000, CAss. II sez. 1455/1981).

Quando, tuttavia, l’azione diretta alla riduzione in pristino ex articolo 1122 codice civile riguarda un immobile comune a più persone, sussiste causa inscindibile per ragioni sostanziali, comportante litisconsorzio necessario tra tutti comproprietari medesimi, incidendo la condanna sull’abbattimento sull’esistenza dell’oggetto della comproprietà spettante a persone estranee al processo (CAss. II sez  5333/2000).

La mancata citazione di uno dei litisconsorti  necessari costituisce vizio rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo, e perciò anche nel giudizio di legittimità, se risultante dagli atti e non preclusa dal giudicato sulla questione. Avendo, peraltro, il ricorrente eccepito la non integrità del contraddittorio per la prima volta in cassazione (mediante denuncia di vizio che, costituendo error in procedendo, il quale importa per legge la nullità della sentenza il procedimento, si traduce motivo di ricorso a norma del numero 4 dell’articolo 36o c.p.c., come fatto con la prima censura) lo stesso ha indicato in AL la comproprietaria che doveva partecipare al giudizio quale litisconsorte  necessaria, ed ha altresì adempiuto all’onere di individuare gli atti del processo di merito dai quali può trarsi la prova dei presupposti di fatto che giustificano la sua eccezione.”

La corte dunque cassa con rinvio al giudice di primo grado affinché venga nuovamente celebrato il processo con il contraddittorio integro.

massimo ginesi © 17 febbraio 2017