l’amministratore che resiste in giudizio senza informare l’assemblea può essere condannto a rimborsare al condominio le spese.

E’ quanto ha stabilito Tribunale Roma, sez. V, 21/08/2018,  n. 16596 in un’ articolata sentenza relativa ad una causa promossa dal condominio nei confronti dell’amministratore che – a fronte di infiltrazioni protratte per lungo tempo nell’appartamento di uno dei condomini – aveva resistito in giudizio con esisti infausti per il condominio,  senza informare l’assemblea e costituendosi in proprio nella sua qualità di avvocato.

Con riguardo ai danni promananti da parti comuni dell’edificio condominiale è pacificamente individuata la figura del custode in capo al condominio.

L’amministratore può rispondere non già tout court come custode ma per violazione contrattuale ove non abbia posto in essere quanto avrebbe potuto per impedire la causazione o l’aggravamento del danno.

Nel caso di specie, le infiltrazioni erano pregresse ma perduranti: posto che non risulta possibile determinare compiutamente in quali momenti esse si siano verificate, appare equo ritenere che la causazione delle stesse e l’aggravamento dei danni debbano essere poste a carico solo per 2/3 al A.M., per come liquidate nella ATP di cui alla causa F./Condominio e quindi per l’importo di euro 12.516,66.

Quanto al secondo profilo, è patente la violazione da parte dell’amministratore dell’obbligo di riferire delle lettere di diffida da parte del F., della problematica in atto relativa alla mancata ultimazione di tali lavori, della citazione ricevuta e molto grave è che lo stesso si sia costituito in giudizio senza mandato assembleare né successiva ratifica, privando l’assemblea della legittima scelta se transigere o resistere alla citazione.

Orbene, al fine di valutare la sussistenza del nesso causale tra la violazione dell’obbligo di informare il Condominio della diffida e poi dell’atto di citazione del F. e la costituzione del A.M. nella sua qualità di avvocato nella detta causa in mancanza di autorizzazione dell’assemblea, pare sottolineare come, nel diverso ambito della responsabilità dell’avvocato, si sia affermato che il professionista, nel suo rapporto con il cliente, è tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole, dimostrando l’assolvimento del dovere di informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio (così la recente Cass. del 19/04/2016, n. 7708).

D’altro conto la verifica della diligenza dell’avvocato (ed in questo caso dell’amministratore che decide autonomamente di costituirsi in giudizio) nell’espletamento dell’obbligazione – che è di regola di mezzi e non di risultato – va compiuta attraverso un giudizio prognostico circa l’attività astrattamente esigibile dal legale tenendo conto della adozione di quei mezzi difensivi che, al momento del conferimento dell’incarico professionale e, quindi, dell’instaurazione del giudizio, dovevano apparire funzionali alla migliore tutela dell’interesse della parte dal medesimo difesa (Cassazione civile, sez. II, 08/09/2015, n. 17758). E’, dunque, configurabile imperizia del professionista allorché questi ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero erri nel risolvere questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato perseguito dal cliente sia valutata (e motivata) dal giudice di merito “ex ante” e non “ex post”, sulla base dell’esito del giudizio, restando comunque esclusa in caso di questioni rispetto alle quali le soluzioni dottrinali e/o giurisprudenziali presentino margini di opinabilità – in astratto, o con riferimento al caso concreto – tali da rendere giuridicamente plausibili le scelte difensive compiute dal legale ancorché il giudizio si sia concluso con la soccombenza del cliente (così la recente Cass. del 10/06/2016, n. 11906). L’affermazione della responsabilità del difensore, di conseguenza, non può essere desunta de plano dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, dal momento che il professionista non può garantire l’esito favorevole della lite.

Posto che la presenza delle infiltrazioni era circostanza nota ed aveva determinato l’aggiudicazione in ben due occasioni di lavori di rifacimento del lastrico a terrazza, che mai era stata contestata l’origine delle infiltrazioni dal bene comune, che vi era stata anche una perizia assicurativa che aveva affermato la causa delle infiltrazioni a carico del condominio, era ben difficile ipotizzare che il Condominio uscisse vittorioso da detta lite, senza peraltro validamente chiamare in giudizio le due imprese aggiudicatarie dei lavori. Non risulta, tra l’altro, che nelle more siano state rimborsate al F. le spese relative al ripristino dell’immobile danneggiato, neppure nella minor somma richiesta in data 14.07.2009 di euro 3000: pertanto, quantomeno in relazione a detto obbligo di ripristino mai attuato, il Condominio non poteva che essere condannato.

Inoltre, come giustamente osservato dal Giudice nella sentenza F./Condominio n. 14324/14 Tribunale di Roma (allegata al doc. 13 di parte attrice), non poteva sostenersi l’esonero da responsabilità del Condominio per essere la disponibilità del bene nelle mani delle due imprese, dovendosi in tal caso provare che i lavori erano stati ininterrotti e comunque rimanendo in capo al committente il controllo dello svolgimento dei lavori.

Invero, il A.M., nella sua veste di amministratore ha precluso all’assemblea di autodeterminarsi in merito all’opportunità di coltivare la lite ed ha esposto il Condominio alla certa condanna per le spese legali per l’importo di euro 3200, nonché per le spese di CTU e Ct di parte, per importo non individuato.

Pertanto, il A.M. sarà tenuto a rimborsare ai condomini odierne parti attrici, i 2/3 della quota parte corrisposta da ognuno di loro per il risarcimento del danno e dall’intero per le spese di lite.

Il A.M. restituirà a ciascuna parte, secondo il piano di riparto, i 2/3 dell’importo corrispondente al risarcimento del danno comprensivo del danno emergente e l’intera parte dell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese di lite liquidate.”

© massimo ginesi 21 settembre 2018