accertamento della condominialità di beni: utilizzabile anche la prova per testi

Il giudice, nella valutazione della destinazione di beni  al servizio comune, onde stabilire se costituiscano proprietà esclusiva oppure beni comuni ex art 1117 c.c., può avvalersi anche delle dichiarazioni testimoniali assunte durante l’istruttoria.

E’ quanto afferma una recente sentenza di legittimità, (Cass. civ. sez. II 3 maggio 2019 n. 11729),   ritenendo che – pur trattandosi di beni immobili – l’accertamento della loro natura comune non sottostà ai rigidi principi probatori in tema di azione di rivendicazione, secondo una consolidata giurisprudenza.

“Non sussiste, anzitutto, la lamentata violazione di legge riguardo al fatto che la natura condominiale delle nicchie collocate lungo il tracciato interposto tra i fabbricati sia stata desunta dalle deposizioni testimoniali in assenza di prova scritta, poiché tale accertamento dipendeva dal riscontro della concreta destinazione delle nicchie a servizio delle proprietà esclusive e dalla specifica relazione di accessorietà tra i beni comuni e quelli di proprietà esclusiva, alla stregua delle complessive risultanze di causa.

Tale relazione costituisce – difatti – il presupposto applicativo della presunzione sancita dall’art. 1117 non essendo richiesto, ai fini dell’accertamento della natura condominiale dei beni, il rigore probatorio proprio dell’azione di rivendica (Cass. 20593/2018; Cass. 11195/2010; Cass. 15372/2000; Cass. 884/2018; Cass.20071/2017), fermo inoltre che la predetta presunzione può essere vinta solo da un titolo contrario (da intendersi come atto costitutivo del condominio: Cass. 11877/2002; Cass. 11844/1997; Cass. 9062/1994), la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che si affermi proprietario esclusivo del bene o della porzione controversa (Cass. 27145/2017).

Va inoltre precisato che, in considerazione del rapporto di accessorietà necessaria che lega le parti comuni dell’edificio alle proprietà singole, la condominialità non è esclusa per il solo fatto che le costruzioni siano realizzate, anziché come porzioni di piano l’una sull’altra (condominio verticale), quali proprietà singole in sequenza (villette a schiera, condominio in orizzontale), poiché la nozione di condominio è configurabile anche nel caso di immobili adiacenti orizzontalmente in senso proprio, ove dotati delle strutture e degli impianti essenziali indicati dall’art. 1117 c.c. (Cass. 27360/2016; Cass. 18344/2015; Cass. 4973/2007; Cass. 8066/2005).

La decisione non è infine censurabile, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., per aver ritenuto credibili le dichiarazioni testimoniali de relato o rese da soggetti legami da vincoli di parentela e professionali con le parti.

Premesso che, a seguito della pronuncia di incostituzionalità dell’art. 247 c.p.c. (Corte Cost. 248/1974), la sussistenza di rapporti di parentela tra i testi e le parti non si traduce in un motivo di incapacità a testimoniare, nè comporta ex se alcun giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni rese in giudizio, e che la testimonianza de relato, pur se munita di una valenza probatoria attenuata, è certamente utilizzabile per la decisione specie se, come nel caso concreto, confermata dal raffronto con le altre risultanze processualità (cfr. sentenza pag. 9; Cass. 8358/2007; Cass. 43/1998), resta che l’apprezzamento delle prove ed il giudizio di attendibilità dei testi, anche in presenza di particolari legami con le parti, è rimessa al giudice di merito ed è sindacabile solo per vizi di motivazione (Cass. 25358/2015; Cass. 1109/2006; Cass. 7061/2002).”

copyright massimo ginesi 7 maggio 2019

art. 1117 cod.civ., per stabilire se il bene è condominiale vale il titolo originario

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Principio consolidato, che la Suprema Corte ( Cass. Civ. II sez.  Sentenza 30 giugno 2016 n. 13450, relatore Scarpa)  declina con grande chiarezza e alcune interessanti precisazioni.

