Tribunale Massa: revoca dell’amministratore e impugnativa della delibera hanno presupposti diversi

Una recente ordinanza del Tribunale Apuano (Trib. Massa 28 dicembre 2020), resa in sede di volontaria giurisdizione, respinge l’istanza di revoca dell’amministratore che non avrebbe indicato il compenso, sottolineando come tale aspetto attenga ad un vizio della nomina che richiede accertamento in sede sede contenziosa, riprendendo un recente dictum della Corte di legittimità. .

L’ordinanza contiene anche alcune indicazioni sulla gravità delle irregolarità commesse dall’amministratore e sulla loro idoneità a determinarne la  revoca giudiziale, posto che le tipizzazioni previste dall’art. 1129 c.c. non sono né tassative ne vincolanti, richiedendo sempre apprezzamento di fatto da parte del giudice.

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© massimo ginesi 15 dicembre 2020 

 

vizi della delibera e gravi irregolarità non sempre coincidono

Una recente e corposa ordinanza della Corte di legittimità (Cass.civ. sez. II  5 novembre 2020 n. 24761 rel. Scarpa) affronta un tema peculiare e di significativo interesse: non sempre ciò che da luogo a gravi irregolarità comporta necessariamente anche vizio della delibera che approvi i rendiconti, poiché taluni profili hanno rilevanza ex art 1129 c.c. per l’eventuale richiesta di revoca giudiziale dell’amministratore ed altri possono invece essere censurati ex art 1137 c.c. come vizio della delibera.

La pronuncia coglie anche lo spunto per ribadire alcuni orientamenti, ormai consolidati, in tema di redazione del bilancio, di diritto di accesso ai documenti da parte dei condomini, poteri del giudice in ordine alla valutazione di legittimità della delibera.

Nel caso in esame  il condomino ricorrente (che già si sera visto respingere la domanda in appello e condannare per lite temeraria ex art 96 c.p.c.), sostiene in cassazione “ la violazione dell’art. 1129 c.c., comma 7, dell’art. 263 c.p.c. e dell’art. 1713 c.c. gli artt. 112 e 345 c.p.c. e dell’art. 1136 c.c. Con la censura si contesta la regolarità contabile del bilancio condominiale approvato con la Delib. 12 aprile 2012, richiamando le critiche svolte in primo grado ed in appello dal ricorrente (gestione del conto corrente, ammontare del saldo di cassa, mancata consegna della documentazione).
Il terzo motivo di ricorso deduce la “sparizione della portineria condominiale, dell’alloggio del portiere nonché della indebita proprietà dei locali ad uso della società dell’amministratore condominiale R.W. , OPE.RA. s.r.l.”, quali violazioni dell’art. 1129 c.c., art. 1130 c.c., comma 6, in riferimento agli artt. 832, 2621 e 2622 c.c.”.

La Corte preliminarmente osserva un difetto di applicabilità delle norme ratione temporis, poiché gli artt. 1129 e 1130 c.c. nella formulazione attuale sono entrati in vigore nel 2013 e non possono essere fatti valere per censurare una deliberazione assunta nel 2012.

Nel merito la corte osserva che “Le censure introdotte col secondo motivo sono anche contrarie ai consolidati orientamenti di questa Corte sulle questioni di diritto decise (avendosi riguardo, in relazione alla data di approvazione dell’impugnata delibera, alla disciplina condominiale antecedente alle modifiche introdotte dalla L. n. 220 del 2012), senza offrire elementi che inducano a mutare tali orientamenti, e ciò agli effetti dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c., la deliberazione dell’assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell’amministratore può essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti, nel termine stabilito dall’art. 1137 c.c., non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di legittimità, restando perciò escluso ogni sindacato giudiziale sulla consistenza degli esborsi o sulla convenienza delle scelte gestionali (Cass. II, 4 marzo 2011, n. 5254; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747; Cass. VI-2, 17 agosto 2017, n. 20135; Cass. II, 27 gennaio 1988, n. 731).
È poi certo nell’interpretazione giurisprudenziale che, se ciascun comproprietario ha la facoltà (di richiedere e) di ottenere dall’amministratore del condominio l’esibizione dei documenti contabili in qualsiasi tempo (e, non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea), senza neppure l’onere di specificare le ragioni della richiesta (finalizzata a prendere visione o estrarre copia dai documenti), l’esercizio di tale facoltà non deve risultare di ostacolo all’attività di amministrazione, nè rivelarsi contraria ai principi di correttezza (Cass. II, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. II, 26 agosto 1998, n. 8460).