Il nucleo centrale della decisione ha richiardo ad un corridoio conteso dai condomini, in ordine al quale alcuni rivendicano la titolarità esclusiva ed altri ne affermano la condominialità.

Osserva la Corte che “Ora, ai sensi dell’art. 1117, n. 1, cod.civ. , rientrano tra le parti comuni spettanti ai proprietari delle singole unità site nell’edificio condominiale, tra l’altro, le scale, i vestiboli, gli anditi, ovvero comunque tutte le parti necessarie all’uso comune ed essenziali alla funzionalità del fabbricato, e quindi anche gli annessi pianerottoli, passetti, corridoi, pur se posti in concreto al servizio di singole proprietà. Per sottrarre tali beni alla comproprietà dei condomini e dimostrarne l’appartenenza esclusiva al titolare di una porzione esclusiva, è necessario un titolo contrario, contenuto non già nella compravendita o nella donazione delle singole unità immobiliari (come suppone il ricorrente, menzionando gli atti d i cui alle pagine 16 e seguenti di ricorso), bensì nell’atto costitutivo del condominio. Titolo idoneo a vincere la presunzione di condominialità ex art 1117 e.e., infatti, è non l’atto di acquisto del singolo appartamento condominiale, quanto ilnegozio posto in essere da colui o da coloro che hanno costituito il condominio dell’edificio, in quanto tale
negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne determina l’estensione e le limitazioni reciproche. Pertanto, per accertare se ilcorridoio di accesso ai singoli appartamenti delle parti in lite fosse escluso dalla comunione e riservato in proprietà esclusiva di alcuno o altro dei condomini titolari di essi, ilricorrente avrebbe dovuto decisivamente indicare, piuttosto, quale fosse stato l’atto costitutivo del condominio di via M., di Locorotondo, spettando certamente al proprietario, che rivendichi la proprietà esclusiva di un bene presuntivamente attribuito al condominio, l’onere di dare la prova del proprio diritto individuale sulla res.”

quanto alla pbiettiva destinazione del bene e alla sua attitudine a rendere una utilità comune, è giudizio di fatto rimesso al Giudice di merito: “Costituisce, peraltro, apprezzamento di fatto dei giudici di merito incensurabile in sede di legittimità – ove, come nel caso in esame, risulti pure compiutamente motivato – l’accertamento, in base ad elementi obiettivamente rilevati, che il corridoio serva, per sue caratteristiche strutturali e funzionali, ali’uso comune di più appartamenti, e non sia, piuttosto, destinato, al godimento di una parte soltanto dell’edificio avente accesso da esso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3159 del 14/02/2006; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1498 del 12/02/1998; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1776 del 23/02/1994; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2070 del 22/03/1985; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 673 del 09/03/1972).”

Peraltro tale giudizio di fatto dovrà arrestarsi a fronte di una statuizione del titolo, posto che i criteri previsti dall’art. 1117 cod.civ. – così come espressamente previsto dalla norma – hanno natura sussidiaria e secondaria rispetto al titolo” la presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, di un bene rientrante tra quelli indicati dall’art. 1117 e.e., può, invero, esser superata se il contrario risulta dal titolo, e non già se la situazione di fatto deponga per la possibilità di ottenere le medesime utilità fornite da quel bene attraverso il godimento di altre parti comuni, comunque strumentali alla medesima porzione esclusiva (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3409 del 22/03/2000). Né parimenti rivelano significato i richiami operati in ricorso all’espletata prova testimoniale sul transito operato in  passato dalla famiglia O. attraverso la porta dell’androne, in quanto l’esclusione, quale titolo contrario ex art. 1117 cod.civ., dal novero delle parti in condominio di alcune che, per presunzione di legge, sono di proprietà comune, incidendo sulla costituzione o modificazione di un diritto reale immobiliare, deve risultare necessariamente da atto scritto.

© massimo ginesi 4 luglio 2016