È altrettanto consolidato l’orientamento giurisprudenziale che precisa come per la validità della deliberazione  di approvazione del bilancio condominiale non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società; è invero sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, fornendo la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione, e ciò comunque alla stregua di valutazione di fatto che spetta al giudice di merito e che non è denunciabile per cassazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Neppure si richiede che le voci di spesa siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa (Cass. II, 23 gennaio 2007, n. 1405; Cass. II 7 febbraio 2000, n. 9099; Cass. II, 20 aprile 1994, n. 3747).

Il ricorrente, col secondo motivo, auspica che la Corte di cassazione tragga dalle risultanze istruttorie un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le stesse nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro immediata delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.”

La Corte osserva inoltre  che, una volta che il condomino abbia impugnato la delibera deducendo un determinato vizio, non è consentito al giudice discostarsi dalla domanda e pervenire all’annullamento epr motivi diversi da quelli espressamente dedotti dalla parte: “la domanda di declaratoria dell’invalidità di una delibera dell’assemblea dei condomini per un determinato motivo non consente al giudice, nel rispetto del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, l’annullamento della medesima delibera per qualsiasi altra ragione attinente a quella questione nè, tantomeno, l’annullamento, sia pure per la stessa ragione esplicitata con riferimento alla deliberazione specificamente impugnata, delle altre delibere adottate nella stessa adunanza ma non ritualmente opposte in quanto, ancorché sia redatto un unico processo verbale per l’intera adunanza, l’assemblea pone in essere tante deliberazioni ontologicamente distinte ed autonome fra loro, quante siano le diverse questioni e materie in discussione, con la conseguente astratta configurabilità di separate ragioni di invalidità attinenti all’una o all’altra (Cass. Sez. 6 – 2, 25/06/2018, n. 16675). Un conto è allora domandare l’invalidità della deliberazione assembleare che non abbia individuato e riprodotto nel relativo verbale i nomi dei condomini assenzienti e di quelli dissenzienti, nonché i valori delle rispettive quote millesimali, come il M. assume di aver prospettato in primo grado, altro conto è denunciare l’annullabilità della delibera per violazione delle maggioranze prescritte dall’art. 1136 c.c. con riferimento all’elemento reale ed all’elemento personale (domanda che correttamente, perciò, la Corte d’appello di Torino afferma non proposta tempestivamente dal ricorrente).”

© massimo ginesi 11 novembre 2020

 

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requisiti soggettivi dell’amministratore: per la cessazione dall’incarico la condanna penale deve essere definitiva.

Un interessante provvedimento del Tribunale di Milano – decreto 20.6.2018 n. 1963 – affronta il tema della  disciplina dettata dall’art. 1129 c.c. sulle gravi irregolarità dell’amministratore, introdotta dalla novella del 2012, nonché la portata della previsione contenuta nell’art. 71 bis disp.att. cod.civ., ove si prevede che l’amministratore che riporti condanna penale per determinati reati cessi dall’incarico.

Il giudice lombardo si pronuncia in sede di volontaria giurisdizione, a seguito di ricorso per la revoca dell’amministratore, introdotto da alcuni condomini, anche se va rilevato che la dizione letterale della norma attuativa presupporrebbe una cessazione de iure ove venga meno uno dei requisiti previsti dalle lettere a-e del primo comma, sì che in simili ipotesi non dovrebbe neanche darsi luogo a revoca da parte dell’autorità giudiziaria che – al più – dovrebbe pronunciarsi in via dichiarativa sulla intervenuta decadenza dall’incarico.

Il provvedimento è  interessante sia per la peculiarità della fattispecie (pare che l’amministratore abbia tentato di finanziare la propria campagna elettorale con denaro condominiale…) sia per alcune significative notazioni interpretative rese dal Tribunale, peraltro in linea con i più diffusi e autorevoli orientamenti dottrinali sul punto.

il giudice rileva, in particolare, come l’indicazione delle gravi irregolarità previste dal novellato art. 1129 cod.civ. sia meramente esemplificativa e non tassativa, lasciando comunque al giudice un apprezzamento ampio della concreta fattispecie di cui ci si duole, che potrà essere comunque ascritta alla grave irregolarità – ove se ne ravvisino i presupposti – anche aldifuori delle ipotesi individuate dalla norma ed in funzione del generico richiamo contenuto nel comma 11.

Quanto invece alla sanzione decadenziale prevista dall’art. 71 bis disp.att. cod.civ. non potrà che aversi riguardo, per ovvie decidenti ragioni di garanzia e di costituzionalità, alla condanna divenuta definitiva .

Tribunale Milano 1963:2018

© massimo ginesi 5 settembre 2018